SILVATICO, Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SILVATICO, Matteo

Corinna Bottiglieri

– Nacque a Salerno intorno al 1280, poiché nella sua opera, il Liber pandectarum medicinae, ricorda di aver visto le locuste a Salerno nel 1297 (Mantova, Biblioteca comunale, ms. A V 8 [138] c. 46vb, lemma bruculi: «ego vidi ipsos Salerni anno dominice incarnationis millesimo cc° nonagesimo vii°»).

Tuttavia, se si dà credito alla Historia delle famiglie di Salerno di Giovan Battista Prignano (1638-1641 circa; Roma, Biblioteca Angelica), nel 1296 un «Magister Matthaeus Salvaticus medicus de Salerno» appare nel libro dei benefattori della confraternita di S. Spirito di Benevento: ciò porterebbe ad anticipare la nascita almeno intorno al 1270.

Non è possibile identificare i genitori, ma è certa l’origine salernitana, dal momento che la presenza della famiglia Silvatico, originaria di Casale del Tusciano, oggi Olevano, nella piana del Sele, è attestata a Salerno sin dalla metà del XII secolo: rilevamenti archeologici recenti, insieme alla documentazione locale, sembrano confermare l’identificazione dell’attuale giardino detto della Minerva con l’area del plaium montis, in cui si collocava, nel XII secolo, la proprietà di due membri della famiglia Silvatico, ovvero Pietro e Gaita, quest’ultima figlia di un medico di nome Giovanni (Mauro - Valitutti, 2017, pp. 33-36, 42 s.).

Alla famiglia Silvatico appartennero, fra XII e XIII secolo, il «magister Ioannes medicus, qui dictus est Selvaticus, filius quondam Landulfi», che nel 1188 ricevette una concessione di terreno dal monastero di Cava (De Renzi, 1857, p. 344 e p. LII, doc. 76); un omonimo Matteo che nel 1272 ebbe da Carlo I d’Angiò l’incarico di credenziere («Committit Mattheo Salvatico de Salerno officium credenzerii portus Terre Nove»: Gli atti perduti..., a cura di B. Mazzoleni, 1939, p. 68, n. 463) e che nel 1284 è citato in un atto concernente il monastero femminile di S. Spirito a Salerno (Paesano, 1855, pp. 53-57); un Ruggiero, che nel 1269 fu nominato barone «per il Castelluccio in Principato Citra» da Carlo d’Angiò principe di Salerno, il futuro Carlo II (G.B. Prignano, Historia..., cit., c. 42v).

A Salerno, Matteo Silvatico disponeva di un giardino in cui coltivava le piante medicinali, come afferma nel Liber alla voce colocasia: «Ego ipsam habeo Salerni in viridario meo» (Mantova, Biblioteca comunale, ms. A V 8 [138], c. 75vab). Si formò molto probabilmente a Salerno, esercitandovi anche l’insegnamento della medicina: si firma «Matheus Salvaticus miles professor in phisica» il 15 febbraio 1322 (G.B. Prignano, Historia..., cit., c. 42v, ove si cita anche un Ruggiero Silvatico forse legato a Roberto d’Angiò già nel 1314) e l’11 aprile 1337 (Salerno, Archivio diocesano, perg. A. 9. 178). Si può ipotizzare che sia la fama scientifica sia l’appartenenza a una famiglia che aveva già servito fedelmente gli Angioini, mettessero in relazione il miles salernitano Matteo Silvatico con Roberto d’Angiò (re di Napoli dal 1309 al 1343), al quale dedicò nel 1332 la sua opera.

L’intitolazione completa (Pandecta sinonimorum ciborum et medicinarum simplicium aggregatarum per Matheum Salvaticum de Salerno) non è presente in tutti i codici, mentre la data del 1332, riportata, per quanto finora accertato, nei manoscritti a Mantova, Biblioteca comunale, A V 8 (138), del 1393, e München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 30 (seconda metà del XV secolo, di proprietà di Hartmann Schedel), è sicuramente da preferire a quella del 1317 tradizionalmente accreditata: il vasto lavoro di compilazione delle Pandectae si addice meglio alla maturità dell’autore, che utilizzò fonti come le traduzioni (del Liber Servitoris di Abulcasis e del Liber Aggregationis dello Pseudo Serapione, degli anni 1280-90) e la Clavis sanationis di Simone da Genova (completata non prima del 1296). Anche la probabile conoscenza di alcune delle traduzioni di Galeno effettuate, nell’ambiente della corte angioina, da Nicolò da Reggio fra il 1309 e il 1345 (Ventura, 2012) costituisce un ulteriore elemento a favore di una datazione più tarda.

Il 24 agosto 1337 Silvatico, definito «insigne medico», fu nominato familiaris di re Roberto (Minieri-Riccio, 1883, p. 201). Presso la corte angioina, le sue competenze botaniche servirono alla realizzazione del giardino del Castelnuovo (Sabatini, 1975, p. 60).

Silvatico poté forse entrare in contatto con Giotto, che fra il 1328 e il 1333 ebbe l’incarico di affrescare alcuni ambienti del palazzo reale (Leone de Castris, 2006, p. 189), e con il giovane Giovanni Boccaccio (a Napoli fra il 1327 e il 1340). Il personaggio del vecchio medico salernitano Mazzeo della Montagna, tradito dalla giovanissima moglie, sarebbe stato ispirato proprio da Silvatico (Boccaccio, 1992, IV, 10, p. 666, nota 10).

Nel 1342 il regius phisicus Silvatico, a Salerno, dispose un lascito testamentario al convento domenicano di S. Maria della Porta (De Renzi, 1857, p. CVI) e in un altro documento dello stesso anno appare come «Matthaeus Salvaticus miles in phisica professor» (Salerno, Archivio diocesano, pergamena C. 8. 609). Non si hanno successive notizie su di lui e si ignora l’anno della morte.

La fama di Silvatico è affidata al Liber pandectarum medicinae (detto anche Medicinalis pandecta, o soltanto Pandectae), completato verosimilmente, come si è accennato, nel 1332: un’immensa raccolta, di lemmi, relativi a semplici di provenienza vegetale, minerale e animale, insieme a nomi di organi del corpo, di malattie, di preparati. Nella dedica a Roberto d’Angiò, Silvatico esalta la competenza medica del re, come già aveva fatto pochi anni prima (1325) Dino del Garbo (Kelly, 2003, p. 255). La ratio dell’opera è mutuata dalla prefazione della Clavis sanationis di Simone di Genova: fornire la giusta denominazione dei semplici per evitare errori nella somministrazione (Bottiglieri, 2009, pp. 253-256).

Sull’impianto della Clavis (nomenclatura dei semplici in arabo, greco, latino e ordine alfabetico dei lemmi), Silvatico innestò, nei lemmi principali, una raccolta di auctoritates, come lo Pseudo Serapione, Dioscoride, Galeno (di cui utilizzava la traduzione di Guglielmo di Moerbeke del De alimentorum facultatibus); alla denominazione e alla descrizione morfologica fece seguire le proprietà (possessiones) del semplice secondo le quattro qualità, e aggiunse osservazioni personali, spesso difficilmente distinguibili dalle fonti (Bottiglieri, 2013).

Le Pandectae cominciarono presto a circolare, specialmente in Italia settentrionale: i lemmi principali (all’incirca 648) vennero numerati e all’opera fu aggiunto un indice con rinvio al numero del lemma. L’opera ebbe una grande diffusione: sono noti finora diciotto manoscritti a partire dalla fine del XIV secolo, ma soprattutto la fortuna tipografica fu straordinaria.

Il 1° aprile 1474 (apud Arnaldum de Bruxella) vide la luce a Napoli l’editio princeps del Liber pandectarum medicinae, curata dal beneventano Angelo Catone Sepino, medico di Ferrante d’Aragona, e condotta sul manoscritto allora conservato nella biblioteca regia: il curatore mantenne incipit (Incipit liber cibalis et medicinalis pandectarum Mathei Silvatici medici de Salerno), prefazione e organizzazione del testo originali. Seguì nello stesso anno (ottobre 1474) una stampa bolognese (apud Johann Vurster), curata dal bresciano Matteo Moreto, docente di medicina, che, forse appoggiandosi a una diversa tradizione manoscritta, omise la prefazione, trascurò la provenienza salernitana dell’autore (l’incipit recita Liber pandectarum medicinae omnia medicine simplicia continens quem ex omnibus antiquorum libris aggregavit eximius artium et medicinae doctor Matthaeus Silvaticus) e dichiarò di ignorare chi fosse Silvatico (Huius autem autoris nomen licet sit ambiguum, ipsum tamen a fidedignis Matheum Silvaticum nuncupatum fuisse accepi).

Le stesse omissioni si ripetono nelle edizioni successive, tutte discendenti da quella di Moreto: la nuova edizione del 1492, curata da Giorgio de Ferrari di Monferrato (apud Philippum Pincium) indica inoltre, erroneamente, il 1317 come data di completamento dell’opera. Le edizioni a stampa prima del 1500 furono dieci, cui se ne aggiunsero altre otto sino al 1541; ogni edizione introduce nelle Pandectae nuove auctoritates o integra quelle già presenti, sì che i lemmi numerati arrivarono a superare i settecento. Parti dell’opera circolarono autonomamente: è il caso del lemma Lapis bezoar aggiunto al trattato De venenis di Pietro d’Abano già in alcuni manoscritti, e da qui nelle edizioni a stampa, a partire dalla editio princeps del 1473.

Ma non solo in Italia, bensì in tutta Europa l’opera di Silvatico fu notevolmente diffusa sino a buona parte del XVI secolo, nell’università come nella pratica medica e farmaceutica (Agrimi - Crisciani, 1988, p. 209; Mauro, 1995, pp. 33-35).

L’autore, chiamato spesso soltanto Pandectarius, fu il modello per il fortunato Hortus sanitatis (1491) e per il Gart der Gesundheit (1485) (Mauro, 1995, p. 34; Draelants, 2013, pp. 21-23); fu utilizzato nel Lumen apothecariorum di Quirico degli Augusti (1486), nel Luminare maius di Giovanni Giacomo Manlio del Bosco (Venezia 1490), e inoltre fu citato dall’umanista e medico vicentino Nicolò Leoniceno (1428-1524) e dal suo allievo Antonio Musa Brasavola (Examen omnium simplicium medicamentorum, Roma 1536). Agli inizi del Cinquecento Martin Stainpeis lo incluse fra i testi obbligatori per gli studenti di medicina viennesi (Liber de modo studendi seu legendi in medicina, Vienna 1520). Progressivamente, con lo sviluppo della cultura umanistica anche in campo medico-botanico, emersero gli errori delle Pandectae nell’interpretazione dei testi antichi, come denunciò Pietro Andrea Mattioli nei Discorsi nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo (Venezia 1544). Albert von Haller, nella sua Bibliotheca botanica (1771-1772, p. 220) bollerà le Pandectae come «opus chaoticum».

In ogni caso, l’opera di Matteo Silvatico rappresenta uno snodo fondamentale nella circolazione europea dei testi medico-scientifici oltre la Scuola salernitana – le cui fonti non sembrano particolarmente influenti nelle Pandectae – all’interno del più vasto circuito delle corti e delle università tardomedievali.

Dal momento che la circolazione di Silvatico in Europa si basò esclusivamente sulle stampe dell’Italia padana, si comprende facilmente come la storiografia non meridionale dei secoli successivi abbia rielaborato arbitrariamente i dati biografici sull’autore, facendone un medico mantovano (Fabricius, 1734-1746, p. 52; Haller, 1771-1772, p. 220), milanese (Filippo Argelati, citato da Salvatore De Renzi, 1857, p. 528) o di Pavia (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 13010, c. 3v, del 1461; Bottiglieri, 2007).

Fonti e Bibl.: Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 13010; Mantova, Biblioteca comunale, ms. A V 8 (138); München, Bayerische Staatsbibliothek, ms. Clm 30; Roma, Biblioteca Angelica, G.B. Prignano, Historia delle famiglie di Salerno, II, 1638-1641, ms. 277; Salerno, Archivio diocesano, pergamene A.9. 178, C. 8. 609; Salerno, Biblioteca provinciale, ms. 18 ‘Pinto’; Gli atti perduti della cancelleria angioina transuntati da Carlo de Lellis, I, Il regno di Carlo I, a cura di B. Mazzoleni, II, Roma 1939, p. 68, n. 463.

J.A. Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae aetatis, Hamburg 1734-1746, p. 52; A. von Haller, Bibliotheca botanica, I, Zürich 1771-1772, pp. 220 s.; G. Paesano, Memorie per servire alla storia della Chiesa salernitana, Salerno 1855, pp. 53-57; S. De Renzi, Storia documentata della Scuola Medica di Salerno, Napoli 1857 (rist. anast. Napoli 2002); E.H.F. Meyer, Geschichte der Botanik, IV, Konigsberg 1857, pp. 167-177; C. Minieri-Riccio, Genealogia di Carlo II d’Angiò, re di Napoli, in Archivio storico per le province napoletane, VIII (1883), 1-4, pp. 5-33, 197-227, 381-396; F. Sabatini, Napoli angioina. Cultura e società, Napoli 1975, p. 60; G. Granito, Giovan Battista Prignano e i manoscritti salernitani della Biblioteca Angelica di Roma, in Bollettino storico di Salerno e Principato Citra, II (1984), 1, pp. 81-87; J. Agrimi - C. Crisciani, Edocere medicos. Medicina scolastica nei secoli XIII-XV, Napoli 1988, p. 209; G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Torino 1992, IV, 10, p. 666; L. Mauro, I semplici vegetali nelle Pandette di M. S.: identificazione e commento, in Mater herbarum. Fonti e tradizioni del giardino dei semplici nella Scuola medica salernitana, a cura di M. Venturi Ferriolo, Milano 1995, pp. 33-244; M. Oldoni, Enciclopedismo botanico salernitano, in ibid., pp. 28-31; S. Kelly, The new Salomon. Robert of Naples (1309-1343) and Fourteenth-century Naples, Leiden-Boston 2003, p. 255; P. Leone de Castris, Giotto a Napoli, Napoli 2006, p. 189; C. Bottiglieri, Appunti per un’edizione critica del Liber pandectarum medicinae di M. S., in La Scuola medica salernitana. Gli autori e i testi. Atti del Convegno internazionale..., Salerno... 2004, a cura di D. Jacquart - A. Paravicini Bagliani, Firenze 2007, pp. 31-58; Ead., Le Pandette di M. S. dalla corte di Roberto d’Angiò alla prima edizione a stampa (Napoli 1474), in Farmacopea antica e medievale. Atti del Convegno internazionale... 2006, Salerno 2009, pp. 251-268; I. Ventura, Cultura medica a Napoli nel XIV secolo, in Boccaccio angioino. Materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento, a cura di G. Alfano et al., Bruxelles 2012, pp. 251-288; C. Bottiglieri, Il testo e le fonti del Liber pandectarum medicinae di M. S. Osservazioni e rilevamenti da una ricerca in corso, in Kentron, XXIX (2013), pp. 109-134; I. Draelants, De la compilation au centon. Les emprunts à Arnold de Saxe dans l’Hortus sanitatis: quels intermédiaires?, ibid., pp. 19-67; L. Mauro - P. Valitutti, Il Giardino della Minerva, Salerno 2017, pp. 33-36, 42 s.

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