MEO di Guido da Siena

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MEO di Guido da Siena

Giampaolo Ermini

MEO di Guido da Siena. – Non si conosce la data di nascita di questo pittore, originario di Siena, figlio di tal Guido, attivo nei primi decenni del XIV secolo.

La sola attestazione documentaria certa risale al 10 genn. 1319, quando M., diventato non da lungo tempo cittadino perugino, s’iscrisse al Catasto di porta S. Pietro denunciando la proprietà di una casa nella parrocchia di S. Silvestro e di un terreno in parte coltivato a vigna a Mugnano o Megnano, nel contado (Mariotti; Manzoni). Riprendendo una notizia aretina del 24 sett. 1334 relativa a un Bartolomeo pittore «olim Mey de Senis», Salmi (1923) propose d’identificare il defunto Meo di quel documento con il Meo attivo a Perugia. Tale suggerimento, privo di solidi argomenti, fu subito messo in discussione da Gnoli; e tuttavia è stato da allora ripreso con più o meno convinzione.

Altro dato biografico dibattuto (sempre originato dal documento del 1319) è l’identificazione del padre dell’artista. M. risulta infatti figlio «olim Guidonis pictor de Senis». Sin da Mariotti questo Guido è stato identificato con l’autore della nota Maestà senese in S. Domenico, firmata da Guido da Siena e datata 1221. Milanesi dette per certa quell’ipotesi, rilevando, nel contempo, l’anacronismo della data 1221 e identificando il pittore con il Guido di Graziano altrimenti documentato negli ultimi decenni del secolo XIII. A tale conclusione si opposero Weigelt (1909) e Gnoli. Oggi, pur assodata la corretta cronologia della tavola domenicana, l’identità del padre di M. rimane un problema aperto a causa dell’esistenza di più pittori senesi omonimi a cavallo tra XIII e XIV secolo e della difficoltà a distinguerne le biografie (Maginnis, pp. 241, 256-259).

Il centro dell’attività di M. fu Perugia, dove si concentra la gran parte delle opere ormai generalmente riconosciutegli. Anche per questo gruppo di lavori, tuttavia, l’esiguità delle notizie ha condotto a conclusioni divergenti, tanto nella cronologia interna, quanto in quella assoluta. Rimane cruciale, per la definizione dei parametri temporali e l’esegesi delle opere, la questione dei tempi dell’arrivo a Perugia: gli studiosi sono su posizioni distanti, scalate dall’esordio del secolo (Lunghi) agli anni finali del secondo decennio (Gardner, 1997; Subbioni).

Il corpus del pittore è ricostruibile a partire dal polittico n. 22 (si adottano i riferimenti numerici del catalogo Santi) della Galleria nazionale dell’Umbria (Madonna con il Bambino e santi), sua sola opera firmata. Si trovano nello stesso museo anche le due tavole con la Madonna con il Bambino nn. 23 e 24 e il pentittico n. 25. Ancora a Perugia, presso il Museo della cattedrale, si conserva un trittico con la Madonna con il Bambino, il Redentore e santi.

Il polittico firmato proviene dall’abbazia benedettina di S. Maria di Valdiponte, nota anche come Montelabate, dove si trovavano altre opere del pittore e della sua cerchia, indizio di un legame speciale con quella committenza. Giudicata da Longhi (1973) lavoro giovanile e posteriore al 1320, la tavola è stata collocata da Boskovits nella seconda metà del secondo decennio del Trecento, una datazione sostanzialmente condivisa anche da Gardner (1997), che pensa alla commissione dell’opera come ragione dell’approdo del maestro a Perugia, evento da datare verso il biennio 1318-19. Viceversa, a parere di Boskovits, M. si sarebbe trovato in città fin dal 1310 o anche prima, anni ai quali egli riconduce il n. 24. Su questa tavola cuspidata, un tempo nella chiesa perugina di S. Maria della Misericordia, occorrerà anzitutto sottolineare come si tratti della porzione centrale di un dossale d’altare a più figure: lo garantiscono le tracce della mano e del pastorale di un santo vescovo alla destra del gruppo centrale. Si deve anche rimarcare, sul lato opposto, la presenza della figuretta frammentaria di un donatore o di una donatrice.

Il pentittico n. 25 proviene dalla chiesa perugina di S. Domenico. L’assenza però di un rappresentante dell’Ordine (Gordon) autorizza qualche sospetto circa l’originaria collocazione. Attribuito esplicitamente a M. dalla Vavasour-Elder, fu giudicato da Salmi (1921) prodotto dell’attività estrema; Boskovits lo ha invece ricondotto al secondo decennio, periodo al quale secondo lo studioso appartiene anche il trittico del Museo della cattedrale.

Era a Montelabate la Madonna con il Bambino n. 23. Essa fu attribuita a M. da I. Vavasour-Elder che la considerava il suo lavoro più antico e di migliore qualità. La critica successiva si è invece orientata per una datazione posteriore al polittico firmato, verso la seconda metà o la fine del terzo decennio.

Respinta da Gnoli e da Santi (si vedano anche le riserve di Scarpellini), ma accettata dalla gran parte dei critici recenti, è l’attribuzione avanzata da Weigelt (1909) del paliotto a doppia faccia dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte, datato 1333 e per lungo tempo considerato una predella.

Già Mariotti, che vide l’opera nella sacrestia della Confraternita perugina di S. Pietro Apostolo in Porta S. Pietro, ne riconosceva il donatore (in ginocchio ai piedi della Vergine in trono) nell’abate Ugolino di Nuccio da Montevibiano. È giunto alla stessa conclusione Gardner (1974 e 1997), che ha altresì individuato nell’opera l’antica tavola dell’altare maggiore dell’abbazia benedettina di S. Pietro. Di recente, Sander ha notato come gli ultimi tre numeri della data siano un’aggiunta posteriore: la data originaria sarebbe 1330 e il donatore sarebbe da identificare in Ugolino Vibi Guelfoni da Gubbio, l’abate precedente, in carica tra 1305 e 1330; all’avvicendarsi tra i due religiosi il dipinto non sarebbe stato terminato o comunque non ancora pagato, ciò che giustificherebbe la modifica nell’iscrizione. Le testimonianze di Mariotti e di Siepi sono state riprese da Van Marle, Boskovits e Castri, proponendo una diversa ricostruzione dell’opera originaria: non un paliotto a doppia faccia, bensì una tavola con teorie di figure disposte su tre ordini, dei quali uno perduto. In realtà, dagli scritti dei due eruditi perugini si evince come tra Sette e Ottocento i santi laterali fossero sì disposti su tre ordini, ma di otto figure ciascuno. Se ne deduce che a quell’epoca due santi su ciascun lato dovevano essere stati asportati per comporre il registro superiore che, non a caso, mancava del supposto pannello centrale.

La più persuasiva aggiunta recente al catalogo di M. sono alcuni affreschi purtroppo malridotti nella parete di fondo della chiesa di S. Paolo a Monticelli, vicino Perugia (Scarpellini, 1978).

Tra gli studiosi attuali soprattutto Boskovits si è pronunciato a favore di un coinvolgimento diretto di M. negli affreschi del Sacro Speco di Subiaco, proponendone una datazione alla metà del terzo decennio. La gran parte degli altri ha messo in forte dubbio o escluso la sua partecipazione a questo cantiere, riconoscendovi piuttosto il lavoro di un’équipe più o meno strettamente dipendente dal suo stile, ma operante a date più tarde, tra quarto e quinto decennio (per Subiaco si veda ora Subbioni, pp. 116-123).

Unanimemente considerato pittore di matrice duccesca fin dai tempi di Cavalcaselle, il giudizio su M. si è via via articolato, ravvisando i suoi rapporti con l’attività di Segna di Bonaventura, Pietro Lorenzetti e Simone Martini. È stata da più critici evocata la conoscenza dei cicli pittorici della basilica di Assisi, problema che si intreccia con la questione fondamentale dei tempi dell’arrivo del pittore a Perugia. M. è stato generalmente giudicato la figura più influente nell’ambiente perugino del primo Trecento e tuttavia ritenuto un artista di modesta levatura. Al di là delle considerazioni qualitative, dovrà comunque essere tenuto ben presente l’aspetto quantitativo della sua produzione: M. fu probabilmente il pittore più richiesto per le tavole d’altare a Perugia tra secondo e quarto decennio del Trecento. Si è andata consolidando l’opinione di un suo rapporto dialettico con l’ambiente artistico perugino, l’influenza del quale sarebbe ravvisabile in opere più tarde come la Madonna n. 23 o il paliotto di Francoforte. Sono stati inoltre rilevati rapporti con le botteghe di miniatori attive nel capoluogo umbro.

Di M. non si conoscono il luogo e la data di morte.

Fonti e Bibl.: A. Mariotti, Lettere pittoriche perugine, Perugia 1788, pp. 42 s., 46 s.; S. Siepi, Descrizione della città di Perugia, II, Perugia 1822, pp. 545 s.; M. Guardabassi, Indice guida dei monumenti nella provincia dell’Umbria, Perugia 1872, pp. 221 s.; G. Milanesi, Sulla storia dell’arte toscana. Scritti varj, Siena 1873, pp. 45, 98 s.; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, Storia della pittura in Italia, I, Firenze 1886, p. 284; IV, ibid. 1900, pp. 33-35; L. Manzoni, Di un pittore del XIV secolo non conosciuto in patria, in Per le nozze Hermanin-Hausmann, Perugia 1904, pp. 1-8; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, V, Milano 1907, pp. 584-586; R. Zampa, Il monastero di Montelabbate nel Comune di Perugia, Santa Maria degli Angeli 1908, pp. 37, 40; I. Vavasour-Elder, La pittura senese nella Galleria di Perugia, in Rassegna d’arte senese, V (1909), pp. 65-67; C. Weigelt, Su alcuni dipinti di M. da S. non ancora riconosciuti, ibid., pp. 101-105; M. Salmi, Note sulla Galleria di Perugia, in L’Arte, XXIV (1921), 1, pp. 160-163; U. Gnoli, Pittori e miniatori nell’Umbria, Spoleto 1923, p. 201; M. Salmi, Quando morì M. da Siena?, in Rassegna d’arte senese, XVI (1923), pp. 76 s.; R. Van Marle, The development of the Italian schools of painting, V, The Hague 1925, pp. 20-30; B. Berenson, Studies in Medieval painting, New Haven 1930, pp. 83-86; C. Weigelt, La pittura senese del Trecento, Bologna 1930, p. 15; W.R. Valentiner, «Saint Ansano» by M. da Siena, in The Art Quarterly, I (1938), pp. 104-108; E. Carli, Mostra delle tavolette di Biccherna e di altri uffici dello Stato di Siena (catal.), Firenze 1950, pp. 27 s.; P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, pp. 516 s. n. 44, 671 s., 685, 818; C. Brandi, Duccio (1951), in Pittura a Siena nel Trecento, a cura di M. Cordaro, Torino 1991, p. 50; R. Longhi, Apertura sui trecentisti umbri, in Paragone, XVII (1966), 191, pp. 5 s.; L. Vertova, What goes with what?, in The Burlington Magazine, CIX (1967), p. 668; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Central Italian and North Italian schools, I, London 1968, pp. 270 s.; A. Caleca, Miniature in Umbria, I, Firenze 1969, p. 97; F. Santi, Galleria nazionale dell’Umbria, I, Dipinti, sculture e oggetti d’arte di età romanica e gotica, Roma 1969, pp. 57-62; M. Boskovits, Pittura umbra e marchigiana fra Medioevo e Rinascimento, Firenze 1973, pp. 13-15; R. Longhi, La pittura umbra della prima metà del Trecento, a cura di M. Gregori, Firenze 1973, p. 28; J. Gardner, The Stefaneschi altarpiece: a reconsideration, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXXVII (1974), p. 101; G. Previtali, Giotto e la sua bottega, Milano 1974, pp. 139 s.; P. Scarpellini, Per la pittura perugina del Trecento, I, Il Maestro di Paciano, in Esercizi, I (1978), 1, pp. 41-43; E. Carli, La pittura senese del Trecento, Siena 1981, p. 82; Francesco d’Assisi, III, Documenti e archivi, codici e biblioteche, miniature, Milano 1982, pp. 253 s. e passim; F. Todini, La pittura umbra, I, Milano 1989, p. 222; M.G. Bernardini, Museo della cattedrale di Perugia. Dipinti, sculture, arredi, Roma 1991, pp. 2-4; S. Castri, in Dizionario della pittura e dei pittori, III, Paris-Torino 1992, pp. 586 s.; E. Lunghi, La cultura figurativa (secoli XIII-XIV), in Perugia, a cura di R. Rossi, I, Milano 1993, p. 303; R. Mencarelli, in Dipinti, sculture e ceramiche della Galleria nazionale dell’Umbria. Studi e restauri, a cura di C. Bon Valsassina - V. Garibaldi, Firenze 1994, pp. 115-120; D. Gordon, in The Dictionary of art, XXI, London-New York 1996, pp. 144 s.; J. Gardner, The altarpiece by M. da S. for S. Pietro at Perugia. Tradition versus innovation, in Städel-Jahrbuch, XVI (1997), pp. 7-34; P. Scarpellini, in Enciclopedia dell’arte medievale, IX, Roma 1998, pp. 326 s. (s.v. Perugia. Pittura); H.B.J. Maginnis, The world of the early Sienese painter, University Park, PA, 2001, pp. 105, 153, 156, 241, 256-259; M. Subbioni, La miniatura perugina del Trecento. Contributo alla storia della pittura in Umbria nel quattordicesimo secolo, Perugia 2003, pp. 113-116 e passim; J. Sander, M. da Siena’s altarpiece for the main altar of the Benedictine abbey of S. Pietro in Perugia, in Kult Bild. Das Altar- und Andachtsbild von Duccio bis Perugino, Frankfurt a.M. 2006, pp. 251-259; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 404 s.

G. Ermini