MAZZUOLI, Giovanni, detto lo Stradino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MAZZUOLI, Giovanni, detto lo Stradino

Massimiliano Albanese

MAZZUOLI, Giovanni, detto lo Stradino. – Nacque a Firenze intorno al 1480 da Domenico di Giovanni e da Marietta di Michele Dini. Ebbe due fratelli, Simone e Domenico, cavaliere gerosolimitano (morto nel 1562), e tre sorelle: Pietra, Alessandra e Lucrezia. Il soprannome (ne collezionò numerosi e coloriti, ispirati alla sua vita movimentata e all’indole bizzarra) deriva da Strada in Chianti, luogo d’origine della famiglia. Il M. amava far risalire le origini del casato a Giovanni Mazzuoli, maestro di Giovanni Boccaccio, e al figlio di lui, il letterato e amico dello stesso Boccaccio, Zanobi da Strada.

La sua giovinezza fu avventurosa: avviato alla mercatura, viaggiò molto ma nel 1505 fu detenuto nel carcere fiorentino delle Stinche. Fu al servizio della famiglia Salviati e sembra che avesse già partecipato alla guerra contro Pisa nel 1495. Partecipò probabilmente anche alla battaglia del Garigliano (29 dic. 1503), o a quella di Marignano (13-14 sett. 1515), ma le indicazioni dei codici sono oscillanti e la notizia resta incerta. Divenne quindi soldato mercenario di Giovanni de’ Medici (Giovanni dalle Bande Nere), al seguito del quale prese parte alla spedizione contro Urbino, nel marzo 1516, alle campagne in Lombardia negli anni Venti e all’assalto di Parma nel 1521.

Abitò nel quartiere di S. Lorenzo, in via S. Gallo, e possedeva un podere a Santa Cristina (Strada in Chianti). Sposò Nera di Alamanno Altoviti e in seconde nozze, intorno al 1528, Nannina di Meo di Lorenzo Lorenzi. Nel 1529, quando l’esperienza della Repubblica fiorentina si avviava al tramonto, fu imprigionato e torturato per ordine degli Otto di guardia. Da allora se ne perdono le tracce fino alla restaurazione medicea e Del Lungo (p. 115) ipotizza che egli abbia trascorso un periodo in esilio, come il fratello Domenico, che nel 1534 si trovava a servizio degli Estensi a Ferrara. Ma già all’inizio del principato le sorti del M. si risollevarono: nel 1533 fu provveditore a Pisa e nel 1537, anno dell’ascesa di Cosimo I al trono ducale fiorentino, si trovava a Firenze. Amico di uomini di cultura e di potere, fu legato a Lucrezia de’ Medici, la figlia di Lorenzo il Magnifico sposata a Iacopo Salviati, e coltivò eccellenti rapporti con le famiglie Nasi, Martelli, Minerbetti, Strozzi e Cavalcanti. Fece parte della Compagnia di S. Domenico del Bechello, che aveva sede nella chiesa di S. Maria Novella, e compì, in data ignota, pellegrinaggi a Loreto e a Santiago de Compostela.

Il M. è ricordato dai contemporanei come un personaggio curioso, dal carattere originale ma bonario e generoso, appassionato di romanzi cavallereschi, storia, cronache e poesia, senza essere un erudito e un letterato di professione. Il suo aspetto fisico è descritto come di straordinaria bruttezza, con il volto segnato dalle cicatrici delle ferite ricevute sul campo di battaglia o in qualche rissa. Aveva l’abitudine di andare in giro armato, con ciondoli a forma di teschio appesi al collo, portandosi dietro libretti e scartoffie. Non conosceva il latino, né ricevette mai un’istruzione umanistica; di lui rimangono le memorie occasionali, in prosa o in versi, che usava vergare di suo pugno sui volumi che gli appartenevano: note di possesso, notabilia marginali, annotazioni sulla provenienza e il contenuto dei libri, ringraziamenti e lodi ai donatori, massime moraleggianti, racconti di guerra o di viaggio, brani di opere altrui. Spesso il M. completava questi interventi con disegni a penna, come teschi, simboli, immagini allegoriche e stemmi araldici (tra cui il proprio, raffigurante due mazze incrociate). Fece uso di una scrittura personale, ben riconoscibile: una mercantesca di base con elementi all’antica e originali maiuscole antropomorfe.

Con la sua attività di letterato dilettante e la sua passione di bibliofilo contribuì alla promozione della cultura volgare a Firenze. Per influenza dell’Accademia padovana degli Infiammati, insieme con Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, Niccolò Martelli (il cui testo Lo studio dello Stradino, è andato perduto) e una decina di letterati dilettanti, il 1° nov. 1540 fondò nella propria abitazione l’Accademia degli Umidi. Il programma prevedeva la lettura di F. Petrarca e di altri autori toscani e la composizione di commedie o farse. In virtù dell’antica milizia sotto Giovanni dalle Bande Nere e dei legami con Maria Salviati, i genitori di Cosimo I, il M. aveva libero accesso a corte, e ciò garantì agli Umidi il rispetto dell’autorità, in una fase in cui il nuovo potere ancora diffidava delle associazioni spontanee di cittadini, anche solo per ragioni culturali. Il M. ebbe in Accademia il titolo di «padre», circondato dalla stima e dall’affetto unanime dei sodali. All’estrosa brigata dei fondatori si aggiunsero presto eruditi di maggior spessore culturale, come Goro (Gregorio) della Pieve, Luca Martini, Pierfrancesco Giambullari, Giovanni Norchiati e Cosimo Bartoli. Ma dopo solo pochi mesi di vita l’Accademia degli Umidi fu assorbita nella nuova Accademia Fiorentina, sorta l’11 febbr. 1541 con gli auspici ducali. In essa fu accolto il M., che sembra avervi tenuto qualche lezione già prima di ricevere le cariche onorifiche di massaio, segretario (dal 1546) ed elezionario. Nel rapido processo che vide l’Accademia degli Umidi, sorta in modo spontaneo in seno al ceto borghese e senza un progetto culturale ufficiale, trasformarsi nella nuova istituzione sottoposta al controllo politico mediceo, il M. avrebbe agito come inconsapevole strumento di potere di Cosimo, e questo non gli risparmiò le frecciate di Grazzini, che lo accusò di aver tradito le aspettative del gruppo originario. Tuttavia, la maggior parte degli Umidi, dopo un’iniziale esitazione, confluì nella nuova Accademia.

Nello studiolo della propria casa il M. allestì una singolare biblioteca, l’Armadiaccio, come veniva chiamata scherzosamente da Grazzini e dagli altri amici, che ne trassero spesso giovamento per i loro studi. Il M. vi raccolse senza un particolare criterio numerosi libri, quasi sempre frutto di donazioni o scambi, meno spesso rimediati come bottino di guerra. L’inventario, che reca la data post mortem del 22 nov. 1553 (Arch. di Stato di Firenze, Guardaroba Medicea, 28, cc. 104r-106r), elenca i libri che dopo la sua morte passarono alla biblioteca Medicea privata. Dei 200 volumi registrati ne sono descritti 119 e 79 di questi ultimi sono stati identificati (uno a stampa). Sono stati inoltre individuati altri 26 codici non inclusi nell’inventario (Masaro, 1992, pp. 42 s.). Prevalgono gli esemplari di fattura quattrocentesca, cartacei, vergati in scritture mercantesche o, in minor misura, in littera antiqua; contengono soprattutto testi letterari in volgare, per lo più del Quattrocento. È rilevante la presenza di cantari e romanzi in prosa, ma non mancano opere di Dante, Petrarca e Boccaccio e volgarizzamenti di classici latini e greci (tra cui Cicerone, Seneca, Livio, Lucano, Giustino, Valerio Massimo, Sallustio, Boezio, Plutarco, Aristotele). Si tratta di una biblioteca non in linea con le tendenze dell’epoca, come dimostrano la prevalenza assoluta dei manoscritti sui libri a stampa o la scelta delle opere, talvolta veri cimeli, eredità di una cultura municipale ormai superata e lontana dal gusto degli umanisti e del classicismo cinquecentesco.

Sono proprio queste caratteristiche a rendere la raccolta del M. preziosa per la moderna filologia, che ha trovato in molti di questi libri testimoni di rara importanza per la conoscenza della letteratura del Tre e Quattrocento soprattutto fiorentino. Alcuni codici sono menzionati per la loro rilevanza nella Tavola dei citati del Vocabolario della Crusca. Grazie all’Armadiaccio, la Biblioteca Medicea Laurenziana e la Biblioteca nazionale di Firenze conservano oggi autentiche rarità, come i Reali di Francia (Bibl. nazionale, Mss., II.I.14) e la Vita di Castruccio Castracani di N. Machiavelli (Bibl. Laurenziana, Mss., 44.40); o esemplari unici, come gli autografi di Antonio Manetti della Novella del grasso legnaiuolo (Bibl. nazionale, Mss., II.II.325) e della Vita di Filippo Brunelleschi (ibid.); il volgarizzamento del Defensor pacis di Marsilio da Padova (Bibl. Laurenziana, Mss., 44.26); la redazione laurenziana delle Facezie del piovano Arlotto (ibid., 42.27); il Febusso e Breusso (Bibl. nazionale, Banco rari, 45); il Libro di Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici (Bibl. Laurenziana, Mss., 41.33). Tra le opere appartenute al M. sono da segnalare la Cronica di Dino Compagni (Bibl. nazionale, Mss., II.VIII.39), testo quasi sconosciuto all’epoca del M., e gli autografi di Lorenzo degli Olbizi.

Nell’Armadiaccio non erano conservati solo libri, ma anche medaglie, oggetti antichi, statuine di bronzo e curiosità di storia naturale, come trofei animali, denti di gigante e altre meraviglie che dovevano lasciare sbalorditi i visitatori per rarità e stranezza.

Il M. morì a Firenze il 5 giugno 1549.

Con testamento, rogato nel 1544, modificato il 12 ott. 1545 e completato da codicilli il 28 dello stesso mese, aveva nominato esecutori testamentari il duca Cosimo I con la consorte Eleonora di Toledo e i loro figli, nonché i figli di Iacopo e Alamanno di Averardo Salviati, i quali avrebbero dovuto, dopo la morte del M., distribuire i volumi della sua biblioteca nel modo indicato in un suo libro, che non ci è pervenuto. Gran parte della raccolta dovette essere devoluta al duca Cosimo, perché numerosi volumi furono registrati da Mariotto Cecchi nel citato inventario del 1553, che faceva parte dell’inventario generale della Guardaroba Medicea. Questi libri passarono, almeno in parte, dalla Medicea privata alla biblioteca di Palazzo, la Medicea Lotaringia Palatina, e da lì, dopo il 1771, alla Magliabechiana e poi alla Biblioteca nazionale di Firenze. Altri volumi furono trasferiti a partire dal 1783 dalla Guardaroba alla Biblioteca Medicea Laurenziana, nel Fondo Palatino.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, Testamenti, 172, cc. 232-237; Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., IX.46, cc. 27-34; A. Grazzini, Le rime burlesche edite e inedite, a cura di C. Verzone, Firenze 1882, passim; Dal primo e dal secondo libro delle lettere di Niccolò Martelli, a cura di C. Marconcini, Lanciano 1916, pp. 26, 118; Notizie letterarie, ed istoriche intorno agli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina. Parte prima, Firenze 1700, pp. XVII-XIX; S. Salvini, Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. XXIV s.; I. Del Lungo, Storia esterna, vicende, avventure d’un piccolo libro de’ tempi di Dante, I, Milano-Roma-Napoli 1917, pp. 112-133; B. Maracchi Biagiarelli, L’«Armadiaccio» di Padre Stradino, in La Bibliofilia, LXXXIV (1982), pp. 51-57 (a pp. 55-57 l’inventario dei volumi appartenuti al M.); C. Masaro, Per la biblioteca di G. M. detto lo Stradino (1480 ca. - 1549) con un’appendice di documenti, tesi di laurea, Università degli studi di Venezia, a.a. 1987-88; Id., Un episodio della cultura libraria volgare nella Firenze medicea: la biblioteca dello Stradino (1480 ca. - 1549), in Alfabetismo e cultura scritta, n.s., 1992, n. 4, pp. 5-49 (a pp. 35-41 una nuova edizione dell’inventario dei volumi appartenuti al M. con la localizzazione); M. Plaisance, L’Accademia e il suo principe: cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Manziana 2004, ad ind.; Id., Antonfrancesco Grazzini dit Lasca (1505-1584). Écrire dans la Florence des Médicis, Manziana 2005, ad ind.; A. Grazzini, Comento di maestro Niccodemo sopra il Capitolo della salsiccia, a cura di F. Pignatti, in Ludi esegetici…, a cura di D. Romei - M. Plaisance - F. Pignatti, Manziana 2005, ad indicem.

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