Mercato

Enciclopedia del Novecento (1979)

Mercato

PPaolo Sylos-Labini

di Paolo Sylos-Labini

Mercato

sommario: 1. Economia naturale, economia monetaria e mercati. 2. Capitalismo commerciale e capitalismo industriale. 3. Profitto, mercato e progresso tecnico. 4. Il processo di concentrazione. 5. Le forme di mercato. 6. I mercati dei prodotti industriali: tre fasi. 7. Tre tipi di oligopolio nei mercati industriali. 8. L'industria moderna e la costellazione dei mercati. 9. I mercati dei prodotti agricoli e di quelli minerari. 10. Il mercato del lavoro. 11. Il commercio al minuto. 12. Il mercato delle abitazioni. 13. I mercati finanziari. 14. I mercati internazionali. 15. Il prezzo nelle diverse forme di mercato. 16. Il sistema dei mercati e il sistema economico. 17. Il processo di concentrazione delle imprese e le diseguaglianze nello sviluppo. 18. Moneta e mercati. □ Bibliografia.

1. Economia naturale, economia monetaria e mercati

Si usa contrapporre l'economia naturale all'economia monetaria. La prima è caratterizzata dall'autoconsumo dei produttori, dal baratto e, eventualmente, dall'appropriazione diretta di una quota dei prodotti da parte di chi ha un qualche potere coercitivo sui produttori (come i proprietari di schiavi e i signori feudali). L'economia monetaria è caratterizzata da scambi di moneta contro beni e viceversa, ossia da acquisti e da vendite, e sono appunto gli scambi sistematici e continuativi di questo tipo che costituiscono i mercati, in cui i contraenti, almeno al momento della contrattazione, si presentano liberi di acquistare o di vendere. Coloro che hanno intenzione di acquistare sono anche detti richiedenti, coloro che hanno intenzione di vendere sono anche detti offerenti, cosicché si parla, nell'aggregato, di una richiesta, o domanda, e di un'offerta. Per comprendere la natura dei singoli mercati occorre considerare, da un lato, l'origine della domanda e, dall'altro, l'origine dell'offerta. L'analisi dell'origine dell'offerta riveste interesse primario: essa riguarda, nel caso di merci, le forme del processo produttivo e, nel caso di servizi, le forme dell'organizzazione sociale.

La moneta e i mercati sono esistiti dalla notte dei tempi, almeno in forma embrionale; acquistano rilevanza sociale nella fase più matura del mondo classico e una rilevanza anche maggiore e via via crescente nel Medioevo. Nell'epoca feudale il processo produttivo per lungo tempo resta in gran parte nell'ambito dell'economia naturale, fuori dal mercato. Non solo i beni agricoli ma anche i beni non agricoli, come certi rozzi tessuti, spesso erano prodotti nell'ambito delle aziende feudali o di quelle contadine; altri beni non agricoli, da usare per il consumo e per la produzione, erano prodotti da artigiani, che nell'alto Medioevo erano spesso servi dipendenti dalla curtis feudale e nel basso Medioevo giungono a organizzarsi in potenti corporazioni. In generale, ciascuna azienda, feudale o contadina, tendeva a essere autosufficiente per tutto quello che riguardava le necessità essenziali della produzione e della riproduzione (necessità che includono il consumo dei lavoratori), cosicché col ricavato dei prodotti eccedenti, venduti sul mercato, si acquistavano attrezzi utili per allargare la produzione ovvero merci occorrenti per il consumo dei servi o dei clienti o per le comodità o il lusso dei signori feudali. Ma gli acquisti di prodotti utili ad allargare la produzione erano saltuari e non sistematici, in primo luogo perché i signori feudali, che potevano disporre dei prodotti eccedenti le necessità del processo produttivo, non erano inclini a dedicare questi prodotti eccedenti e le loro energie all'organizzazione dell'attività produttiva e quindi all'accumulazione; inoltre, appunto perché la classe dominante non intendeva occuparsi dell'organizzazione e del miglioramento del processo produttivo, l'accrescimento della produzione agricola su basi tecniche invariate avrebbe richiesto un'estensione sistematica delle superfici coltivate, cosa, che urtava contro la carenza di terre disponibili e accessibili. Di conseguenza, i commerci si potevano sviluppare principalmente attraverso le vendite di prodotti agricoli compiute per poi acquistare prodotti di consumo o di lusso per i signori feudali e i loro servi o clienti: e certamente il commercio estero era alimentato in prevalenza da questi prodotti. Fra i prodotti di consumo per i signori feudali e i loro clienti o servi erano i tessuti per abiti o per decorazione; i tessuti più semplici erano prodotti spesso nell'ambito delle aziende contadine per l'autoconsumo. E mentre i prodotti di lusso, che spesso servivano come segno di distinzione dei signori feudali, avevano necessariamente uno sviluppo circoscritto - spesso circoscritto ai traffici fra paesi lontani -, i prodotti di consumo che non venivano generalmente prodotti nell'ambito delle aziende feudali e di quelle contadine entravano nei traffici locali, insieme con i traffici per attrezzi occorrenti alla produzione. Le aziende feudali e le aziende contadine relativamente grandi di solito disponevano nel proprio ambito dei lavoratori occorrenti: servi della gleba ovvero contadini obbligati alla corvée nel primo caso; membri delle famiglie contadine nel secondo. Tuttavia, in periodi di attività particolarmente intensa - periodi segnati principalmente dall'andamento stagionale - le une e le altre aziende potevano richiedere, e richiedevano, lavoratori esterni i quali venivano assunti temporaneamente su una base di tipo contrattuale.

Questo costituiva l'embrione del mercato del lavoro salanato, che divenne in seguito la caratteristica principale del cosiddetto sistema capitalistico (capitalismo commerciale, agrario e manifatturiero prima, e capitalismo industriale poi).

Nell'Europa medioevale, dunque, si sviluppano, localmente, i mercati di prodotti agricoli, dove gli offerenti sono le aziende feudali e, più limitatamente, le aziende contadine, e i richiedenti sono i componenti di altre aziende, feudali e contadine; richiedenti erano anche gli abitanti dei borghi e di quelle che poi divennero città, artigiani, commercianti, membri di uffici cittadini, persone che vivevano della pubblica carità.

Lo sviluppo dei traffici con paesi extra-europei ebbe un potente impulso dalle grandi scoperte geografiche, principalmente la scoperta dell'America e quelle che resero possibili trasporti per via marittima fra l'Europa e le Indie orientali. A queste grandi scoperte seguì la colonizzazione che ha caratterizzato l'età moderna.

Già prima delle grandi scoperte geografiche, soprattutto per opera delle repubbliche marinare italiane, si erano sviluppati traffici extra-europei; ma erano rimasti prevalentemente nell'ambito del Mediterraneo e, salvo casi di scarso rilievo, non erano state create né colonie di popolamento né colonie di sfruttamento. Contemporaneamente si sviluppavano i traffici nell'ambito europeo. Questi sviluppi proseguono anche dopo, ma, mentre nella prima fase i mercanti agiscono in gruppi isolati, in singole città più o meno autonome, nella seconda fase i protagonisti diventano i gruppi di mercanti che riescono ad avere il sostegno politico e militare di nazioni unite e potenti, le quali seguono una politica di protezione e di appoggio verso i mercanti e verso coloro che organizzano manifatture (che spesso originariamente sono essi stessi mercanti) e introducono, nei traffici e specialmente nei traffici con le colonie, varie forme di monopoli legali. Questa seconda fase è appunto caratterizzata dalle colonie e da quel sistema di politica economica denominato sistema mercantile.

Sia nell'una che nell'altra fase ha avuto luogo lo sviluppo di quello che può esser definito capitalismo commerciale, che sorge su una base sociale essenzialmente feudale e (nelle città) corporativa. Tuttavia quello sviluppo dà luogo a un'erosione e quindi a una trasformazione del sistema feudale già nella prima fase, quella del capitalismo commerciale pre-coloniale e, più ancora, nella seconda, del capitalismo commerciale delle colonie e del sistema mercantile. Secondo Adam Smith, lo sviluppo del commercio estero e delle manifatture contribuì largamente a minare il potere dei grandi proprietari terrieri, poiché forniva loro dei beni di lusso con cui potevano scambiare il sovrappiù delle loro terre e che potevano consumare essi stessi, senza doverlo dividere con affittuari o clienti. I grandi proprietari furono così indotti a mandar via un numero crescente di clienti, a licenziare la parte economicamente inutile dei loro affittuari e, infine, a trasformare gli affitti a breve scadenza in affitti a scadenza molto lunga o senza scadenza (enfiteusi) pur di ottenere fitti più alti; ma queste trasformazioni riducevano l'influenza e l'autorità e, alla lunga, lo stesso patrimonio terriero dei grandi proprietari feudali.

Il commercio estero e quello coloniale, tuttavia, dal lato della richiesta veniva alimentato non solo dai redditi dei grandi possidenti agrari, ma anche da quelli dei mercanti e dei manifattori, che, nelle città, divenivano sempre più numerosi e sempre più prosperi. I prodotti commerciati erano, da un lato, prodotti agricoli e, dall'altro, beni di consumo di vario genere, alcuni di puro ornamento o di pura ostentazione (tessuti di alta qualità, gioielli, porcellane, oggetti di metalli preziosi), altri non strettamente indispensabili ma, via via, sempre più diffusi presso le corti dei signori feudali e presso le famiglie dei mercanti (spezie, cacao, caffè, zucchero).

Questi sviluppi commerciali hanno effetti lenti ma profondi nella stessa organizzazione sociale e nel tipo dell'attività produttiva: con la trasformazione dei rapporti fra proprietari e affittuari, cresce la produzione agricola e cresce il sovrappiù dell'agricoltura; la terra, che originariamente è fuori dal mercato, comincia a entrarvi, man mano che si sviluppano gli affittuari capitalisti, che si dedicano all'organizzazione della produzione e al miglioramento dei metodi e che dalla terra si attendono esclusivamente un reddito monetario. Gli stessi proprietari feudali si preoccupano in misura crescente del reddito monetario e attuano trasformazioni di colture, mutando in profondità i rapporti contrattuali e, in certe aree, cacciando i contadini dalle terre concesse precedentemente in uso comune. Un tale processo alimenta, da un lato, una crescente richiesta di lavoratori salariati (da parte dei proprietari, degli affittuari e dei contadini medi e ricchi) e, nel tempo stesso, una crescente offerta di questi lavoratori, che non di rado provengono da altre aziende contadine, povere e non autosufficienti. Si sviluppa così, accanto al mercato della terra, il mercato del lavoro salariato. Oltre che nell'agricoltura, un tale mercato comincia a svilupparsi nelle attività produttive e industriali, man mano che la richiesta di certi prodotti manifatturieri cresce al punto da rendere conveniente la produzione diretta piuttosto che l'importazione di quei prodotti. La produzione generalmente è promossa da mercanti, che riscontrano quella convenienza; ed è promossa, in un primo tempo, attraverso qualche tipo di lavoro a domicilio, affidato ai singoli contadini e, in seguito, riunendo in locali appositi i lavoratori (non più contadini, ma lavoratori salariati) e attuando, fra loro, una divisione del lavoro che rende più efficace lo sforzo di ciascuno.

2. Capitalismo commerciale e capitalismo industriale

L'ampliamento del mercato, sotto l'aspetto della richiesta, dapprima rende conveniente la produzione, in luogo dell'importazione, di certi manufatti; in seguito, l'ulteriore sistematico ampliamento del mercato rende conveniente la progressiva divisione del lavoro e, con questa, l'introduzione sistematica di miglioramenti teorici e d'innovazioni, modeste e grandi, che spesso s'incorporano in macchine. Il passaggio dalla manifattura vera e propria alla macchino-fattura, ossia alla grande industria moderna, è appunto condizionato dal progressivo allargamento dei mercati, che, a sua volta, costituisce l'effetto di una complessa serie di trasformazioni sociali. Il nuovo sviluppo origina quello che è stato chiamato capitalismo industriale, il quale è radicalmente diverso dal capitalismo commerciale. Il nome ‛capitalismo' è giustificato solo dal fatto che coloro che lo incarnano mirano al profitto avvalendosi di un proprio ‛capitale': ma il capitalismo commerciale si svolge nella sfera della circolazione e non entra nella sfera della produzione, anche se su questa influisce dall'esterno, mentre il capitalismo industriale entra all'interno del processo produttivo e lo modifica quasi ininterrottamente e anzi proprio in questo modo consente l'ottenimento del profitto; la stessa attività commerciale diviene un'appendice dell'attività produttiva, ovvero viene condizionata e manovrata dai produttori proprio in funzione della produzione e del lancio di nuovi prodotti. La formula del capitalismo commerciale è: ‟acquistare a buon mercato e vendere caro"; la formula del capitalismo industriale è: ‟modificare i metodi produttivi e gli stessi prodotti per ottenere profitti". Nel capitalismo industriale i legami fra sviluppo tecnologico, sviluppo scientifico e sviluppo economico diventano sempre più stretti. E poiché la diffusione e lo sviluppo stesso delle innovazioni tecnologiche sono spesso condizionati dalle dimensioni (o scala) delle operazioni produttive, e queste dimensioni a loro volta sono condizionate dalle dimensioni del mercato, la cui crescita viene via via in vari modi manipolata e manovrata, nella nuova fase storica resta vera, in termini nuovi, la proposizione che prima si è richiamata e che fu originariamente proposta da Adam Smith, secondo cui l'efficacia del lavoro umano dipende dalla divisione del lavoro e questa dipende dalle dimensioni del mercato.

Dalle differenze, pur brevemente accennate, fra capitalismo commerciale e capitalismo industriale appare che solo il secondo comporta un processo di accumulazione non puramente sul piano delle ricchezze pecuniarie, ma su quello della produzione. Entrambi i sistemi sono mossi dal profitto; ma quello che muove il capitalismo commerciale è essenzialmente un profitto ‛di sottrazione', un profitto che comporta l'arricchimento degli uni senza l'arricchimento e anzi, di regola, con l'impoverimento degli altri, mentre quello che muove il capitalismo industriale è un profitto ‛di addizione' (le due espressioni sono di A. Breglia). In generale, il commercio può certo accrescere le soddisfazioni (le utilità totali) dei soggetti economici; e può promuovere la produzione per il fatto che lo sviluppo dei mercati sollecita i produttori ad andare ben oltre i limiti segnati dalle necessità dell'autoconsumo e dalle possibilità di modesti scambi in natura. Ma resta vero che nell'ambito del capitalismo commerciale lo stimolo all'espansione produttiva è indiretto e discontinuo: l'accumulazione del capitale reale (e non solo di quello monetario) diviene un processo continuativo e socialmente rilevante solo nel cosiddetto capitalismo industriale.

Giova ricordare che le potenze che s'impossessarono di altri paesi trasformandoli in colonie di sfruttamento imposero a essi una qualche forma di capitalismo commerciale, nel quale dominavano funzionari, proprietari fondiari, mercanti e usurai, e che l'attuale sottosviluppo dei paesi già coloniali va studiato anche con riferimento alle sue antiche origini.

3. Profitto, mercato e progresso tecnico

Se il perseguimento del profitto costituisce la caratteristica comune di ogni tipo di capitalismo, ben diverse sono le conseguenze per l'economia considerata nel suo complesso; e ben diversi sono i comportamenti (le strategie) dei soggetti che rappresentano l'uno o l'altro tipo di capitalismo. Tutti, mercanti antichi e moderni e capitalisti moderni, cercano di accrescere quanto più possibile i loro profitti, ma i mezzi con cui perseguono questo fine differiscono. I mercanti potranno essere interessati ai viaggi, ai resoconti dei viaggi e delle esplorazioni; potranno battersi per conquistare ordine e tranquillità, insieme con la più ampia possibile autonomia per sviluppare i loro traffici e accrescere le loro ricchezze. Ma avranno ben poco da fare col progresso scientifico e con le sue applicazioni; per investire il frutto della loro attività tenderanno ad acquistare fondi rustici o urbani.

Gli industriali moderni non possono disinteressarsi del progresso scientifico e dei problemi che sorgono quando si organizzano numerosi lavoratori, attuando una complessa divisione del lavoro; e l'arco temporale considerato nel perseguire il profitto, se è breve o brevissimo nel caso del commercio, tende a essere relativamente lungo nell'industria moderna, nella quale gli investimenti hanno un lungo periodo di gestazione e il recupero dei costi fissi generalmente richiede tempo.

In generale, il profitto è tanto più alto e tanto più sicuro quanto più il mercato che si considera è protetto da barriere all'entrata di nuovi concorrenti. Ora, nel commercio vi sono barriere spontanee, dovute all'ignoranza o alle abitudini dei richiedenti; ma queste barriere possono proteggere solo mercati molto angusti. Vi sono poi barriere dovute ai trasporti, che però, se da un lato offrono protezione, dall'altro comportano alti costi e alti rischi, almeno nella fase dell'avvio, cosicché, quando i mercanti raggiunsero sufficiente influenza economica e politica, chiesero un robusto rafforzamento delle barriere spontanee per i commerci con terre lontane attraverso diritti di esclusiva e monopoli legali di vario genere. I moderni industriali manifatturieri, a loro volta, raggiunto, attraverso un progressivo miglioramento nei metodi, un livello di efficienza taleda battere la concorrenza delle merci prodotte in altri paesi con metodi tradizionali, cessarono di chiedere protezioni. D'altro canto le barriere naturali che separavano i mercati locali sono state ridotte, prima lentamente e poi, dopo le grandi innovazioni nei trasporti rappresentate dalle ferrovie e dalle navi a vapore, tumultuosamente. La conseguenza è stata la formazione di mercati nazionali e, quindi, di mercati internazionali, non solo per merci ricche (rispetto a una data unità di peso), ma anche per merci povere.

In tutto questo processo, crescono progressivamente le dimensioni del mercato per un numero crescente di prodotti. Crescono quindi le possibilità e le occasioni di trasformare i metodi produttivi o addirittura d'introdurre nuove merci, la cui produzione richiede fin dal principio ampie dimensioni. In effetti, l'applicazione del progresso tecnologico alla produzione di regola comporta dimensioni ampie e crescenti: è possibile, cioè, produrre a costi decrescenti, introducendo nuovi metodi, a condizione di produrre di più. Sono queste le cosiddette economie tecnologiche di scala (o di dimensione) che possono essere considerate, se i nuovi metodi vengono escogitati proprio in vista dell'espansione del mercato, come elementi di un processo.

4. Il processo di concentrazione

Soprattutto a partire dal pieno sviluppo dei moderni mezzi di trasporto (terzultimo e penultimo decennio del secolo scorso), in molti rami di attività ha avuto luogo una progressiva concentrazione delle imprese. Questo processo trae origine essenzialmente nelle economie di scala, le quali, dato il mercato e dato il suo saggio di espansione, creano spontaneamente, per così dire, delle barriere all'entrata di nuove imprese.

Nell'industria moderna, dunque, al principio si ha una situazione in cui prevalgono piccole formazioni di tipo monopolistico, per la protezione offerta sia dai costi di trasporto sia dai dazi; si passa quindi attraverso un lungo stadio concorrenziale (che originariamente è stato teorizzato dagli economisti classici); e si ritorna, nel tempo recente, a una fase in cui si afferma la concentrazione industriale e in cui prevalgono grandi formazioni produttive di tipo monopolistico. Il processo di concentrazione si affermò dopo che giunse a piena maturazione la rivoluzione dei mezzi di trasporto (particolarmente: ferrovie e navi a vapore), il cui sviluppo divenne tale da consentire l'unificazione dei mercati non solo sul piano nazionale ma anche sul piano continentale e addirittura mondiale. Storicamente, forse, la concorrenza potrebbe essere concepita come una tendenza principalmente stimolata e incessantemente creata e ricreata - per un lungo periodo - dalla riduzione dei costi di trasporto e dalla conseguente distruzione delle barriere locali. Unità produttive che avevano un certo potere monopolistico su aree circoscritte vedevano via via cadere la protezione offerta naturalmente dagli elevati costi di trasporto: nuove imprese potevano sorgere e le più vigorose fra le imprese già esistenti potevano espandersi, invadendo mercati che fino allora erano stati a esse preclusi.

Ma lo stesso processo che andava distruggendo i monopoli locali andava via via creando - da un certo periodo in poi in modo tumultuoso - situazioni monopolistiche o oligopolistiche molto più stabili, che abbracciavano e abbracciano paesi interi, o che addirittura oltrepassano i confini dei singoli paesi.

5. Le forme di mercato

Se i mercanti sono i soggetti economicamente più importanti del tardo Medioevo e in buona parte dell'epoca moderna, gli industriali diventano i protagonisti delle economie avanzate nell'epoca contemporanea - da due secoli, o meno, secondo i paesi. Pertanto, conviene fare riferimento all'industria nell'analizzare le diverse configurazioni che assumono i mercati dei diversi prodotti o dei diversi servizi.

Tuttavia, prima di occuparci dell'industria, conviene fissare alcuni concetti generali. In ciascun mercato s'incontrano venditori da un lato e compratori dall'altro; di regola, i compratori, o richiedenti, possono entrare liberamente nel mercato, alla sola condizione di pagare il prezzo, mentre l'entrata di rado è libera dal lato della vendita, ossia dell'offerta, e vi sono ostacoli più o meno alti.

Si parla di concorrenza quando l'entrata è relativamente libera da entrambi i lati; a rigore si dovrebbe parlare di concorrenza bilaterale. Si parla di monopolio o di oligopolio o di concorrenza imperfetta quando l'entrata è ostacolata in vari modi dal lato dell'offerta; se esistono ostacoli sul lato della richiesta, si parla di monopsonio o di oligopsonio o di concorrenza imperfetta dal lato dei compratori.

I termini ‛monopolio' e ‛oligopolio', ‛monopsonio' e ‛oligopsonio' sono ricavati dal greco e indicano il numero dei venditori ovvero dei compratori - uno solo ovvero pochi. L'importanza decisiva attribuita al numero, tuttavia, è scorretta: quello che conta, per individuare le diverse configurazioni di mercato e per differenziare i diversi andamenti dei prezzi e delle quantità prodotte e vendute, non è il numero, ma la diversa facilità di entrata: il numero (uno, pochi, molti) è la conseguenza frequente, ma non necessaria, della diversa facilità di entrata.

Oggi la concorrenza vera e propria (libertà di entrata di venditori e di compratori) è rara nell'industria moderna, dove invece è frequente l'oligopolio, variamente configurato. La stessa osservazione vale per il commercio al minuto e per i servizi. La concorrenza nell'offerta è la regola nei mercati all'ingrosso dei prodotti agricoli. Casi di monopolio si riscontrano specialmente nel settore dei prodotti minerari.

Si parla di concorrenza imperfetta o monopolistica quando i prodotti non sono omogenei, ma sono più o meno differenziati, cosicché quello che appare un mercato unico, a rigore si suddivide in tanti e tanti mercati particolari, in cui ciascun offerente è, entro certi limiti, un piccolo monopolista; oltre questi limiti, l'offerente deve fare i conti con la concorrenza di altri offerenti. I diaframmi che generano una tale suddivisione sono dovuti alle cause più diverse, come la localizzazione, la pubblicità, la conoscenza personale; particolare importanza riveste la legislazione, che per fornire certe garanzie pubbliche o per ragioni politiche o clientelari pone certi vincoli all'entrata, come le licenze.

In via generale, si può dire che chi è in concorrenza è economicamente debole sul mercato e non è in grado d'influire sul prezzo; chi è in condizioni di tipo ampiamente monopolistico ovvero oligopolistico (entrata ostacolata) è forte ed è in grado d'influire sul prezzo, tirandolo nella direzione del proprio vantaggio: verso l'alto se è venditore, verso il basso se è compratore.

6. I mercati dei prodotti industriali: tre fasi

Consideriamo dunque le configurazioni che assumono i mercati dei prodotti industriali.

Fin quando prevalgono imprese molto piccole, dirette dagli stessi proprietari o organizzate nella forma di società composte da un numero limitato di soci, nell'industria l'entrata è sostanzialmente libera per chi dispone di capitali da investire, il che significa che prevale la concorrenza. La fase dell'impresa individuale, nell'industria dei più avanzati paesi capitalistici, dura fino all'ottavo o nono decennio del secolo scorso. Come conseguenza del processo di concentrazione industriale, un numero decrescente d'imprese produce via via una quantità crescente di merci; ed un processo analogo, ed anche più rapido, ha luogo nel settore bancario. Attraverso questi processi via via si affermano, fino a diventare dominanti in molti rami, grandi imprese organizzate nella forma di società per azioni e complessi produttivi e finanziari che controllano diverse imprese (cartelli, trusts, holdings e, più recentemente, conglomerates), complessi che possono avere carattere nazionale ovvero internazionale e multinazionale. Più precisamente, dall'ultimo decennio del secolo scorso e fino alla seconda guerra mondiale si affermano, specialmente negli Stati Uniti, in Germania e in Inghilterra, grandi complessi a carattere nazionale, che sono interessati anche all'esportazione ma che raramente dispongono di filiali in altri paesi. Solo dopo la seconda guerra mondiale via via si affermano complessi produttivi e finanziari i quali, pur conservando in un determinato paese il quartier generale - uffici direttivi e organismo di ricerca -, hanno filiali o società sussidiarie sparse in numerosi paesi.

Se nella prima fase la forma di mercato prevalente è la concorrenza, nella seconda fase (grandi imprese nazionali) è l'oligopolio; a fortiori, nella terza fase, quella delle società dette multinazionali, è l'oligopolio che prevale, addirittura su scala mondiale. Naturalmente, le piccole imprese non scompaiono affatto, anzi in certi rami crescono di numero; ma esse, di regola, direttamente o indirettamente divengono imprese satelliti.

La ragione della comparsa e poi della crescita delle grandi imprese sta in primo luogo nel fatto, al tempo stesso tecnologico ed economico, già ricordato: è risultato via via possibile produrre a costi decrescenti a condizione di produrre quantità sempre più grandi di prodotti, ossia a condizione di adottare quelli che sono stati chiamati metodi di produzione di massa. In effetti, nella maggior parte dei rami produttivi le dimensioni minime che gl'impianti debbono avere per poter produrre a costi competitivi col progresso della tecnologia sono divenute e tendono a divenire sempre più grandi. Ma più grandi sono le dimensioni degl'impianti, maggiori sono i costi fissi totali e maggiore deve essere la produzione per ottenere un costo totale medio sufficientemente basso. Di conseguenza, il mercato pone un limite all'entrata di nuove imprese. Data l'estensione del mercato, il limite è tanto più efficace quanto più ampie sono le dimensioni minime; per converso, date le dimensioni minime, il limite è tanto meno efficace quanto più sviluppata è l'economia e, di conseguenza, quanto più ampio è il mercato che in essa si colloca.

Produzioni crescenti possono trovare sbocchi commerciali adeguati non solo se i mercati si allargano, ma anche se le imprese rafforzano i loro apparati commerciali; e lo stesso apparato commerciale acquista crescente efficienza man mano che crescono le dimensioni delle quantità vendute. Le spese per l'organizzazione commerciale e per la pubblicità hanno caratteristiche simili a quelle dei costi fissi: più sono grandi, maggiore deve essere la produzione, anche indipendentemente da motivi tecnologici, per poter vendere a costi totali medi di vendita sufficientemente bassi. Si può parlare, pertanto, oltre che di economie tecnologiche di scala, anche di economie commerciali di scala: entrambe sono legate alle grandi dimensioni ed entrambe, rinforzandosi le une con le altre, costituiscono ostacoli all'entrata. Tuttavia, gli ostacoli non vanno confrontati soltanto con le dimensioni delle quantità prodotte e vendute e con le dimensioni del mercato esistente in un dato momento; vanno posti in relazione anche con l'incremento assoluto della domanda addizionale, incremento che ha luogo, a parità di prezzi, come conseguenza dell'incremento dei redditi. Ora, le dimensioni assolute della domanda in ciascun mercato tendono a essere proporzionali alle dimensioni assolute dell'economia che si considera, così che crescono col crescere di queste dimensioni. È vero che, nel tempo, anche le economie di scala - tecnologiche e commerciali - tendono a crescere; ma se l'economia e quindi la domanda nei singoli mercati cresce con un saggio più rapido, si forma lo spazio economico per un numero crescente di grandi imprese, che così potranno entrare; ovvero, sorge lo spazio economico per un numero crescente di unità produttive elementari o complesse, ossia d'impianti o di stabilimenti delle grandi imprese già esistenti. In altri termini, gli ostacoli all'entrata, che valgono con minore efficacia per gl'impianti o per gli stabilimenti, continuano a valere per le nuove grandi imprese, se le grandi imprese già esistenti si premuniscono costruendo impianti o stabilimenti in anticipo rispetto alla crescente domanda, sulla base di una programmazione aziendale fondata a sua volta su adeguati studi di mercato. Se tuttavia il mercato si espande più rapidamente del previsto o se nuove grandi imprese, applicando miglioramenti tecnici capaci di ridurre sensibilmente i costi e quindi i prezzi, si mettono in condizioni di allargare il mercato per mezzo di sensibili riduzioni di prezzi, allora nuove imprese possono entrare.

Tutto sommato, dunque, le barriere all'entrata dipendenti dalle economie di scala tendono a diventare meno efficaci man mano che l'economia si espande e quindi man mano che crescono gl'incrementi assoluti della domanda nei diversi mercati. Per difendere i loro vantaggi oligopolistici, le grandi imprese non solo costruiscono in anticipo rispetto alla domanda la capacità produttiva addizionale, ma tendono anche ad allargare la gamma delle loro produzioni, sia verticalmente (dalle materie prime ai prodotti finiti) sia orizzontalmente (prodotti affini dal punto di vista dei richiedenti), sia semplicemente giungendo a controllare prodotti molto diversi fra loro e dando luogo a società dette conglomerates, in cui si combinano le economie di scala tecnologiche con quelle commerciali, sia infine puntando sulla produzione di merci nuove.

Lo sviluppo economico è sempre consistito non solo nell'aumento delle quantità prodotte delle merci esistenti, ma anche nella produzione di merci nuove. Tuttavia, man mano che lo sviluppo economico è andato avanti, nei paesi che si sono appunto sviluppati, la velocità di diversificazione dei prodotti è andata crescendo, poiché si è andati via via molto oltre la soddisfazione di bisogni elementari. Di conseguenza, sono stati incessantemente migliorati i metodi per produrre le merci già esistenti; ma sono state anche prodotte in quantità crescente merci nuove, che miravano a soddisfare bisogni meno urgenti, a volte bisogni creati o almeno stimolati da vaste e costose campagne pubblicitarie. Ora, la produzione di merci nuove presuppone laboratori di ricerca bene organizzati e ben coordinati con l'apparato commerciale, dato che il nuovo prodotto deve trovare subito un nuovo sbocco. È stata così progressivamente eretta e rafforzata una barriera protettiva di nuovo tipo costituita dalla combinazione fra un'organizzazione per la ricerca scientifica per la creazione di nuovi prodotti (oltre che di nuovi metodi per produrre più efficacemente prodotti già esistenti) e un apparato commerciale e pubblicitario per il lancio e lo sviluppo delle vendite dei nuovi prodotti. Una tale barriera si fonda su una posizione di monopolio iniziale, poiché l'imitazione di una nuova merce richiede tempo pur quando sussistono condizioni economiche favorevoli. D'altro canto, nella fase della sperimentazione e del lancio della nuova merce, non si attua ancora la produzione su larga scala (non sussistono ancora le economie tecnologiche di scala), cosicché i costi e i prezzi sono relativamente elevati. Di conseguenza, solo in un paese ad alto reddito individuale medio, come gli Stati Uniti, possono essere più vantaggiosamente lanciati i nuovi prodotti; inoltre, solo in un paese economicamente molto sviluppato è possibile ed è conveniente organizzare ampi laboratori di ricerca, che richiedono dimensioni molto grandi delle imprese che li promuovono.

Di regola, quindi, i nuovi prodotti vengono introdotti in un paese ad alto livello di reddito individuale; in seguito, quando comincia la produzione di massa, i costi e quindi i prezzi possono essere ridotti: le merci, oltre a essere vendute all'interno in quantità crescenti, sono anche esportate in misura via via crescente in paesi con redditi individuali via via meno elevati. A questo punto cade la barriera protettiva costituita dalla combinazione fra laboratori di ricerca e apparati di vendita e compare la barriera data dalle economie tecnologiche di scala. Questa barriera, tuttavia, è meno efficace della prima: via via che cresce il numero dei paesi con alto reddito individuale medio, anche se meno alto di quello dei paesi all'avanguardia dello sviluppo economico, crescono le probabilità che imprese operanti in questi paesi realizzino la produzione di merci oramai non più nuove. Tali probabilità crescono ulteriormente a causa del fatto che i paesi a reddito relativamente meno alto sono anche paesi in cui i salari e, quindi, a parità di produttività, il costo del lavoro per unità prodotta, sono meno alti. Le grandi imprese innovatrici del paese guida rischiano allora di vedere ridotta la loro quota di mercato; per evitare che ciò accada esse creano negli altri paesi delle filiali o delle società sussidiarie, accentuando, se già non lo avevano, il loro carattere internazionale o multinazionale. La convenienza a creare filiali all'estero è accresciuta da eventuali tariffe protettive, che rendono oneroso conquistare o mantenere per mezzo di esportazioni il mercato che si considera.

In una seconda fase, dunque, le filiali delle grandi società installate negli altri paesi, dopo aver sfruttato le economie tecnologiche di scala e i più bassi salari e dopo aver saturato i mercati dei paesi in cui operano, potranno cominciare a vendere nel paese di origine. Quello che è stato chiamato il ‛ciclo del prodotto' è così completato. Ma, terminato un ciclo, un altro se ne apre; e anzi, di regola, vi sono diversi cicli in atto, sia pure sfasati fra loro. Il ‛ciclo del prodotto' con le sue varie fasi influisce pertanto sull'andamento e sul contenuto dei mercati internazionali.

7. Tre tipi di oligopolio nei mercati industriali

Nei paesi che sono all'avanguardia dello sviluppo economico i prodotti industriali nuovi non rappresentano che una quota relativamente bassa del reddito nazionale, ma hanno una grande importanza, nel senso che essi costituiscono il principale mezzo attraverso cui le maggiori imprese si espandono negli altri paesi e comunque cercano di mantenere la preminenza economica per sé e per il paese di origine. Nei paesi a sviluppo intermedio, invece, le merci tradizionali costituiscono la totalità della produzione industriale; in certi casi si tratta di prodotti relativamente recenti (come nel caso delle automobili o dei frigoriferi) ma solo in via eccezionale si tratta di merci nuove.

I mercati dei prodotti industriali tradizionali sono protetti prevalentemente dalle economie tecnologiche di scala quando si tratta d'industrie con un prodotto dominante e relativamente omogeneo (per es.: acciaio, cemento). Sono invece protetti da barriere imputabili alle economie di scala commerciali e pubblicitarie, quando si tratta d'industrie i cui prodotti sono differenziati; in questi casi la principale barriera all'entrata è data dall'ampiezza delle spese per l'organizzazione commerciale e per la pubblicità che un'impresa deve sostenere per inserirsi nel mercato e quindi per espandere o almeno per conservare la sua quota di mercato. Molte merci non durevoli di consumo appartengono a questa categoria. Può esser denominata oligopolio ‛omogeneo' o ‛concentrato' quella situazione di mercato in cui la barriera tecnologica è particolarmente rilevante, oligopolio ‛differenziato' o ‛imperfetto' quella situazione di mercato in cui prevale la barriera commerciale e oligopolio ‛misto' la situazione in cui troviamo una combinazione delle due categorie di barriere; la maggior parte delle merci durevoli di consumo e l'industria meccanica appartengono a questa categoria.

Le grandi o grandissime imprese hanno vantaggi particolari (o ‛economie') non solo per ragioni tecnologiche o per ragioni commerciali, ma anche per ragioni attinenti al credito e, più in generale, alle fonti di finanziamento, poiché, a parità di altre condizioni, è più facile alle grandi imprese che alle piccole accedere al credito bancario o al mercato finanziario, rispettivamente per prestiti a breve e a lungo termine.

8. L'industria moderna e la costellazione dei mercati

Se si pone l'industria al centro del sistema economico, possiamo raggruppare nel modo seguente i diversi mercati.

Nell'industria entrano, come elementi fondamentali di costo, materie prime e lavoro. Le materie prime derivano dall'agricoltura o dalle miniere. Gran parte dei prodotti agricoli costituiscono materie prime per l'industria alimentare; alcuni prodotti agricoli sono usati come prodotti alimentari senza rilevanti trasformazioni, altri sono usati come materie prime per l'industria tessile. Il primo gruppo di mercati è dunque quello delle materie prime agricole e minerarie e di altri prodotti agricoli.

C'è quindi il gruppo dei mercati del lavoro, nei quali si formano i salari e gli stipendi. Sui salari, fra le diverse spinte, influiscono le variazioni del costo della vita, il quale, a sua volta risulta dalla combinazione dei prezzi al minuto delle merci industriali e agricole, dei servizi reali (per es. trasporti) e personali (per es. parrucchieri, cure mediche) e dei fitti delle abitazioni.

I prezzi al minuto dipendono da quelli all'ingrosso e dai prezzi al produttore (in certi casi queste due categorie di prezzi coincidono). I mercati all'ingrosso delle merci industriali sono quelli da cui siamo partiti; i mercati all'ingrosso dei prodotti agricoli non trasformati dall'industria possono essere studiati insieme con quelli, già ricordati, dei prodotti agricoli usati come materie prime. Fra il produttore e il richiedente ultimo (o consumatore) vi sono i commercianti, all'ingrosso e al minuto: il terzo gruppo di mercati è appunto quello dei servizi d'intermediazione commerciale. Salvo che nel caso dell'agricoltura, dove ricorderemo i mercati all'ingrosso come distinti da quelli che fanno capo ai produttori, concentreremo l'attenzione sui mercati al minuto.

Il quarto gruppo di mercati è stato già nominato a proposito del costo della vita: è il mercato dei fitti delle abitazioni.

I salari e gli stipendi non sono soltanto elementi di costo; sono anche redditi: insieme costituiscono circa il 60% del reddito nazionale e una percentuale poco inferiore della domanda aggregata, costituita dai consumi, dagl'investimenti e dalla domanda estera. Rispetto allo sviluppo dell'industria un aumento dei salari ha effetti contraddittori: in quanto redditi, facilita questo sviluppo, in quanto costi, quando l'aumento supera certi limiti, riduce i profitti e quindi indebolisce l'incentivo a investire, ossia ad accrescere la capacità produttiva. In effetti, gl'investimenti nell'industria, che costituiscono l'antecedente immediato dello sviluppo, dipendono: dalle variazioni della domanda aggregata, dal saggio del profitto (che costituisce l'incentivo a investire), dai profitti totali (che costituiscono la fonte dell'autofinanziamento degli investimenti) e dalla disponibilità dei fondi di finanziamento, a breve e a lungo termine; dipendono anche, se pure in via molto subordinata, dalle variazioni del saggio dell'interesse, che rappresenta il prezzo dei prestiti. Per completare il quadro, quindi, è necessario un breve cenno a un quinto gruppo di mercati, il gruppo dei mercati finanziari.

9. I mercati dei prodotti agricoli e di quelli minerari

Nella produzione agricola non ci sono ostacoli di rilievo all'entrata di nuovi produttori e i prodotti sono omogenei, nel senso che le caratteristiche merceologiche sono obiettivamente determinabili. È bensì vero che i prezzi di certi prodotti agricoli in diversi paesi non possono scendere sotto un limite minimo, poiché sono sostenuti dal governo; la politica di sostegno dei prezzi, tuttavia, circoscrive ma non annulla l'azione della concorrenza, che, d'altra parte, si esplica pienamente nei mercati in cui il governo non interviene.

Questo, tuttavia, vale per la produzione dei prodotti agricoli: se l'offerta avviene in condizioni di concorrenza, non è detto che le stesse condizioni sussistano dal lato della domanda. Particolarmente nelle economie arretrate, la domanda assume sovente le caratteristiche del monopsonio o dell'oligopsonio, per il fatto che sussistono ostacoli di vario genere all'ingresso di nuovi acquirenti.

Vi sono attrezzature e impianti particolari (magazzini di deposito, mezzi di trasporto, frigoriferi) che vengono in pratica controllati in via esclusiva da alcuni soggetti. Si tratta di grandi imprese appartenenti all'industria di trasformazione dei prodotti agricoli; nel caso di prodotti agricoli consumabili, si tratta di grandi commercianti. Vi sono, inoltre, regole stabilite anche per legge, che limitano l'accesso ai mercati all'ingrosso per ragioni - a volte pretestuose - d'interesse pubblico. L'autorità pubblica potrebbe ridurre questi ostacoli, mettendo a disposizione degli stessi produttori diverse delle attrezzature sopra ricordate, aiutando i produttori a fare a meno degli intermediari attraverso organizzazioni commerciali da loro stessi costituite e abolendo le leggi che creano ostacoli artificiali all'accesso ai mercati all'ingrosso. Ma tutto questo, nelle economie arretrate, è ben difficile da attuare, non solo a causa dell'inefficienza della pubblica amministrazione, ma anche a causa della forza economica e politica che riescono ad avere le grandi imprese di trasformazione, i commercianti all'ingrosso e i grandi proprietari legati a questi commercianti. Nelle zone più arretrate, come anche in grandi città ubicate in zone peraltro non arretrate, accade spesso che coloro che controllano il commercio all'ingrosso dei prodotti agricoli siano collegati con organizzazioni camorristiche o mafiose che arrivano anche al delitto per impedire ad altri di entrare. D'altra parte, nelle zone arretrate i piccoli produttori sono sovente indebitati con i grossisti, che in questo modo riescono a tenerli economicamente in pugno. Comunque sia, nel commercio all'ingrosso dei prodotti agricoli sono di solito rilevanti gli ostacoli all'entrata di nuovi soggetti. Di conseguenza, si osservano sovente differenze cospicue fra prezzi al produttore, prezzi all'ingrosso e prezzi al consumatore, differenze che solo in parte possono essere spiegate con vere e proprie spese di distribuzione; in parte esse si traducono in guadagni di tipo monopsonistico, poiché provengono da posizioni di vantaggio nell'acquisto di prodotti. (Un altro cospicuo esempio di monopsonio nel campo dell'agricoltura, in un paese come l'Italia nel quale c'è il monopolio statale nella vendita dei tabacchi, è il monopsonio, pure statale, nell'acquisto del tabacco grezzo).

Certi prodotti della terra si trovano in condizioni di tipo ampiamente monopolistico, nel senso che l'entrata di nuovi produttori è difficile e che l'offerta, se pur crescente, cresce più lentamente della domanda. Questo sembra oggi essere il caso dei prodotti degli allevamenti, dove, tuttavia, sono cospicui i guadagni monopsonistici.

I prodotti delle miniere si trovano spesso in condizioni di tipo monopolistico; è un campo in cui caratteristicamente operano società multinazionali.

Da tutto quanto si è detto in questo e nei tre precedenti capitoli emerge che le società multinazionali sono, all'interno del loro paese di origine, grandi imprese oligopolistiche e ricavano la loro forza di mercato: a) dalla combinazione dei vantaggi derivanti da un vasto apparato commerciale e da laboratori di ricerca in grado di proporre nuovi prodotti; b) dalla combinazione dei vantaggi derivanti dall'apparato commerciale e dalle grandi dimensioni degli impianti; c) dal controllo esclusivo di risorse agricole e minerarie, specialmente in paesi arretrati. Le società multinazionali del primo gruppo sono quelle che si specializzano nel lancio e nello sviluppo di nuovi prodotti; le società del secondo gruppo sono quelle che producono certi prodotti tradizionali, come diversi prodotti dell'industria alimentare, i pneumatici, le automobili e altri prodotti delle industrie meccaniche; le società del terzo gruppo sono quelle che posseggono piantagioni o controllano produzioni minerarie, come il petrolio, il rame, lo zinco.

10. Il mercato del lavoro

Esaminiamo ora il mercato nel quale vengono offerti e domandati i servizi dei lavoratori - operai e impiegati -, che è poi il mercato più importante di tutti. Si tratta di un mercato assai antico: sia pure con ampiezza circoscritta, un mercato di servizi di salariati agricoli esisteva già nel tardo Medioevo, anche se il pagamento avveniva, almeno in buona parte, in natura. Il mercato del lavoro si è poi progressivamente allargato. Al principio dello sviluppo economico moderno, per le attività di tipo nuovo, l'offerta del lavoro era praticamente illimitata non solo per l'espansione demografica, ma anche per l'esodo dalle campagne di contadini o di figli di contadini espulsi dalle profonde trasformazioni nei rapporti contrattuali o dalle ‛recinzioni' delle terre già in uso comune, ovvero di contadini attratti dai salari continuativi pagati nelle nascenti manifatture. In una tale situazione di grande abbondanza di lavoratori salariati, i quali per di più non erano organizzati nè in leghe nè in sindacati, il salario oscillava su un livello appena sufficiente alla vita fisica e alla riproduzione. Era appunto questa la situazione dell'inghilterra durante la prima metà del secolo scorso e, in Italia, nei primi due o tre decenni dopo l'unificazione. (Negli Stati Uniti questa relativa abbondanza durò poco, poiché i lavoratori poterono trovare occupazione autonoma nelle terre libere). Si può dire che in quel tempo nel mercato del lavoro vigesse pienamente la concorrenza, mentre coloro che richiedevano lavoro si trovavano in una situazione di tipo monopsonistico, essendo relativamente pochi rispetto ai lavoratori. In seguito, con la progressiva riduzione della popolazione occupata nell'agricoltura tradizionale e nelle altre attività di tipo premoderno e con la diminuzione del saggio di crescita demografica, l'offerta di lavoro è diventata scarsa rispetto alla domanda; i lavoratori, raggruppati nelle fabbriche industriali moderne, di dimensioni sempre più ampie, si sono organizzati in sindacati e sono riusciti a influire anche sul potere politico, attraverso i partiti operai. I salari sono saliti via via oltre il limite minimo dato dalla sussistenza e dalle necessità di riproduzione; e la ripartizione del reddito netto, o sovrappiù, è diventata oggetto di lotte sociali e politiche quasi continue.

Coloro che richiedono i servizi dei lavoratori - i ‛capitalisti', i ‛padroni', detti anche, con espressione impropria e linguisticamente infelice, ‛datori di lavoro' - si sono a loro volta organizzati in sindacati. Si sono così formati, da un lato, i sindacati operai e, dall'altro, i sindacati padronali; e i salari sono divenuti oggetto di contrattazione collettiva fra questi sindacati contrapposti. L'arma principale (ma non unica) dei sindacati operai è lo sciopero; l'arma principale dei sindacati padronali consiste nella minaccia di licenziamento. Nello sciopero, gli operai perdono il salario; possono ottenere aiuti finanziari dai sindacati o attingere dai loro risparmi; ma non possono resistere indefinitamente. D'altra parte, in uno sciopero o in una serrata, i capitalisti subiscono perdite per la mancata produzione e per la possibile riduzione della clientela che in parte si può rivolgere altrove, anche all'estero.

Formalmente, questa situazione è stata descritta con l'espressione ‛monopolio bilaterale': i sindacati contrapposti ‛monopolizzano', da un lato, l'offerta, dall'altro, la domanda di lavoro. In questo tiro alla fune il vantaggio (nell'angusto senso contrattuale o di mercato) è maggiore ora per l'uno ora per l'altro contraente, secondo la forza relativa. Tuttavia, anche se formalmente può essere giustificato parlare di monopolio bilaterale, non si deve dimenticare che esiste una fondamentale asimmetria fra le parti contrapposte: i lavoratori hanno in gioco il loro impiego da cui traggono i loro mezzi di sostentamento; i capitalisti perdono una parte dei loro profitti e solo in casi estremi vanno incontro al fallimento e alla perdita dei mezzi di sostentamento. Nel periodo più recente, tuttavia, lo spettro della disoccupazione è divenuto meno grave per i lavoratori, grazie a interventi pubblici di vario tipo che assicurano, almeno per un certo tempo, una parte rilevante del salario e perfino l'impiego a coloro che cessano di lavorare o che lavorano a ritmo ridotto. In ogni modo, negli ultimi anni la forza dei sindacati si è accresciuta notevolmente e tende a travalicare i limiti delle rivendicazioni puramente salariali per investire sistematicamente le condizioni di lavoro nelle fabbriche e, in certi casi, le linee stesse della politica economica (v. lavoro).

11. Il commercio al minuto

Riguardo ai servizi d'intermediazione commerciale, abbiamo avuto già occasione di considerare i mercati all'ingrosso dei prodotti agricoli; consideriamo ora il commercio al minuto di tutti i prodotti, agricoli e non agricoli. Sebbene in ciascuno specifico mercato al minuto i soggetti siano numerosi, in questo ramo di attività di regola non vige la concorrenza: una serie di diaframmi e di differenziazioni spezzano, per così dire, l'unità di ciascun mercato suddividendolo in tanti e tanti piccoli mercati. Questi diaframmi e queste differenziazioni possono essere determinati: dall'ubicazione, che comporta vantaggi per i negozi dei quartieri più popolosi e più ricchi e crea, spontaneamente, clientele di diversa consistenza; dall'ignoranza dei consumatori sulle precise condizioni del mercato; dall'offerta di servizi accessori, che sono forniti dai diversi commercianti per attirare e legare a sé i clienti; dalla pubblicità. I diaframmi possono essere rafforzati da una legislazione restrittiva nella concessione di licenze per il commercio al minuto o nella concessione di licenze a quegli empori che possono appunto far concorrenza a diverse categorie di negozi specializzati. Neppure quei diaframmi, tuttavia, sono uniformi: così, mentre non c'è praticamente concorrenza fra i commercianti (diciamo) di tessuti di due diversi quartieri periferici, una certa concorrenza fra i (pochi) commercianti di questa categoria che operano nello stesso quartiere esiste: si può quindi parlare di ‛oligopolio differenziato', appunto perché una concorrenza diretta ha luogo fra pochi commercianti e perché i servizi commerciali offerti su quei piccoli mercati particolari non sono propriamente omogenei, ma sono ‛differenziati'. Non è che la concorrenza non operi affatto: essa tuttavia opera solo dopo aver superato quei diaframmi e quegli ostacoli. L'espressione contabile di questa situazione è data dall'‛avviamento', ossia dal valore che si attribuisce alla ‛clientela' che una certa impresa commerciale si è conquistata e su cui può contare. In sostanza, l'avviamento rappresenta la capitalizzazione dei redditi protetti da quegli ostacoli, redditi che hanno un carattere monopolistico. L'‛avviamento' riguarda le imprese di qualsiasi tipo; ma assume un'importanza ‛relativa' particolarmente rilevante proprio nel caso delle aziende commerciali.

Molti servizi e molte industrie che producono merci per i consumatori hanno caratteristiche simili a quelle del commercio al minuto. I servizi dei professionisti (medici, avvocati, architetti, ingegneri), come anche i servizi alberghieri e i servizi di trasporto, sono fortemente differenziati. Nel caso dei professionisti, alle differenziazioni e agli ostacoli all'entrata che dipendono dalla natura stessa dei servizi resi, si aggiungono regole di condotta stabilite da ‛associazioni di categoria'. Alcune di queste regole mirano a impedire abusi e quindi a mantenere il prestigio e la rispettabilità della professione e, quindi ancora, a evitare misure repressive dei pubblici poteri. Altre regole mirano a rendere unitaria, anche nel campo economico, la condotta della categoria di professionisti per accrescere i guadagni dei membri: sono regole che tendono ad attribuire a quelle associazioni caratteri di tipo monopolistico. In ogni modo, quando si tratta di servizi d'interesse generale, sia personali che reali (servizi di assistenza medica, servizi di trasporto), in diversi rami interviene la pubblica autorità per evitare che il servizio venga venduto a prezzi tali da consentire guadagni superiori alla norma e per fare in modo che il servizio venga fornito al prezzo di costo o anche inferiore al costo o perfino gratuitamente; in questi ultimi due casi il costo viene sopportato in parte o integralmente dalla collettività, attraverso i tributi. Resta, tuttavia, il problema di evitare che i prezzi pagati dallo Stato siano ingiustificatamente elevati. (Nel campo dell'assistenza medica, nei paesi in cui questa è in ampia misura socializzata, lo Stato si trova in una posizione monopsonistica nei mercati dei prodotti farmaceutici).

12. Il mercato delle abitazioni

Quello delle abitazioni è un mercato che si trova in condizioni tipiche di concorrenza imperfetta. Costruire, in sé, non costituisce un'operazione particolarmente complessa o difficile: sotto il profilo delle costruzioni, l'entrata è relativamente libera. Ma per costruire occorre un suolo e l'offerta dei suoli edificabili è limitata non solo dalla scarsità naturale, ma anche dalla velocità (non di rado eccessivamente bassa) con cui le pubbliche autorità costruiscono le infrastrutture necessarie per trasformare i suoli agricoli in suoli effettivamente edificabili. Il prezzo della terra non ha dietro di sé un costo di produzione: esso è dovuto alla scarsità della terra ed è pagato a un proprietario appunto perché sussiste la proprietà privata dei suoli di vario tipo. La proprietà del suolo, direttamente o indirettamente (ossia quando fa parte di un edificio), dà luogo a un guadagno di tipo monopolistico, mentre un tale guadagno non è necessariamente connesso all'attività di costruzione, la quale, come si è detto, isolatamente considerata, si svolge in condizioni prossime alla concorrenza.

13. I mercati finanziari

Occorre distinguere, innanzi tutto, fra i mercati per i prestiti a breve termine (chiamati anche mercati monetari) e quelli per i prestiti a lungo termine, che sono i mercati finanziari propriamente detti. Gli offerenti nei mercati per i prestiti a breve termine sono principalmente le banche; altri offerenti sono, o possono essere, i fornitori delle imprese, quando consentono a non essere pagati subito e anche i commercianti, quando consentono a pagare anticipi. I richiedenti di prestiti bancari sono le imprese; sono anche i soggetti privati che hanno bisogno di danaro e che hanno la possibilità di fornire garanzie; sono, infine, gli organismi pubblici, che domandano prestiti o per fini d'investimento o anche per fini di consumo e per far fronte a deficit di cassa. Anche nei mercati finanziari a breve termine vige una situazione di concorrenza monopolistica. Le differenziazioni e i diaframmi sono particolarmente accentuati nel caso dei principali offerenti di prestiti a breve termine ossia delle banche: essi dipendono soprattutto dalla localizzazione, dal diverso grado di ‛fiducia' di cui godono le imprese e dall'inevitabile elemento discrezionale (e arbitrario) che si connette al giudizio di affidabilità. Altri diaframmi e altre differenziazioni dipendono dalla legge, che limita fortemente la libertà d'ingresso di nuovi offerenti. Il risultato è che i ‛costi' di offerta del credito a breve termine in parte non sono costi necessari, ma nascondono guadagni di monopolio, i quali, in questo come in altri casi, non assumono necessariamente la forma di extra-profitti o di rendite: possono assumere anche la forma di stipendi eccezionalmente alti per i dirigenti, ovvero di stipendi attribuiti a persone, a rigore, superflue. Fra i costi ci sono gl'interessi passivi, ossia gl'interessi che le banche debbono pagare ai depositanti e ad altri creditori; i costi vengono coperti da proventi di vario tipo, fra cui rivestono importanza primaria gli interessi attivi, che differiscono secondo le scadenze e secondo il rischio.

Il mercato finanziario a lunga scadenza, o a scadenza indeterminata, è costituito da titoli obbligazionari, pubblici e privati, e da titoli azionari. La situazione di questo mercato è tipicamente oligopolistica.

14. I mercati internazionali

Tutti i mercati in cui una quota rilevante dei richiedenti o degli offerenti appartiene a paesi diversi possono essere definiti mercati internazionali. I mercati internazionali propriamente detti sono quelli delle materie prime, agricole e minerarie. I centri delle contrattazioni sono organizzati nella forma di borse merci, ove si svolgono vere e proprie aste; i principali centri mondiali sono New York, Londra e Tōkyō.

Anche i mercati di numerosi prodotti manufatti, come l'acciaio, i prodotti dell'industria tessile, dell'industria chimica e di quella meccanica, possono essere definiti internazionali, nel senso sopra ricordato. Tuttavia, in questi casi non vi sono vere e proprie borse merci, né hanno luogo aste; vi è piuttosto, per ciascun prodotto o ciascun gruppo di prodotti, un'offerta che fa capo a un numero relativamente limitato di grandi imprese, note a livello mondiale, che sono in grado di soddisfare la domanda, proveniente da diversi paesi, attraverso il loro apparato commerciale.

Nel caso delle materie prime, vendute normalmente, almeno in parte, attraverso le aste (per un'altra parte sono vendute attraverso contratti di lungo periodo fra produttori e richiedenti), vige una situazione di concorrenza o, in casi speciali, una situazione di tipo monopolistico. Nel caso di molti manufatti che sono oggetto di scambi fra diversi paesi vige invece l'oligopolio, che assume, appunto, carattere internazionale. Si possono avere situazioni di oligopolio internazionale nei mercati dominati da poche grandi imprese appartenenti ai paesi più avanzati. Di regola si hanno situazioni di oligopolio internazionale nei mercati dominati dalle società multinazionali; anzi, nel caso di nuovi prodotti, nella prima fase ha luogo una situazione di monopolio.

15. Il prezzo nelle diverse forme di mercato

Risulta da quanto si è detto fin qui che il problema della determinazione del prezzo ha soluzioni diverse nelle diverse forme di mercato. Discuteremo brevemente queste soluzioni, cercando di collegare il problema della determinazione del prezzo con quello delle sue variazioni.

Conviene distinguere fra breve e lungo periodo. Consideriamo ‛breve' quel periodo durante il quale i capitali fissi non possono essere modificati ovvero, se nel fatto vengono modificati, lo sono per decisioni prese in periodi precedenti. Per converso, è ‛lungo' quel periodo in cui i capitali fissi possono esser modificati per decisioni d'investimento prese durante lo stesso periodo.

In condizioni di concorrenza, le singole imprese non possono influire sui prezzi regolando la propria offerta perché sono troppo piccole o perché, essendo libera l'entrata, sanno che qualsiasi tentativo in questo senso verrebbe reso vano dai nuovi concorrenti. In queste condizioni, le imprese producono tutta la quantità che possono (salvo i periodi di crisi acute, da cui qui prescindiamo). Pertanto, nel breve periodo, il prezzo dipende dalla domanda e dalla quantità offerta, la quale può esser considerata data, ovvero aumentabile solo entro i limiti segnati dai precedenti investimenti. Nel breve periodo, il prezzo può scendere sotto il livello del costo di diverse imprese (ammesso che le imprese abbiano costi diversi), con conseguenti perdite per queste imprese, ovvero può salire oltre il livello del costo di tutte le imprese, con conseguenti profitti straordinari (superiori alla norma). A lungo andare, tuttavia, una tale situazione non può perdurare. Nel primo caso, infatti, man mano che un certo numero d'imprese verrà eliminato, l'offerta tenderà a diminuire e il prezzo a risalire. Nel secondo caso, nuove imprese saranno indotte a entrare in quel mercato; l'offerta aumenterà e il prezzo diminuirà. Nel lungo periodo, perciò, il prezzo tende a eguagliare il costo, se nel costo includiamo anche il profitto minimo necessario per indurre l'imprenditore a restare nel mercato. Ammettendo che nel lungo periodo le differenze di costo fra le diverse imprese tendano a scomparire, proprio perché non vi sono ostacoli alle variazioni dell'offerta e all'adozione delle più avanzate tecnologie, si deve concludere che, nel lungo periodo appunto, il prezzo dipende soltanto dal costo: la domanda non influisce sul livello del prezzo ma solo sulla grandezza della quantità prodotta. Il costo, a sua volta, varia o per ragioni tecnologiche o per variazioni dei prezzi dei mezzi di produzione.

In condizioni di oligopolio, le cose vanno diversamente. In primo luogo, non è detto che le imprese di regola producano tutto ciò che possono; in secondo luogo, non è detto che vi sia la tendenza al livellamento dei costi delle diverse imprese. Quanto al primo punto, le imprese, e particolarmente le imprese maggiori, che ‛guidano i prezzi' (price leaders), possono trovar conveniente produrre meno di quanto gli impianti consentirebbero, perché esse, che producono una quota rilevante della produzione totale, costruiscono gl'impianti in anticipo rispetto a quella che considerano la probabile espansione di lungo periodo della domanda, e non solo perché il periodo di gestazione degli investimenti di solito è lungo, ma anche perché la capacità inutilizzata può servire come deterrente per concorrenti potenziali. D'altra parte, non vi è la tendenza al livellamento dei costi delle diverse imprese, poiché i costi dipendono, fra l'altro, dalle dimensioni degli impianti; e sia l'espansione delle imprese già esistenti, sia l'ingresso di nuove imprese incontrano - date le dimensioni del mercato - gli ostacoli di cui si è già detto.

In queste condizioni, il problema analitico va rovesciato: in primo luogo occorre studiare quale sia il livello verso il quale tende il prezzo nel lungo periodo, ossia assumendo che i capitali fissi possono essere modificati, per poi vedere come varia nel breve periodo.

Non è questa la sede per approfondire una tale analisi. Basti ricordare che, in una data situazione, l'estensione del mercato relativo a un determinato prodotto, l'elasticità della domanda, le tecnologie (con gl'impianti di diversi tipi che le incorporano), i tipi di organizzazione commerciale relativi ai diversi livelli di produzione e i prezzi dei mezzi di produzione spiegano il livello verso il quale tende il prezzo del prodotto nel lungo periodo: queste caratteristiche, e particolarmente l'estensione del mercato, le diverse tecnologie e i diversi tipi di organizzazione commerciale, danno luogo a barriere all'entrata di nuove imprese. Gli effetti differenziali delle stesse barriere, all'interno del mercato che si considera, spiegano i diversi livelli dei costi delle diverse imprese (costi di produzione + costi commerciali).

Dato il prezzo di equilibrio e dati i livelli relativi dei costi, le maggiori imprese, che di regola guidano i prezzi nel breve periodo, usano il margine relativo fra prezzo e costo totale medio (o ‛costo pieno') per variare il prezzo quando i costi variano come conseguenza di mutamenti nei prezzi dei mezzi di produzione. I prezzi, quindi, variano quando variano i costi: normalmente, nei mercati oligopolistici, le variazioni della domanda non influiscono sui prezzi.

Torniamo al lungo periodo. Sinteticamente, si può dire che in situazione di oligopolio nel lungo periodo il prezzo varia al variare del costo, il quale decresce al crescere dell'estensione del mercato (per la possibilità di sfruttare antiche e nuove economie di scala), e man mano che vengono introdotti nuovi metodi, e cresce al crescere dei prezzi dei mezzi di produzione.

Se nel lungo periodo il prezzo tende a livellarsi sul costo tanto in condizioni di concorrenza quanto in condizioni di oligopolio, può sembrare che, nel lungo periodo appunto, non vi sia una sostanziale differenza tra queste due forme di mercato. Le cose, tuttavia, non sono così semplici perché è lo stesso livello del costo che varia in relazione alla forma di mercato. In condizioni di concorrenza universale nessun prezzo, neppure quello della forza lavoro, può esser manovrato; in effetti, in tali condizioni, sia i prezzi sia i salari monetari fluttuano ciclicamente, ma sono relativamente stazionari, mentre, a causa degli aumenti di produttività, i costi e quindi i prezzi delle merci tendono a flettere. Quando invece nell'industria prevalgono condizioni di oligopolio, le imprese possono influire sui prezzi (anche su quelli dei mezzi di produzione) e i sindacati possono influire sui salari, con la conseguenza che i salari monetari tendono a salire ininterrottamente e i prezzi delle merci o non flettono, oppure tendono a salire, sia pure meno dei salari, la differenza essendo assorbita dall'aumento di produttività. Comunque, va sempre tenuto ben presente che il potere delle grandi imprese d'influire sui prezzi e il potere dei sindacati d'influire sui salari risultano entrambi dal processo di concentrazione delle unità produttive.

In contrasto sia con la concorrenza che con l'oligopolio, in condizioni di monopolio il prezzo non tende a livellarsi sul costo: in tali condizioni, come nel breve periodo della concorrenza, il prezzo, sia nel breve che nel lungo periodo, dipende dalla domanda, che esprime i gusti, autonomi o indotti, dei consumatori, e dall'offerta, che dipende dal monopolista. Per individuare la quantità offerta più profittevole, il monopolista la varierà fino a quando il costo unitario addizionale (marginale) e il ricavo unitario addizionale (marginale) si eguaglieranno; e mentre il costo unitario addizionale dipenderà dalle caratteristiche dell'offerta, il ricavo unitario addizionale dipenderà da certe caratteristiche della domanda (elasticità rispetto al prezzo).

16. Il sistema dei mercati e il sistema economico

Fin qui abbiamo considerato singoli mercati. Dobbiamo ora cercare di vedere l'economia nel suo complesso - s'intende, l'economia dei paesi capitalistici sviluppati, alla quale, salvo avvertenze in contrario, si fa riferimento.

I mercati sono fra loro interdipendenti e formano un sistema. Tuttavia il sistema dei mercati e il sistema economico nel suo complesso non coincidono, in primo luogo perché esistono le pubbliche amministrazioni che forniscono certi servizi ma operano fuori dai mercati, anche se su questi influiscono in modi diversi; in secondo luogo, poiché in un'economia aperta molti mercati in parte sono, per così dire, dimezzati, nel senso che hanno, all'estero, o la richiesta (esportazioni) o l'offerta (importazioni).

L'analisi del complesso dell'economia, o analisi generale, può riguardare quantità elementari, dette microeconomiche, come le singole imprese e i singoli richiedenti, ovvero quantità macroeconomiche, o aggregate, come la somma totale del valore dei mezzi durevoli di produzione o dei consumi, e altre.

Tra gli schemi teorici microeconomici conviene ricordarne due: quello dell'equilibrio economico generale di L. Walras e V. Pareto e lo schema teorico della produzione di merci a mezzo di merci di P. Sraffa. Tra gli schemi teorici macroeconomici conviene ricordarne, di nuovo, due: lo schema marxista, che divide in due soli settori l'intera economia: il settore che produce beni d'investimento e il settore che produce beni di consumo. Per ciascuno dei settori Marx utilizza, analiticamente, tre grandi aggregati di merci: due aggregati di mezzi di produzione e il sovrappiù prodotto. L'altro schema macroeconomico è quello di J. M. Keynes, che in un certo senso concepisce l'intera economia come un unico gigantesco mercato che ha, da un lato, una capacità di offerta e, dall'altro, una domanda solvibile, o domanda effettiva, la quale, variando, traduce la capacità di offerta in offerta effettiva e che, a sua volta, si divide in tre grandi aggregati: domanda per beni di consumo, domanda per beni d'investimento e (in un'economia aperta) domanda estera. Il livello di occupazione, essendo assunta come data la tecnologia, dipende direttamente dal livello della domanda effettiva.

L'esame simultaneo di tutti i mercati visti nel quadro, più ampio, dell'intera economia mostra in modo rigoroso che le singole domande e le singole offerte sono fra loro interdipendenti e quindi sono fra loro interdipendenti i diversi prezzi - tutti i prezzi. L'analisi delle variazioni che avvengono nell'ambito di ciascun mercato è un'analisi parziale ed è compiuta sulla base dell'assunzione che tutte le altre quantità non varino (ceteris paribus). Una tale analisi può servire solo come una prima approssimazione.

Gli schemi teorici di analisi generale ricordati dianzi riguardano l'intera economia vista in un dato momento o in un dato periodo: essi si riferiscono a un'economia che si ripete nel tempo sempre nello stesso modo, ossia a un'economia stazionaria. In tali condizioni l'esame delle interdipendenze dei mercati è importante; ma l'analisi delle forme che assumono i diversi mercati ha rilevanza solo rispetto all'uniformità o alla differenziazione dei saggi di profitto, l'uniformità essendo connessa a forme di mercato prevalentemente concorrenziali. Dobbiamo ora domandarci quali siano, per il movimento dell'economia, vista sempre nel suo complesso, le conseguenze del prevalere di certe forme di mercato piuttosto che di certe altre.

17. Il processo di concentrazione delle imprese e le diseguaglianze nello sviluppo

Nel tempo in cui la concorrenza era la regola non solo nell'agricoltura ma anche nell'industria, le imprese prendevano le loro decisioni d'investimento sulla base del prezzo, che non dipende da loro ma ‛dal mercato', ossia dalla risultante delle innumerevoli spinte delle imprese e dei richiedenti, e sulla base del costo, che dipende dai loro sforzi intesi a migliorare i metodi di produzione, oltre che dai prezzi dei mezzi di produzione, che per le imprese sono dati. Nelle nuove condizioni, le imprese maggiori di ciascun ramo, che producono una quota rilevante della produzione totale e che direttamente o indirettamente trascinano tutte le altre imprese, prendono le loro decisioni d'investimento fondandosi, in primo luogo, sul previsto andamento della domanda complessiva, che le imprese maggiori possono e debbono continuamente considerare. Nelle condizioni moderne, perciò, la domanda globale diventa il principale regolatore del processo di sviluppo. Se in una data economia il sistema delle imprese private risulta incapace di creare un aumento di domanda tale da neutralizzare l'effetto negativo sul livello di occupazione degli aumenti di produttività e da assorbire le nuove leve di lavoratori, sorge, e via via si ripresenta, l'esigenza di un aumento della domanda nei settori esterni a quel sistema: per esempio, nelle spese pubbliche o nella domanda estera.

Nel tempo in cui la concorrenza era la regola, i miglioramenti nei metodi produttivi determinati dal progresso tecnico si traducevano in diminuzioni di costi e, quindi, di prezzi. In quel tempo, i sindacati o non esistevano o avevano scarso peso, l'offerta di lavoro si trovava in condizioni concorrenziali e i salari monetari fluttuavano su un livello pressoché stazionario o in lenta ascesa: ciò rendeva appunto possibile la flessione dei costi e, grazie alla pressione della concorrenza, dei prezzi, man mano che cresceva la produttività del lavoro.

In seguito, con l'affermarsi del processo di concentrazione, nell'industria moderna la concorrenza diventa l'eccezione e l'oligopolio la regola; nello stesso tempo, si rafforzano i sindacati operai. Nelle nuove condizioni, i miglioramenti nei metodi determinati dal progresso tecnico si traducono in aumenti di reddito monetari (salari e profitti); i prezzi di regola non diminuiscono, anzi spesso aumentano, anche se meno rapidamente dei redditi monetari.

Non è indifferente che i frutti del progresso tecnico si traducano in aumenti dei redditi monetari a parità di prezzi invece che in diminuzioni di prezzi a parità di redditi monetari. In questo secondo caso, se i prezzi che diminuiscono sono quelli di prodotti usati come mezzi di produzione, gli effetti di una determinata innovazione si propagano diffusamente in tutto il sistema economico, mentre, nel primo caso, quegli effetti restano circoscritti alle industrie e, anzi, alle imprese che adottano quell'innovazione. La relativa rigidità dei prezzi verso il basso consente alle imprese di mantenere nel proprio ambito gli aumenti di produttività, i quali diventano in parte aumenti dei profitti e per un'altra parte aumenti dei salari reali, come conseguenza dell'azione dei sindacati operai, che spingono costantemente in alto i salari monetari.

Il nuovo meccanismo della distribuzione dei frutti del progresso tecnico è all'origine, direttamente o indirettamente, di crescenti diseguaglianze. In primo luogo, si affermano, nell'ambito di ciascun mercato, imprese privilegiate (soprattutto le maggiori) e, nell'ambito dell'economia, interi settori produttivi privilegiati. Così, l'intera agricoltura tenderebbe a diventare un settore sacrificato, poiché in tale settore prevale la concorrenza e quindi, in assenza d'interventi esterni, tenderebbe a prevalere l'antico meccanismo (prezzi decrescenti, redditi monetari pressoché stazionari). Se i redditi medi ottenibili nell'agricoltura non hanno perso progressivamente terreno rispetto ai redditi extra-agrari e, in particolare, a quelli industriali, ciò è dovuto in notevole misura ai massicci interventi compensativi della pubblica autorità per sostenere direttamente i redditi o, più spesso, i prezzi. Nonostante questi interventi, un certo peggioramento relativo dei redditi nei settori agricoli rispetto a quelli extra-agricoli ha avuto luogo, sia pure entro limiti relativamente modesti. Il peggioramento relativo è stato sensibile specialmente nel caso delle aziende agricole più piccole e meno capaci di ammodernare i metodi di produzione; spesso, anzi, queste aziende sono state vendute o abbandonate, ciò che ha alimentato potentemente l'esodo dalle campagne. Quel peggioramento non è privo di funzione, appunto perché ha accelerato l'esodo dalle campagne, che ha fornito masse crescenti di lavoratori all'industria moderna. Tuttavia, tale esodo in diversi periodi e in diversi paesi ha assunto dimensioni nettamente eccedenti le necessità dell'industria moderna nel paese considerato, dando luogo, fra i diversi fenomeni, a un'emigrazione verso l'estero e a un'espansione intorno alle grandi città delle bidonvilles che si sono popolate di persone che vivono precariamente impiegandosi in lavori saltuari e in piccoli traffici.

Al tempo stesso, i sindacati che riescono a rafforzarsi progressivamente sono quelli che operano nelle imprese privilegiate e nei settori privilegiati; i sindacati che operano negli altri rami cercano d'imitare l'organizzazione e la strategia dei sindacati più forti, ma ci riescono solo nella misura in cui i partiti che appoggiano i sindacati (perché ne sono appoggiati) riescono a far varare provvedimenti che accolgono o addirittura istituzionalizzano rivendicazioni avanzate da tutti i sindacati, compresi i più deboli. In questa tendenza alla generalizzazione del sindacalismo e alla progressiva espansione della legislazione sociale, s'inseriscono gl'impiegati pubblici, oltre che quelli privati e addirittura certi gruppi di professionisti. I gruppi impiegatizi e professionali più forti - una forza che discende non dal libero mercato ma dalla natura della funzione svolta e dagli interessi della classe politica dominante - riescono a ottenere redditi più alti e in più rapida crescita. Questa è una nuova fonte di diseguaglianza economica, che influisce sulla struttura della produzione e sulla rapidità di espansione dei diversi rami, che a sua volta influisce sul progresso tecnico, sugli incrementi di produttività e sulla ulteriore distribuzione del reddito. Di nuovo, tale particolare tendenza alla diseguaglianza, che pure in parte dipende dalla stessa pubblica autorità, può essere almeno in parte attenuata da questa attraverso la determinazione o il sostegno dei redditi minimi (fra i quali sono da annoverare anche, in larga misura, le pensioni).

Nelle precedenti considerazioni si è fatto riferimento esplicitamente o implicitamente ad un'economia nazionale. Ora, come si è visto nel cap. 6, il processo di aumento delle dimensioni e di concentrazione delle imprese ha assunto, in particolare nel nostro secolo e ancora di più dopo la seconda guerra mondiale, caratteristiche internazionali, sia nel senso che le maggiori imprese nazionali si sono trovate a competere direttamente sul piano mondiale, sia nel senso che le maggiori imprese dei paesi più sviluppati hanno compiuto investimenti in altri paesi, divenendo in tal modo società ‛multinazionali', anche se queste società mantengono in un determinato paese il loro quartier generale. Si riproducono quindi sul piano mondiale, nell'area dei paesi capitalistici, alcune delle diseguaglianze tendenziali di cui si è parlato. Le diseguaglianze sono particolarmente gravi, e tendono a divenire sempre più gravi, quando si considerano, da un lato, i paesi sviluppati e, dall'altro, i paesi arretrati, privi di un'industria moderna. In questi paesi le società multinazionali tendono non a sviluppare produzioni manifatturiere, ma a sfruttare risorse minerarie o agricole. In particolare, per molti decenni il rapporto fra prezzi delle materie prime e prezzi dei prodotti industriali ha avuto tendenza a diminuire, ossia a muoversi contro i primi. Per lunghi periodi, i prezzi assoluti delle materie prime o sono rimasti stazionari o sono diminuiti, mentre di solito i prezzi assoluti dei prodotti industriali sono saliti. Il fatto è che nell'industria dei paesi sviluppati i prezzi non sono lasciati al gioco automatico di mercati concorrenziali, ma sono regolati da imprese oligopolistiche e i salari sono regolati da potenti sindacati, mentre nei paesi arretrati le materie prime sono prodotte in condizioni vicine alla concorrenza e i salari fluttuano tuttora su livelli di sussistenza, a causa della grande abbondanza relativa nell'offerta di lavoro, cosicché le imprese produttrici, che spesso sono società multinazionali, possono ottenere cospicui profitti anche con prezzi stazionari o, dato l'aumento di produttività, con prezzi in declino. Sembra tuttavia che oggi la situazione stia cambiando in profondità. La diffusione del processo di sviluppo, che sta abbracciando un numero rapidamente crescente di paesi, ha incrementato la domanda di materie prime in misura tale da determinare la scarsità di alcune fra le più importanti di esse. I paesi produttori cercano di ricavare tutti i benefici da una tale situazione e tentano di strappare una parte dei crescenti profitti alle società multinazionali. Sembra insomma che nel corso del tempo la tendenza prevista da Ricardo sui rendimenti decrescenti della terra e delle miniere possa prendere il sopravvento sull'azione del progresso tecnico, che finora ha avuto effetti più che compensativi sui costi di produzione delle materie prime agricole e minerarie. Se una tale tendenza si affermerà, si può prevedere un processo inflazionistico cronico, se pure fluttuante e, a lungo andare, difficoltà crescenti nel processo di accumulazione dei paesi sviluppati, ammesso, sulla base di un ragionamento simile a quello di Ricardo, che i prezzi delle materie prime (che nei suddetti paesi sono costi) mantengano la tendenza a crescere più rapidamente dei prezzi dei manufatti.

Nei paesi in cui lo sviluppo industriale è cominciato relativamente tardi e in cui persistono ampie aree arretrate, le imprese maggiori non sono sempre private: in diversi casi sono pubbliche (o a partecipazione statale), sia come conseguenza di salvataggi operati dalla pubblica autorità durante le crisi, sia come conseguenza di decisioni politiche, prese per sottrarre a monopolisti privati il controllo di certe industrie ovvero per promuovere lo sviluppo. In effetti, è praticamente impossibile che nei paesi arretrati abbia luogo uno sviluppo del tutto privato: nei rami in cui sono elevate le dimensioni minime necessarie per intraprendere e portare avanti l'attività produttiva è esclusa una crescita graduale di imprese private e allora, o entrano in quei rami grandi imprese nazionali operanti in altri rami, o grandi imprese straniere o, infine, vengono organizzate imprese pubbliche, poiché la pubblica autorità può, con i propri mezzi finanziari e organizzativi, compiere quel salto che le imprese private, a causa delle loro ridotte dimensioni, non sono in grado di effettuare. Ecco dunque come lo stesso sviluppo delle imprese multinazionali può provocare l'intervento dello Stato, che promuove la creazione d'imprese pubbliche in alternativa all'intervento d'imprese straniere o anche in combinazione con queste; lo Stato può anche appoggiare lo sviluppo all'estero d'imprese pubbliche se questa è la condizione per preservare l'espansione di queste imprese. D'altra parte, lo sviluppo delle imprese nazionali entro certi limiti corrode la sovranità degli Stati nei cui confini quelle imprese investono: ne risultano ridotte le possibilità d'intervento nel campo della politica economica, specialmente della politica fiscale e di quella creditizia. Anche quando sono formalmente private le imprese multinazionali sono sostenute, nella loro azione, dal governo del paese d'origine; è quindi comprensibile che si ponga, come contrappeso, l'opportunità d'interventi pubblici.

È bene sottolineare che lo Stato, in ciascun paese, non è un deus ex machina imparziale, indipendente dalle classi e dai gruppi sociali; e le imprese pubbliche sono non di rado oggetto di pressioni da parte di partiti e di gruppi politici, che possono ridurre gravemente la loro efficienza o rendere molto onerosa la loro azione per la collettività. In molti casi, tuttavia, le alternative sono inesistenti (v. impresa).

18. Moneta e mercati

Prima di concludere, è necessario un cenno particolare sulla moneta, che è il mezzo che collega le richieste con le offerte e che quindi costituisce un elemento essenziale del mercato. In effetti, in ciascun mercato gli offerenti sono disposti a dare una determinata merce contro moneta e i richiedenti sono disposti a dare moneta contro una determinata merce.

Per secoli la moneta stessa è stata una vera e propria merce. Per i popoli che hanno raggiunto un certo grado di civiltà si è trattato di un metallo prezioso: oro o argento; collateralmente, per le piccole transazioni, circolava la cosiddetta moneta divisionaria, costituita da un metallo non prezioso o da una qualche lega (ferro, bronzo). Solo negli ultimi due secoli si è sviluppata la moneta cartacea, che in una prima fase, nei paesi relativamente progrediti, era convertibile in oro (o in argento) e circolava sulla fiducia che una tale conversione fosse possibile in ogni momento; poi, dopo la grande crisi che cominciò nel 1929, la convertibilità in oro consentita a tutti i soggetti è stata soppressa. Da allora, in tutti i paesi capitalistici, oltre la moneta divisionaria, usata per le piccole transazioni, circola una moneta cartacea non convertibile, regolata unicamente dalla pubblica autorità, senza più quel vincolo naturale all'espansione della quantità posto, direttamente o indirettamente, dai giacimenti minerari. La moneta-merce è un mezzo di scambio tipicamente individuale e privato, la moneta cartacea inconvertibile è invece un mezzo che appartiene alla sfera pubblica: è, per così dire, un mezzo monetario nazionalizzato.

Mentre il processo di sviluppo economico ha portato con sé lo sviluppo del credito e poi della moneta cartacea convertibile, il processo di allargamento delle dimensioni delle imprese - che sotto un certo aspetto è un processo di concentrazione, sotto un altro aspetto è un processo di collettivizzazione - ha reso praticamente impossibile, almeno nell'ambito dei singoli soggetti privati, il funzionamento del sistema monetario fondato su biglietti convertibili, poiché un tale sistema escludeva l'esistenza di soggetti importanti al punto di essere capaci, da soli, di mettere in pericolo la convertibilità; e presupponeva la flessibilità verso il basso (oltre che verso l'alto) dei salari e dei prezzi, in modo da consentire rapidamente gli aggiustamenti delle diverse bilance dei pagamenti attraverso moderati spostamenti della moneta aurea tenuta in riserva dalle banche centrali e convertibile ‛a vista' con biglietti.

Dal momento in cui il sistema monetario viene a essere fondato su un mezzo cartaceo inconvertibile regolato dalla pubblica autorità, sotto l'aspetto monetario non c'è più differenza fra le società capitalistiche e le società collettivistiche come finora le conosciamo. Se poi si osserva che nelle economie capitalistiche contemporanee in numerosi casi le offerte fanno capo a imprese pubbliche o a società per azioni formalmente private ma in realtà controllate dall'autorità politica, le differenze fra le suddette società e quelle collettivistiche appaiono meno grandi di quanto generalmente si creda. Nelle società collettivistiche l'estensione della proprietà pubblica dei mezzi di produzione è certo molto più ampia e la produzione si svolge secondo piani in larga misura coattivi. Le richieste, è vero, di solito sono lasciate ‛libere', dato il piano di produzione e data la gestione pubblica dei mezzi monetari, cosicché sotto un certo aspetto - sotto l'aspetto della domanda - esistono mercati anche nelle economie collettivistiche. Ma oramai la contrapposizione fra economia di mercato, concepita come sinonimo di economia privata, ed economia collettivistica o pubblica, è ingannevole, se è vero quanto si è appena rilevato, ossia che molte offerte, nei paesi capitalistici, fanno capo a soggetti pubblici e che pubblica è la gestione della moneta. Forse, dal punto di vista dell'assetto economico, si può dire che nelle economie collettivistiche non esistono mercati veri e propri per i mezzi di produzione, dato che tanto l'offerta quanto la richiesta fanno capo a soggetti pubblici; anche in questi settori, tuttavia, è possibile, almeno in via di principio, assegnando una certa autonomia di gestione alle diverse unità produttive, far funzionare meccanismi simili a quelli del mercato (v. pianificazione). In ogni modo, la collettivizzazione dell'economia può non significare affatto la fine, o la progressiva riduzione, delle aree di privilegio, poiché possono darsi anche forme di collettivismo privato, che consentono aree di privilegio di tipo nuovo.

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