Medioevo: la scienza siriaca. Medicina e farmacologia

Storia della Scienza (2001)

Medioevo: la scienza siriaca. Medicina e farmacologia

Philippe Gignoux

Medicina e farmacologia

La medicina

È da lungo tempo riconosciuta la funzione di mediazione svolta dai Siri tra la scienza greca e il mondo arabo; mediazione che vale in modo particolare per la scienza medica, trasmessa dapprima al mondo iranico. È nella stessa Susiana, infatti, che la medicina greca ha cominciato a essere conosciuta dai Sasanidi all'inizio del VI o alla fine del V secolo. La capitale del Xuzistān, Gundēšābūr, già fiorente sotto Shapur I, residenza del Re dei Re, ospitò la prima celebre Accademia e una sede vescovile, quella di Bēth Lapaṭ. Artefici di questa intensa attività scientifica sono stati probabilmente i cristiani di lingua siriaca. Nel 489 la chiusura, per opera di Zenone, della Scuola di Edessa, o Scuola dei Persiani, spinse numerosi maestri a recarsi a Gundēšābūr e per la medesima via vi penetrò anche l'aristotelismo. Così, quando nel 529 Giustiniano fece chiudere la Scuola di Atene, alcuni filosofi si rifugiarono nella capitale della Susiana, dove era morto Mani. Tutto ciò fa comprendere l'intensa attività intellettuale dei nestoriani. Sotto Cosroe I Anushirvan (531-579) la città fu dotata anche di un ospedale, che venne chiamato Academia Hippocratica.

Le traduzioni dal greco

Il traduttore più conosciuto resta senza dubbio Sergio di Reshaina, cui sono state attribuite più traduzioni di quelle effettivamente realizzate. Fra queste, la maggior parte riguarda la medicina; secondo Ḥunayn ibn Isḥāq egli avrebbe realizzato ben 37 traduzioni di Galeno. Soggiornò ad Alessandria per studiarvi gli autori greci e, non diversamente da Galeno, affermò lo stretto legame fra medicina e filosofia: "il principio di ogni sapere fu Aristotele, non solamente per Galeno e per gli altri medici come lui, ma anche per tutti gli autori chiamati filosofi che vennero dopo di lui" (Hugonnard-Roche 1989, p. 9). È per questo che le opere di medicina siriaca non riguardano soltanto il corpo, ma parlano anche dell'anima che a esso è strettamente legata, attraverso un gioco di 'potenze' reciproche.

Le traduzioni siriache di opere greche a tutt'oggi conosciute sono:

a) gli Aforismi di Ippocrate;

b) dal VI all'VIII libro del De simplicium medicamentorum temperamentis et facultatibus di Galeno, tradotti da Sergio e contenuti nel ms. 14661 del British Museum;

c) frammenti di diversi libri di Galeno, segnatamente del trattato su 'le piante nutrienti' (Sachau 1870);

d) un trattato anonimo impropriamente designato come Syrian anatomy, pathology and therapeutics or 'The Book of Medicines' (Trattato siriaco dei medicamenti, Budge 1913). In realtà il Syriac Book of Medicines è costituito da tre trattati differenti: uno sulle malattie, basato su Galeno, uno di astrologia e uno di farmacopea. Esso è stato attribuito in maniera congetturale a Sergio di Reshaina o a Ḥunayn ibn Isḥāq, o, infine, lo si è ritenuto, nel suo insieme, opera di un compilatore (Degen 1972). Secondo quest'ultima ipotesi, la terza parte dedicata alla farmacologia sarebbe più recente, a motivo dei numerosi termini neosiriaci. Tuttavia la presenza, anch'essa sufficientemente attestata, di parole siriache prese in prestito o ricalcate sul medio iranico (o pahlavī) palesa l'esistenza di strati senz'altro antichi, e dunque di ricette che risalgono forse al periodo sasanide;

e) frammenti, non ancora pubblicati, di diversi autori greci, quali Ippocrate, Diocle, Mnesiteo di Atene, Filotimo, Dieuco, Ateneo, Senocrate, Eraclide, Dioscuride, Galeno, Rufo, Antillo e Oribasio citati nei manoscritti siriaci della collezione Mingana 594 e 661 (Birmingham, Selly Oak Colleges Library) su Le differenti specie di erbe, piante e animali e il loro valore medicinale o nutritivo (syr. 594, ff. 58b-150a) e su 'la terapeutica' nella prima parte del ms. 594;

f) le Questioni filosofiche e mediche dello Pseudo-Alessandro di Afrodisia, conservate in due manoscritti (fra cui il siriaco Mingana 559);

g) le Questioni mediche di Ḥunayn ibn Isḥāq, e un altro trattato dello stesso autore, intitolato Perché vi sono solo quattro elementi, un problema largamente dibattuto ed essenziale dal punto di vista dell'anatomia umana.

R. Degen, cui si deve l'inventario di queste traduzioni (1972), menziona anche testi non ancora studiati, fra cui un Libro dei rimedi contenuto nel ms. Or. 9360B del British Museum e un antichissimo manoscritto del Patriarcato siro-ortodosso di Damasco contenente apparentemente alcune traduzioni di Galeno. La maggior parte dei manoscritti a tutt'oggi conosciuti sono peraltro copie recenti, i più antichi essendo andati perduti a seguito delle distruzioni e dei saccheggi dei monasteri siri. Degen, però, non ha distinto sufficientemente le traduzioni propriamente dette dalle opere maggiormente elaborate, che sviluppano teorie meno dipendenti dalle fonti greche. Si deve ancora aggiungere, fra le opere del periodo più tardo, l'ottava base dell'opera Il candelabro dei santuari di Barebreo, che contiene alcune citazioni di autori greci, e il Lexicon Syriacum di Bar Bahlūl, un autore attivo a Baghdad nella seconda metà del X sec., utile per le numerose citazioni di opere mediche.

Gli Atti dei martiri persiani

Veniamo ora ad analizzare le diverse teorie mediche e in primo luogo quella presente negli Atti dei martiri persiani. Dell'abbondante letteratura agiografica in siriaco merita speciale attenzione il racconto del martirio di Qardag, che ebbe luogo, probabilmente, sotto Shapur II nel 358 (Duval 1907, pp. 127-128). L'agiografo che ne riporta la storia scrive, tuttavia, molto più tardi, probabilmente intorno al VI sec., cosicché i dati di interesse medico non sono del IV sec., ma di molto posteriori. Nel racconto è riportata una lunga discussione tra il santo Mar Abdisho (Mār ῾Aḇdîšô῾) e il marzbān (margravio) mazdeo di nome Qardag, dalla quale si può desumere che l'agiografo fosse a conoscenza della teoria dei quattro elementi, di quella del microcosmo-macrocosmo e della preminenza di tre organi nel corpo umano (Bedjan 1890-97, II, p. 450 e segg.).

Al marzbān che si rifiuta di adorare delle creature e chiede al santo di metterlo alla prova, quest'ultimo risponde: "Non adori forse il Sole, la Luna, il fuoco, l'acqua, l'aria e la terra e li chiami dei e dee?". Qardag gli risponde: "Sì, li adoro perché essi sono degli Esseri, e non delle creature". Segue una lunga discussione filosofica sugli astri e sul loro statuto metafisico. A corto di argomenti il marzbān spinge il suo interlocutore a utilizzare la teoria dell'uomo microcosmo. Difatti il mazdeo ribatte un'ultima volta: "E perché più che le (creature) che sono sulla Terra, [il Sole e la Luna] possiedono il movimento perpetuo, la luce e la forza, immuni da modificazione, corruzione e ostacoli?". Il beato gli risponde:

Perché essi sono nello stesso ordine dei principali organi del corpo, quali il cervello, il cuore e il fegato. Se l'uomo estirpa dal suo corpo unghie, capelli o denti la perdita è parziale, ma se strappa il cervello, il cuore o il fegato, insieme con questi perde la vita stessa; non diversamente se perisce qualcuna delle parti più piccole della costituzione del mondo, come animali e sementi, la perdita è parziale, ma se il Creatore avesse permesso che perissero gli astri vi sarebbe stata la distruzione del mondo intero: perché gli astri sono il legame del corpo intero della Creazione, perché essi sono gli organi principali e gli occhi e il cervello del mondo, e da essi viene tutto il calore che è nei corpi e nelle piante, l'ordine del tempo, il numero degli anni, dei mesi, delle settimane e dei giorni. (ibidem)

Il santo ritorna, allora, alla prima, fondamentale affermazione: "Così gli elementi: la terra, l'acqua, il fuoco e l'aria sono delle creature e non degli (esseri) viventi e sensibili. E come potrebbero essere chiamati Esseri quelli che sono fluidi e si distruggono l'uno con l'altro?". Il santo mostra infine come ciascuno degli elementi cosmici possa essere distrutto da un altro.

Da questo testo appare chiaro come le teorie cosmiche e mediche, conosciute anche in ambito agiografico, fossero legate al discorso filosofico e ciò in forza delle speculazioni sui concetti di micro- e macrocosmo, attestate nell'Iran mazdeo e in tutta la tradizione siriaca posteriore.

Ahudemmeh (Aḥūhḏemmeh, VI sec.)

Questo autore nestoriano ha lasciato un breve trattato sull'uomo (pubblicato in Patrologia Orientalis III/I) e uno sull'uomo-microcosmo, conservato fra i manoscritti del Convento di Notre-Dame des Semences, attualmente introvabile (Vosté 1929). Il primo testo si interessa soprattutto dell'anima, senza tuttavia trascurare i principali organi del corpo.

Come affermavano anche i filosofi neoplatonici ‒ e tra questi Proclo ‒ l'anima possiede due potenze: la razionalità e la vitalità. Della vitalità sono proprie due operazioni: la collera e il desiderio. Ciascuna di esse ha un aspetto positivo e uno negativo, così il desiderio si trova tra la moderazione, che è il suo lato buono, e la sregolatezza, che è, invece, il suo lato cattivo. La collera è tra la paura (negativa) e il coraggio (positivo). La potenza razionale si suddivide, a sua volta, in quattro operazioni: la conoscenza (mǝddǝ῾ā), il ragionamento (ḥûšāḇā), l'intelligenza (hawnā) e il pensiero (tar῾îṯā).

Il corpo possiede la vita animata e il discernimento, cioè una potenza vitale che comprende, specularmente all'anima, desiderio e collera, e una capacità di discernimento, cui si riconducono i cinque sensi. Cinque potenze sono legate agli organi (sensoriali) e sono messe in moto tanto dal corpo quanto dall'anima nella sua parte razionale.

Gli organi principali e direttivi del corpo sono: il cervello, il fegato, il cuore, lo stomaco e i reni. In essi risiedono le seguenti potenze: il discernimento (pārûšûṯā) nel cuore, il desiderio (reḡṯā) nello stomaco, la collera (rûḡzā) nel fegato, la concupiscenza (meṯya᾽ḇānûṯâ) nei reni e la sensibilità (rḡešṯā) nel cervello. Ahudemmeh spiega inoltre che il cervello 'serve' l'intelligenza e i cinque sensi la dischiudono. Il cuore, a sua volta, è in funzione della conoscenza, e il fegato, lo stomaco, il diaframma e i reni gli sono vicini, e sono circondati dalle costole. Il diaframma serve la comprensione (re῾yānā), riceve dal cuore la forza per muoversi, e attraverso il sangue alimenta i muscoli che lo muovono con gli ipocondri, ritenuti, peraltro, sede del riso. I reni servono il ragionamento (ḥûšāḇā), essi ricevono il movimento dal cuore attraverso l'intermediazione delle vene. In tal modo le potenze dell'anima si trovano collegate con quelle del corpo, poste nei cinque organi principali.

Ahudemmeh fornisce ulteriori descrizioni di questi organi. Il cuore è la radice delle vene e delle arterie, e conferisce loro il movimento: diffonde la vita in tutto il corpo e mette in moto i muscoli. Il cervello è la radice dei nervi e dà la sensibilità a tutto il corpo, il 'soffio vitale' ai nervi e alle membra. Il fegato diffonde il calore attraverso il sangue, per mezzo della vescica che gli è vicina (teoria, questa, già presente in Galeno e Plotino). Lo stomaco trasporta la concupiscenza ai reni e il desiderio al fegato.

In un manoscritto datato 1904, in cui sono state raccolte diverse opere mediche, si trovano alcune pagine attribuite al nostro autore, che potrebbero appartenere al trattato sull'uomo-microcosmo contenuto nel ms. Notre-Dame des Semences n. 66.4 (Vosté 1929). Sul piano anatomico descrive il cuore, con le sue due cavità cardiache piene di sangue sottile e di soffio vitale, sospeso al polmone nel mezzo del petto e fissato in questa posizione da undici legamenti. Descrive inoltre il meccanismo della circolazione sanguigna, a partire dal fegato, e dà ragione di diverse affezioni delle facoltà dell'anima (angoscia, tristezza, obnubilamento dell'intelligenza, perdita della memoria, paura, e così via) con l'occlusione dei canali "che conducono la luce dal cuore al cervello", in seguito al condensarsi del soffio vitale. Descrive quindi il funzionamento del fegato, che riceve dallo stomaco il chilo, il quale, se non è ben fluido, nuoce alla cistifellea e alla milza che hanno entrambe il compito di purificare il fegato. L'eccesso di ciò che è mal digerito è la causa di tutti i mali.

Come nel testo precedente, egli indica la sede delle cinque facoltà (sensibilità, discernimento, desiderio, concupiscenza e collera), quindi enumera le sette potenze naturali: quattro sono 'serventi', vale a dire la potenza attrattiva (nātôp̄â) che è fredda, quella ritentiva (᾽āḥôḏā) che è secca, quella emolliente (pāšôrā) che è calda e, infine, quella repulsiva (dāḥôyā) che è umida. Le rimanenti tre sono 'servite': la potenza generativa, quella accrescitiva e quella nutritiva. Teoria, questa, che è ampiamente attestata nella tradizione siriaca posteriore.

Ancora una volta Ahudemmeh attribuisce a ciascun organo una facoltà precipua: "Il desiderio delle buone azioni è nella cistifellea e il desiderio della carne nel grasso che si trova al di sopra dei reni, l'ira e la collera nel fegato, la paura e la falsità nella milza, l'avidità e il desiderio di cibo nello stomaco, l'amore nei polmoni, la comprensione nei reni, il pensiero nel cuore, la forza nelle braccia, il riso nel diaframma, il coraggio nelle mani" (Chabot 1965, p. 62). Infine, i sensi sono paragonati a sette porte e gli organi sono tutti nuovamente definiti.

Sono queste le teorie ereditate dalla medicina greca, che Ahudemmeh ha probabilmente sviluppato più ampiamente nel trattato sull'uomo-microcosmo. Egli insiste particolarmente sull'unità della persona, e la stretta relazione che stabilisce tra le potenze dell'anima e quelle del corpo lo dimostra sufficientemente. Tali potenze sono congiunte per la realizzazione delle azioni, sia provocate dall'esterno sia sorte dall'interno grazie alle passioni.

Simone di Taibutheh (Šem῾ôn dǝ-Ṭaybûṯeh, VII sec.)

Si sa poco di questo mistico, considerato anche un medico esperto, di cui si ha notizia solamente attraverso i suoi scritti e grazie ad alcuni riferimenti di autori siri posteriori; in particolare, le sue opere mediche sono andate tutte perdute. Da Barebreo sappiamo che Simone visse nel VII sec., all'epoca del katholikòs Henanisho (Ḥǝnānîšō῾; 685/686-699/700), che scrisse un libro sulla vita monastica dal cui titolo gli deriva il nome ṭaibûṯeh, che significa 'sua grazia'. Di fatto diversi manoscritti parlano di un Libro della grazia composto di sette centurie, attribuito a Isacco di Ninive e che in realtà è opera di Simone (Bettiolo 1992, pp. 7-8). Nella quarta centuria di questo testo sono contenute alcune informazioni biografiche. Abdisho bar Brikha (Aḇdîšō῾ bar Brîḵā, m. 1318) riferisce in un suo Catalogo degli scrittori ecclesiastici che Simone di Taibutheh scrisse un libro sulla condotta, uno di medicina e, infine, una spiegazione dei misteri della cella. Nel Libro della castità (scritto tra l'860 e l'870; conosciuto anche con il titolo Libro dei fondatori di monasteri nel regno dei Persi e degli Arabi), Isho῾dnah (Išô῾dnaḥ) riferisce che Simone fu soprannominato Luca, in riferimento all'evangelista che era medico. Dal codice del 1289 pubblicato da A. Mingana in cui si trovano opere mistiche nestoriane del VII e VIII sec., si apprende che Simone fu discepolo di Rabbān Šābūr, il quale era originario di un villaggio vicino ad Ahwāz, la principale città del Bēth Huzayē, da dove si irradiò il rinnovamento del monachesimo nestoriano alla fine del VI sec., e fondò sul monte Matut un convento, la cui storia è riportata da Dadisho Qatraya (Dādîšô' Qaṭrāyā), e in cui visse e fu sepolto Isacco di Ninive. Simone sarebbe dunque vissuto nella regione in cui era fiorita la famosa scuola medica di Gundēšābūr, dove può aver avuto origine la sua formazione medica. Si ritrovano comunque nei suoi scritti testi utilizzati dagli autori del VI sec. in Siria e che dipendono dalle opere in greco di Gregorio di Nissa o di Nemesio di Emesa.

Nel trattato pubblicato da A. Mingana, da identificare, secondo alcuni, con la Spiegazione dei misteri della cella, sono attestate alcune teorie mediche di Simone. L'autore vi afferma con decisione sin dall'inizio la 'biunità' dei 'lavori' corporali e psichici allo scopo di mettere le conoscenze anatomiche al servizio della vita spirituale: "doppi e (insieme) uni siamo stati creati e siamo, […] anche la nostra condotta è doppia e una, dato che anche i moti dell'anima sono coltivati tramite i sensi del corpo, in concordia, immancabilmente" (Mingana 1934, p. 281; Bettiolo 1992, p. 21).

Simone riferisce che secondo Gregorio di Nissa "i pensieri sgorgano dai reni, di dove sgorga il desiderio, e salgono fino a raggiungere il cuore, affine al cervello, a somiglianza di un vapore" (Bettiolo 1992, p. 35). Già Ahudemmeh aveva notato la connessione fra reni, concupiscenza e pensieri associando i cinque organi principali alle potenze psichiche, dal momento che aveva collocato la sensibilità nel cervello, il discernimento nel cuore, il desiderio nello stomaco, la concupiscenza nei reni e la collera nel fegato. Ma Simone enumera quattro organi principali, e cioè: il cervello, il cuore, il fegato, i testicoli. E aggiunge: "Organi della respirazione (sono): il cervello, il cuore, il polmone. Organi della volontà: i nervi e i muscoli. Radice dei nervi (è) il cervello; radice delle arterie, il cuore; radice delle vene, il fegato" (Mingana 1934, p. 198; Bettiolo 1992, p. 125).

Questa presentazione è del tutto conforme alla dottrina di Ahudemmeh. Simone sostiene inoltre che la fonte del calore è nel cuore, che esso è paragonabile a un fuoco, che il cuore ha due ventricoli, e che quello di destra riceve il sangue dal fegato, purificandolo e rinviandolo al cervello e quindi a tutto il corpo. Nel ventricolo di sinistra risiede 'lo spirito animale', che è raffinato e da lì inviato nei ventricoli cerebrali, dove si formano la razionalità, la memoria e l'intellezione. Il cuore, infine, è detto 'senso dei sensi', possie-de undici vincoli che sono chiamati vivi e divini (Mingana 1934, p. 199; Bettiolo 1992, pp. 126-127).

Quanto all'anima e alle sue potenze Simone si mantiene fedele a ciò che ha appreso da Ahudemmeh: l'anima ha due potenze attive, la razionalità e la vitalità. La prima si suddivide in mente, intelletto, intelligenza, pensiero, discernimento. La seconda comprende il desiderio e l'animosità; il desiderio si origina dalla sensazione, la quale opera per l'unione di moti esterni e interni, mentre l'animosità scaturisce dal desiderio. In un altro luogo Simone distingue dieci operazioni dell'uomo propriamente intellettuali, alle quali aggiunge i cinque sensi. Le operazioni psichiche sono tre: la fantasia (l'immaginazione), la memoria e l'intelligenza. La fantasia si trova nella parte anteriore del cervello, l'intelligenza nella parte mediana e la memoria nella parte posteriore.

Infine, anche il nostro autore ammette sette 'potenze naturali', quattro serventi e tre servite. Le prime quattro sono le stesse conosciute anche dalla medicina iranica e che Simone associa alle quattro proprietà degli elementi: la potenza attrattiva, che è fredda; quella ritentiva, che è secca; quella emolliente, che è calda; quella repulsiva, che è umida. Le altre tre, che sono servite dalle prime, sono la generativa, l'accrescitiva e la nutritiva (Mingana 1934, p. 197; Bettiolo 1992, p. 121).

È facilmente comprensibile che un monaco come Simone di Taibutheh si sia interessato più all'analisi dell'anima e delle sue operazioni che a quella del corpo, per il quale si limita all'essenziale, dimostrando di rimanere tributario delle informazioni che poteva attingere da Ahudemmeh e, per suo tramite, anche dalla medicina greca.

Giobbe di Edessa (VIII sec.)

Chiamato dagli autori arabi Ayyūb al-Ruḥāwī e soprannominato quindi Giobbe il 'maculato', quest'autore nacque a Edessa verso il 760, ma di lui si sa soltanto che probabilmente morì verso l'835. Ibn al-Nadīm nel Fihrist cita Giobbe come traduttore di opere greche e nomina un certo Giobbe quale traduttore dello Zīǧ, cioè delle tavole astronomiche di Tolomeo, ma non è certo che si tratti di lui. Anche Ḥunayn ibn Isḥāq cita Giobbe di Edessa, attribuendogli la traduzione di trentasei opere di Galeno e in particolare del suo Trattato dei semplici; mentre Barebreo segnala che Giobbe, filosofo nestoriano, visse all'epoca di Timoteo I. Infine Ibn Abī Uṣaybi῾a lo considera un buon traduttore e Yāqūt come uno dei più grandi medici del suo tempo.

Scrittore prolifico, le sue opere in arabo sono andate perdute, di quelle in siriaco ci informa egli stesso nel Libro dei tesori: Sull'anima, Sulle cause delle febbri, Sull'idrofobia canina e Sull'urina. A queste vanno aggiunti altri testi, come il libro Sui cinque sensi e quello Sulle cause della venuta all'esistenza dell'universo a partire dagli elementi. A noi sono pervenute, tuttavia, solo due di queste opere: quella Sull'idrofobia canina, ancora inedita e, soprattutto, il Libro dei tesori, unica fonte sull'insegnamento medico di Giobbe di Edessa, il cui curatore, A. Mingana, ne colloca la composizione tra l'817 e l'828. Si tratta di un testo largamente tributario di Aristotele e Galeno e per questo particolarmente originale rispetto agli altri trattati in siriaco. In esso, infatti, la filosofia e la scienza medica sono talmente intrecciate, che l'autore cerca di spiegare la costituzione dell'uomo, la sua anatomia, le sue funzioni fisiologiche, la sua crescita e il suo declino, attraverso le sole teorie dei quattro elementi e dei quattro umori. Di fatto il Libro è essenzialmente un'opera filosofica, ispirata largamente ad Aristotele, in cui l'autore si interroga di continuo sulla causa e sul fine di ogni cosa. In esso la medicina non ha che un posto secondario, tanto più che l'autore stesso ci informa d'avere scritto altre opere propriamente mediche.

Nessun altro conferisce tanta importanza quanto Giobbe a ciò che egli chiama gli "elementi semplici e composti"; di essi i primi sono conosciuti attraverso la riflessione e sono le quattro qualità o proprietà, caldo, freddo, secco e umido e i secondi attraverso la conoscenza sensibile, e sono i quattro elementi cosmici. La loro combinazione serve realmente a spiegare tutto ed è frutto dell'osservazione. Giobbe rifiuta l'esistenza affermata da Aristotele di un quinto elemento, rimprovera lo Stagirita di non averlo descritto né definito come semplice o composto. Due elementi sono attivi: il fuoco e l'acqua, il calore e il freddo, e gli altri due passivi: l'aria e la terra, l'umidità e la secchezza. Ciascuno di essi possiede due movimenti, l'uno contrario all'altro, chiamati antipatia e simpatia. Senza questi movimenti che si producono in tutti i corpi non vi sarebbe né dissoluzione né corruzione. Quindi Giobbe si interroga sull'utilità dei quattro umori (o chimi) che sono, a suo avviso, intermediari fra il cibo e i corpi, come gli alberi sono intermediari fra la terra e i frutti.

L'autore ricorre sovente a comparazioni per rendere maggiormente comprensibili le sue spiegazioni; così, le ossa sono come delle fondamenta di pietra poste le une sulle altre e le vene e le arterie come degli acquedotti e il fuoco sotto un calderone non gli serve come immagine per fornire una spiegazione della digestione, ma, più in generale, per spiegare la produzione degli umori attraverso il ribollire creato dall''antipatia' fra caldo e freddo che trasforma gli umori nel corpo. Così la parte più secca di questi produce le ossa; la più fredda le vene, i nervi, le arterie, i tendini; la più calda e umida la carne; la più grassa il grasso. Tutto è una questione di dosaggio e di proporzioni.

L'anatomia e la fisiologia del corpo umano interessano il nostro autore solo per ricondurre ogni cosa al prevalere dell'uno o dell'altro elemento, che sembra non tenere in gran conto Ippocrate e neppure, su questo punto, Galeno. D'altronde afferma esplicitamente: "Poiché non è nostra intenzione parlare della funzione degli organi, ma dell'origine elementare della loro esistenza, ne parleremo soltanto rapidamente" (Giobbe di Edessa, p. 46). Infatti tutto ‒ la forma, il colore, la densità, il movimento o la posizione di quello o di quell'altro organo ‒ può essere spiegato in base alla teoria degli elementi; anche se in questo modo si può giungere ad alcune sorprendenti conclusioni, come quando l'autore scrive che la testa è rotonda perché in essa vi sono i cinque sensi e la forma rotonda è più forte delle altre forme! Senza dubbio Giobbe sa che le vene hanno la loro origine nel fegato e le arterie nel cuore; i nervi nel midollo della testa e servono al movimento e alla sensibilità del corpo, mentre gli intestini sono utili all'espulsione del superfluo. Tuttavia egli afferma anche che il cuore, il fegato, la cistifellea e altri organi interni sono posti nella parte anteriore del corpo, e non in quella posteriore, perché il calore è più intenso davanti!

Giobbe sostiene inoltre che la bile rossa, calda e secca, che mette in rapporto con il fuoco, ha la sua sede nel fegato; che la bile nera, fredda e secca, che pone in relazione con la terra, ha la sua sede nella cistifellea. Dimentica, però, di definire poi gli altri umori, o, quanto meno, si limita a scrivere che il sangue è inviato dal fegato a tutto il corpo per alimentarlo e refrigerarlo come l'aria, e che la flemma ha la funzione di umidificare la trachea per far abbassare il calore che sale verso la testa. Il cuore è la sede del soffio vitale ed è, come il fuoco, in perenne movimento.

Fedele alla simbologia del numero quattro, Giobbe parla di quattro digestioni (nello stomaco, nel fegato, nei piccoli canali e in tutte le parti del corpo) e attribuisce a ciascuna delle quattro età della vita una qualità elementare differente. Se gli elementi, che sono delle essenze e non degli accidenti, sono quattro, è perché vi sono quattro stagioni: la primavera, calda e umida; l'estate, calda e secca; l'autunno, freddo e secco; l'inverno, freddo e umido. Allo stesso modo le malattie sono di quattro specie, a seconda che i pazienti si lamentino di essere caldi, freddi, secchi o umidi, e i medici devono somministrare rimedi capaci di produrre effetti contrari. Giobbe non aggiunge altro in fatto di terapia e non è neppure interessato a delineare una filosofia della medicina curativa come faranno invece i teologi mazdei (v. oltre).

Centrale è la teoria degli umori. È in base a essa che sono caratterizzati gli animali: il leone è molto caldo, il pesce molto umido, lo scorpione molto freddo e il cane molto secco, mentre l'agnello occupa una posizione intermedia. Così, il membro virile e i testicoli sono all'esterno perché l'uomo è caldo, mentre gli organi femminili sono all'interno perché la donna è umida. Il seme è costituito da una certa quantità di caldo, freddo, umido e secco; esso è portato da tutto il corpo verso i testicoli. I peli crescono quando il calore prevale sull'umidità, come cresce l'erba quando il sole splende dopo la pioggia! Il sonno è spiegato come un bisogno di umidità da parte del cervello troppo secco.

Il Trattato siriaco dei medicamenti

Come già riportato, l'opera siriaca pubblicata in due volumi nel 1913 da Ernest A.W. Budge porta il titolo di Syrian anatomy, pathology and therapeutics or 'The Book of Medicines'. Il contenuto risponde meglio alla seconda definizione, poiché più che un trattato di medicina (visto che contiene solo alcuni riferimenti all'anatomia e al funzionamento del corpo) è una raccolta di prescrizioni di rimedi utili per le varie affezioni del corpo umano, con la descrizione di circa quattrocento preparati farmaceutici. In altre parole, si tratta di un vero monumento della farmacopea in lingua siriaca.

La copia più antica di questo libro, conosciuta attraverso i colophon, sarebbe un manoscritto del 1699. Esistono numerose copie recenti: il ms. 424 della Bibliothèque Nationale (Briquel-Chatonnet 1997) risalente al 1900, copiato ad Alqosh (Alqōš); il ms. 327 n. 1. Notre-Dame des Semences (Vosté 1929) datato 1882; infine Budge afferma di aver basato la sua edizione su di un manoscritto da lui copiato ad Alqosh nel 1894 da un manoscritto che proponeva di datare attorno al XII secolo. Si tratta di un'opera di 289 pagine, in gran parte debitrice di Galeno e redatta in scrittura nestoriana (Budge 1913, I, XXXVII). L'autore, o almeno colui che ne ha messo insieme le varie parti, resta però sconosciuto e la datazione risulta difficile da stabilire. Tuttavia, anche se si tratta di una compilazione fondata su più opere differenti, questo trattato anonimo non manca di una certa unità. Esso potrebbe essere costituito da strati di epoche differenti, come molte opere dell'Alto Medioevo iranico.

L'anatomia non è trattata in modo sistematico, ma è possibile ricostruire l'insieme delle conoscenze anatomiche e fisiologiche dell'epoca a partire dalla descrizione delle malattie della testa, del sangue, della respirazione e della digestione, nonché dalla loro terapia (capp. 3-21). L'autore conosce la teoria dei quattro umori, le loro proprietà, le loro caratteristiche e le loro funzioni. Il sangue, caldo e umido, alimenta e fortifica le membra, il suo colore è rosso e il suo sapore è salato. La bile rossa, calda e secca, riscalda il fegato e lo stomaco, sovrintende alla digestione, stimola con la sua acidità l'espulsione dell'urina e degli escrementi, dilata i pori della pelle e disperde per mezzo della traspirazione il superfluo dal corpo, il suo sapore è amaro e ha tre colori: rosso, giallo e verde. La flemma, fredda e umida, alimenta le ossa, i nervi, le membrane, i tendini, i legamenti e le articolazioni, i polmoni e il cervello, raffredda il calore della bile rossa, il suo colore è bianco e il suo gusto è dolce. La bile nera, fredda e secca, è alla base di tutti i solidi, rinvigorisce la pelle e le membra, produce il desiderio di cibo nello stomaco, purifica le potenze spirituali del cervello e rende il cuore coraggioso, il suo colore è nero e il suo gusto acre (ibidem, pp. 380-381).

Il cervello è sede dell'immaginazione, della riflessione e della memoria, ma è anche il 'senso dei sensi' che invia la potenza sensitiva a tutte le membra del corpo attraverso i nervi. Il cervello è altresì considerato uno dei tre organi principali del corpo, come afferma d'altronde tutta la tradizione siriaca: "Vi sono tre 'capi' da cui viene diretto tutto il corpo insieme con il cuore che in effetti è pure un capo, il cervello, mostrato come colui che dà la sensazione e il movimento a tutte le membra del corpo, e il fegato, che è il capo della potenza nutritiva" (ibidem, p. 253).

A parte ciò, il trattato non si occupa ulteriormente del cervello, se non per definire dettagliatamente le differenti specie di sonno, il che lascia supporre che quest'organo sia considerato anche la sede della coscienza (per le affezioni che lo riguardano v. oltre).

Il cuore è l'organo dominante del corpo e la sua funzione è, come per il cervello, di inviare la vitalità a tutto il corpo per mezzo dei nervi; esso è formato da una sostanza nervosa e possiede due cavità piene "di sangue fine e di soffio vitale" (ibidem, I, p. 252; II, p. 287), cui sono opposte due orecchiette (letteralmente 'orecchie') ed è sospeso fra i polmoni nel mezzo del petto. Insieme ai polmoni è alimentato da una grande vena piena di sangue che proviene dal fegato.

L'anonimo autore non sembra essersi occupato molto del problema della circolazione sanguigna. Tuttavia nell'ottavo capitolo distingue le vene dalle arterie: le prime si diramano a partire dal fegato e portano il sangue verso tutto il corpo; le seconde partono dal cuore, dal quale sono agitate incessantemente con un movimento di dilatazione e di contrazione, per poi irradiarsi in tutto il corpo, piene di un sangue fine e vaporoso (ibidem, I, p. 109). Alle vene e alle arterie, come a tutti gli organi del corpo, ineriscono delle potenze naturali: quella attrattiva, quella ritentiva, quella digerente e quella repulsiva. È un chiaro prestito da Galeno, nella cui opera erano presenti quattro forze basilari: quella attrattiva (per portare a sé le sostanze corporee), quella ritentiva, quella trasformativa (per mutarle in elementi utili) e quella secretiva che espelle ciò che è inutile; una dottrina che era applicata alle attività di tutte le parti costitutive del corpo, che sono una miscela di caldo, freddo, secco e umido (Siegel 1968, p. 183 e Galeno, I, p. 654). Altri autori più tardi, come Zādspram nella sua Antologia e Warda nel suo Mēmrā sull'uomo microcosmo, hanno applicato questa teoria unicamente alla digestione.

Il nostro autore, al contrario, aggiunge, seguendo Galeno, che queste forze adempiono al "servizio della natura" in tutte le membra del corpo, le più grandi come le più piccole. Così, quando il cibo entra nel corpo, questo, sia che si tratti del ventre, del fegato o di un altro membro, lo attira, lo trattiene ed espelle il cibo superfluo che non è più utile. Inoltre l'anonimo autore, in maniera più esplicita, come Galeno, pone queste forze in relazione con le proprietà degli elementi: la forza che attira attraverso il calore opera nel freddo, quella che trattiene opera nella secchezza, quella che digerisce opera nel calore e nell'umidità e quella che espelle opera nel freddo e nell'umidità (Budge 1913, I, p. 110).

È interessante notare la definizione di diaframma fornita in questo testo, poiché, come scrive l'autore, alcuni lo chiamano per l'appunto diaframma, mentre altri 'la comprensione' (tar῾îṯā); questo si spiega facilmente attraverso il greco phrḗn che significa allo stesso tempo 'membrana', da cui 'diaframma', e 'pensiero', 'intelligenza', cosa che il nostro autore sembra ignorare. Questa membrana è della stessa natura del midollo spinale, che è l'organo principale della respirazione. Essa separa e limita la parte collerica dell'anima, che risiede nel cuore, dalla parte che desidera, posta nel fegato. Qui, come in Ahudemmeh, la teoria della potenza vitale che si suddivide in collera e desiderio è applicata al corpo stesso (ibidem, p. 226). Secondo Nemesio la collera è un ribollire del sangue intorno al cuore, causato dall'evaporazione della bile divenuta torbida, come insegnava già Aristotele, mentre per l'anonimo autore il calore del cuore è causato dall'eccesso di bile rossa (p. 260).

Il fegato è la fonte che produce tutti i differenti 'chimi' assorbiti dalle membra che sono destinate a riceverli con il sangue che rimane nel fegato. Ciascun chimo è inviato per mezzo delle vene in tutto il corpo (cap. 17, p. 380). In un altro capitolo, l'autore mette in evidenza il ruolo fondamentale del fegato nella digestione, senza trascurare quello dello stomaco. Secondo lui è grazie alla forza attrattiva che le vene estraggono il succo (cioè il chimo) che lo stomaco ricava dal cibo e lo portano verso il fegato, dove sarà trasformato in sangue. Il cibo, infatti, entra prima nello stomaco, dove è ridotto in poltiglia fino a che diviene adatto a essere ricevuto dal fegato (p. 287).

Nel Trattato siriaco dei medicamenti si distinguono tre differenti digestioni: la prima avviene nello stomaco e il residuo che ne risulta sono gli escrementi, espulsi attraverso gli intestini e l'ano. La seconda si verifica nel fegato e dà luogo a cinque 'separazioni': la prima è come una schiuma sul brodo, si tratta della flemma, che è inviata ai polmoni, al petto e al cervello. La seconda, la bile rossa, è come l'olio sul brodo; la cistifellea attira la bile che si trova nel fegato. La terza è il sangue, raccolto dalle vene e inviato in tutto il corpo; l'impurità, simile a quella del vino, è attirata nella milza dalle vene ed è la bile nera. La quarta è il residuo della digestione. La quinta è l'umidità di tutta la digestione, che è come l'acqua che si trova su un formaggio ottenuto con latte guasto (ed è l'urina); i reni l'attirano e la inviano nella vescica, che è svuotata attraverso la verga. Sembra dunque che il fegato sia all'origine della produzione dei quattro umori. La terza digestione ha luogo in tutte le membra, ed è la trasformazione del cibo nella natura delle membra stesse; il residuo di questa digestione è la sostanza bianca che si trova nell'urina. Infine, l'autore riassume così il processo della digestione: "Il cibo viene trasformato nello stomaco in un succo bianco, secondo la sua natura; viene trasformato nel fegato in sangue, secondo la sua natura, e in tutte le membra secondo la loro natura. Le forze naturali trasformano il cibo e dopo se ne alimentano" (p. 330).

Gli antichi non distinguevano affatto tra nervi, tendini, legamenti o articolazioni, tanto che una stessa parola serviva spesso a indicarli tutti, come in pahlavī (v. pay: 'sinew', 'tendon', MacKenzie 1971). Il nostro autore si sforza ugualmente, senza molto successo, di distinguerli:

Chiamiamo nervi quelli che hanno numerose uscite a partire dal cervello, dal midollo spinale, che si ramificano e si moltiplicano in tutto il corpo, e attraverso essi si realizza tutta la forza della sensazione.

Questi [legamenti] sono densi come altri nervi che differiscono da loro perché la loro natura è più dura di quella dei nervi, perché non vi è in essi sensazione e perché non escono dal cervello, né dalla testa, né dal midollo spinale, ma risiedono nelle articolazioni ed escono dalle ossa unendole alle articolazioni. Essi sono quindi uniti a un altro osso che sta sotto di loro, ed è per questo che sono chiamati legamenti: perché legano le articolazioni le une alle altre.

I tendini sono anch'essi della natura dei legamenti e dei nervi, la maggior parte di loro è unita e aderente ai muscoli e sono larghi e sottili. Ed è perché possiedono una parte nervosa che anche in essi vi è la sensazione; ma poiché possiedono insieme anche una parte legamentosa la loro sensazione è debole. (Budge 1913, I, pp. 109-110)

La milza attira per mezzo delle vene l'impurità del sangue proveniente dal fegato, cioè la bile nera, e ne invia una parte allo stomaco per stimolare il desiderio di cibo. Essa è situata nel lato sinistro, al di sotto delle costole chiamate 'straniere', ed è circondata, insieme al ventre e alla membrana che racchiude gli intestini, dalle arterie che la alimentano (ibidem, p. 394).

Gli intestini si dividono in: intestino ṣāwmā (letteralmente 'digiuno'), così chiamato perché è vuoto; il piccolo intestino; l'intestino chiamato 'cieco' (caecum); l'intestino crasso chiamato 'colon', le cui volute raggiungono il fegato, la milza e i reni; e, infine, l'intestino chiamato 'retto' e l'intestino prossimo all'ano (p. 420).

I reni hanno una doppia funzione: estraggono l'urina dal fegato e la trasportano nella vescica e, in secondo luogo, stimolano gli organi del seme perché lo portino ai testicoli. I reni sono situati sul midollo spinale all'altezza dei fianchi, sono l'uno a destra e l'altro a sinistra e, insieme con i lati interni del midollo spinale, sono circondati dalle vene che portano il seme e da quelle che portano l'urina. Essi sono alimentati dalla grande vena chiamata cava (letteralmente 'cavità'), la quale porta il sangue proveniente dal fegato e la loro natura è carnosa e nervosa come quella del cuore (pp. 436-437). Nulla è detto riguardo alla riproduzione a meno che sia stato un argomento trattato negli ultimi capitoli andati perduti.

L'autore non esamina il funzionamento della respirazione e della circolazione del sangue. Seguendo Galeno, egli ritiene che l'insieme del cuore e dei polmoni svolga la medesima funzione e questi sono quindi esaminati soltanto in rapporto alle loro affezioni. L'autore dichiara che il "senso della respirazione" (p. 62) si esercita mediante le cavità superiori del cervello e mediante le narici, le quali svolgono una doppia funzione: sentire e respirare. Probabilmente con questo vuole intendere la sensazione di respirare e non il meccanismo della respirazione. L'organo più importante della respirazione è infatti il diaframma, tanto che i polmoni non hanno movimento indipendente e quando sono compressi sono paragonati a delle spugne schiacciate con la mano.

Per quanto riguarda le malattie e il loro trattamento, il compilatore analizza lungamente i sintomi e fornisce le liste degli ingredienti utilizzati nelle preparazioni farmacologiche. In generale la causa essenziale delle malattie, e persino dei semplici malesseri, risiede nella perdita della giusta proporzione degli umori o delle loro proprietà, e il trattamento consisterà nel ricondurli al loro equilibrio. Così le perdite di regolarità del sonno sono dovute a un cambiamento nella proporzione delle qualità umorali: l'eccesso di umidità e di freddo comporta il sonno profondo e il torpore, mentre la sovrabbondanza di secchezza e di calore favorisce lo stato di veglia e ostacola il sonno. Il freddo produce lo stesso torpore nelle funzioni mentali, e l'autore illustra questo con le parole di Ippocrate: "il sonno e la veglia, entrambi sono malvagi se sono oltre la misura" (p. 6). Non diversamente, il dolore è una conseguenza di mutamenti negli umori: se la bile rossa si mescola alla flemma produce un dolore che origina dalla mescolanza di due opposti, il caldo e il freddo.

Il cervello non dev'essere né troppo secco né troppo umido. Numerose affezioni dipendono dalla sua cattiva costituzione: apoplessia, perdita della memoria (è ipotizzabile, dalla descrizione dei sintomi, che l'autore avesse presente casi di morbo di Alzheimer), epilessia, convulsioni, paralisi e così via. L'epilessia è causata dal chimo (inteso nel senso di umore) denso che blocca le uscite del respiro, ma mai dalla mancanza del chimo o dalla secchezza. Per il trattamento bisogna conoscere dunque se questo chimo più denso ha la sua origine nella flemma o nella bile nera. D'altronde l'eccesso di chimo causa la follia e la demenza.

In generale si sostiene che è meglio 'svuotare' il corpo piuttosto che 'riempirlo', donde la pratica quasi generale del salasso, ma sono raccomandati anche vomiti e purghe, mentre si riempie il corpo di medicamenti semplici o composti. D'altra parte, una regola comune afferma che l'opposto guarisce il proprio opposto e, dunque, dove c'è pienezza occorre creare il vuoto. Ciò che è caldo deve essere raffreddato e ciò che è umido deve essere seccato e viceversa.

I mali alla testa hanno cause esterne, come il calore del sole, il freddo, i colpi, le cadute, il vino, o interne, come la bile nera che è imprigionata nel ventre. Essi sono il sintomo di numerose affezioni: l'ansietà, la depressione, l'epigastria o la flatulenza, le vertigini (che si devono curare tagliando i legamenti dietro le orecchie), l'emicrania e così via. Se il responsabile è lo stomaco, bisogna far vomitare il paziente. Alla patologia del cervello, secondo le otto possibilità di disordini che comportano la perdita dell'equilibrio degli umori e delle loro proprietà (due volte quattro), è altresì ricondotta la diversità dei tratti del volto o dei capelli. Anche il raffreddore ha la sua origine nel cervello: è ciò che cola dal cervello nelle narici, mentre il catarro è ciò che cola dal cervello nella bocca. I disturbi oculari sono spiegati con il "fumo del chimo" nelle arterie e nelle vene che sale fino agli occhi, paragonato al fumo di una lampada a olio! L'autore passa poi in rassegna le malattie nervose: spasmi (le membra diventano rigide a causa di un'umidità o di una secchezza insufficienti), paralisi, emiplegie, soffocamenti, e così via.

Le emorragie hanno una causa esterna (taglio) o interna: in seguito alla sovrabbondanza di sangue, non potendo più essere contenuto dalle vene e dalle arterie, si produce un'effusione. L'autore aggiunge anche una terza causa: la gangrena o cancro. La rottura di una vena può derivare anche dall'eccesso di calore, causato per esempio da frequenti bagni nell'acqua calda, dalla stagione calda, da cibi o bevande calde.

Da questi esempi è chiaro che ogni malattia si riduce alla teoria degli umori della medicina greca. Così, ancora, la sete è il risultato di un chimo salato e amaro nel ventre, che diviene caldo; mentre il freddo nel ventre, che svuota gli organi, produce la fame. L'ascesso polmonare (pleurite?) è causato da uno dei quattro umori. Lo si tratta con il salasso, ma si possono anche applicare sul petto degli impiastri, dei cataplasmi e degli unguenti. Bisogna somministrare al paziente cibi leggeri e rimedi specifici. Fra questi ultimi l'autore indica una preparazione che è chiamata 'immortalità' da coloro che l'hanno provata: essa è composta da 49 ingredienti diversi e può curare un buon numero di affezioni, essendo indicata per chi soffre d'asma, di tosse continua, di un fortissimo raffreddore di petto, di un'occlusione del fegato, di deterioramento dei chimi, di diarrea. In più questo rimedio stimola il desiderio di cibo, dona colorito al viso, purifica il corpo, discioglie i calcoli renali, guarisce la ritenzione d'urina (stranguria), fa cessare la tristezza dell'anima (depressione), impedisce alla bile nera di danneggiare il corpo, protegge il feto nel ventre, guarisce le numerose malattie che colpiscono le donne, produce un aumento della vista, impedisce che l'uomo sia danneggiato da rimedi nocivi e libera dal veleno mortale (pp. 244-245).

La bulimia che è chiamata 'canina' si cura con vino caldo e cibo grasso (sic!), in ragione del freddo eccessivo che si trova nello stomaco. L'autore tratta ampiamente altri disturbi dello stomaco, come il singhiozzo, le nausee, le ulcere. In generale bisogna far vomitare il paziente e come emetico è consigliato il radicchio aggiunto al miele.

Il fegato riceve il "succo bianco" dallo stomaco per mezzo delle vene e lo trasforma in sangue, quindi l'invia attraverso la grande vena chiamata 'porta'. Il succo sarà così distribuito in tutto il corpo, comprese le membra più lontane. Il fegato può trovarsi nelle otto condizioni differenti determinate dalle quattro qualità degli umori, che causano modificazioni nel sangue, nelle vene, nei peli del ventre, nella flemma, e così via. Si tratta, come sempre, di un'applicazione della teoria umorale alla fisiologia. Come ha dimostrato la dissezione di scimmie e di altri animali, il fegato può essere attaccato a una costola e può essere affetto da ulcere o da idropisie, causate da un difetto nella trasformazione del chimo in sangue o in un eccesso di freddo o, al contrario, di calore. In tutti questi casi il rimedio da applicare è il salasso.

Un medicamento che porta nuovamente l'eloquente denominazione di 'immortalità' è composto, fra gli altri ingredienti, da fegato di lupo! Esso serve per il fegato, la milza, lo stomaco, in caso di dissenteria, di flatulenze, di tosse, di perdite di sangue dalla bocca.

L'itterizia è causata da un indebolimento della cistifellea: la bile nera, che ha qui la sua sede, ristagna nel sangue e quindi in tutto il corpo, mentre dovrebbe essere evacuata attraverso le vene. Vi sono diverse specie di itterizia: può comparire durante le crisi febbrili, quando la bile rossa si diffonde in tutto il corpo, o per un morso di vipera o di altro rettile, che modifica il colore del corpo, o in seguito a un cambiamento delle condizioni del fegato, o in relazione alla milza, o, infine, quando è colpita la cistifellea. Per la sua cura si ricorre a bagni o a unzioni con olio aromatico allo scopo di far sciogliere la bile. Quando vi è un indebolimento della milza la bile nera sale dal fegato in tutto il corpo e colui che ne soffre diventa di colore nero.

L'autore distingue tre malattie dei reni. La prima è organica e consiste in un'ulcera o in un'ostruzione dovuta al chimo o a una pietra (calcolo). Un'altra, chiamata 'somiglianza delle parti', si produce quando i reni sono caldi, o freddi, o secchi, o umidi. La terza, infine, consiste in una dissoluzione dell'organo, quando in esso si crea un'apertura. I sintomi sono una febbre improvvisa o un calcolo nei reni o nella vena (sic!) che porta alla vescica.

Se il funzionamento degli organi e le loro affezioni sono spiegati continuamente per mezzo degli umori e delle loro proprietà, non mancano, tuttavia, anche diagnosi basate su un'attenta osservazione clinica, come nel caso delle affezioni degli occhi (pp. 75-80).

Giorgio Warda (Gîwargîs Wardā, XIII sec.)

Giorgio Warda non è un medico ma un poeta, cui si devono alcuni inni composti tra il 1223-1224 e il 1235-1236 e inseriti successivamente nella liturgia nestoriana (Baumstark 1922). È anche autore di una poesia sulla storia apocrifa dell'infanzia di Gesù. Ma soprattutto è ricordato come autore di un poema, il Mēmrā sull'uomo microcosmo, tuttora inedito e trasmesso attraverso numerosi manoscritti (Baumstark 1922; Vosté 1929; Gignoux 1998).

Le concezioni dell'uomo proprie di Warda sono chiaramente dipendenti da quelle di Ahudemmeh e, attraverso l'autore nestoriano, dalla medicina greca; ma il poeta, le cui qualità letterarie sono, peraltro, modeste, presenta talvolta alcune osservazioni originali che non trovano riscontro altrove, almeno per la letteratura siriaca. A ogni modo l'autore ci offre un quadro completo delle speculazioni sul macrocosmo-microcosmo che sono il "bene comune di tutte le scuole" (Tardieu 1984, p. 304).

Sulla scia dell'esegesi nestoriana, Warda considera l'uomo come il 'legame della creazione' fra gli esseri spirituali e quelli corporei. Quindi pone l'uomo in relazione con lo spazio e il tempo, con i quattro punti cardinali, con le ore del giorno e della notte e con le quattro stagioni, facendo anche riferimento alla teoria che fa dipendere il suo carattere dalle differenti regioni del mondo. Così è posta un'equivalenza fra i quattro elementi, i quattro umori, le loro doppie proprietà o qualità, le quattro direzioni, le quattro età della vita, le quattro stagioni e le quattro divisioni del giorno e della notte.

Dopo aver ricordato a grandi linee queste relazioni, proprie della teoria del macrocosmo-microcosmo, Warda esamina le potenze dell'anima, seguendo pressoché alla lettera Ahudemmeh. L'anima ha due potenze, quella razionale, cui fanno capo la conoscenza, il ragionamento e il pensiero (rispetto ad Ahudemmeh tralascia l'intelligenza, hawnā), e la vitalità, cui sono proprie la collera e il desiderio. Verso la fine del poema l'autore ritorna su questa teoria, precisando, conformemente al suo precursore, che il desiderio si colloca fra la moderazione e la sregolatezza, la collera invece fra la serenità e l'irascibilità. Anche al corpo attribuisce le medesime potenze dell'anima, quanto meno quelle della vitalità, a cui si aggiungono i cinque sensi, che sono uniti alla razionalità, e, in maniera per la verità incompleta e disordinata, assegna loro una sede nei principali organi del corpo.

Più completa e sistematica è la parte dedicata all'anatomia, che costituisce una sintesi delle conoscenze mediche del suo tempo. In primo luogo prende in esame i quattro elementi cosmici e li pone in relazione con i quattro umori. Si compiace soprattutto di determinare i caratteri di coloro in cui predomina questo o quell'elemento, i mali che ne derivano e di paragonarli con questo o quell'animale. Ricorda le quattro potenze del corpo, senza tuttavia rispettare l'ordine di Ahudemmeh e omettendone la quinta, la concupiscenza. Il settenario corporeo (sangue, midollo, carne, nervi, ossa, pelle e capelli) è appena menzionato. Quindi Warda distingue dodici organi, di cui sei interni (midollo, stomaco, cuore, fegato, reni e milza) e sei esterni (i cinque sensi e il membro virile), poiché vi sono dodici mesi, mentre Ahudemmeh non ne contava che dieci (gli stessi, meno la milza e il membro virile) e mentre Filone d'Alessandria menziona sette organi interni (aggiunge il polmone) e sette esterni (aggiunge l'organo della fonazione) per conformarsi al settenario che ritrova ovunque.

In seguito, il nostro poeta enumera 248 ossa del corpo umano e le elenca procedendo dalla testa fino ai piedi; è tuttavia difficile constatare l'esattezza di quest'inventario il quale, nondimeno, sembra appoggiarsi su un'osservazione diretta dello scheletro.

Warda dedica poi molto spazio al problema della riproduzione umana: il seme è non solo nel midollo, come riteneva la comune credenza, ma anche nei seni, nello stomaco e nei reni, poiché questi organi gli forniscono le quattro proprietà (caldo, freddo, secco, umido) che essi possiedono in misura diversa. Il seme agisce in questi organi, ma è soltanto nel grembo materno che esso porta allo sviluppo dell'embrione.

La circolazione sanguigna è trattata molto succintamente: il fegato è designato come sede del sangue; l'interesse di Warda è volto soprattutto a enumerare le diciotto arterie e vene che irrorano il corpo attraverso i polmoni, lo stomaco, il fegato, la milza e i reni. Infine l'autore si sofferma sugli organi principali: il cervello, da cui si originano i sensi; il cuore sede dell'intelletto; il polmone, simile a un otre che si gonfia e si rilassa (paragone, questo, un po' diverso da quello di Gregorio di Nissa, che aveva utilizzato un mantice da fucina); l'ugola, descritta come un velo che racchiude i polmoni e impedisce in tal modo che vi penetri il cibo; lo stomaco, che serve per ridurre in poltiglia il cibo, secondo la concezione tradizionale; la milza simile a una spugna piena d'acqua; gli ipocondri sede del riso e delle lacrime; i reni concepiti come le fondamenta del cuore e muri dei testicoli; la vescica sede dell'urina; gli intestini, di cui Warda descrive soprattutto quello cieco, che serve a espellere gli scarti. Come è possibile vedere, l'autore è soprattutto un poeta che si compiace di definire ogni organo per mezzo di un paragone. Particolarmente interessante è la descrizione della bile simile alla "miscela di spezie" utilizzata per imbalsamare i cadaveri: una notazione interessante per la storia dei riti funerari in ambiente nestoriano. Così Warda dedica un'intera pagina a mettere in relazione i diversi caratteri umani con i comportamenti propri degli animali.

Va detto, infine, che Warda conosce la teoria delle potenze corporee: tre relative alla procreazione e allo sviluppo dell'essere umano, e altre quattro che servono alla digestione, descritte come nel Trattato siriaco dei medicamenti, evidente prestito dalla fisiologia di Galeno.

Barebreo

Nel suo vasto trattato intitolato Il candelabro dei santuari, Barebreo ha dedicato l'ottava delle dodici 'basi' che lo compongono all'anima razionale, mostrando un'ampia conoscenza delle teorie mediche greche e siriache.

Per definire l'anima fa ricorso a differenti teorie. Il corpo è un insieme dei quattro umori o dei quattro elementi: il soffio vitale (rûḥā) sale dal cuore verso il cervello; le membra solide dell'uomo che traggono origine dal seme sono le ossa, i nervi, le vene e le arterie, ma la carne e il grasso derivano dal sangue e non dal seme. Gli organi principali sono il cuore, il fegato e il cervello, che costituiscono l'anima (nap̄šā); essi sono simili in tutti gli uomini. Il cervello ha tre ventricoli: quello anteriore è sede della fantasia, quello intermedio della riflessione e quello posteriore della memoria, il che corrisponde alla teoria di Galeno. Essi differiscono per un diverso grado di umidità (maggiore nel ventricolo anteriore e minore in quello posteriore) o di calore (predominante in quello intermedio). Il cuore ha due ventricoli: quello destro e quello sinistro; in quest'ultimo, secondo l'insegnamento di Galeno, un corpo aereo e pneumatico è immesso nelle arterie e dà alle membra la forza e il calore naturale. Le tre facoltà che hanno sede nei tre organi principali sono la razionalità, la collera e il desiderio.

Sulla scorta di Galeno, Barebreo instaura poi un'interessante relazione tra fisiologia e dietetica: il senso di fame è provocato dal versamento di una parte della bile nera della milza nello stomaco; coloro nel cui stomaco predomina la flemma desiderano cibi piccanti, acidi, mentre coloro nel cui stomaco predomina la secchezza desiderano cibi grassi e dolci. Le differenze nel desiderio sessuale sono invece legate alle diverse proprietà degli elementi che caratterizzano i temperamenti: nei temperamenti caldi e umidi, il desiderio sarà molto forte, mentre per quelli freddi e secchi, accadrà il contrario; nei temperamenti caldi e secchi e in quelli freddi e umidi il desiderio sarà medio. Il seme proviene da un corpo che è formato da quattro sostanze (kyānē), ma in esso predominano il fuoco e l'aria: ciò si vede dalla sua schiuma e dal fatto che esso è sciolto dal freddo.

Barebreo sostiene il primato del cuore sul cervello, poiché il primo è posto al centro del corpo mentre il secondo si trova a una sua estremità. Il cuore, con il quale l'anima ha un legame privilegiato, è dunque l'organo principale: è il primo a svilupparsi mentre è l'ultimo a cessare le proprie funzioni. In esso, come già sosteneva Aristotele, è concentrato tutto il calore, che non è presente nel cervello, essendo freddo. Barebreo rifiuta l'opinione di Galeno secondo cui il cervello sarebbe la fonte della percezione e del movimento in quanto sensazione e movimento, producendosi per il calore e cessando per il freddo, traggono la loro origine dal cuore. Il nostro autore adduce un'altra ragione per provare che è il cuore, piuttosto che il cervello, lo strumento dell'anima: il suono, sostiene, è prodotto con il concorso del cuore, mentre per Galeno esso proviene dal cervello, poiché lo strumento che produce i suoni è la laringe, le cui cartilagini sono mosse da muscoli il cui movimento dipende dai nervi che provengono dal cervello. A ciò Barebreo obietta che il suono è prodotto dal fiato e che il fiato esce dal cuore.

Infine Barebreo, affermando di riportare l'insegnamento di Efrem, enuncia la teoria delle sette potenze naturali già incontrata in Ahudemmeh e in Simone di Taibutheh: tre 'servite' (generativa, nutritiva e accrescitiva) e altre 'serventi' (potenza attrattiva, ritentiva, emolliente e repulsiva).

La farmacopea

La farmacopea siriaca è erede di una lunga tradizione greca: Ippocrate aveva utilizzato 350 piante, fra cui la belladonna e il giusquiamo; Teofrasto descrive 450 piante; Dioscuride dispone di un erbario di 500 piante (Barebreo ne ha dato un estratto in un capitolo del suo Il candelabro dei santuari); Plinio il Vecchio è una miniera di informazioni sui più diversi usi delle piante medicinali (Libri XX-XXV della sua Naturalis historia); infine Galeno ha descritto anch'egli circa 400 piante nei Libri VI-VIII del suo Trattato dei semplici, che furono tradotti da Sergio di Reshaina. Lo stesso Galeno è il promotore dell'utilizzazione degli estratti di piante, ampiamente attestati nei trattati siriaci.

Oltre alle fonti greche, vi è una lunghissima tradizione farmacologica che risale agli Egizi, agli Assiri e ai Babilonesi (v. vol. I) e che andrebbe esaminata per valutare la sua influenza sui Siri. Com'è naturale, vista l'influenza di Galeno, la maggior parte dei nomi di piante o di altre sostanze proviene dal greco; ma vi è anche un numero per nulla trascurabile di termini derivante dal sanscrito o dall'iranico. Riguardo a questi ultimi, sarebbe prematuro proporre una statistica, poiché l'origine iranica di numerose parole non è ancora sufficientemente chiarita. Resta il fatto che in siriaco sono attestate anche denominazioni proprie e che certe erbe, quale che sia la loro origine linguistica, restano ancora non identificate.

Nelle diverse opere la documentazione è organizzata in maniera differente: nel trattato anonimo è necessario ricavare dalle ricette medicamentose le differenti categorie di ingredienti che le compongono, mentre nel ms. syr. 423 della Bibliothèque Nationale di Parigi il compilatore enumera i diversi usi benefici di tale o talaltra pianta o sostanza, un po' alla maniera di Plinio e si ha dunque un catalogo più accessibile di piante e di erbe.

Il ms. syr. 423 è datato 1901 e, sulla base di una nota lasciata da R. Degen, una parte corrisponderebbe al contenuto del ms. Mingana syr. 594; il seguito, benché il suo nome non vi compaia, proverrebbe dal libro sulla Dietetica di Ḥunayn ibn Isḥāq, mentre la fine sarebbe un estratto del libro di Galeno sull'urina.

Nella prima parte del ms. syr. 423 (ff. 3v-54r), l'autore tratta dapprima alcune resine: la gomma mastice, l'incenso, la resina di terebinto, la mirra, di cui elenca le numerosissime applicazioni (purifica la testa, calma la tosse, purifica le vene durante le mestruazioni, è utile per lo stomaco, per gli intestini, per l'ano in caso di emorroidi e libera dai vermi). Dopo le resine sono esaminate tutte le specie di piante medicinali, senza un ordine apparente: gli estratti di liquirizia, di edera, la gomma adracante, lo zenzero, il pepe, simile allo zenzero per le sue qualità, il pepe bianco e quello nero (il trattato anonimo pubblicato da Budge 1913, I, ne conosce ugualmente tre tipi) che si deve mescolare con il finocchio, la radice di maggiorana e il miele, che aiuta a vedere meglio di notte, l'olio di commofora, il lichene, la canna aromatica, l'aloe, il seme del prezzemolo di montagna, l'amomo, il marrubio, l'agrimonia, il sedano dei prati, la valeriana, il lepidio, l'asaro, il lentisco, il croco da zafferano, l'alloro, il camedrio, il cumino dei prati, il seme di sedano, il seme di finocchio, l'anice, la pastinaca, la nigella, il crescione, il cardamomo, la rosa, che fortifica le membra interne ed esterne, lo zucchero di canna, l'amido, l'olio di mandorle dolci o amare, la santoreggia, l'iva, la corteccia di cipresso, il giglio, il timo, i cui fiori inibiscono la bile nera. Per inibire la flemma bisogna utilizzare la resina di storace mescolata a quella di terebinto, tuttavia anche la radice di coloquintide può essere impiegata allo stesso scopo, oppure il croco bastardo mescolato all'orzata e al sale.

L'autore fornisce, come si vede, vere e proprie ricette, con indicazioni sulla quantità degli ingredienti, in dracme o in once, e sulle parti del corpo da curare: così il latte di donna, bevuto con miele e vino, frantuma i calcoli dei reni e della cistifellea. La cannabis libera dalla stanchezza; il cappero, la noce di galla, il frutto del carrubo, che scioglie il ventre, il prugno, il seme di coriandolo, il melo persiano guariscono dai vermi intestinali. Per gli ascessi si utilizzano bendaggi di foglie di quercia, salice, vite, o di foglie di piantaggine e di papiro, di crescione, bietola o lattuga. L'aristolochia è utile per gli ascessi della testa o dei reni, o come analgesico generale. Una miscela di cera rossa, grasso di capra e olio di nardo serve a curare i testicoli induriti dal freddo. Il seme di giusquiamo, di nigella coltivata, la camomilla e l'aneto, con l'uva bianca, il grasso di cervo e l'olio di giglio costituiscono un'altra preparazione utile per lo stesso male.

Segue una serie di ricette in cui l'interesse è innanzitutto rivolto alla malattia e alle sue cure e non più alla pianta medicinale di cui si descrivono i benefici: le pustole (con il fico, frutti e foglie); l'idropisia (con acqua di prezzemolo e di finocchio); le coliche; la pleurite; la raucedine (con l'estratto di liquirizia); le bruciature (con acqua di olive salate, aceto e olio di rosa); la tosse (con un decotto d'acqua di melagrane e di mele o di canna da zucchero); le asfissie (con il succo di more); i rilasciamenti di bile (con estratto di mela cotogna); la scabbia e le ulcere delle mani e dei piedi (mediante unzioni con noce di galla e olio d'oliva); i tumori degli occhi e del volto (con sterco di gallo pestato nel miele); la stranguria; l'insensibilità dei nervi o la gotta. Infine, per far cessare il desiderio sessuale e la polluzione notturna si impiegheranno i semi di armalina, di nigella coltivata, di giusquiamo e di lattuga, presi prima di coricarsi.

La seconda parte del ms. syr. 423 è un trattato di dietetica generale, forse dovuto a Ḥunayn ibn Isḥāq, che raccoglie e mette a confronto le opinioni di diversi autori su uno stesso prodotto. Queste opinioni sono tratte non soltanto da Galeno, ma anche da Ippocrate, Anto, Senocrate, Dioscuride, Rufo e così via. Sono passati in rassegna, in tre successivi Mēmrē, le qualità dei pesci: quelli di mare sono migliori per lo stomaco rispetto a quelli d'acqua dolce, che sono, sembra, difficili da digerire. Allo stesso modo è operata una distinzione fra i frutti e le bacche secondo le stagioni: i frutti secchi sono migliori per la salute di quelli freschi. Si apprende, grazie a Ippocrate, che i mezzi di conservazione alimentare sono il congelamento (precisamente, la neve), il miele, il vino, l'aceto e, infine, il sale.

Sono quindi analizzati tutti i prodotti alimentari: il frumento e l'orzo con cui si fa il pane, il riso e il miglio, le lenticchie, i fagioli e i piselli, i lupini, i fagiolini, il sesamo, il seme di papavero e di lino, lo zafferano, le zucche, i meloni, i cetrioli e tutta una lunga serie di frutti: fichi, uva, more, albicocche, mele, mele cotogne, pere, melagrane, giuggiole, datteri, olive, noci, castagne, mandorle, pistacchi, prugne, carrube, capperi, limoni, e così via.

Il terzo Mēmrā riguarda gli ortaggi e deriva dal trattato galenico Sulle lattughe: cicorie, malve, erbe coltivate, bietole, crescione, cavolo, prezzemolo, ruchetta coltivata, ruta, ravanello selvatico, cipolle, aglio, porri, funghi. Sono distinte quattro specie di acqua: l'acqua naturale, l'acqua di sorgente, l'acqua mrgds̆ (amara?) e l'acqua che è allo sbocco di una sorgente.

Il trattato anonimo pubblicato da Budge fornisce un grandissimo numero di ricette, sulla base di una vasta gamma di sostanze minerali, animali e, soprattutto, botaniche.

Si vede dunque l'immensa varietà di prodotti che rientrano nelle preparazioni farmaceutiche, le quali possono essere costituite da tre o quattro fino a trentacinque ingredienti! Di ciascuno di essi è indicata la quantità da utilizzare (in statere, dracme, grammi, once, dānqē [1/4 di dracma] o in litri), così come il procedimento di preparazione, mentre le applicazioni mediche sono in genere riportate subito dopo la denominazione del medicamento.

Infine, occorre sottolineare quanto questa medicina popolare tenesse in conto anche l'astrologia, determinando i segni zodiacali non solo i caratteri umani, ma anche le circostanze favorevoli o meno per tutto l'anno; ma questo riguarda soprattutto l'oroscopia.

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