MATTEO d’Acquasparta

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MATTEO d’Acquasparta

Giulia Barone

Nacque intorno al 1240 ad Acquasparta, in Umbria. Ancor giovanissimo – ma in data ignota – si fece francescano, prendendo l’abito probabilmente nel convento di Todi.

Le sue grandi capacità intellettuali indussero i superiori a inviarlo a completare gli studi di teologia a Parigi, dove raggiunse rapidamente il grado di «baccelliere biblico» (1268-69 o 1269-70) e di «baccelliere sentenziario» (1270-71 o 1271-72). Durante i suoi anni parigini deve aver avuto modo di ascoltare l’insegnamento di Bonaventura da Bagnoregio. Dovrebbe aver conseguito il titolo di magister nel 1276. È comunque difficile ricostruire i primi anni della sua vita universitaria: svolse certamente attività di insegnamento sia a Parigi sia a Bologna – come risulta da un passo del suo Commentarius in libros sententiarum – per quanto non ci sia accordo fra gli studiosi sulla cronologia dei suoi incarichi magistrali.

È invece sicura la data (1279) della sua nomina a maestro di teologia presso lo Studium Curiae quale successore di John Peckham, che era stato forse suo maestro a Parigi.

Si trattava di un compito di grande importanza, in quanto chi ricopriva questa prestigiosa carica doveva fornire adeguata formazione teologica ai chierici, provenienti da diversi Paesi d’Europa, presenti in Curia. Il lettore nello Studium Curiae doveva inoltre consigliare il papa in questioni relative alla fede e tenere regolarmente sermoni. Per facilitare i suoi spostamenti al seguito del papa gli venivano messi a disposizione due asini per il trasporto dei libri.

In quel periodo M. prese posizione contro uno scritto dell’ex provinciale di Francia e penitenziere apostolico, Nicola di Ghistelle, che aveva commentato, in dispregio del divieto papale, la bolla Exiit qui seminat di Niccolò III; lo scritto di Nicola pare sia stato fatto distruggere da M. appena eletto ministro generale.

Tutte le opere teologiche di M. risalgono agli anni di insegnamento universitario; una conferma viene dal fatto che, tra gennaio e marzo 1287, egli dispose che la sua biblioteca venisse divisa tra il convento di S. Francesco di Assisi e quello di S. Fortunato a Todi (l’atto è stato pubblicato da Menestò, 1982). Da quel momento gli sarebbe stato praticamente impossibile affrontare la composizione di opere «scientifiche», non avendo più a disposizione i necessari strumenti di lavoro. La tradizione, del resto, gli attribuisce – negli anni successivi – solo tre sermoni.

La biblioteca di M., per quanto è possibile ricostruirla dall’inventario, in cui i libri sono indicati tanto sommariamente da rendere a volte impossibile l’identificazione dei testi, si presenta come la tipica raccolta di libri funzionale allo studio e all’insegnamento universitario nella seconda metà del XIII secolo. Oltre ai tipici strumenti di lavoro – quali le concordanze bibliche – M. possedeva numerosi testi di esegesi del Vecchio e Nuovo Testamento a opera di Agostino, Ambrogio, Gregorio Magno, Bernardo di Chiaravalle, fino ai suoi contemporanei Guglielmo di Meliton, John Peckham e Tommaso d’Aquino. Agostino è l’autore antico più rappresentato; oltre ai suoi commenti biblici, M. possedeva altri otto codici contenenti sue opere. Né mancano le traduzioni latine di alcuni padri della Chiesa orientale (Gregorio di Nazianzio, Giovanni Damasceno e lo pseudo Dionigi l’Areopagita). La riscoperta di Aristotele – grande novità del Duecento in campo filosofico – si rispecchia anche nella biblioteca di M., che possedeva quasi tutte le sue opere, così come quelle dei suoi interpreti musulmani (Avicenna e Averroè). Ben rappresentata è naturalmente la teologia del XII secolo (Bernardo e i vittorini), così come quella del XIII: nell’inventario figurano infatti la Summa (in due copie) di Alessandro di Hales – il maestro di teologia inglese che, fattosi francescano, aveva concesso all’Ordine dei minori la prima cattedra universitaria parigina –, la Summa di Tommaso d’Aquino e alcune questioni disputate dello stesso autore. Relativamente scarsa è invece la presenza di opere di Bonaventura (Apologia pauperum, Quaestiones disputatae cum pluribus aliis) e la cosa desta un qualche stupore. Del tutto marginali sembrano gli interessi storici di M.: nella sua biblioteca figura – accanto alla Historia scholastica di Pietro Comestore, il manuale di base per tutti gli universitari – solo un altro testo all’epoca diffusissimo, la Chronica imperatorum et pontificum del domenicano Martino Polono. Il diritto canonico è meglio rappresentato: M. possedeva infatti codici sia del Decretum di Graziano (XII secolo), sia delle Decretales di Gregorio IX, la più recente collezione canonistica. L’unico autore latino in possesso di M. è Seneca. Un confronto tra i testi identificabili e il contenuto delle opere di M. ha dimostrato l’uso sistematico dei volumi della biblioteca.

M. fu certamente uno dei grandi teologi della sua epoca. Purtroppo non tutta la sua opera è stata conservata; del Commentarius in libros sententiarum, in cui i maestri riversavano abitualmente il meglio della loro dottrina, sono sopravvissuti solo il I libro, il II e frammenti del IV. Inoltre, una parte della produzione è a tutt’oggi inedita. M. risulta comunque pensatore originale. Rappresentante della scuola teologica francescana, egli si colloca nel solco della linea di pensiero ispirata da Agostino, che aveva avuto, alla metà del XIII secolo, il suo più grande interprete in Bonaventura.

Contro le posizioni di Tommaso d’Aquino, soprattutto per quanto riguarda le facoltà dell’anima, egli prese apertamente posizione con le sue Quaestiones de anima separata, composte, molto probabilmente, a poca distanza dalla condanna di alcune proposizioni di Tommaso da parte del vescovo di Parigi, Étienne Tempier, nel marzo 1277. Non per questo, però, lo si può definire un semplice emulo del pensiero bonaventuriano. Non poche volte egli si discosta dal grande teologo francescano, pur restando fedele alle sue posizioni chiave, per utilizzare il lessico e le categorie aristoteliche e dell’Aquinate. In altri casi, pur non alterando in apparenza il quadro dottrinale di Bonaventura, finisce per modificarlo, introducendo una serie di sfumature. Su alcuni temi, infine, come quello del concetto di lex naturalis, M. si dissocia dalla linea di Bonaventura, definendolo negli stessi termini usati da Tommaso.

Nel capitolo generale che si tenne a Montpellier il 25 maggio 1287, giorno di Pentecoste, il M. fu eletto ministro generale dei frati minori; egli succedeva ad Arlotto da Prato, morto nel 1286 dopo un solo anno di generalato. Anche M. non era destinato a reggere a lungo l’Ordine: il francescano Girolamo Masci d’Ascoli, eletto nel 1288 papa Niccolò IV, nella prima promozione cardinalizia lo elesse cardinale prete del titolo di S. Lorenzo in Damaso; gli chiese però di continuare a svolgere il suo ufficio di ministro generale fino al successivo capitolo generale di Rieti (1289), che elesse al suo posto il provenzale Raimondo Gaufridi (o Godefroid).

In quei due anni M. ebbe comunque modo di assumere un paio di decisioni di rilievo per gli equilibri interni dell’Ordine che dimostrano come sia poco rispondente a verità la tradizione che vede in lui un nemico della fazione zelante all’interno dell’Ordine dei minori. Egli nominò infatti come lettore di teologia presso lo Studio fiorentino di S. Croce il teologo provenzale Pietro di Giovanni Olivi, di cui era ben nota la rigorosa interpretazione della povertà francescana. Fu forse nel periodo del magistero fiorentino dell’Olivi (1287-89) che il giovane Dante Alighieri ebbe modo di ascoltarlo in S. Croce, dato che le lezioni di teologia degli Studia degli Ordini mendicanti erano aperte anche ai laici.

M. aveva probabilmente conosciuto e apprezzato l’Olivi quando questi, nel 1279, era stato convocato in Curia da Niccolò III per partecipare alla redazione della bolla Exiit qui seminat. Con questo importante documento il papa, che era stato in precedenza per molti anni cardinale protettore dei minori, aveva cercato di risolvere un certo numero di questioni controverse, lasciate aperte dal concilio di Lione II, per garantire definitivamente la posizione di assoluto rilievo che i francescani occupavano nella Chiesa della seconda metà del XIII secolo.

Ancora più significativa fu certamente la seconda delle decisioni assunte da M.: egli concesse infatti all’ex generale Giovanni Buralli da Parma che, dal 1257, era stato relegato nell’eremo di Greccio, di poter tornare all’attività pastorale e partire come missionario in Oriente, assecondando così il desiderio più volte espresso in questo senso da Giovanni, che morì, però, prima di aver realizzato il suo sogno.

I motivi dell’allontanamento di Buralli dal governo dell’Ordine sono stati oggetto, negli ultimi anni, di un vivace dibattito fra gli studiosi. Tradizionalmente infatti si riteneva che l’ex generale fosse stato spinto a presentare le dimissioni dopo dieci anni di governo a causa delle sue simpatie gioachimite. Questa era, per esempio, l’interpretazione data da Salimbene de Adam nella sua Cronica. Ora si è piuttosto inclini a pensare che Giovanni abbia perso la fiducia della Curia per alcune sue prese di distanza dalle decisioni pontificie (cfr. Giovanni da Parma e la grande speranza. Atti del III Convegno storico di Greccio… 2004, a cura di A. Cacciotti - M. Melli, Roma 2008). Il suo successore Bonaventura da Bagnoregio, che guidò i minori fra il 1257 e il 1274, non era mai intervenuto in suo favore, e nello stesso modo si comportarono anche gli altri generali francescani fino all’elezione di Matteo. Così Giovanni, ritirato nell’eremo di Greccio, aveva finito per diventare un punto di riferimento ideale per la corrente rigorista dell’Ordine.

Il giudizio su M. francescano è però stato segnato dai versi del Paradiso dantesco, in cui l’Alighieri addita – per bocca di s. Bonaventura – lui e Ubertino da Casale come esempi da evitare, in quanto entrambi, sia pure in modi diversi, avevano snaturato l’insegnamento di Francesco: «non fia da Casal né d’Acquasparta / là onde vegnon tali alla scrittura, / ch’uno la fugge, e l’altro la coarta» (XII, 124-126). A lungo si è identificato M. in colui che «fugge» la regola francescana, accusandolo con ciò di lassismo. Alla luce delle più recenti interpretazioni, è forse più probabile che Dante intendesse semplicemente denunciare lo snaturamento del francescanesimo dei suoi tempi. Così come è stata respinta l’ipotesi che l’Alighieri sia stato indotto a criticare M. dall’avversione politica per le decisioni prese dal cardinale durante la sua legazione fiorentina. Durante il suo generalato M. si occupò anche della missione del suo Ordine presso i Mongoli, che si pensava potessero convertirsi al cristianesimo e unirsi a una coalizione antimusulmana.

In una data non meglio precisata tra 1288 e 1291 (anno in cui M. venne promosso cardinale vescovo di Porto) Niccolò IV lo nominò penitenziere maggiore, in sostituzione del francescano Bentivegna de’ Bentivegni.

In questa sua nuova carica M. ebbe la possibilità di conoscere in profondità alcuni dei problemi della Chiesa e della società del suo tempo; erano infatti rimesse alla sua decisione questioni come le cause matrimoniali, soprattutto in caso di unioni contratte o da contrarsi in presenza di legami di parentela troppo stretti, le dispense concesse al clero, l’assoluzione dalle censure ecclesiastiche.

La concezione che M. aveva della Chiesa e delle tristi condizioni in cui versava è chiaramente espressa in alcuni suoi sermoni. Secondo M., troppi prelati trascuravano la predicazione o, peggio ancora, non cercavano con le loro parole il miglioramento morale degli ascoltatori, ma volevano solo placare la propria ambizione. Troppo spesso, inoltre, principi e prelati, invece di rappresentare, con il loro comportamento, esempi virtuosi, scandalizzavano il popolo, allontanandolo definitivamente dalla retta via.

Niccolò IV gli affidò, nel 1289, la preparazione della riforma dell’Ordine di Cluny.

Come tutti i cardinali dell’epoca, anche M. ricevette cospicue pensioni per difendere in Curia gli interessi di alcuni potenti: dal 1291 Carlo II d’Angiò gli versò un contributo annuo di 100 once d’oro. Dal 1299 e fino alla morte M. ricevette 100 lire tornesi da Guido di Dampierre, per favorire il conte di Fiandra.

Alla morte di Niccolò IV (1292) seguì una lunghissima sede vacante, durante la quale M. fu indicato come candidato, ma non poté raccogliere i voti necessari all’elezione. Durante il periodo di vacanza papale M. ebbe dal Collegio cardinalizio l’incarico di organizzare la difesa di Stroncone, un piccolo castrum attaccato da Narni, e portò a felice compimento l’impresa costringendo Narni a giurare la pace nelle sue mani (Terni, 17 luglio 1293). È certo che egli si schierò tra i primi a favore di Pietro del Morrone, che divenne papa (1294) col nome di Celestino V. Non è noto quale sia stato l’atteggiamento di M. durante i brevi mesi del pontificato celestiniano, ma fu uno degli elettori di Benedetto Caetani (Bonifacio VIII), di cui divenne presto uno dei più fidati collaboratori.

Quando, nel 1297, i Colonna si ribellarono a Bonifacio VIII, denunciando pubblicamente come invalida la sua elezione, M. si schierò immediatamente a fianco del pontefice. La sua vicinanza a papa Caetani è dimostrata dal fatto che Bonifacio VIII lo incaricò di tenere il solenne sermone in occasione della canonizzazione di Luigi IX (Orvieto, 11 luglio 1297). La sua fedeltà al pontefice e il risoluto atteggiamento anticolonnese è provato dal fatto che, quando papa Caetani tolse al cardinale ribelle Giacomo Colonna la carica di protettore del monastero di clarisse di S. Silvestro in Capite, fu M. a sostituirlo (11 dic. 1297).

Si trattava, da parte del papa, di un atto dal profondo significato politico dato che la comunità di S. Silvestro traeva origine dal gruppo di pie donne fondato da Margherita (morta nel 1280), sorella di Giacomo Colonna, e che un’altra Colonna – Giovanna – ne era in quel momento la badessa. Bonifacio VIII provvide del resto a deporla per sostituirla con una superiora non legata alla famiglia che considerava ormai sua nemica.

Il 16 dic. 1297 M. lasciò Roma per recarsi a Firenze a predicare la crociata anticolonnese. In Toscana si trattenne alcuni mesi. Tornato in Curia non poté impedire che il papa si pronunciasse a favore di Filippo il Bello e contro Guido di Dampierre sulla questione delle Fiandre. Non per questo egli smise di difendere la causa del conte, come risulta dalle relazioni inviate dai suoi ambasciatori a Roma.

All’apertura dell’anno giubilare, e prima ancora della indizione ufficiale, M. tenne un celebre sermone in S. Giovanni in Laterano in cui difese la plenitudo potestatis papale in campo sia spirituale sia temporale. Nella primavera 1300 fu nuovamente inviato in Toscana, per trattare la pace tra guelfi e ghibellini. Non avendo ottenuto risultati, lasciò Firenze dopo quattro mesi per occuparsi più da vicino delle cose di Romagna, di cui era stato nominato rettore il 19 luglio. In Romagna si trovava ancora quando, nel dicembre 1301, ricevette dal papa l’ordine di tornare a Firenze, dove, nel frattempo, era intervenuto, dietro richiesta di Bonifacio VIII, Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello. Scarsi furono, anche questa volta, i risultati raggiunti dall’opera di pacificazione di M., che si limitò in pratica alla conclusione di alcune alleanze matrimoniali tra famiglie appartenenti alle fazioni avverse. Ben più incisivo fu l’intervento di Carlo di Valois, che portò al trionfo dei neri e alla sconfitta dei bianchi; fu in questa occasione che Dante, esponente dei bianchi, fu esiliato dalla sua città.

Nel frattempo il conflitto tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII era esploso. Il 10 apr. 1302 il re di Francia convocò gli Stati generali, per rispondere alle bolle che il pontefice gli aveva inviato, e in cui aveva riaffermato la sua potestà in materie – come quelle fiscali e giurisdizionali – che il sovrano francese riteneva invece fossero di sua totale competenza, anche quando erano chiamati in causa membri del clero.

Il 24 giugno 1302 M. fu incaricato di pronunciare il sermone De potestate papae in presenza dei legati francesi. In quell’occasione egli riprese il tema della plenitudo potestatis papale, servendosi di formule e argomenti molto simili a quelli utilizzati nella bolla Unam sanctam, alla cui stesura M. doveva aver collaborato. Non avrebbe potuto infatti prenderne visione in quanto pubblicata (18 nov. 1302) dopo la sua morte.

M. morì a Roma il 29 ott. 1302.

Fu sepolto nella chiesa francescana di S. Maria in Ara Coeli a Roma, in un grandioso sepolcro gotico. Non è noto se egli lo avesse commissionato in vita o se le scelte artistiche siano dovute ai suoi confratelli. Contrariamente a quanto avviene per altri cardinali dell’epoca, non sono note opere di sua committenza, con l’eccezione del bel sigillo cardinalizio.

Le opere di M. non sono ancora interamente edite. Restano inedite le principali: le Concordantiae in quattuor libros sententiarum, tradito da tre codici, ora tutti in area tedesca (Longpré); il Commentarius in libros sententiarum, il cui primo libro, autografo, è conservato a Todi, Biblioteca comunale, ms. 122, cc. 2v-160r, il secondo e frammenti del quarto, autografi, sono invece ad Assisi, Biblioteca comunale, ms. 132: si tratta evidentemente dei codici donati da M. nel 1287. Ugualmente inediti sono i commenti ai Salmi, all’Apocalisse e al Libro di Giobbe, nonché la maggior parte dei Sermoni (per le segnature dei manoscritti, v. Longpré). Si rinvia in questa sede alle edizioni attualmente disponibili; Quaestiones disputatae de gratia, a cura di V. Doucet, Quaracchi 1935 (ancora fondamentale per le notizie biografiche e la datazione delle opere); Quaestiones disputatae de productione rerum et de providentia, a cura di G. Gal, ibid. 1956; Quaestiones disputatae de incarnatione et de lapsu aliaequae selectae de Christo et de eucharistia, ibid. 1957; Quaestiones disputate de fide et de cognitione, ibid. 1957; Quaestiones disputatae de anima separata, de anima beata, de ieiunio et de legibus, ibid. 1959; Quaestiones disputatae de anima XIII, a cura di A.J. Gondras, Paris 1961; Sermones de b. Maria Virgine, a cura di C. Piana, Quaracchi 1962; Sermones de s. Francisco, de s. Antonio et de s. Clara, a cura di G. Gal, ibid. 1962.

Fonti e Bibl.: E. Longpré, Mathieu d’Aquasparta, in Dictionnaire de théologie catholique, X, Paris 1928, coll. 375-389 (con preziosissime informazioni sulle opere di M. e quelle a lui attribuite); V. Doucet, L’enseignement parisien de Mathieu d’A., in Archivum Franciscanum historicum, XXVIII (1935), pp. 568-578; F. Simoncioli, Rilievi sui sermoni inediti di M. d’A. dedicati a s. Francesco…, in Studi francescani, LVI (1959), pp. 148-172; F. Elizondo, Bulla «Exiit qui seminat» Nicolai III, in Laurentianum, IV (1963), pp. 59-117; Mariano d’Alatri, L’allusione dantesca a M. d’A., in Dante e l’Umbria. VI Convegno stor. regionale. Perugia-Assisi… 1965, in Boll. della Deputazione di storia patria per l’Umbria, LXII (1965), pp. 177-183; P. Weber, La liberté dans la théologie de Mathieu d’Acquasparte, in Recherches de théologie ancienne et médiévale, XXXIV (1967), pp. 238-254; P. Mazzarella, La dottrina dell’anima e della conoscenza in M. d’A., Padova 1969; A. Frugoni, M. di A., in Enc. dantesca, III, Roma 1971, pp. 868 s.; R. Ritzel, I cardinali e i papi dei frati minori conventuali, Roma 1971, pp. 15-17; J.B. Schneyer, Repertorium der lateinischen Sermones des Mittelalters für die Zeit von 1150-1350, IV, Münster 1972, pp. 149-167; C. Bérubé, Henri de Gand et Mathieu d’Aquasparta interprètes de st Bonaventure, in Naturaleza y gracia, XXI (1974), pp. 131-172; A.J. Gondras, Matthieu d’A., in Dictionnaire de spiritualité, X, Paris 1980, coll. 799-802; E. Menestò, La biblioteca di M. d’A., in Francesco d’Assisi. Documenti e archivi. Codici e biblioteche, Milano 1982, pp. 104-108; Id., Matthew of A., Henry of Ghent and Augustinian epistemology after Bonaventure, in Franziskanische Studien, LXV (1983), pp. 252-290; L. Mauro, Il Cosmo e la legge, Firenze 1990, ad ind.; F.-X. Putallaz, La connaissance de soi au XIIIe siècle. De Matthieu d’A. à Thierry de Freiberg, Paris 1991, passim; M. d’A. francescano, filosofo, politico. Atti del XXIX Convegno stor. internazionale del Centro di studi sul Basso Medioevo - Accademia Tudertina, Todi… 1992, Spoleto 1993 (con ampia bibl.); L.-J. Bataillon, Matthieu d’Aquasparta, lecteur de Thomas d’Aquin, in Revue de sciences philosophiques et théologiques, LVIII (1994), pp. 584-586; Id., Un sermon de Matthieu d’Acquasparte pour la fête de st Matthieu, in Revirescunt chartae. Codices, documenta, textus. Miscellanea… C. Cenci, a cura di A. Cacciotti - P. Sella, Roma 2002, pp. 939-952; T. Prügl, Die Bibel als Lehrbuch; zum «Plan» der Theologie nach mittelalterlichen Kanonauslegungen, in Archa Verbi, I (2004), pp. 42-66; B. Faes de Mottoni, Mosè e Paolo figure della contemplazione e del rapimento nelle teologie del secolo XIII, in Vie active et vie contemplative au Moyen Âge, in Mélanges de l’École française de Rome, CXVII (2005), pp. 83-113; P. Vian, Le letture dei maestri francescani. Tre casi nel secondo Duecento, in Libri, biblioteche e letture dei frati mendicanti (secoli XIII-XIV). Atti del XXXII Convegno… della Soc. internazionale di studi francescani, Assisi… 2004, Spoleto 2005, pp. 53-61; P. Herde, Bonifacio VIII canonista e teologo? Dal «consilium» (1272-1278) alla bolla «Unam sanctam» (1302), in Bonifacio VIII: ideologia e azione politica, Atti del Convegno internazionale…, Città del Vaticano-Roma… 2004, Roma 2006, pp. 17-41; Hierarchia catholica Medii Aevi, I, p. 11; Lexikon des Mittelalters, VI, coll. 397 s.; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VII, pp. 513 s.

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