Memoria

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Memoria

Pier Carla Cicogna

(XXII, p. 829; App. IV, ii, p. 428; V, iii, p. 403)

Psicologia cognitiva

Nell'ultimo decennio, le acquisizioni scientifiche più importanti sul tema della m. sono state il risultato di una proficua integrazione tra la psicologia cognitiva e le neuroscienze, in particolare, tra queste ultime, la neuropsicologia clinica. Se la psicologia dei processi cognitivi ha fornito paradigmi sperimentali di ricerca di base su soggetti normali, nonché modelli di elaborazione dell'informazione, le neuroscienze hanno contribuito a definire i correlati neuroanatomici e neurofunzionali in grado di sostenere quei modelli, facendo ricorso a dati clinici e a paradigmi di osservazione di neuroimmagine, in particolare la tomografia a emissione di positroni (PET, Positron Emission Tomography) e la risonanza magnetica funzionale (fMR, functional Magnetic Resonance).

Dal punto di vista evoluzionistico la m. si è sviluppata, insieme ad altre capacità cognitive, per permettere all'organismo di affrontare un mondo complesso e strutturato il quale, sebbene non interamente predicibile, dispone di regolarità sufficienti a rendere vantaggioso per un organismo l'utilizzo dell'esperienza passata per prevedere il futuro, vale a dire l'uso di informazioni apprese e memorizzate. Sistemi di m. differenziati si sarebbero sviluppati per rispondere a scopi e bisogni diversi, anche se, nella maggior parte dei comportamenti, più sistemi sono impegnati contemporaneamente. Anche se è chiaro che esistono diverse forme di m., sostenute da differenti strutture cerebrali, che hanno caratteristiche specifiche, vi sono alcuni orientamenti teorici che preferiscono intendere la m. come un insieme unitario e organizzato di funzioni e processi, che possono essere attivati in parallelo, ma che non necessitano di un modello a sistemi plurimi. Tuttavia, la maggiore confluenza di accordo, accompagnata da una grande quantità di lavoro sperimentale, attualmente si esprime a favore di modelli multicomponenziali di struttura della m., che prevedono l'esistenza di più sistemi indipendenti.

Architettura cognitiva della memoria

Dati provenienti da pazienti amnesici, da soggetti normali e da animali da esperimento hanno condotto alla formalizzazione di modelli di architettura della m. che prevedono la suddivisione in sistemi. Una definizione allargata di sistema chiama in causa un insieme di processi correlati che obbediscono a differenti funzioni e si riferiscono a specifici apprendimenti e condotte di ricordo. Una definizione più restrittiva e puntuale ha potuto imporsi solo in anni recenti, grazie anche al contributo delle neuroscienze e delle loro tecniche di indagine: essa specifica che un sistema deve poter essere definito non solo in termini di funzioni cognitive e comportamentali, ma anche in termini di strutture e meccanismi cerebrali, tipo di informazione elaborata (percettiva, simbolica, motoria ecc.), operazioni cognitive implicate, differenze nelle tappe evolutive filogenetiche e ontogenetiche. Inoltre, i sistemi, per essere identificati, devono mostrare la possibilità di un funzionamento autonomo attraverso la verifica delle cosiddette doppie dissociazioni; di queste si ha prova quando un deficit nelle prestazioni cognitive relative a un sistema non preclude il funzionamento di un altro sistema e viceversa (Schacter, Tulving 1994). Bisogna tuttavia tener conto che questa è una definizione molto rigida, sostenuta attualmente da un ricco lavoro di ricerca, che tuttavia non è ancora sufficiente a garantire una corrispondenza soddisfacente tra i modelli e la realtà dei fenomeni. In considerazione del fatto che molte strutture neuroanatomiche sono al servizio di più sistemi di m. e che più sistemi di m. lavorano in parallelo, lo sforzo scientifico attuale è quello di individuare in che misura i differenti sistemi di m. ipotizzati contribuiscono all'esecuzione delle varie condotte mnestiche.

fig. 1

Nell'ambito della psicologia cognitiva il primo modello pluricomponenziale formalizzato, a partire dal quale si sono sviluppate, in anni più recenti, altre e più complesse ipotesi di architettura della m., è stato proposto da R.C. Atkinson e R.M. Shiffrin (1968). Esso è noto come modello modale (nel senso di vicino alla moda statistica) perché rappresenta la sintesi delle caratteristiche comuni a modelli precedenti che prevedevano un doppio sistema (fig. 1). Il modello prendeva le mosse sia da fondamentali ricerche nel campo dell'apprendimento animale (a partire da quelle di Tolman, 1949), che mettevano in evidenza l'esistenza di sistemi plurimi di apprendimento, sia dalle prime ricerche in ambito cognitivo che dimostravano l'esistenza di una m. immediata a breve termine e di una permanente a lungo termine (Miller 1956; Peterson, Peterson 1959; Waugh, Norman 1965; Sperling 1967), sia ancora da descrizioni di pazienti con lesioni neurologiche che, pur mantenendo intatte le altre funzioni cognitive, non erano più in grado di apprendere.

È famoso il caso, descritto da B. Milner (1966), del paziente H.M. che aveva subito un intervento chirurgico, con resezione degli ippocampi, ed era in grado di ricordare perfettamente le informazioni immediatamente dopo averle apprese, ma dopo poco non ne aveva più traccia, pur essendo capace di ricordare informazioni apprese prima dell'intervento. Questo paziente non solo fornì dati empirici che mettevano in evidenza il ruolo dell'ippocampo in alcune funzioni mnestiche, ma rafforzò l'ipotesi di un doppio sistema di m., uno a breve termine e l'altro a lungo termine, relativamente indipendenti.

Il modello modale prevedeva la distinzione di tre magazzini: a) un registro sensoriale, la cui funzione è quella di trattenere l'informazione percettiva per un tempo brevissimo dopo la sua scomparsa (da 250 ms a 2 s, a seconda della modalità sensoriale) e di permettere eventuali elaborazioni successive; si tratta di una forma di backup dell'input sensoriale, in cui sono soltanto le caratteristiche fisiche dell'informazione a essere registrate, prescindendo dal significato; b) un magazzino a breve termine, a capacità limitata (7±2 unità di informazione) nel quale l'informazione è trattenuta per un tempo molto breve (pochi secondi), a meno che non venga reiterata, con la funzione di trattenere questa in uno stato di accessibilità per permetterne il passaggio alla m. a lungo termine e/o l'utilizzo per svolgere altri compiti cognitivi; c) un magazzino a lungo termine, che genericamente si assume come luogo dove la conoscenza si organizza in modo permanente, di cui tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile definire né la capacità, né il tempo di conservazione delle informazioni. A partire da questo primo modello sono state sviluppate formalizzazioni più complesse dei sistemi di m., che sempre meglio sono riuscite a rispondere ai requisiti richiesti dalla definizione stessa di sistema. In assenza di una totale coincidenza tra i modelli, può risultare utile assumere come punto di riferimento la classificazione dei sistemi che raccoglie attualmente il massimo di convergenza teorica ed empirica tra gli studiosi, come è stata sintetizzata da D. Schacter ed E. Tulving (1994). In tale classificazione, il registro sensoriale non compare più come sistema di m., dacché si preferisce considerare la funzione di trattenimento dell'informazione sensoriale come propria dei processi percettivi. La m. a breve termine è stata riconcettualizzata come memoria di lavoro (working memory) da A.D. Baddeley e G.J. Hitch (1974) e Baddeley (1986, 1996). La m. a lungo termine è stata suddivisa in quattro sistemi: sistema di rappresentazione percettiva; sistema procedurale; sistema semantico; sistema episodico.

fig. 2

La memoria di lavoro è intesa come un insieme di meccanismi predisposti per l'elaborazione cognitiva di tipo intenzionale-strategico di input provenienti da fonti percettive e/o da fonti mnestiche a lungo termine. È, dunque, un sistema predisposto per il mantenimento temporaneo e l'elaborazione dell'informazione durante l'esecuzione di compiti cognitivi. Esso consente parallelamente la rappresentazione nella coscienza dei risultati parziali che provengono dai processi cognitivi in atto (per es. reminiscenza, ragionamento, comprensione, calcolo ecc.). Dati clinici e sperimentali hanno suggerito la necessità di considerare questo sistema come, a sua volta, pluricomponenziale. Baddeley ha proposto un modello tripartito che prevede un 'esecutivo centrale' coadiuvato da due sottosistemi di m. temporanea, a capacità limitata, che mantengono l'informazione rilevante per l'elaborazione centrale: il 'ciclo fonologico' (phonological loop) e il 'taccuino visuospaziale' (visuospatial sketchpad), deputati, rispettivamente, al mantenimento dell'informazione basata sul linguaggio e di quella visiva e spaziale (fig. 2). È ragionevole presumere che esistano anche altri sottosistemi per altre modalità sensoriali e per il movimento, ma allo stato attuale non ci sono evidenze sperimentali sufficienti in tal senso. I sottosistemi sono tra loro indipendenti, così che, per es., l'immagazzinamento temporaneo dell'informazione linguistica non inibisce né interferisce con l'immagazzinamento contemporaneo dell'informazione visuospaziale. Immagazzinamento ed esecuzione sono meccanismi separati, perciò si è in grado di fare un'operazione cognitiva anche se uno dei magazzini di m. temporanea è completamente 'carico': i soggetti sono in grado di svolgere contemporaneamente due compiti che interessino sottosistemi diversi (paradigma sperimentale introdotto da Baddeley e collaboratori, noto come doppio compito). Questa formalizzazione della m. di lavoro rende ragione del comportamento mnestico di numerosi casi clinici con un deficit alla m. temporanea che, tuttavia, non pregiudica completamente gli apprendimenti, né l'intelligenza, cioè la possibilità di operare su informazioni temporaneamente attivate. L'esecutivo centrale ha una pluralità di funzioni: pianificazione dell'azione in funzione di uno scopo; controllo attenzionale sul processo esecutivo; controllo sui processi automatici, una volta che siano stati avviati, con la possibilità di fare proseguire l'azione in modo intenzionale e controllato; recupero delle informazioni necessarie per l'esecuzione di un compito sia dai magazzini temporanei, sia dalla m. a lungo termine. Resta aperto il problema se sia conveniente continuare a considerare l'esecutivo centrale come un sottosistema della m. di lavoro con funzioni multiple, o semplicemente come un agglomerato di processi di controllo, che possono agire in parallelo, indipendenti anche se interconnessi. La questione si è aperta negli ultimi anni, ma rimane sostanzialmente irrisolta; operativamente, può essere più utile mantenere l'idea di un esecutivo centrale con funzioni multiple, in attesa che nuovi dati sperimentali consentano l'eventuale specificazione di processi paralleli e indipendenti (Baddeley 1996). Le localizzazioni neuroanatomiche fino a ora individuate indicano che le strutture maggiormente interessate dall'attività dell'esecutivo centrale sono i lobi frontali. Un'impropria generalizzazione di queste prime acquisizioni ha portato a definire i deficit nelle funzioni dell'esecutivo centrale come sindrome frontale.

Il ciclo fonologico ha due componenti con funzioni specifiche: il magazzino fonologico che mantiene l'informazione fornita dal linguaggio ascoltato o letto, e un processo di ripetizione articolatoria che permette di reiterare l'informazione e di mantenerla a disposizione del sistema. Le regioni del cervello che mostrano attivazione durante compiti fonologici sono quelle parietali e, naturalmente, quelle frontali, poiché il compito richiede attenzione e quindi l'azione concomitante dell'esecutivo centrale.

Il taccuino visuospaziale, che presenta analogie con il ciclo fonologico, ha anch'esso due componenti: una visiva che contiene informazioni sulle caratteristiche formali degli oggetti (forma, colore, brillantezza) e sulle relazioni geometriche tra le loro parti, e una componente spaziale che si riferisce alla localizzazione degli oggetti nello spazio, alle relazioni geometriche tra gli oggetti e al movimento. La prima avrebbe caratteristiche passive mantenendo l'informazione relativa a pattern statici, mentre la seconda avrebbe caratteristiche dinamiche e sarebbe responsabile del ripasso dell'informazione visiva mantenendola disponibile per l'elaborazione centrale. Questo sottosistema fornisce infatti l'informazione temporanea dalla quale l'esecutivo centrale può estrarre il materiale rilevante per svolgere compiti immaginativi. Le regioni cerebrali implicate nell'attività visuospaziale sono le aree visive nella regione occipitale, parietale postero-superiore e temporale postero-inferiore.

La relazione tra la m. di lavoro e i sistemi di m. a lungo termine è definita dallo scambio continuo di informazioni in entrata e in uscita: la m. di lavoro è al servizio dei vari processi cognitivi che via via si attualizzano nella mente, e deve perciò continuamente prelevare informazioni dalla conoscenza specifica o generale che le persone possiedono e integrarle con le nuove informazioni che provengono dall'esterno. L'autonomia della m. di lavoro, e quindi la sua dissociazione possibile rispetto agli altri sistemi a lungo termine, si evidenzia soprattutto nelle amnesie, in cui il funzionamento a breve termine è intatto mentre è deficitario il recupero delle informazioni passate.

Dal punto di vista descrittivo, nei sistemi della memoria a lungo termine è possibile operare una distinzione tra i cosiddetti sistemi di m. implicita (sistema di rappresentazione percettiva e sistema procedurale), cioè quei sistemi la cui informazione è immagazzinata e recuperata in modo non consapevole, e quelli di m. esplicita (sistema semantico e sistema episodico) in cui vi è consapevolezza almeno nel momento del ricordo.

Il sistema di rappresentazione percettiva (Schacter 1990; Schacter, Tulving 1994) è ancora in una fase di specificazione teorica poiché a suo sostegno ci sono pochi studi sperimentali e clinici. Esso riguarda la rappresentazione e conservazione in m. delle caratteristiche percettive degli oggetti (incluse le parole) a livello presemantico, vale a dire a un livello che non implica l'accesso al loro significato. Le sue operazioni sono disconnesse dalla coscienza e i suoi prodotti non forniscono la base per il riconoscimento o la consapevolezza di esperienze precedenti. Si sviluppa precocemente ed è preservato a lungo nel corso della vita. È composto da sottosistemi che funzionano come moduli dominio-specifici (uno per le parole scritte, uno per quelle udite, uno per gli oggetti) che elaborano e rappresentano l'informazione relativa alla forma e alla struttura degli stimoli. Le regioni cerebrali coinvolte nell'attività di questo sistema sono prevalentemente quelle occipitali.

Il sistema procedurale è invece deputato all'immagazzinamento delle abilità motorie (per es., andare in bicicletta) e delle modalità di esecuzione di attività cognitive e comportamentali (per es., eseguire semplici operazioni di calcolo o andare al ristorante). È caratterizzato da apprendimenti graduali che si automatizzano e mantengono una certa stabilità nel tempo. I gangli della base e il cervelletto sembrano essere le regioni cerebrali maggiormente implicate nel suo funzionamento, mentre non sembrano interessate le strutture ippocampali necessarie per gli altri sistemi a lungo termine.

Il sistema semantico contiene tutta la conoscenza generale del mondo: linguaggio, concetti, algoritmi, informazioni enciclopediche, conoscenza generale di sé. I suoi contenuti rispondono a criteri di verità o falsità e generalmente, per operare, impegna risorse attentive. Numerosi sono i modelli di rappresentazione delle conoscenze in questo sistema, da quelli classici a rete (concetti, prototipi, reti semantiche), a quelli che fanno riferimento a organizzazioni proposizionali e schematiche. Tutti i modelli comunque prevedono un effetto di 'propagazione dell'attivazione', vale a dire che ogniqualvolta viene attivata un'informazione si attivano altre conoscenze a essa connesse; questo effetto di diffusione dell'attivazione delle tracce mnestiche è essenziale per spiegare il processo della rievocazione. Le aree cerebrali implicate nel funzionamento del sistema semantico sono i lobi temporali mediali, soprattutto le strutture ippocampali e il lobo frontale sinistro (Gabrieli, Cohen, Corkin 1988; Squire, Knowlton 1994).

Il sistema episodico conserva le conoscenze relative a eventi esperiti personalmente, quindi legati al tempo soggettivo di apprendimento, e possiede pertanto un valore di verità personale. Anch'esso richiede generalmente risorse attenzionali ed è suscettibile di trasformazioni, ricostruzioni e perdita di informazioni. Nella teorizzazione di Tulving (1972, 1983, 1985) le conoscenze episodiche sono codificate nella forma di 'engrammi', che devono essere intesi come insiemi di caratteristiche dell'evento codificato di cui fanno parte anche elementi del contesto ambientale, cognitivo ed emozionale presenti al momento dell'esperienza. Le aree neuroanatomiche interessate sono sempre le regioni temporali mediali, in particolare le strutture ippocampali, il talamo, il giro del cingolo e i lobi frontali.

Diversi dai sistemi di architettura della m. sono i 'tipi' o le 'forme' della m., che si definiscono in base alla natura del contenuto informazionale e interessano generalmente più sistemi, nel senso che più di un sistema può essere utilizzato per il trattamento di quel tipo di informazione. Ci si riferisce qui a quella vasta gamma di etichette puramente descrittive che vengono comunemente utilizzate per riferirsi a differenti contenuti di m.: m. autobiografica, m. olfattiva, m. di facce, m. di nomi, m. prospettica (ovvero il ricordo di compiere azioni nel futuro) e così via.

I processi della memoria

Il funzionamento della m. fa riferimento a un insieme complesso di processi in cui sono coinvolte anche altre funzioni cognitive come l'attenzione, la percezione, e tutte quelle abilità che hanno a che fare con l'intelligenza generale. I processi specificamente mnestici sono la codifica delle informazioni, l'immagazzinamento, il consolidamento e il ricordo. Le informazioni entrano nel sistema cognitivo attraverso processi di codifica che possono avvenire sotto il controllo strategico (quindi secondo una pianificazione cosciente dell'apprendimento), oppure in modo automatico, tramite meccanismi inconsci.

I processi di codifica a lungo termine trattano l'informazione che proviene direttamente dai sistemi percettivi o dall'elaborazione della m. di lavoro. In quest'ultima le informazioni sono codificate nel formato fonologico o visuospaziale, a seconda del tipo di stimolo e di sottosistema implicato. Un'attività di ripetizione o ripasso permette il temporaneo mantenimento dell'informazione. Nella m. a lungo termine l'efficienza dei processi di codifica dipende da fattori legati sia alla quantità sia alla qualità del lavoro cognitivo attuato. Gli aspetti quantitativi riguardano: a) la durata della presentazione dello stimolo da apprendere, nel senso che più a lungo si è esposti a un'informazione, maggiore è la capacità di immagazzinarla e ricordarla, anche se il tempo di esposizione necessario varia a seconda del materiale e della modalità percettiva implicata; b) la quantità di ripasso (rehearsal) a breve termine; c) la distribuzione del tempo di apprendimento: sembra più efficace una procedura di apprendimento distribuito piuttosto che intensivo. Va notato, tuttavia, che per quest'ultimo fenomeno non si sono ancora trovate spiegazioni soddisfacenti. Gli aspetti qualitativi si riferiscono invece al tipo di elaborazione impiegata che non solo può essere intenzionale o incidentale, ma che può essere compiuta a diversi livelli di profondità. L'apprendimento involontario di informazioni, definito incidentale, non sembra meno efficace di quello intenzionale, a meno che per quest'ultimo non intervenga una specifica mediazione dei processi attenzionali con la pianificazione di strategie ad hoc.

Ciò che sembra invece cruciale per la codifica è la 'profondità di elaborazione' (Craik, Lockhart 1972), vale a dire la misura in cui il fuoco dell'elaborazione si sposta dagli aspetti percettivi superficiali dell'informazione a quelli concettuali. Scopi diversi orientano a elaborazioni diverse per profondità: per es., per fare una mera correzione tipografica di bozze occorre un'elaborazione delle parole solo a livello ortografico, riconoscere se delle parole fanno rima tra loro richiede un'analisi fonologica (sempre a un livello presemantico), mentre la comprensione di parole richiede un'elaborazione semantica, che è considerata più profonda. Quanto più il processo elaborativo si focalizza su aspetti semantici e concettuali, tanto migliore sarà l'apprendimento e quindi il recupero successivo. La codifica semantica di un'informazione è più ricca e più facilmente accessibile anche in ragione del suo legame con altre conoscenze. Infatti, un'altra caratteristica dei processi di codifica è la possibilità di organizzare le informazioni nuove con quelle già presenti in memoria. L'organizzazione delle tracce mnestiche che può essere suggerita dalla natura delle informazioni da apprendere, o può essere imposta dal soggetto, è il fattore che maggiormente incide sulla possibilità di ricordare le informazioni medesime. I processi di codifica possono utilizzare diversi codici, che vanno intesi come formati in cui la mente immagazzina l'informazione (visivo, acustico, verbale, tattile, semantico ecc.).

A conclusione del processo di codifica, l'informazione è archiviata nei sistemi a cui si è fatto riferimento nella presentazione dell'architettura della m., nella forma di una traccia mnestica. L'espressione traccia mnestica o rappresentazione mnestica è riferita a un costrutto ipotetico, che serve a spiegare le relazioni che si instaurano tra una serie di richieste fatte al sistema cognitivo e le sue risposte. Non è ancora chiara né la localizzazione (in un'area specifica o in varie aree cerebrali), né la natura delle rappresentazioni (c'è una mappatura uno a uno, cioè a ogni traccia corrisponde uno o pochi neuroni, oppure le tracce sono distribuite a rete nel cervello, costituendo dei circuiti nelle regioni coinvolte nei processi di memoria?). La psicologia cognitivista e le neuroscienze hanno lavorato su questo tema in modo separato; mentre la prima si è soprattutto occupata degli attributi delle rappresentazioni, le seconde si sono focalizzate sui meccanismi cellulari sottostanti la formazione della m. e la localizzazione cerebrale di strutture deputate a specifici tipi di apprendimento (m. di facce, m. di nomi, m. spaziale ecc.). Un tentativo interessante di gettare un ponte tra i due approcci è stato fatto in ambito psicologico dal connessionismo (McClelland, Rumelhart 1986). All'interno di questo modello, le rappresentazioni sono distribuite in un ampio numero di elementi (neuroni) e la conoscenza inerente a tali rappresentazioni in m. è incorporata non solo negli elementi, ma anche nelle connessioni tra di essi. L'apprendimento implica cambiamenti nella forza di tali connessioni e le rappresentazioni in m. costituiscono un pattern di connessioni dotato di un particolare 'peso' all'interno di un più vasto insieme di elementi. Le rappresentazioni distribuite avvengono all'interno di moduli differenziati e localizzati, che possono essere attivati in parallelo, senza che il lavoro dell'uno competa con quello degli altri, per es. moduli diversi saranno impiegati per le immagini mentali, per la produzione del linguaggio e così via. In questo modello, molte tracce possono sovraimporsi sullo stesso insieme di elementi; ciò che caratterizza una rappresentazione è la relazione tra gli elementi e il peso specifico delle connessioni tra gli elementi. Il formalismo connessionista (PDP, Parallel Distributed Processing), anche se consente attualmente limitati ambiti di verifica, sul piano teorico sembra muoversi in una direzione compatibile con quella a cui conducono i più recenti studi neuropsicologici.

Il destino che le tracce mnestiche subiranno in termini di permanenza e accessibilità al ricordo dipende dal processo di consolidamento, che si presume continui anche dopo che la traccia è stata immagazzinata. Si tratta, anche in questo caso, di un concetto ancora mal precisato: non è chiaro se si tratti di un processo attivo o passivo, se duri pochi secondi o anni. Studi interessanti sono quelli di L.R. Squire e colleghi (Squire, Cohen 1979; Zola-Morgan, Squire 1984), che hanno tentato di definire il gradiente dell'amnesia retrograda (che comporta l'incapacità di ricordare le informazioni precedenti all'evento traumatico che ha prodotto l'amnesia) allo scopo di stabilire la durata e l'azione dei processi di consolidamento a lungo termine.

fig. 3

È stato notato, per es., che un trattamento di elettroshock somministrato a pazienti psichiatrici causava un'amnesia per eventi che risalivano fino a tre anni prima (fig. 3), mentre nei topi quattro elettroshock intervallati da un breve spazio temporale provocavano un'amnesia per apprendimenti risalenti fino a tre settimane prima del trattamento. Il gradiente di amnesia per le scimmie con lesioni nelle regioni temporali mediali, per compiti di discriminazione di oggetti, era di otto settimane (Zola-Morgan, Squire 1984). Si ritiene che gli eventi che accadono dopo la memorizzazione di un'informazione possano contribuire al proseguimento del consolidamento in m. dei medesimi, o al contrario inibire questo processo creando un'interferenza retroattiva. L'informazione sarebbe dapprima codificata nelle strutture del lobo temporale, principalmente nell'ippocampo (che è danneggiato o asportato nel caso delle amnesie organiche); successivamente, la medesima informazione o parte di essa si stabilizzerebbe in un circuito cerebrale fuori dall'ippocampo, presumibilmente nella neocorteccia. Questo spiegherebbe anche il comportamento del paziente H.M., citato precedentemente, che a seguito della resezione degli ippocampi non era più in grado di apprendere nuove informazioni, ma ricordava quelle apprese a partire da pochi mesi prima dell'intervento chirurgico. Questo processo di fissazione in altri circuiti avverrebbe in un'estensione di tempo che dipende dalla qualità degli eventi da memorizzare e degli eventi che accadono dopo la prima codifica, a seconda che fungano direttamente o indirettamente da ripasso o che, al contrario, interferiscano per similarità di contenuto. Nel caso delle abilità motorie, studi su animali dimostrerebbero un'archiviazione iniziale delle tracce nell'amigdala e nell'ippocampo, e un'archiviazione permanente in una regione del cervelletto. Dopo un certo periodo di tempo le strutture extraippocampali dove la traccia è archiviata sarebbero in condizione di permettere delle condotte di rievocazione anche senza l'attività dell'ippocampo.

Una volta immagazzinata, l'informazione può essere rievocata; in questo caso si dice che l'informazione è disponibile e accessibile al ricordo; può però accadere che l'informazione, pur se accuratamente codificata, non sia ricordata; in questo caso l'informazione, anche se disponibile, non è accessibile. A cosa si deve questo fenomeno, che è peraltro frequente nel comportamento quotidiano? La chiave del successo di una condotta di ricordo risiede nell'efficacia di un suggerimento (retrieval cue) che faccia da innesco al meccanismo di recupero della traccia. L'informazione può non rendersi disponibile se la chiave d'accesso al ricordo, cioè il cue, è inappropriata. Se si deve ricordare il nome di un compagno di liceo si avrà poca probabilità di successo qualora si utilizzino come suggerimento i nomi dei colleghi di lavoro. L'efficacia di un indizio che faccia riaffiorare un ricordo è data dalla sovrapponibilità delle caratteristiche di tale indizio con l'informazione che deve essere rievocata. In altre parole, il suggerimento deve condividere alcune proprietà con l'informazione da recuperare o con il contesto in cui è stata appresa. Tanto più numerose saranno le proprietà condivise, tanto maggiore sarà la probabilità di ricordo.

fig. 4

Questo effetto è riconducibile a quella che è stata definita da E. Tulving e D.M. Thompson (1973) specificità di codifica, che afferma che il ricordo è reso possibile e facilitato dalla misura in cui il contesto cognitivo e/o ambientale e/o emotivo, presente al momento del recupero dell'informazione, riesce a ristabilire il contesto originale di apprendimento (fig. 4). La rievocazione libera, quella suggerita e il riconoscimento sono condotte differenti di ricordo che si distinguono proprio in base alla qualità e quantità di sovrapposizione tra indizi di richiamo e informazione. Nel ricordo libero il lavoro cognitivo del recupero prende avvio da semplici suggerimenti di contesto: per es., se si deve fare un resoconto sulle 'ultime vacanze estive', si potrà attivare inizialmente una traccia mnestica relativa al luogo dove si sono trascorse le vacanze, e partendo dalla riattivazione di questo elemento, per un effetto di propagazione, si attivano altre tracce connesse, e si ottiene un resoconto tanto più ricco e dettagliato quanto più gli eventi sono ben organizzati e la rete delle informazioni, per così dire, presenta una connessione articolata tra i vari nodi. Tanto più l'indizio di partenza è specifico, tanto più facile sarà l'individuazione e l'attivazione delle tracce appropriate e connesse. Nel caso del riconoscimento, l'indizio esterno è completamente sovrapposto all'informazione, il processo cognitivo si limita a compiere un confronto tra cue e traccia, non c'è attività ricostruttiva. Per questa ragione il riconoscimento viene considerato come la condotta che facilita maggiormente il ricordo: per es., nel caso della testimonianza oculare, è più semplice riconoscere una persona che farne un identikit.

Le cose non sono però così lineari, perché talvolta il riconoscimento può essere più difficile della rievocazione; se la scelta deve avvenire tra molti stimoli (distrattori), e soprattutto se questi ultimi sono simili allo stimolo da riconoscere, il sistema non riesce a compiere efficacemente il confronto. L'efficacia del ricordo, la sua ricchezza e accuratezza sono funzione dell'organizzazione delle tracce; tuttavia, anche strategie di organizzazione o pianificazione possono intervenire per guidare il processo di rievocazione. In questo caso, la conoscenza concettuale e generale dei soggetti suggerisce i piani per una ricerca attiva in memoria. Se si devono ricordare i nomi dei compagni di liceo partendo da una domanda che fornisce l'indizio iniziale per la rievocazione, dopo poco la lista dei nomi ricordati si esaurirà e la ricerca attiva in m. potrà continuare utilizzando altre strategie, per es. provando a ripensare alla collocazione dei posti in classe, all'ordine alfabetico del registro, a chi era nella squadra di pallavolo in palestra ecc.; queste strategie di ricerca attiva dipendono ovviamente dalle conoscenze del soggetto circa l'organizzazione degli studenti al liceo. Molti studi hanno dimostrato che l'uso di strategie differenziate, finalizzate alla ricerca attiva in m., migliorano sensibilmente le performances di ricordo.

Il ricordo, essendo un processo cognitivo che opera in serie, passo passo, è sempre ricostruttivo, con un margine di fedeltà rispetto alle informazioni apprese che varia a seconda del tipo di conoscenze. Le conoscenze procedurali, essendo automatizzate, vengono recuperate in modo corrispondente all'apprendimento, così come una parte di quelle semantiche come i concetti, gli algoritmi, il linguaggio. Il problema dell'infedeltà nella ricostruzione si pone a proposito della m. di eventi: per ricordare un evento recente non ci sono di solito difficoltà nel rievocare i dettagli specifici, ma se l'evento è più lontano nel tempo il ricordo è più povero, e quindi esso dovrà essere in parte ricostruito facendo delle inferenze plausibili basate sulla conoscenza concettuale generale.

La relazione tra schemi generali di conoscenza codificati nel sistema semantico e il ricordo di eventi specifici codificati nella m. episodica è molto stretta e avviene in una doppia direzione: l'esperienza di un evento arricchisce e modifica lo schema e quest'ultimo ne permette la ricostruzione mediante inferenze. Il risultato è che il medesimo evento verrà ricostruito nel tempo in modo parzialmente diverso e ricodificato insieme ai nuovi dati di contesto, concomitanti al momento della rievocazione. Soprattutto nell'ambito della psicologia della testimonianza, la ricostruttività di questo tipo di m. apre problemi di non poco conto a proposito dell'attendibilità e fedeltà dei resoconti prodotti in sede testimoniale, a prescindere dalla buona fede del teste.

L'ultimo tema importante relativo ai processi della m. è quello della dimenticanza, anche se è ormai trascurato nella letteratura più recente. Non si tenta più di rispondere al quesito relativo alla permanenza o meno di tutto ciò che è stato appreso. Si sa che molti apprendimenti sono ancora presenti e guidano il comportamento, anche se sfuggono alla consapevolezza dei soggetti, come accade negli apprendimenti impliciti. Ci sono d'altra parte molte evidenze sperimentali che dimostrano come parte dell'informazione venga effettivamente cancellata a causa dell'interferenza da parte di informazioni simili, apprese in un secondo momento (interferenza retroattiva), o come, al contrario, informazioni nuove possano essere cancellate da parte di informazioni simili apprese in passato (interferenza proattiva). Il tempo rimane una variabile che sicuramente incide sia nel consolidamento sia nella dimenticanza, ma che non si riesce a valutare di per sé, perché dipende dalle esperienze che lo riempiono, e non esiste d'altra parte la possibilità di controllo su un tempo 'vuoto'. Il tempo è un contenitore di esperienze, di processi fisiologici e mentali che comunque sono ineliminabili in qualsiasi organismo e che possono essere responsabili dell'oblio. Cause accertate di dimenticanza rimangono dunque soltanto quelle organiche da lesioni in seguito a traumi, malattie o interventi chirurgici in specifiche regioni cerebrali, oltre ai processi di interferenza, mentre ormai viene scartata l'ipotesi del decadimento, come affievolimento della traccia nel tempo.

bibliografia

E.C. Tolman, There is more than one kind of learning, in Psychological review, 1949, pp. 144-55.

G.A. Miller, The magical number seven plus or minus two: some limits on our capacity for processing information, in Psychological review, 1956, pp. 81-97.

L.R. Peterson, M.J. Peterson, Short-term retention of individual items, in Journal of experimental psychology, 1959, pp. 193-98.

N.C. Waugh, D.A. Norman, Primary memory, in Psychological review, 1965, pp. 89-104.

B. Milner, Amnesia following operation on the temporal lobes, in Amnesia, ed. C.W.M. Whitty, O.L. Zangwill, London 1966, pp. 109-33.

G. Sperling, Successive approximations to a model for short term memory, in Acta psychologica, 1967, pp. 285-92.

R.C. Atkinson, R.M. Shiffrin, Human memory: a proposed system and its control processes, in The psychology of learning and motivation: advances in research and theory, ed. K.W. Spence, J.T. Spence, 2° vol., New York 1968, pp. 89-195.

F. Craik, R. Lockhart, Levels of processing: a framework for memory research, in Journal of verbal learning and verbal behavior, 1972, pp. 671-84.

E. Tulving, Episodic and semantic memory, in Organization of memory, ed. E. Tulving, W. Donaldson, New York 1972, pp. 381-403.

E. Tulving, D.M. Thompson, Encoding specificity and retrieval processes in episodic memory, in Psychological review, 1973, pp. 352-73.

A.D. Baddeley, G.J. Hitch, Working memory, in Recent advances in learning and motivation, ed. G. Bower, 8° vol., New York 1974, pp. 47-89.

L.R. Squire, N. Cohen, Memory and amnesia: resistance to disruption develops for years after learning, in Behavioral and neural biology, 1979, pp. 115-25.

E.Tulving, Elements of episodic memory, Oxford-New York 1983.

S. Zola-Morgan, L.R. Squire, Preserved learning in monkeys with medial temporal lesions: sparing of motor and cognitive skills, in Journal of neuroscience, 1984, pp. 1072-85.

E. Tulving, Memory and consciousness, in Canadian psychology, 1985, pp. 1-12.

A.D. Baddeley, Working memory, Oxford-New York 1986 (trad it. Milano 1990).

J.I. McClelland, D.E. Rumelhart, Parallel distributed processing: explorations in the microstructure of cognition, Cambridge (Mass.) 1986 (trad. it. PDP: microstruttura dei processi cognitivi, Bologna 1991).

J.D. Gabrieli, N.J. Cohen, S. Corkin, The impaired learning of semantic knowledge following bilateral medial temporal-lobe resection, in Brain and cognition, 1988, pp. 157-77.

D. Schacter, Perceptual representation systems and implicit memory: toward a resolution of the multiple memory systems debate, in The development and neural bases of higher cognitive functions, ed. A. Diamond, New York 1990, pp. 543-571.

L.R. Squire, R. McKee, The influence of prior events on cognitive judgments in amnesia, in Journal of experimental psychology: learning, memory and cognition, 1992, pp. 106-15.

D. Schacter, E. Tulving, Memory systems 1994, Cambridge (Mass.) 1994.

L.R. Squire, B. Knowlton, Memory, hippocampus, and brain systems, in The cognitive neurosciences, ed. M.S. Gazzaniga, Cambridge (Mass.) 1994, pp. 825-837.

A.D. Baddeley, Exploring the central executive, in The quarterly journal of experimental psychology. Section A, 1996, pp. 5-28.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Tomografia a emissione di positroni

Recupero dell'informazione

Memoria a lungo termine

Intelligenza generale

Psicologia cognitiva