MATTIA I Corvino re d'Ungheria

Enciclopedia Italiana (1934)

MATTIA I Corvino re d'Ungheria

Elemér MALYUSZ

Nacque, probabilmente nel 1440, a Kolozsvár (Cluj). Suo padre fu Giovanni Hunyadi. Dopo la morte improvvisa di questo (1456) le mal represse lotte di partito divamparono a un tratto. Il conte austriaco Ulrico di Cilli, zio e tutore del re Ladislao V, il Postumo, e nemico acerrimo della casa Hunyadi, fu ucciso in un tafferuglio dai partigiani di Ladislao, figlio maggiore di Giovanni Hunyadi, a Belgrado; per vendicare la morte di suo zio, Ladislao V fece decapitare Ladislao Hunyadi e imprigionare il figlio minore di Giovanni, Mattia (1457). La vedova di Giovanni Hunyadi, Elisabetta Szilágyi, e suo fratello Michele Szilágyi si misero a raccogliere truppe armate per liberare l'orfano prigioniero; e allora il re Ladislao V, intimorito, fuggì a Praga conducendo seco il giovine Hunyadi.

Dopo l'improvvisa morte del re (1457) si rese possibile l'appianamento dell'antagonismo tra le famiglie rivali dell'oligarchia. In mancanza di discendenti diretti del re defunto, la vedova Hunyadi decise d'innalzare al trono il proprio figlio e a quest'intento venne ad accordi con le principali famiglie dell'alta aristocrazia. Nella dieta convocata per l'elezione del nuovo monarca fu difatti eletto il diciottenne M. (24 gennaio 1458), mercé l'ascendente morale esercitato dalla memoria delle gesta eroiche di Giovanni Hunyadi e la straordinaria ricchezza della casa Hunyadi che possedeva estesissimi beni, e aveva un numeroso seguito di cosiddetti "familiari", cioè minori nobili del vicinato delle terre proprie, legati alla casa in dipendenza feudale e costituenti un forte partito di seguaci.

La potenza della casa Hunyadi si estendeva soprattutto alle parti meridionali del regno e alla Transilvania, le quali costituirono la base principale del potere di Mattia anche dopo la sua elezione, mentre nelle altre parti del regno prevaleva l'influenza di altri magnati.

Il giovine re ebbe a lottare dapprima contro gravi difficoltà. Egli si trovava ancora prigioniero a Praga sotto la custodia del re Giorgio Poděbrady ivi eletto a successore di Ladislao V, e non poteva venire liberato che dopo essersi obbligato a pagare una somma di riscatto di 50.000 zecchini d'oro, e a prendere in moglie la figlia del Poděbrady. Tornato nel regno, si trovò di fronte all'opposizione dei grandi oligarchi, la cui prepotenza e recalcitranza costituivano un pericolo permanente, tanto più che già all'atto della sua elezione questi grandi signori avevano stipulato che il re fosse tenuto a difendere il paese con proprî denari e mercenarî e non dovesse ricorrere al soccorso dei loro banderi (contingenti militari) se non in caso di estremo bisogno. Persino i suoi partigiani, non fidandosi della sua energia, lo posero sotto la tutela di suo zio materno, Michele Szilágyi, nominato governatore del regno.

Ma M. si mise con alacrità giovanile e con somma destrezza a rendere più saldo il suo trono. Rafforzò la propria situazione di fronte al suo partito, inducendo lo zio a rinunciare al governo; e quando questi con varî intrighi cercò di riacquistare il potere perduto, lo fece rinchiudere in un castello remoto (più tardi se lo riconciliò liberandolo dalla prigionia e colmandolo di onori e distinzioni appena egli si rassegnò a cedere le redini del governo al giovine monarca). Assicuratosi in tal modo il pieno potere sovrano, condusse le forze militari della sua famiglia e dei suoi partigiani contro le bande brigantesche degli ussiti boemi, che durante i precedenti dissidi di partito fra i pretendenti al trono s'erano annidati nell'Alta Ungheria, commettendovi stragi, rapine e devastazioni per più decennî. M. li snidò successivamente dalle forti rocche da loro occupate; il loro più celebre condottiere, Giovanni Giskra, si arrese ed entrò con le sue truppe al servizio del re, che gli assegnò un grande possedimento nella regione meridionale del regno (1462). Così, egli, liberando da una parte l'Ungheria settentrionale dal brigantaggio, rinforzò dall'altra parte la difesa del confine meridionale contro l'espansione turca. Maggiori furono le difficoltà incontrate nell'abbattere la potenza degli oligarchi; così, per es., i conti di Szent-György (San Giorgio) e Bazin, che signoreggiavano nella regione del nord-ovest, non poterono venire indotti a riconoscere la sua sovranità se non dietro pagamento, da parte di M., d'una forte somma di denaro. Il re, a mano a mano che aumentava il suo potere, cercava di allontanare i vecchi oligarchi dalle dignità del regno e di sostituire a loro i suoi fidi partigiani. Ma i magnati, messi in disparte, sotto la condotta dell'ex-palatino Garai e del bano Ujlaki, si rivoltarono e recatisi a Wiener-Neustadt vi proclamarono re d'Ungheria l'imperatore Federico III, il quale aveva ancor sempre nelle mani la corona dell'Ungheria (affidata alla sua custodia dalla madre di Ladislao V) e perciò poteva essere considerato rivale pericoloso. M. gl'intimò subito la guerra e con le armi in mano lo costrinse a venire a patti; ma, avendo urgente bisogno di essere liberato dal rivale vicino e potente, dovette accettare condizioni onerosissime, ad onta della vittoria riportata.

Così dovette acconsentire che Federico III potesse usare anche esso il titolo di re d'Ungheria, e persino succedergli al trono qualora M. avesse a morire senza eredi maschi, conservare i territorî dell'Ungheria occidentale da lui previamente occupati e ricevere a titolo di riscatto della corona la somma di 40.000 ducati (1462). Il re si adattò a tutte queste condizioni per avere in mano la corona, sacro simbolo del potere regio, senza il quale la pubblica opinione dell'Ungheria non considerava valida nessuna incoronazione. Ma la neutralizzazione di questo alleato del partito d'opposizione e la susseguente solenne incoronazione (1464) ebbero l'effetto di consolidare definitivamente la signoria di M. e gli oligarchi si dovettero rassegnare a non essere più considerati pari, ma sudditi del re.

Dopo la consolidazione del suo potere il re si accinse a proseguire con maggiore vigore i suoi piani di politica estera. Vedendo nel Turco il nemico più pericoloso del paese, egli si prefisse come scopo supremo della sua vita la liberazione dell'Europa cristiana dall'invasione ottomana. Ma con le sole forze dell'Ungheria non si poteva pensare ad annientare l'impero mondiale degli Ottomani. E così M. si dovette accontentare per il momento di un'energica difesa dell'Ungheria stessa, respingendo i Turchi dai confini del regno. Con questo intento egli fece riconoscere di nuovo l'alta signoria dell'Ungheria prima dalla Valacchia e poi dalla Serbia, ed espugnò in Bosnia Jajce, la fortezza principale dei Turchi. Questi successi suscitarono un grande giubilo in tutta l'Europa, ma specialmente a Venezia e a Roma, dove papa Pio II progettò l'organizzazione di una grande crociata e convocò a quest'intento un congresso di rappresentanti dei principi cristiani a Mantova, designando a duce della grande impresa il re Mattia. Però il progetto fallì; il solo papa si dichiarò pronto a dare un sussidio di 40.000 ducati, benché M. si fosse dichiarato pronto a ogni sacrifizio, rinunciando persino al comando supremo a favore d'un generale tedesco in caso di un soccorso efficace dell'impero germanico e offrendo per base delle operazioni militari le più importanti fortezze lungo il confine meridionale dell'Ungheria, persino la fortezza di Belgrado, baluardo principale della cristianità. Ma gli stati europei, occupati nelle loro faccende particolari, non intuirono il comune pericolo e non si lasciarono indurre a una grande azione concorde. Così M. si vide costretto a limitarsi alla sola difesa contro i Turchi e rivolse ora la sua attenzione principale all'Occidente europeo, prefiggendosi l'alto scopo di costringere, magari con la forza, gli stati europei incapaci di avvedersi del pericolo derivante dalla costante espansione degli Ottomani, a unirsi finalmente in un'impresa comune contro il nemico di tutta la cristianità. Per questo con ardito, ma innegabilmente altissimo pensiero, mirò ad acquistarsi la dignità imperiale, per valersi poi di quest'autorità suprema contro il Turco. La successione al trono imperiale gli fu offerta dallo stesso imperatore Federico III e dal papa nel 1468, a patto che egli desse aiuti per la guerra contro gli ussiti e contro Giorgio Poděbrady, bandita dal papa. Il re boemo, per prevenire l'attacco, irruppe improvvisamente nell'Austria, cosicché Federico III si vide costretto a chiedere aiuti a M. promettendo di investirlo del regno di Boemia; e questi colse volontieri l'occasione presentatasi poiché, come re di Boemia, doveva diventare uno dei principi elettori della Germania. Ma dopo che, mercé il suo intervento, fu liberato dalla sua difficile situazione, l'imperatore non volle più mantenere la promessa; anzi istigò il suo avversario di prima contro M. che intanto aveva già occupato la Moravia. Allora M. risolvette di farsi eleggere imperatore della Germania senza l'aiuto e persino a dispetto di Federico III, accettando ora la proposta del Poděbrady, il quale gli promise di procurargli i voti dei principali elettori a patto della restituzione dei territorî boemi occupati. In pari tempo M. entrò in trattative anche con la casa dei Hohenzollern, elettori di Brandeburgo. Ma il forte sentimento nazionale dei principi germanici e il loro attaccamento alla casa d'Asburgo frustrarono il suo disegno. Perciò continuò la guerra contro il Poděbrady e già nel 1469 fu riconosciuto e incoronato re di Boemia dagli Stati generali cattolici della Boemia, della Moravia e della Slesia. Dopo l'incoronazione si riavvicinò nel 1470 a Federico III, domandando in moglie Cunegonda, figlia dell'imperatore; ma le trattative fallirono, giacché l'imperatore ricusò d'impegnarsi all'adempimento della sua promessa, di riconoscere cioè il diritto di successione di M. in caso che egli e suo figlio Massimiliano premorissero senza eredi maschi. Frustrato questo progetto, si presentarono tosto altre difficoltà; poiché il Poděbrady, alleatosi al re Casimiro di Polonia, fece eleggere a suo successore il figlio di questo Ladislao; e così l'Ungheria fu trascinata in guerra anche contro la Polonia.

I grandi sacrifizî di denaro e di sangue congiunti a questa impresa suscitarono il malcontento del paese. La dieta del regno ricusò di votare il tributo di guerra e si ordì una congiura con la partecipazione di magnati e prelati e persino di alcuni comitati. I malcontenti chiamarono in paese come pretendente l'altro figlio del re polacco, Casimiro (1470). Ma il re, tornato subito a Buda, disarmò con la sua affabilità i signori malcontenti, promettendo di non imporre più tributi senza il consenso della dieta, e con abili maneggi riuscì a guadagnare alla sua parte i fautori del pretendente polacco; cosicché questi si vide presto forzato a ritirarsi dal paese. Ma intanto s'era formata una grande lega tra l'Austria, la Boemia, la Polonia e la Valacchia per attaccare l'Ungheria da ogni parte, e così M. si trovava di nuovo in una situazione oltremodo critica. Egli prevenne gli avversarî trasferendo il teatro della guerra ai dintorni di Breslavia nella Slesia, dove riuscì a immobilizzare e a fiaccare le forze dei nemici alleati (dieci volte superiori di numero) e a salvare in questo modo il suo regno dai danni d'una invasione nemica. Nel 1478 fu conchiusa la pace di Olmütz, secondo la quale tanto M. quanto Ladislao conservarono il titolo di re di Boemia; le parti occupate del regno boemo (Moravia, Slesia e Lusazia) restarono però a M. Con ciò si ravvivavano le speranze della sua elezione al trono imperiale, se non in vita di Federico III, almeno dopo la sua morte. Per diminuire l'autorità della casa d'Asburgo, egli cercava di toglierle i possedimenti austriaci con ripetute campagne offensive: così nel 1477, nel 1480 e per la terza volta nel 1482, gran parte delle provincie austriache fu occupata e nel 1485 la stessa capitale Vienna aprì le sue porte al vincitore, ormai padrone dell'Austria Inferiore e della Stiria, mentre gli squadroni degli usseri ungheresi si spingevano fino all'interno della Carinzia e persino a Trieste. M. annesse i territorî austriaci occupati al suo regno, affidandone l'amministrazione a governatori ungheresi, e trasferì la sua residenza da Buda a Vienna. Ma le sue conquiste, invece di guadagnargli il favore dei principi elettori, destarono le loro apprensioni. Spaventati dalla sua energia, essi elessero inaspettatamente imperatore, in assenza del re di Boemia, Massimiliano, figlio di Federico III (1486); e M., malgrado le sue proteste diplomatiche, non riuscì a invalidare l'elezione di Massimiliano, confermata anche dal papa. Dovendo ora abbandonare il progetto per il quale aveva lottato per vent'anni, entrò in trattative con Massimiliano per stabilire fra la sua dinastia e la casa d'Asburgo un'alleanza permanente, basata sulla comunanza d'interessi politici e di famiglia, per potere in questo modo soddisfare la sua brama di invadere alla testa d'un esercito alleato delle potenze cristiane l'impero turco. Massimiliano si mostrò propenso a tale cooperazione, ma ne fu impedito dal padre. Così M. morì nel 1490 senza aver potuto realizzare in pieno i suoi vasti disegni.

Nelle sue imprese militari, condotte sempre con successo, M. poteva fare assegnamento soprattutto sul suo esercito stabile di mercenarî bene organizzati ed esemplarmente disciplinati, che lo rendeva indipendente dall'esercito dei nobili, lento e senza addestramento e inoltre non tenuto a seguire il re oltre i confini del regno; e, all'interno, fu questo medesimo esercito assoldato che gli servì d'appoggio nel governo. All'istituzione d'un esercito permanente andò congiunta la riforma del sistema tributario, poiché M., liberando gli abitanti del regno dall'obbligo militare, si faceva pagare in compenso una contribuzione permanente in denaro esigendola da tutti senza riguardo a privilegi ed esenzioni, dopo di avere abolito le varie imposte sino allora vigenti. Con ciò egli preparò la via a uno stabile sistema tributario, abbandonando quello feudale della contribuzione in natura. La nuova imposta fu successivamente quintuplicata e i ricchi proventi derivatine fornivano al re i mezzi per poter spiegare un lusso conforme all'uso dei principi della sua epoca e di farsi mecenate generoso dell'arte e della letteratura del Rinascimento italiano, il quale, già prima entrato trionfalmente in Ungheria, non vi raggiunse il suo vero fiore che sotto il regno di M.

Questi invitò nel paese molti umanisti e artisti dall'estero - principalmente italiani - rendendo così la sua corte il centro più notevole dell'umanesimo d'oltr'Alpe. Gli scienziati stranieri fanno menzione entusiastica dello splendore delle sue regge di Buda e di Visegrad; il legato pontificio, fra altro, chiamava il castello di Visegrad un "paradiso terrestre". Tra gli architetti italiani occupati nelle costruzioni commesse da M. il più noto è Benedetto da Maiano. Filippo Lippi ebbe pure dal re parecchie commissioni; e il duca di Milano, in segno di amicizia, gli regalò un quadro di Leonardo da Vinci. La più famosa creazione di M. fu la grande Biblioteca Corvina, arricchita di pregevolissimi rari manoscritti - fatti venire per lo più dall'Italia - e di molte copie eseguite da un gruppo di esperti amanuensi tanto a Buda quanto a Firenze (fra altro nell'officina dell'Attavante). I codici della Corvina, legati in velluto, ornati di fermagli d'oro e d'argento, magnificamente illustrati, erano adornati per lo più con lo stemma dei Hunyadi, il corvo circondato da ghirlande di finissima esecuzione. Il numero di questi preziosissimi manoscritti si elevava circa a mille copie, delle quali ora si conoscono all'incirca centocinquanta, disperse per le varie biblioteche dell'Europa, mentre nell'Ungheria se ne trovano conservati solo pochi esemplari. Sotto il regno di M. fu fondata inoltre a Buda la prima tipografia, dalla quale uscì nel 1473 come primo libro stampato in Ungheria il Chronicon Budense, comprendente la storia dell'Ungheria sino ai tempi di M. Il re fondò pure a Pozsony (ora Bratislava in Cecoslovacchia) un'università col titolo di Accademia Istropolitana dove insegnava fra altri il celebre astronomo Regiomontano.

Le relazioni culturali con l'Italia si fecero vivissime specialmente dopo le nozze di M. con Beatrice, figlia di Ferdinando d'Aragona re di Napoli; e il re volle stringere ancora altri legami di famiglia con i principi italiani, domandando fra altro in sposa (benché senza successo) Bianca Maria Sforza, figlia del duca di Milano, per il suo figlio naturale Giovanni Corvino. Per aiutare il suocero, il re di Napoli, contro i Turchi gli mandò un esercito ausiliario che liberò nel 1481 la città di Otranto. La protezione accordata alle scienze e alle arti e i successi politici elevarono l'autorità di M. sopra quella di tutti gli altri principi della sua epoca, epoca di splendore per l'Ungheria. È un fatto caratteristico per l'ascendente da lui goduto, che la città di Ancona, liberatasi dall'alta signoria del papa, si dimostrò pronta a mettersi sotto la sua protezione e lo pregò del favore di potere inalberare sulla torre civica la bandiera ungherese.

Nel pieno possesso d'un'autorità riconosciuta tanto nell'interno quanto all'estero, dopo tre decennî di sistematica operosità politica, M. credette giunto il momento di attuare alcune radicali riforme sociali, con l'intento principale di restringere la potenza dell'antica oligarchia feudale e di consolidare il potere regio rafforzato grazie all'esercito stabile, agli ampî redditi fiscali e alla sua abile politica. Non potendo pensare all'annientamento delle grandi forze sociali rappresentate dai latifondi, egli si limitò a contrappesare la preponderanza dei regoli della vecchia aristocrazia, creando una nuova aristocrazia a garanzia dei suoi interessi dinastici, conferendo donazioni e dignità politiche a uomini nuovi spesso innalzati da umile condizione, nella speranza che sarebbero divenuti dopo la sua morte sostegni incrollabili della sua famiglia. Ma con ciò non fece altro che creare una nuova oligarchia, la quale - come fu più tardi dimostrato dagli eventi - non era per nessun verso migliore dell'antica. Molto più importanti furono i risultati del rafforzamento del potere e dell'influenza politica della bassa nobiltà. Nel 1486 il re fece votare alla dieta un grande codice di leggi, di cui tutte le disposizioni tendevano ad innalzare la potenza dei giudici del comitato - organi autonomi della bassa nobiltà - sopra quella dei grandi possidenti, aumentandone l'autorità e liberando in questa guisa i nobili dei vincoli feudali cui sinora erano soggetti come "familiari" dei grandi signori, per controbilanciare con queste forze locali autonome la tracotanza degli oligarchi. Il radicale mutamento sociale vagheggiato dal re non poté effettuarsi subito nei quattro anni decorsi sino alla sua morte, ma lo sviluppo politico incamminatosi in seguito alle accennate disposizioni legislative si fece presto sentire. La riforma della giurisdizione, effettuata nello stesso anno 1486, informata a uno spirito sorprendentemente moderno, abolì abusi secolari e guadagnò al suo creatore il titolo di giusto. Il suddetto codice di legge, assicurante la preponderanza politica alla bassa nobiltà, fu considerato dal re come l'opera somma del suo regno; perciò fu dichiarato nella stessa legge che le sue disposizioni avessero vigore perpetuo e immutabile.

Ma la morte prematura del Corvino annientò tutti i suoi tentativi. Non avendo figli legittimi, egli cercò di assicurare il trono al figlio naturale Giovanni Corvino, il quale però non possedeva la capacità di suo padre. Dopo la morte del re gli oligarchi - tanto i vecchi, quanto i nuovi - desideravano tutti concordemente un re travicello, senza energia, senza propria volontà, che potessero guidare secondo i loro proprî fini personali, di cui potessero, come dicevano, "tenere il ciuffo in mano". E così fu eletto re Ladislao Jagellone, il re fannullone di Boemia, favorito anche dalla vedova di M., Beatrice d'Aragona, che sperava di poterlo sposare e così mantenersi sul trono. Le cose del regno andarono quindi presto a precipizio. Gli oligarchi vincolarono l'elezione a gravosissime condizioni e si affrettarono ad abolire le "perpetue" disposizioni legali del 1486, per arrestare il movimento del nuovo sviluppo politico-sociale. Le imposte introdotte da M. furono levate; l'esercito, già sostegno principale del potere monarchico, si sbandò in mancanza del soldo e si diede al brigantaggio, per essere poi disperso dalle forze armate dell'alta nobiltà. Le conquiste territoriali andarono successivamente perdute; Massimiliano I d'Asburgo, eletto re di Germania, invase il regno senza resistenza e il confine meridionale restò indifeso contro i Turchi.

Bibl.: V. Fraknói, A Hunyadiak ès a Jagellók Kora. Magyar Nemzet Förténete IV (Epoca degli Hunyadi e degli Jagelloni; IV della Storia nazionale ungherese), Budapest 1896; id., Hunyadi Mátyás Kitály (Re Mattia Hunyadi), ivi 1890; trad. ted., Friburgo in B. 1891; Z. Föth, Mátyás kitály idegen zsoldos serege (Esercito di mercenarî stranieri del re Mattia), 1925; A. Berzeviczy, Beatrix Királyné (La regina Beatrice), Budapest 1908; trad. it., Beatrice d'Aragona, Milano 1931; J. Huszti, Ianus Pannonius, 1931.

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