Memoria

Universo del Corpo (2000)

Memoria

Alberto Oliverio e Bruno Callieri

Il termine memoria indica il processo legato alla genesi di una modificazione (traccia mnemonica) di un substrato, attraverso il quale un determinato effetto persiste e diviene suscettibile di rimanifestarsi nel corso di ulteriori situazioni. In particolare, la memoria è la funzione psichica, che nell'uomo raggiunge il completo sviluppo, di riprodurre nella mente stati di coscienza passati (immagini, sensazioni, nozioni) e di riconoscerli come tali, localizzandoli nello spazio e nel tempo. La ritenzione mnemonica è dotata di capacità limitate, cioè non tutte le informazioni ricevute sono completamente e perennemente disponibili; il rendimento del processo mnestico dipende dalle condizioni di acquisizione, dalla qualità del materiale di apprendimento, dai fattori fisici e motivazionali del soggetto. Accanto al ricordare e rammentare va considerato l'oblio, il quale è in funzione del tempo e degli eventi, della presenza o meno di ripetizioni e rinforzi, di interferenze, cioè di informazioni che si sovrappongono e si inibiscono reciprocamente. L'analisi della riproduzione mnemonica consente di distinguere un tipo di memoria a breve termine, che soggiace in larga misura all'oblio e alle diverse azioni di disturbo, e un tipo di memoria a lungo termine, più resistente all'oblio e più stabile. Secondo la psicologia del profondo, spetta all'oblio il mantenimento costante dell'equilibrio psicodinamico mediante la rimozione di contenuti mnestici sgraditi o soltanto inutili.

Ricerche sperimentali e neurofisiologia

di Alberto Oliverio

l. Dalle mnemotecniche alle prime ricerche sperimentali

I primi tentativi di elaborare un'arte del ricordare risalgono a circa 2500 anni fa, quando il poeta Simonide di Ceo ideò la cosiddetta arte della memoria: si trattava di un esercizio del ricordo che trovò largo seguito sia nel Medioevo cristiano sia nel Rinascimento, quando i filosofi e i cultori della retorica cercarono di tracciare rappresentazioni dello scibile che abbracciassero in modo sistematico un insieme di cognizioni, mettendo a disposizione degli uomini un affresco sistematico del sapere, una vera e propria 'mappa' ordinata e accessibile. Nel Rinascimento queste mappe vennero inserite nei 'teatri della memoria' in cui ciascun dato o idea veniva sistemato in una casella particolare, all'interno di una casa oppure di una città ideale la cui struttura schematizzava l'universo conoscibile. Filosofi come Giulio Camillo o Giordano Bruno ritenevano che il ricordo del complesso di queste strutture simboliche avrebbe richiamato alla mente, nella giusta sequenza, i singoli elementi di un sapere: dalla teologia alla cosmologia, dalle leggi ai principi della morale. Si trattava di associare ogni singola stanza di un palazzo, ogni piazza di una città ideale a un ricordo che preludeva a un altro e così via sino a scoprire, stanza dopo stanza, piazza dopo piazza, un intero sapere. Questa tecnica del ricordare presupponeva un ristretto numero di conoscenze e una lenta evoluzione culturale, ma il principio delle cosiddette mnemotecniche o arti della memoria era solido: richiedeva infatti che i ricordi si strutturassero sulla base di associazioni, che si consolidassero tramite la ripetizione e che vi fosse qualche interazione tra le attività cognitive, cioè l'apprendimento di una serie di informazioni, e quelle emotive. Tutti principi empirici che corrispondono ad alcune fondamentali nozioni degli studi contemporanei sulla memoria.

Le prime ricerche sperimentali sulla memoria risalgono alla fine del 19° secolo, quando, per es., l'ipotesi sull'esistenza di due tipi di memoria, una a breve, l'altra a lungo termine, fu formulata dallo psicologo sperimentale tedesco H. Ebbinghaus. La sua tecnica consisteva nello stabilire il numero di prove o il tempo necessari per l'apprendimento di una serie di liste composte dallo stesso numero di sillabe senza significato. Attraverso questa strategia fu possibile stabilire una 'curva di acquisizione', che esprime il rapporto esistente tra la lunghezza delle liste di sillabe ricordate e il numero di presentazioni (ripetizioni) necessarie a che le sillabe siano ritenute in memoria. Ebbinghaus, il quale svolse la maggior parte di questi studi su sé stesso, valutò inoltre la forza o il perdurare di un particolare ricordo attraverso il 'metodo di economia', o del risparmio nel riapprendimento: esso consentiva di tracciare una curva dell'oblio, basata su una valutazione del numero delle prove necessarie a riapprendere liste di sillabe senza senso memorizzate in precedenza e il cui ricordo si è affievolito. Questo metodo consentì di mettere in luce la fragilità della traccia mnemonica costituitasi, indicando come il materiale memorizzato venisse progressivamente dimenticato con il tempo; alla fase iniziale del declino, in cui l'oblio era di notevole entità, ne subentrava in seguito una di stabilità relativa. Gli studi di Ebbinghaus e altri successivi di G.E. Müller e A. Pilzecker, che hanno evidenziato il ruolo esercitato sui processi di ritenzione da fattori positivi e negativi immediatamente consecutivi all'apprendimento (interferenza), hanno consentito di definire una serie di concetti relativi alla memoria prima che fossero conosciute le sue basi fisiologiche.

2.

Le leggi della memoria

Malgrado esistano differenti interpretazioni sulla durata di processi quali la memoria a breve o a lungo termine e malgrado vi siano altri tipi di memoria, come la memoria procedurale, che è alla base di automatismi quali i movimenti usuali, e la memoria semantica (o proposizionale), i processi mnestici sono oggi inquadrati in uno schema in cui da una memoria instabile e fragile della durata di alcuni secondi o minuti si passa a una stabile attraverso un processo che viene definito di 'consolidamento della memoria'. Nei classici esperimenti condotti da Ebbinghaus e da Müller e Pilzecker vennero precisate le caratteristiche degli stimoli che provocano interferenza con il consolidamento delle memorie a breve in memorie a lungo termine. In generale è stato dimostrato che quanto più uno stimolo ha assonanza con quello presentato in precedenza tanto maggiore è l'interferenza. Mentre l'interferenza esercita un effetto negativo sul passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, la ripetizione ne esercita uno positivo. L'ipotesi che la memoria venga consolidata in forma stabile a partire da una traccia labile fu proposta da Müller e Pilzecker, i quali notarono che i soggetti sperimentali dimenticano il materiale appena appreso se viene loro richiesto di impararne dell'altro subito dopo il primo apprendimento, mentre l'oblio è meno rilevante se intercorre un certo periodo di tempo tra le due sedute di apprendimento. Secondo i due psicologi tedeschi, il secondo apprendimento esercita un effetto negativo sulla memorizzazione in quanto interferisce con il consolidamento del primo. La teoria del consolidamento è quindi in grado di spiegare i fenomeni di interferenza retroattiva, cioè l'amnesia retrograda indotta da un secondo apprendimento a breve distanza dal primo.

L'interferenza retroattiva rappresenta soltanto una delle cause dell'oblio di informazioni che vengono registrate unicamente sotto forma di memorie a brevissimo o a breve termine (si pensi a un numero telefonico nuovo); tuttavia anche i ricordi ben consolidati vanno incontro all'oblio. Anche questo fenomeno venne studiato sperimentalmente da Ebbinghaus: egli imparò a memoria diverse serie di liste contenenti sillabe senza senso; poi riapprese una lista dopo 20 minuti, un'altra dopo un'ora, e infine dopo uno o più giorni, ripetendo questo procedimento per più di cento volte. La curva dell'oblio che ne risultò indicò che all'inizio si verifica una rapida caduta della capacità di ricordare, mentre in seguito il processo di oblio diviene più lento. La curva ottenuta da Ebbinghaus si presentava pertanto opposta rispetto a quella ottenuta nel corso dell'apprendimento. Il concetto di interferenza retroattiva fu ripreso intorno alla fine degli anni Quaranta del 20° secolo dagli psicologi sperimentali che, oltre a ispirarsi ai classici studi citati in precedenza, erano stati suggestionati dai dati clinici conseguiti da uno psichiatra italiano, U. Cerletti, cui si deve l'introduzione dell'elettroshock nella terapia delle schizofrenie. Questa pratica terapeutica, oggi utilizzata solo nel trattamento delle forme depressive gravi, comporta una disorganizzazione di varie funzioni nervose, tra cui un effetto amnestico che colpisce la memoria di avvenimenti verificatisi prima del trattamento elettroconvulsivo. Un effetto analogo si verifica a seguito di traumi cranici. In questi casi l'infortunato presenta un'amnesia selettiva per gli eventi immediatamente precedenti l'incidente, mentre i ricordi più antichi non subiscono alterazioni. Questo tipo di perdita della memoria, definita amnesia retrograda, si verifica anche negli animali sottoposti a trattamento con elettroshock subito dopo il test di apprendimento e costituisce un modello sperimentale utilizzato per studiare i tempi e i modi del processo di consolidamento sin dal 1949, quando C.P. Duncan stabilì che l'effetto amnestico dell'elettroshock è tanto più evidente quanto più il trattamento è vicino alla fine dell'esperienza di apprendimento.

Nel suo classico esperimento Duncan utilizzò diversi gruppi di ratti che dovevano imparare a evitare una blanda punizione. Gli animali venivano sottoposti a una sola prova al giorno per 18 giorni consecutivi e dopo ogni prova ricevevano un elettroshock. Tuttavia, mentre alcuni ratti ricevevano il trattamento subito dopo la fine di ogni prova (entro 20 secondi dall'esperienza di apprendimento), altri venivano sottoposti a esso diversi minuti od ore dalla fine della prova. Duncan notò che si verificava un'amnesia retrograda soltanto nel caso in cui l'elettroshock veniva somministrato entro un'ora. Egli interpretò questi risultati immaginando che, se entro breve tempo dalla fine di un'esperienza si perturba l'attività elettrica dei neuroni attraverso l'azione dell'elettroshock, si interferisce con il consolidamento della memoria, mentre trattamenti più tardivi sono inefficaci essendosi formate modifiche stabili a livello delle sinapsi. Esperimenti successivi, soprattutto di J.L. McGaugh e coll., hanno chiarito le modalità d'azione dell'elettroshock nel consolidamento della memoria, mostrando come l'entità dell'amnesia dipenda dall'intensità dello shock e dall'area cerebrale coinvolta. Trattamenti elettroconvulsivi di forte intensità provocano un'amnesia anche se somministrati a qualche distanza dalla fine dell'apprendimento e l'effetto amnestico è più evidente se è interessata la corteccia posteriore anziché quella frontale.

All'inizio degli anni Cinquanta, D.O. Hebb propose una teoria che sottolinea l'importante influenza esercitata dalla ristrutturazione funzionale o strutturale dei circuiti nervosi nei processi di memoria e apprendimento. A lui si deve infatti la cosiddetta ipotesi della doppia traccia dell'immagazzinamento mnestico, secondo cui un'esperienza mette in moto dei circuiti nervosi che sono responsabili di una codificazione 'a breve termine', basata sull'attivazione bioelettrica di alcuni neuroni o di un circuito nervoso (loop) che codificano l'informazione sotto forma instabile. A questo tipo di codificazione ne subentrerebbe una stabile, una memoria a lungo termine legata a modifiche irreversibili della struttura dei neuroni o dei circuiti nervosi. Il modello teorico messo a punto da Hebb, considerato tuttora valido nelle sue linee principali, presuppone pertanto l'esistenza di due tipi di memoria, una a breve termine, fragile o transitoria, e una a lungo termine, duratura e stabile. I due tipi di memoria farebbero capo a modifiche 'funzionali' a livello delle sinapsi nervose, nel caso della memoria a breve termine, e a modifiche 'strutturali' o permanenti a carico delle sinapsi nervose e dei neuroni nel caso della memoria a lungo termine. In particolare, le modifiche funzionali sarebbero legate ad alterazioni bioelettriche e quelle strutturali alla stabilizzazione di alcune sinapsi, responsabili della formazione di un circuito nervoso permanente in grado di mantenere in vita un ricordo. Le teorie formulate da Hebb implicano pertanto una plasticità dei neuroni, tale da rendere possibili modificazioni della trama nervosa. Il modello descritto ha ricevuto diverse conferme sperimentali dagli studi sulle basi biochimiche della memoria.

3.

Apprendimento e sintesi proteica

All'inizio degli anni Sessanta, il biochimico svedese H. Hydén misurò i livelli di acido ribonucleico (RNA) e di sintesi proteica nel cervelletto di ratti che erano stati sottoposti all'apprendimento di un esercizio motorio, consistente nell'imparare a camminare in equilibrio su un filo teso tra due sostegni. Negli animali allenati era evidente un aumento dell'RNA dei neuroni del cervelletto, l'organo che regola l'equilibrio e la coordinazione dei movimenti degli arti: Hydén attribuì questa variazione agli effetti dell'apprendimento. Anche se i dati di Hydén rispondevano a fenomeni reali e se l'aumento della sintesi proteica rispecchiava modifiche permanenti a carico delle strutture nervose coinvolte nei processi mnestici, questi risultati portarono a concezioni semplificanti del consolidamento della memoria. Molti scienziati ne trassero la convinzione che a un apprendimento specifico potesse corrispondere la sintesi di una determinata proteina, responsabile della codificazione di quella particolare memoria. Essi ritenevano che, come la memoria genetica fa capo a un particolare codice molecolare, così anche la memoria propriamente detta potesse dipendere dalla sintesi di una particolare sequenza molecolare o da una particolare proteina responsabile di un ricordo specifico. Successive ricerche indicarono che, in effetti, la sintesi proteica costituisce un momento essenziale dei fenomeni di ristrutturazione delle trame neuronali che comportano una stabilizzazione oppure una crescita delle sinapsi, ma non della codificazione di un particolare ricordo da parte di una specifica proteina. Il processo di codificazione della memoria sembra essere ben più complesso di quanto si ritenesse agli inizi degli anni Sessanta. Hebb aveva postulato l'esistenza di una memoria a breve termine legata a modifiche bioelettriche dell'attività neuronale, parlando di un''attività neuronale di riverbero', per effetto della quale l'informazione connessa a un'esperienza da memorizzare sarebbe inizialmente convertita in una traccia bioelettrica, circolante per qualche tempo in un circuito formato da un insieme di neuroni connessi tra di loro da sinapsi. La scoperta del cosiddetto potenziamento a lungo termine o LTP (Long term potentiation) da parte di T.V. Bliss e T. Lomo ha fornito una conferma a quest'ipotesi.

Un circuito neurale è formato da una catena di più neuroni che si scambiano informazioni attraverso le sinapsi o 'giunzioni'. Nella sua forma più semplice esso può essere composto di due neuroni separati tra di loro da una sinapsi; è a livello della sinapsi che l'informazione, codificata sotto forma di alterazioni bioelettriche, è convertita in forma chimica, cioè in una molecola di trasmettitore nervoso che viene liberata nello spazio sinaptico dal neurone a monte per stimolare il neurone a valle, agendo sui recettori di quest'ultimo, spesso localizzati su un sottile prolungamento, noto come dendrite. La molecola del neurotrasmettitore può così eccitare (o inibire se si tratta di un neurotrasmettitore inibitore) il neurone a valle, la cui attività bioelettrica viene alterata in modo appropriato. In sostanza, il neurone è in grado di trasmettere messaggi ad altri neuroni sotto forma di ritmi di scarica di impulsi elettrici; a livello della sinapsi, il messaggio elettrico è poi convertito nel codice biochimico del messaggero (o trasmettitore) nervoso. La comunicazione nervosa può quindi essere facilitata o inibita da tutti quei fattori che modificano l'attività del neurone a monte (elemento presinaptico) o che alterano la capacità di risposta di quello a valle (elemento postsinaptico). L'LTP rientra in quest'ultima categoria, in quanto rappresenta una modalità di incremento della risposta postsinaptica a uno stimolo costante. In termini informatici, l'LTP ci permette di considerare la sinapsi come un elemento che può trovarsi in uno stato di scelta binaria, lo stato di attività e quello di attività potenziata. Il meccanismo dell'LTP a livello dell'ippocampo, la struttura nervosa che gioca un ruolo critico nei processi di consolidamento della memoria dalla forma breve a quella lunga, comporta un incremento dell'efficienza postsinaptica fino a due volte e mezzo, si sviluppa entro pochi minuti dallo stimolo iniziale e rimane relativamente stabile per lungo tempo, in alcune condizioni anche per varie settimane.

L'LTP rappresenta un meccanismo di fissazione delle informazioni a livello sinaptico, basato su alterazioni inizialmente molecolari e in un secondo tempo strutturali. In seguito a uno stimolo che arriva a una spina dendritica (l'elemento postsinaptico del neurone a valle), questa sviluppa un aumento durevole della sua efficacia sinaptica o LTP. A seguito di tale fenomeno bioelettrico si verifica una cascata di eventi molecolari e ionici che possono tradursi in alterazioni durevoli del citoscheletro cellulare, cioè in modifiche della forma e della sopravvivenza delle spine dendritiche che, in tal modo, possono dar vita a circuiti nuovi, responsabili del consolidamento della memoria. Secondo lo schema proposto da G. Lynch e M. Baudry, l'LTP si accompagna al rilascio del neurotrasmettitore glutammato, causando un aumento dello ione calcio all'interno del dendrite. L'aumento del calcio induce a sua volta l'attivazione di un enzima proteolitico, la calpaina, che inizia a degradare un componente proteico della struttura del citoscheletro, la fodrina. Ciò comporta non soltanto una variazione nella forma della sinapsi dendritica (in quanto il citoscheletro fornisce una sorta di impalcatura che dà forma alla sinapsi), ma anche lo 'smascheramento' di ulteriori recettori per il glutammato, che ampliano in tal modo la risposta della sinapsi. La ripetuta attività della calpaina produce così una sinapsi ipersensibile al glutammato (ovvero una modifica funzionale) e una variazione nella forma della sinapsi (cioè una modifica strutturale).

Il meccanismo dell'LTP fornisce riscontri significativi alle teorie di Hebb, sia per quanto riguarda le modifiche bioelettriche alla base della memoria a breve termine, sia per quanto riguarda le modifiche della struttura neuronale (modifiche della forma e del numero delle sinapsi, induzione e stabilizzazione di nuovi circuiti nervosi) responsabili della memoria a lungo termine. Questi dati trovano ulteriore riscontro negli studi relativi ai rapporti tra inibizione della sintesi proteica e il consolidamento della memoria, in quelli sulla relazione tra imprinting e biochimica cerebrale e nelle ricerche riguardo alle modifiche della funzione sinaptica nel corso dei processi di abituazione negli Invertebrati (v. oltre).

La sintesi delle proteine che costituiscono il citoscheletro delle sinapsi risulta dunque essenziale per il processo di formazione di nuove sinapsi oppure per la stabilizzazione di quelle esistenti. Una strategia per analizzare il ruolo da essa esplicato nel consolidamento della memoria consiste nell'utilizzare inibitori della sintesi delle proteine allo scopo di interferire con il consolidamento di esperienze. Gli studi condotti in proposito hanno permesso di definire il consolidamento della memoria come un fenomeno dipendente dal tempo. I primi esperimenti in tal senso sono stati quelli di B. Agranoff sui pesci rossi (Carassius auratus). Nel corso del test di apprendimento a cui li sottopose, i pesci dovevano passare da una parte all'altra di una vaschetta divisa in due compartimenti, al fine di evitare un blando shock elettrico che percorreva alternativamente ora l'uno ora l'altro compartimento. Lo stimolo incondizionato (shock elettrico) era preceduto di pochi secondi da uno stimolo condizionato (una luce) che gli animali associavano ben presto con lo shock successivo, evitabile passando immediatamente dall'altra parte della vaschetta. Ventiquattro ore dopo la prima seduta di apprendimento i pesci erano sottoposti a una seconda seduta in cui le prestazioni di un primo gruppo risultavano migliorate dal consolidamento della precedente esperienza. Alcuni animali ricevevano invece un'iniezione intracerebrale di puromicina subito dopo la prima seduta: nella seduta effettuata il giorno dopo le loro prestazioni erano estremamente basse, come se l'apprendimento precedente non fosse stato consolidato. Antibiotici quali la puromicina bloccano la moltiplicazione batterica, in quanto inibiscono la sintesi delle proteine, essenziale ai processi di riproduzione cellulare e alla sintesi delle diverse strutture della cellula: nel caso della cellula nervosa, alla produzione di spine dendritiche. Agranoff dimostrò che quest'effetto non era legato a un'azione aspecifica dell'antibiotico sul cervello: l'iniezione di puromicina, infatti, era inefficace se veniva effettuata un'ora dopo la prima seduta o immediatamente prima della seconda seduta. I dati indicavano piuttosto che il consolidamento della memoria dipende dai processi di sintesi proteica, come d'altronde è confermato dalle ricerche sui rapporti tra l'imprinting e la sintesi di RNA e proteine. Diversi studiosi hanno preferito affrontare il tema dei correlati neurobiologici della memoria seguendo approcci indiretti, cioè non connessi a una classica situazione di apprendimento; in particolare hanno concentrato la loro attenzione sull'imprinting, una specifica forma di apprendimento descritta per la prima volta da K. Lorenz.

L'imprinting si basa, come gli istinti, sulla cosiddetta memoria della specie e si manifesta quando l'individuo, durante un periodo critico del suo sviluppo, viene a contatto con determinati stimoli. Esso rappresenta un comportamento tipico di molte specie nidifughe (precoci alla nascita), in cui è importante che si sviluppi un forte legame filiale e una chiara identificazione della figura materna: ciò fa sì che i piccoli, restando fortemente attaccati alla madre, non si disperdano nell'ambiente naturale nel quale potrebbero essere predati. Lorenz mostrò come l'imprinting si verificasse in seguito a un breve periodo di associazione tra gli anatroccoli da lui studiati e una figura in movimento in un periodo limitato (generalmente poche ore) della vita dell'animale (periodo critico) e che, alterando la condizione naturale, la figura di attaccamento poteva non essere la madre e appartenere a una specie diversa (anche un uomo, come nel caso descritto da Lorenz) oppure essere costituita da un richiamo o da un oggetto in movimento. L'imprinting è stato utilizzato come modello per lo studio dei correlati biologici della memoria; esso infatti comporta un tipo di esperienza di notevole rilievo, tale da influenzare per tutta la vita il comportamento dell'animale 'imprintato', orientandolo anche in termini di scelte sessuali. Si tratta quindi di un comportamento che si basa su un particolare tipo di plasticità cerebrale e su una massiccia memorizzazione dell'esperienza critica. Alcuni ricercatori inglesi (G. Horn, S.P.R. Rose, P.P.G. Bateson) hanno notato che nel corso dell'imprinting si verificano profonde alterazioni della biochimica cerebrale, in particolare un aumento dell'RNA. Negli esperimenti da loro condotti, diversi gruppi di pulcini venivano imprintati a uno stimolo consistente in una luce lampeggiante. Durante il primo giorno gruppi diversi di pulcini venivano esposti per tempi diversi (da 20 a 240 minuti) allo stimolo; durante il secondo giorno agli animali veniva iniettato dell'uracile radioattivo, un precursore dell'acido ribonucleico (RNA) e poi essi venivano esposti per 60 minuti alla luce lampeggiante. L'ipotesi sperimentale era la seguente: se durante il primo giorno gli animali venivano imprintati per un periodo più breve, i loro processi di imprinting avrebbero dovuto essere più elevati nel secondo giorno e perciò una maggior quantità di uracile avrebbe dovuto essere incorporata nel loro cervello. I risultati hanno confermato l'ipotesi, indicando come nel corso dell'imprinting si verifichi un netto aumento della sintesi di RNA nella parte mediale dell'iperstriato, al di sotto del tetto del mesencefalo. Indagini successive hanno dimostrato che l'accresciuta sintesi di RNA rispecchia modifiche a livello delle sinapsi, non dissimili da quelle postulate da Lynch e Baudry.

4.

La biologia della memoria negli Invertebrati

Le basi neurobiologiche della memoria possono essere studiate nei loro meccanismi fondamentali in quelle specie animali, come gli Invertebrati, in cui il processo mnestico è meno complesso, pur comportando le medesime modifiche della funzione o della struttura delle sinapsi. Questo aspetto è stato chiarito utilizzando l'Aplysia, una lumaca marina dotata di un sistema nervoso primitivo. E. Kandel ha appurato come essa cessi di reagire a uno stimolo che si ripete nel tempo; questo fenomeno di abituazione, che viene considerato una delle forme più elementari di apprendimento, può essere di breve o di lunga durata e quindi implicare una memoria a breve o a lungo termine. L'abituazione a breve termine dipende da modifiche transitorie della funzione delle sinapsi nervose. In alcune di esse si verificano infatti alterazioni nella permeabilità agli elettroliti, cioè una chiusura o apertura dei cosiddetti 'canali ionici'; ciò comporta una diminuzione dell'eccitabilità dei neuroni che cessano così di rispondere a uno stimolo noto. Le modifiche a livello dei canali ionici possono quindi essere considerate come la base della memoria a breve termine; esse sono fondamentalmente simili anche in specie animali dotate di un sistema nervoso più complesso. Quando invece lo stimolo perdura nel tempo, oppure quando è particolarmente rilevante e attiva i meccanismi dell'LTP, esso può essere memorizzato in maniera permanente per mezzo di modifiche della struttura e della forma delle sinapsi indotte da enzimi che, promuovendo un aumento della sintesi e della struttura proteica, comportano una proliferazione degli intricati fasci di fibrille che formano gli assoni, le spine dendritiche e le sinapsi.

5.

La 'modulazione' della memoria

I dati esposti finora indicano come l'ipotesi di Hebb sull'esistenza di due memorie abbia trovato diverse conferme sperimentali. Tuttavia il processo di memorizzazione non è del tutto indipendente dalle altre funzioni cerebrali e da altri meccanismi collaterali. Ricerche sperimentali, infatti, hanno indicato che il processo di codificazione mnestica è modulato da sostanze prodotte dall'organismo sia a livello del sistema nervoso centrale sia a livello periferico. McGaugh ha dimostrato come l'adrenalina e la noradrenalina possano rispettivamente facilitare, oppure inibire, il processo di consolidazione. I suoi risultati sono tanto più interessanti in quanto dimostrano che anche sostanze prodotte al di fuori del cervello, e che non vi possono penetrare (come l'adrenalina surrenale), sono in grado di agire indirettamente sulla funzione cerebrale, probabilmente attivando dei recettori periferici che inviano segnali al cervello attraverso i nervi afferenti; ciò vuol dire che stati comportamentali come le emozioni e lo stress possono modulare i processi di consolidamento. Tra le sostanze che 'modulano' la memoria vi sono anche l'ormone adrenocorticotropo (ACTH, Adrenocorticotropic hormone), la vasopressina e altri peptidi in grado di modificare la funzione nervosa. È questo il caso delle endorfine, oppioidi endogeni prodotti dal nostro organismo ma simili per gli effetti a morfina ed eroina che, come ha dimostrato C. Castellano, esercitano un effetto negativo sui processi mnestici in quanto si oppongono all'influenza positiva della stimolazione adrenergica e noradrenergica indotta dalle situazioni blandamente stressanti.

6.

Memoria procedurale e memoria semantica

Nell'uomo e negli animali superiori gli studi sulla memoria sono complicati dal fatto che non esistono soltanto due tipi di memoria, a breve e a lungo termine, ma anche un tipo di memoria 'procedurale' e un tipo di memoria 'semantica' o proposizionale. Quella di tipo procedurale, o legata ad abilità, è espressa essenzialmente attraverso prestazioni di carattere motorio, non è accessibile alla coscienza, è estremamente antica dal punto di vista filogenetico e nell'uomo compare precocemente nel corso dello sviluppo postnatale. Al contrario la memoria di tipo semantico è specializzata nell'acquisire informazioni su fatti ed episodi, è accessibile alla coscienza, rappresenta una tappa avanzata in termini evoluzionistici in quanto emerge con i Vertebrati e nell'uomo prende forma solo tardivamente. Come hanno indicato L.R. Squire e S. Zola-Morgan, una differenza sostanziale tra i due tipi consiste nel fatto che le memorie procedurali vanno difficilmente incontro ad amnesia e non sono colpite da trattamenti inibitori come l'elettroshock, che invece può interferire, anche a distanza di tempo dalla loro formazione, con quelle di tipo semantico. Infine, strutture nervose come alcuni nuclei del 'sistema limbico' - l'amigdala e l'ippocampo - e la regione temporale media sono responsabili dell'integrità delle memorie di tipo semantico ma non di quelle di tipo procedurale. Queste ultime considerazioni non devono però far ritenere che vi siano, salvo alcune eccezioni, specifiche strutture nervose sede di particolari ricordi, che consentano di considerare la memoria in termini di stretta localizzazione. Nuclei nervosi come quelli dell'ippocampo o strutture corticali come la corteccia temporale media hanno la funzione di modulare o di far riemergere i ricordi, ma non possono essere considerati come la 'sede' esclusiva della memoria. Attualmente infatti si ritiene che i ricordi non abbiano una localizzazione specifica, ma dipendano dall'entrata in gioco di vaste aree corticali e sottocorticali e dall'interazione tra 'mappe' neuronali. Gli studi di E.R. John e coll. indicano che la memorizzazione di esperienze relativamente semplici coinvolge un vastissimo numero di neuroni, distribuiti tra corteccia e strutture sottocorticali. Utilizzando tecniche di visualizzazione del metabolismo cerebrale in vivo (brain imaging), John ha dimostrato che persino nel ratto di laboratorio milioni e milioni di neuroni sono coinvolti nella registrazione di semplici esperienze, il che indica la diffusione dei processi cognitivi a vastissime aree e regioni cerebrali.

7.

Memoria e teorie del cervello

Oggi si ritiene che i ricordi dipendano da un complesso lavoro di generalizzazione e di categorizzazione effettuato dal cervello nel suo insieme: le memorie non vengono perciò considerate come entità fisse e immutabili nel tempo. Zola-Morgan e Squire hanno dimostrato che i ricordi sono entità dinamiche, che una rappresentazione originaria è ristrutturata da eventi e da apprendimenti successivi e che ogni evento è soggetto a qualche forma di oblio, talora anche massiccio, come si verifica in alcune malattie invalidanti del sistema nervoso, in particolare nel morbo di Alzheimer. Le memorie che sopravvivono ai fenomeni di oblio, più cospicui di quanto si ritenga, sono perciò riorganizzate di continuo, attraverso quelle che G.M. Edelman definisce 'informazioni di rientro' interne o esterne. L'espressione di Edelman sta a significare che un ricordo è modificato da afferenze che provengono dall'interno del sistema nervoso, cioè da un continuo confronto con altre memorie, e da afferenze che provengono dall'esterno, cioè dalle esperienze e dagli apprendimenti quotidiani. Edelman ha inoltre proposto che la registrazione di esperienze faccia capo a un processo di 'darwinismo neuronale'. Basandosi su un insieme di dati neurobiologici e di acquisizioni nel campo della neurobiologia dello sviluppo, egli sottolinea come i diversi neuroni siano dotati di caratteristiche e di reattività diverse, tali da far sì che uno stimolo che perviene al sistema nervoso possa trovarne alcuni, piuttosto che altri, in uno stato tale da farli reagire a quello stimolo invece che a un altro. Secondo la teoria di Edelman le caratteristiche dello stimolo sarebbero in grado di 'selezionare' i neuroni, stimolandone alcuni a formare una trama funzionale e facendo invece sì che altri vadano incontro a 'estinzione'. È stato inoltre ipotizzato che tale processo interessi gruppi di neuroni diversi che codificano le varie caratteristiche di uno stimolo-esperienza e che in seguito l'interazione tra diversi gruppi o 'mappe neuronali' consenta di ricostruire l'esperienza nel suo insieme. Questa modalità permetterebbe di codificare aspetti simili di realtà diverse in una stessa mappa neuronale attraverso un processo di categorizzazione che consenta in seguito di generalizzare le esperienze. La teoria della memoria di Edelman nega una rigida localizzazione delle funzioni cognitive in quanto presuppone che un'esperienza selezioni un particolare gruppo di neuroni invece di un altro, indipendentemente dalla loro sede nella corteccia: ciò comporta anche che diversi individui, cioè diversi cervelli, registrino esperienze utilizzando neuroni e reti nervose differenti, anziché far capo a identiche reti nervose localizzate nelle stesse sedi specifiche.

I disturbi della memoria

di Bruno Callieri

Tuttora pienamente valida, anche per lo studio dei disturbi della memoria, è la distinzione scolastica delle cinque fasi del processo mnemonico completo: fissazione, conservazione, rievocazione (spontanea e/o volontaria), riconoscimento degli engrammi (con la certezza del ricordo), localizzazione nel tempo e nello spazio. Questa struttura della memoria è stata criticata perché troppo connessa al concetto statico di 'cervello-armadio', ma in seguito si è visto che aggiungere nuove distinzioni non offre maggiori chiarimenti. Alla memoria è strettamente collegato il fenomeno dell'oblio: una memoria che non dimenticasse mai finirebbe per ingombrare la nostra coscienza con troppi contenuti privi di interesse. La persistenza dei ricordi è in ragione diretta con le ripetizioni, e sono meglio rievocati i ricordi più vecchi. Alcune teorie sulla memoria si basano principalmente sull'interpretazione psicologica delle sindromi amnestiche, ma oggi il campo di indagine è dominato dalle concezioni fisiogenetiche, che si riferiscono al substrato biochimico della memoria (v. sopra).

I disturbi della memoria di tipo quantitativo vengono indicati con il termine dismnesia e si distinguono a loro volta in ipermnesie e ipomnesie. Le ipermnesie, che hanno scarso interesse per la clinica, possono essere permanenti oppure transitorie, per cui si possono ricordare improvvisamente e con eccezionale chiarezza anche i minimi particolari di un evento passato. Le ipomnesie si riferiscono invece alla perdita generica della capacità di rievocare. Le amnesie si riferiscono alla perdita di ricordi circoscritti nel tempo. Se ne possono distinguere diverse forme: amnesia retrograda (relativa a un periodo di tempo antecedente l'avvenimento), anterograda (per un tempo susseguente l'avvenimento), retroanterograda (che precede e segue l'avvenimento causale, per es. una crisi epilettica); inoltre si possono fenomenicamente distinguere amnesie semplici, sistematizzate (che interessano non tanto un periodo quanto un tema fondamentale), elettive (per determinati fatti). Altro importante capitolo di psicopatologia della memoria è quello dalle cosiddette paramnesie. Queste sono veri e propri disturbi qualitativi della memoria, vissuti sia come illusioni della memoria (allomnesie) sia come allucinazioni della memoria (pseudomnesie). Le illusioni della memoria sono ricordi incompleti, inadeguati o falsati; sono frequenti nel pensiero affettivo (per es., negli stati depressivi di colpa o di autoaccusa), nei deliroidi secondari ad avvenimenti intensamente vissuti; tali deformazioni dei ricordi possono essere però presenti, sia pure in grado più lieve, anche nell'evoluzione normale della memoria. Le allucinazioni della memoria mostrano tutti i gradi di passaggio del gruppo precedente. Ci può essere errore di distinzione tra presente e passato (falsi riconoscimenti) o tra realtà e fantasia (confabulazioni). Si può fare confusione tra un presente realmente percepito e un ricordo falsamente creato; si può avere la sensazione del 'già visto' o del 'mai visto', frequenti nelle sindromi di depersonalizzazione. Comunque, si devono sempre ben distinguere i falsi riconoscimenti della memoria dei fatti da quelli delle persone (per es. 'illusione di sosia'). I falsi ricordi costituiscono un gruppo molto importante per la psicopatologia, soprattutto melancolica e delirante. Non di rado essi sono creati da un'attività fantastica (confabulazioni) indipendente dal tono affettivo o da un tema delirante: si parla anche di presbiofrenia (tipica negli stati demenziali senili e presenili) e di sindrome di Korsakow (tipica degli alcolisti, dei traumatizzati cranici, delle encefalopatie metaboliche tossiche, arteriosclerotiche, da paralisi progressiva). Accanto alla fisiogenesi dei disturbi della memoria va tenuto presente il vastissimo capitolo dei disturbi psicogenetici; questi possono conseguire a intensi stati emotivi (per es. uno spavento), a stati gravi depressivi o maniacali, a disturbi deliranti del pensiero, a sindromi nevrotiche di tipo isterico, ad automatismi epilettici, specie del lobo temporale, a induzioni ipnotiche, a reazioni di shock in situazioni di catastrofe (naturale o da eventi bellici).

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