MEDICINA PREVENTIVA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

MEDICINA PREVENTIVA

Giuseppe Rausa

Dal concetto di prevenzione a quello di medicina preventiva. - Il concetto di prevenzione delle malattie, oggi ampiamente accettato e propagandato, può essere considerato vecchio quanto l'umanità. Infatti i libri sacri di tutte le antiche civiltà e religioni suggerivano o imponevano pratiche di natura sanitaria che la semplice osservazione quotidiana dei fenomeni di tipo epidemiologico aveva dimostrato efficaci nel contrastare l'impianto e la diffusione delle malattie nell'individuo e nelle collettività (Puntoni 1964).

Fin dall'antichità vigeva quindi il concetto che la ''salute pubblica'' è la risultante dei differenti stati di salute goduti dai singoli membri della collettività. Ciò spiega sia l'inconsistenza di differenziare la prevenzione individuale da quella di massa sia lo sviluppo dell'informazione sanitaria (istruzione in materia d'igiene e medicina in generale), della propaganda sanitaria (propaganda delle norme e abitudini igieniche) e dell'educazione sanitaria (appropriazione critica di nozioni corrette di tipo sanitario e/o sociale con modificazione consapevole e duratura del comportamento nei confronti dei problemi connessi alla tutela della salute individuale e collettiva), considerati pilastri portanti della prevenzione (Bo 1973; Meloni 1984). Ma la prevenzione si è formata e sviluppata sul piano scientifico soprattutto nel Novecento con la definizione del ruolo eziologico dei microorganismi nelle malattie infettive.

In questi ultimi anni, a seguito delle profonde trasformazioni socio-economiche come pure dell'enorme sviluppo delle attività industriali e agricole e dell'inurbamento, sono venuti crescendo d'importanza i problemi connessi alla presenza di fattori rischio per le malattie, collegati spesso alla ricca casistica degli inquinamenti atmosferici, idrici, terrestri e degli ambienti di vita e di lavoro, di varia origine e natura, nonché alle abitudini personali alimentari e voluttuarie (v. anche epidemiologia, in questa Appendice). Mentre dall'inizio del Novecento si nota un graduale decremento della patologia infettiva acuta, pur essendo di recente comparse patologie infettive prima assenti (o non riconosciute?) come l'AIDS, nei paesi a maggior sviluppo socio-economico si osserva un costante incremento della patologia non infettiva degenerativa, tendenzialmente cronica e a eziologia multifattoriale spesso strettamente collegata a fattori di rischio ambientali.

È interessante constatare che proprio l'esigenza di prevenzione, imposta dalle peculiari caratteristiche della patologia suddetta, ha costituito in Italia la spinta più forte alla Riforma sanitaria (l. 833 del 23 dicembre 1978), che riconosce come obiettivo qualificante e prioritario la realizzazione della prevenzione e quindi la pratica attuazione, accanto ai tradizionali aspetti della m. curativa e riabilitativa, anche della m. p. (Meloni 1984). Nuove possibilità per la prevenzione sono poi offerte dal notevole progresso verificatosi nelle tecniche di laboratorio, che permettono oggi l'effettuazione, su ampio numero di persone, di esami sistematici indispensabili per i grossi interventi di screening. La stessa definizione di prevenzione è stata sensibilmente modificata: da attività mirante semplicemente a prevenire l'insorgenza delle malattie, la prevenzione è oggi considerata come intervento atto a promuovere la salute e quindi a favorire il benessere. Il suo campo di azione quindi è orientato al controllo dei settori dai quali può originare il rischio per la salute: ambiente, stile di vita, organizzazione sociale e biologica umana (Clark e Mac Mahon 1989).

Rapporti tra medicina preventiva, terapeutica e riabilitativa. − Nonostante l'evidente peso che la m. p. è destinata ad avere in una moderna società, si deve riconoscere che essa finora ha svolto un ruolo di sottordine nei confronti della m. terapeutica e riabilitativa, essendo radicata la convinzione che i tre aspetti suddetti della m. non potessero essere scissi pena un decadimento del servizio prestato (Bo 1973). Ciò ha comportato per lungo tempo una sostanzialmente scarsa considerazione per la prevenzione spesso vista, e attuata, come elemento di contorno nell'intervento medico tradizionalmente terapeutico, se non, addirittura, giudicata come intervento meramente indicativo, scarsamente attuabile e con rapporto costi/benefici eccessivamente alto.

In realtà la m. p. presenta una netta individualizzazione e caratterizzazione rispetto alla m. sia curativa che riabilitativa (Bo 1973): anzitutto nei riguardi delle finalità e dell'oggetto dell'intervento, poiché la m. p. si rivolge al soggetto sano allo scopo di conservare e potenziare lo stato di salute, e non al soggetto malato o inabilitato o invalido; nei riguardi dell'atteggiamento dell'assistito, poiché mentre l'atteggiamento del malato o dell'inabilitato è sostanzialmente di fiducia e disponibilità, quello del soggetto sano è per lo più di assenteismo e di diffidenza, fondato com'è sul concetto umanamente diffuso di non apprezzare lo stato di salute se non quando lo si è perso. Non infrequentemente l'interesse del soggetto sano verso la salute è motivato da situazioni verificatesi nel suo ambiente sociale immediato o da paura più che da consapevolezza nei riguardi dell'atteggiamento del medico: il medico preventivo deve infatti possedere una mentalità statistica e multidisciplinare volta all'interesse oltre che del singolo individuo anche della collettività, mentre il medico terapista possiede una mentalità e un orientamento prevalentemente indirizzato al singolo individuo e basato sul noto concetto che non esiste ''la malattia'' in senso astratto bensì il ''singolo malato''. Da rilevare che l'attuale programmazione universitaria degli studi medici privilegia in modo evidente lo studio della malattia e non della salute, della terapia, quindi, e non della prevenzione. Diversi, infine, sono i tipi di prestazione e i mezzi di lavoro poiché, a differenza di quanto accade nella m. terapeutica, nella m. p. non sono per lo più presenti motivi d'urgenza: la diagnosi di malattia è sostenuta da elementi positivi (sintomatologia, esami strumentali e di laboratorio), la diagnosi di salute è per ora prevalentemente fondata su elementi negativi (mancanza di segni evidenti di malattia) e solo in piccola parte su elementi positivi (misure di capacità respiratoria, vigilanza mentale, agilità motoria, percezioni soggettive di benessere, soddisfazione, ecc.).

Livelli e tipi di prevenzione. − La prevenzione mira principalmente a impedire l'ingresso e l'impianto delle cause morbigene (di natura biologica, chimica, e fisica) nell'organismo e in subordine a bloccare l'insorgenza della malattia o la sua manifestazione quando la causa morbigena si è già insediata nell'organismo, secondo la classica distinzione tra ''prevenzione della comparsa'' a livello eziologico, e ''prevenzione della progressione'' a livello patogenetico (Signorini 1979). La prima, indicata anche con il termine di prevenzione primaria, ha lo scopo d'impedire la comparsa di malattie, deficit o infortuni; la seconda, o prevenzione secondaria, ha il fine di fermare o rallentare la progressione di una malattia o dei suoi postumi.

La prevenzione primaria è detta anche eziologica perché si rivolge alle cause di malattie e ai fattori che aumentano le probabilità di malattia e che sono prevalentemente fattori ambientali (donde il termine largamente utilizzato di prevenzione ecologica). La prevenzione secondaria, invece, interviene quanto più precocemente possibile su processi od orientamenti patologici già in atto per arrestare o quanto meno rallentare l'evoluzione, o, al limite, impedire aggravamenti o complicazioni. Essa si basa sulle indagini di ''diagnosi precoce'' estesamente applicata all'intera popolazione o a gruppi di popolazione ad alto rischio verso determinate malattie, allo scopo di selezionare non solo i soggetti portatori di forme morbose allo stadio iniziale e asintomatico ma anche i portatori di difetti considerabili come fattori di rischio elevato (stati prepatologici) o non elevato (predisposizioni morbose) di malattia (Bo 1984). Qualora la malattia si sia chiaramente manifestata, qualsiasi provvedimento che ne prevenga la progressione verso l'infermità, salvaguardando le funzioni residue, è detto di prevenzione terziaria (prevenzione dell'infermità).

La prevenzione primaria opera sull'uomo sano o sull'ambiente, attraverso due tipi d'intervento: il potenziamento dei fattori utili alla salute e l'allontanamento o la correzione di tutte le possibili cause patogene (biologiche, chimiche, fisiche e sociali) che tendono a ridurre lo stato di benessere, cioè di tutti i fattori causali o di rischio delle malatte (Meloni 1984). Tra questi ultimi sono oggi particolarmente indagati quelli derivanti da scelte comportamentali individuali: alimentazione, attività fisica, uso di sostanze inducenti dipendenza e di nervini, impiego del tempo libero, uso di alcool e fumo di tabacco, esercizio dell'attività sessuale, abuso di psicofarmaci, ecc.

Poiché le malattie in cui le cause comportamentali, sia individuali sia collettive, giocano un ruolo determinante rappresentano attualmente la grande maggioranza della patologia prevalente, si comprende il ruolo fondamentale spettante all'educazione sanitaria che, se correttamente attuata, tende a modificare consapevolmente e durevolmente lo stile di vita individuale, ossia i comportamenti a rischio. I concetti suesposti consentono di fornire un quadro omnicomprensivo dei diversi livelli di prevenzione, come indicato da Gullotti e altri (1984), che viene riassunto nella tab. 1: si noti che i primi due livelli corrispondono alla prevenzione primaria (comprendente, rispettivamente, interventi sull'uomo e sull'ambiente) e il terzo e quarto livello alla prevenzione secondaria.

Valutazioni sulla prevenzione e settori dell'azione preventiva. − L'evidente declino della mortalità generale, già riscontrabile nel 19° secolo, soprattutto nella sua seconda metà, è imputabile in larga misura alla riduzione della mortalità per malattie infettive dovuta essenzialmente a fattori di tipo igienico-ambientale e socio-economico: controllo delle acque potabili; igiene degli alimenti; lotta agli insetti vettori di malattia; raccolta e smaltimento delle acque di scarico domestiche e industriali; maggiore disponibilità di cibo. Sono tutti interventi di prevenzione primaria.

Per il 20° secolo, tre quarti del declino della mortalità generale sono attribuibili al controllo delle malattie infettive e un quarto al controllo delle altre malattie. Più esattamente, la miglior nutrizione appare l'elemento più determinante, soprattutto per le malattie trasmesse per via respiratoria; seguono, in ordine d'importanza, il miglioramento delle condizioni igieniche generali e la ridotta esposizione, e, in ultimo, l'influenza della terapia e delle pratiche d'immunizzazione; tutti interventi, a eccezione della terapia, rientranti nel 1° e 2° livello di prevenzione (Mc Keown 1976). In Italia, il tasso di mortalità per malattie infettive è caduto tra il 1887-90 e il 1978-80 dal 669,1 al 6,1 per 100.000 abitanti (in cifre assolute: da 200.500 a 3482 morti/anno), con una riduzione del 99,1% (Del Campo 1985).

La prevenzione, unitamente al progresso economico e civile, sembra quindi comportare il raggiungimento di risultati apprezzabili nel settore infettivo in modo continuo e progressivo, anche se in particolari situazioni si sono avute improvvise accelerazioni dovute a interventi nuovi e risolutori: è il caso, per es., del vaiolo, scomparso nel nostro paese e in tutto il mondo a seguito di un imponente programma preventivo prevalentemente vaccinale. Nel complesso, la prevenzione può vantare di aver ottenuto una riduzione lenta ma costante delle patologie infettive, a parte alcuni limitati casi, anche se la eradicazione globale delle principali malattie infettive attualmente è più un mito che una realtà (Evans 1985).

Ma la patologia prevalente è cambiata (tab. 2), soprattutto per quanto attiene le malattie cardiovascolari e i tumori, a cui vanno aggiunti i casi di bronchite cronica, di diabete, di malattie legate all'abuso alcoolico, al tabagismo, alle tossicodipendenze, allo stress lavorativo e sociale, all'alimentazione, all'uso scorretto di farmaci, ecc., tutte situazioni per le quali sono sufficientemente individuati i fattori di rischio, eliminando o correggendo i quali è possibile modificare favorevolmente l'incidenza delle rispettive malattie. La tab. 3 riassume questi concetti, identificando i settori aperti all'azione preventiva.

Va comunque detto che l'azione preventiva non è facilitata per i seguenti principali motivi: l'effettiva importanza dei fattori di rischio dev'essere convalidata da verifiche sperimentali d'indiscutibile significato; le misure per la loro esclusione possono comportare conseguenze sociali profonde, coinvolgenti il bilancio costi/benefici, sul piano oggettivo come su quello soggettivo, e talora implicanti una sostanziale revisione dello stile di vita degli interessati, ciò che ben raramente si ottiene. Ma, soprattutto, le esigenze della prevenzione postulano medici di formazione diversa da quella tradizionale: medici della salute (e non della malattia); medici della società (e non dell'individuo); medici ambientalisti (e non di solo ambulatorio).

Nonostante queste indubbie difficoltà, la prevenzione offre le maggiori possibilità di migliorare la salute. Basti pensare che i miglioramenti della m. terapeutica, comportando un prolungamento dei tempi di sopravvivenza di determinati pazienti, aumentano di fatto il numero dei casi esistenti di certe patologie non suscettibili più di guarigione ma solo di mantenimento. Si assiste talvolta a una dissociazione tra le curve che descrivono la spesa sanitaria terapeutica e quelle che descrivono le condizioni di salute della popolazione, che hanno ormai raggiunto un plateau, essendo il miglioramento della salute dovuto non a ciò che si fa quando si è malati ma a ciò che si fa per rimanere sani.

Bibl.: V. Puntoni, Trattato d'igiene, Roma 1964; G. Bo, La dottrina della medicina preventiva, in Studi Sassaresi, 51 (suppl.), 1973; T. Mc Keown, The modern rise of population, Londra 1976; L.F. Signorini, Qualche elementare riflessione in tema di salute e di prevenzione, in Igiene Moderna, 72 (1979), pp. 119-25; R. Doll, Prospectives de l'action préventive, in Forum Mondial de la Santé, 4 (1983), pp. 246-56; G. Bo, Igiene e medicina preventiva: dal passato al futuro, in Giornale di Igiene e Medicina Preventiva, 25, 3 (1984), pp. 248-78; A. Gullotti, C. Meloni, B. Angelillo, Posizione e ruolo dell'Igiene nell'insegnamento, ibid., pp. 279-306; C. Meloni, Considerazioni su alcuni aspetti generali dell'attività di educazione sanitaria, in L'Igiene Moderna, 82 (1984), pp. 3-20; A. Del Campo, La prevenzione della malattia tra progresso e mito, in Realtà Nuova, 50 (1985), pp. 45-52; A.S. Evans, The eradication of communicable diseases: myth or reality?, in American Journal of Epidemiology, 122,2 (1985), pp. 199-207; D.W. Clark, B. Mac Mahon, Medicina preventiva e di comunità, Padova 1989; G. Rausa, Industria chimica e riflessi sulla salute: approccio e metodologie, in Nuove frontiere per le tecnologie chimiche e la tutela dell'ambiente, Bologna 1989, pp. 249-60; A. Cornic, Médecine prédictive: un fantastique espoir, Parigi 1989; I. Rosenfeld, Modern prevention: the new medicine, New York 1991; G. Rose, The strategy of preventive medicine, Oxford 1992; E. Beck, Hygiene: Präventivmedizin, Stoccarda 1992.