MERRY DEL VAL, Rafael

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MERRY DEL VAL, Rafael.

Annibale Zambarbieri

– Nacque a Londra il 10 ott. 1865, secondogenito di Rafael, diplomatico spagnolo, e di Josephina de Zulueta.

Al pari dei tre fratelli e della sorella, il M. ricevette in famiglia un’educazione improntata alla fede e alla pratica cristiane, rinvigorite negli istituti scolastici che in seguito frequentò. Seguì le prime due classi delle elementari alla Baylis House, a Slough, nella quale ricevette un’efficace iniziazione alla conoscenza delle lingue. Quando il padre venne assegnato all’ambasciata in Belgio, il M. si iscrisse al collegio dei gesuiti a Namur, passando nel 1878, per gli studi di umanità, a quello di Bruxelles del medesimo Ordine. Stando alle affermazioni del fratello Pietro e della sorella Maria, sembrava allora incline a intraprendere la carriera militare (Roma, Collegio spagnolo di S. José, Arch. della Postulazione, cc. 1028, 1101), ma non tardò a manifestare il desiderio di farsi prete. Seguì dunque i corsi di filosofia al collegio ecclesiastico Ushaw a Durham, in Inghilterra, ricevendovi, il 5 ott. 1884, la tonsura e gli ordini minori.

Le tendenze ultramontane del cattolicesimo inglese modellarono presto le visuali del M., che ebbe modo di rinsaldarle a partire dall’autunno 1885, quando cominciò il suo soggiorno romano. Qui avrebbe dovuto essere ammesso nel collegio ecclesiastico scozzese. Ma Leone XIII, dopo un’udienza accordata al M., decise di iscriverlo all’Accademia dei nobili ecclesiastici, istituto per la preparazione dei diplomatici pontifici. Il M. conseguì il 18 luglio 1886 il dottorato in filosofia nell’Università Gregoriana, il 28 giugno 1890 la laurea in teologia e il 14 giugno 1891 la licenza in diritto canonico. Frattanto il 30 dic. 1887 era stato ordinato sacerdote.

Da allora espletò numerosi incarichi. Nel 1887 venne nominato cameriere segreto di s. santità e partecipò alla missione pontificia in Inghilterra per il giubileo d’oro della regina Vittoria; nel marzo 1888 funse da segretario della delegazione per i funerali dell’imperatore di Germania Guglielmo I e per l’incoronazione del figlio Federico III; qualche mese dopo fu latore, per conto del papa, di un dono a Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria e d’Ungheria; nel 1892 entrò tra i camerieri segreti partecipanti.

Proseguì la carriera allargando le sue competenze nelle materie ecclesiastiche, dapprima in qualità di collaboratore del prefetto della congregazione per le Chiese orientali, poi come esperto di questioni riguardanti l’anglicanesimo. I contatti da lui intrattenuti con i cattolici inglesi, in specie con il cardinale Herbert Vaughan arcivescovo di Westminster, e la conoscenza della Chiesa d’Inghilterra costituirono i motivi per cui Leone XIII gli affidò il compito di cooperare alla redazione della lettera Ad Anglos (15 apr. 1895) e alla relativa versione in inglese. Era il preludio della nomina a segretario della commissione incaricata di verificare la validità delle ordinazioni anglicane.

Durante i lavori sostenne la tesi secondo la quale considerava invalide tali ordinazioni, per difetti sia di forma sia di intenzione; un simile giudizio venne poi sancito dalla lettera pontificia Apostolicae curae (5 dic. 1896). La linea seguita dal M. risalta in parecchie sue missive, per lo più inedite, sia al segretario particolare di Leone XIII, mons. R. Angeli, sia al card. Vaughan. In una di queste accusò di «liberalism in religion» i sostenitori della validità (lettera del 15 giugno 1896); in generale, insisteva nella critica sia alla Chiesa d’Inghilterra, sia agli anglo-cattolici, anche di là dalla specifica questione dibattuta. Scrisse, infatti, il 12 dic. 1895: «credo che Sua Santità si persuaderà che tanti mesi or sono io avevo ragione nel dire che il cardinale segretario di Stato si ingannava credendo e affermando che il Halifax ammetteva il Primato e l’infallibilità del Papa» (ad Angeli; da notare che Cenci, p. 63, nel riportare la missiva omette il riferimento al segretario di Stato). L’esplicita critica rivolta al principale collaboratore di LeoneXIII, il cardinale M. Rampolla del Tindaro, era un precoce indizio del contrasto, destinato a durare, fra due correnti della Curia romana. L’approccio del M. alla problematica dell’anglicanesimo risalta in un articolato saggio che parecchi anni più tardi venne pubblicato in La Civiltà cattolica (LXXIII [1912], t. 3, pp. 79-106), senza che se ne indicasse l’autore, designandolo solo come «prelato peritissimo in questa materia». Uno dei fondamenti più solidi di tali valutazioni si ritrova nel convincimento, da lui spesso ribadito, dell’indefettibilità della S. Sede: se questa avesse riconosciuto «di aver sbagliato per trecento anni basandosi sopra una ignoranza crassa del fatto e reiterando due Sacramenti senza scrupolo durante tutto questo tempo», le conseguenze sarebbero state «disastrose e irrimediabili» (lettera ad Angeli, 29 ag. 1895). Insieme occorre non dimenticare come uno scopo tenacemente perseguito dal M. fosse la conversione degli Inglesi alla fede e alla disciplina della Chiesa romana.

Un momento di questa contesa fu la polemica intorno ai temi delle indulgenze, del presbiterato e dell’eucarestia, da lui condotta contro il ministro della chiesa anglicana di via del Babuino, a Roma (A reply to the sermon preached in Rome by F.N. Oxenham, Rome 1897). Sulla medesima direttrice il M. collaborò alla fondazione a Roma del collegio Beda, per i convertiti dall’anglicanesimo e dal protestantesimo che avessero scelto di diventare sacerdoti. Sempre nel settore della formazione del clero, va ricordato il suo contributo affinché sorgesse, sempre a Roma, il Collegio spagnolo, quale centro di studio dove i futuri preti assimilassero principî «papali».

Nel marzo 1897, nominato prelato domestico di s. santità, gli fu affidata con il titolo di delegato apostolico una impegnativa missione in Canada per appianare il contenzioso tra governo e vescovi, alimentato dai dissensi sulla tipologia dell’insegnamento e sui contributi statali da assegnare alle scuole cattoliche del Paese. Il felice esito delle trattative conclusesi in luglio gli procurò ulteriore prestigio. Nominato presidente dell’Accademia dei nobili ecclesiastici, il 19 apr. 1900 fu preconizzato arcivescovo di Nicea e consacrato dal cardinale Rampolla il 6 maggio. Nell’estate del 1902 ebbe l’incarico di legato straordinario alla corte inglese, per la cerimonia di incoronazione di Edoardo VII.

All’abbrivo del nuovo secolo, il M. godeva di ragguardevole credito nell’organigramma vaticano, mentre nitida si era ormai disegnata la sua attitudine di fronte ai problemi dottrinali e disciplinari allora più rilevanti. Già consultore della congregazione dell’Indice dal 1898, venne eletto nel 1902 membro della Commissione per la preservazione della fede. In questo ruolo mostrò un acuto interesse affinché l’ortodossia non subisse incrinature, ancorché minime, contrapponendosi a tendenze meno rigide, peraltro attive anche entro la Curia romana.

Nell’estate 1903 si prospettò la sua elevazione alla cattedra arcivescovile di Westminster; tuttavia egli declinò l’offerta, dichiarando di non sentirsi «veramente e pienamente inglese», come del resto pure altri opinava (Roma, Arch. della Congregazione De Propaganda Fide, n.s., vol. 289, cc. 18-69). Ma per il suo cursus ecclesiastico era imminente una svolta più radicale.

A determinarla intervennero sia la morte di Leone XIII (20 luglio 1903), sia la concomitante scomparsa del segretario della congregazione Concistoriale e del S. Collegio, mons. A. Volpini, che avrebbe dovuto fungere da segretario nel conclave per l’elezione del nuovo pontefice. I cardinali di Curia, senza attendere l’arrivo dei colleghi dalle altre sedi, designarono il M. per quella delicata funzione. La scelta venne interpretata come una sconfitta della corrente del segretario di Stato Rampolla, che molti preconizzavano papa. L’andamento del conclave, conosciuto anche mediante una Relazione dello stesso M., conobbe l’impasse del veto che l’Austria avanzò tramite il card. J. Puzyna, arcivescovo di Cracovia, nei confronti di Rampolla, e sfociò nell’elezione di Giuseppe Sarto, con il nome di Pio X (4 ag. 1903).

Il nuovo papa il giorno stesso nominò il M. prosegretario di Stato, elevandolo poi alla porpora (9 novembre) e conferendogli il 12 novembre la pienezza della carica di segretario di Stato. Decisiva per la scelta di Pio X fu soprattutto la consonanza tra lui e il M. sul piano delle visuali teologiche ed ecclesiologiche.

In effetti i due procedettero sul binario di un durevole accordo: la multiforme operosità del M. fu costantemente in sintonia con gli indirizzi che la Chiesa di Pio X programmò e con alterni esiti tradusse in atti concreti. Sin dagli esordi del pontificato se ne stagliarono nitidamente alcune direttrici, specie nel settore sociopolitico. La soppressione dell’Opera dei congressi, comunicata ai vescovi italiani dal M. il 28 luglio 1904 (con la sola sopravvivenza del II gruppo, quello economico-sociale), intese ridimensionare soprattutto la corrente capeggiata da Romolo Murri. D’altro canto spianò la strada verso meno conflittuali rapporti tra il mondo cattolico e lo Stato liberale, permettendo fra l’altro una graduale attenuazione del non expedit. Molto tese furono invece le relazioni con la Francia: latente ormai da tempo, la crisi scoppiò a proposito della visita del presidente Émile Loubet al re d’Italia, effettuata in contrasto con quanto la S. Sede aveva richiesto alle autorità politiche dei Paesi cattolici, onde evitare l’implicita approvazione dello Stato unitario. La protesta vaticana, pur riservata, spinse il governo francese a rompere le relazioni diplomatiche e, in seguito a successivi incidenti, a denunciare il concordato. Negli sviluppi della controversia il M. adottò una risoluta strategia per sottrarre le istituzioni ecclesiastiche francesi al controllo dello Stato, che, secondo le sue convinzioni, i vari progetti di legge governativi avrebbero necessariamente indotto. Di qui il deciso rifiuto della legge francese del 1905, ritenuta da parecchi cattolici lesiva dei diritti della Chiesa di Roma, promossa dal deputato socialista A. Briand e diretta ad attuare la parità di tutte le religioni (considerate libere «associazioni di culto»), in una visione di netta separazione tra Stato e Chiesa.

Un’intransigenza altrettanto rigida Pio X e il M. dispiegarono nel combattere il modernismo. Il segretario di Stato, che faceva parte anche della Commissione biblica, intervenne sollecitamente nelle procedure di condanna delle opere di Alfred Loisy (dicembre 1903) e più tardi nell’iter per la scomunica dello stesso (marzo 1908). Analoga determinazione dispiegò nel gestire il caso di George Tyrrell, che riteneva eretico. Risolutivi furono i suoi interventi per comminare all’ex gesuita la scomunica minore (esclusione dai sacramenti) tramite il vescovo di Southwark, mons. P. Amigo (la relativa corrispondenza è conservata a Southwark, Achidiocesan Archives, Vigilance Committee Tyrell File). Incisivo fu l’impulso dato dal M. alla stesura e soprattutto alla strategia divulgativa dell’enciclica Pascendi. Con Pio X appoggiò il sottosegretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, mons. Umberto Benigni, e l’attività del Sodalitium Pianum da quest’ultimo fondato per opporsi in maniera capillare al modernismo.

Tuttavia, con il passare degli anni, lo stesso Benigni stigmatizzò il segretario di Stato perché, a suo giudizio, stemperava a volte l’energia decisionale in rallentamenti diplomatici. L’epiteto «La Peur», che gli affibbiò, rende bene non tanto divergenze sul piano di valutazioni dottrinali o di merito, quanto un dissimmetrico stile nella prassi operativa. In realtà il M. mostrò risolutezza in parecchi interventi, come nel contenzioso con la Spagna durante gli anni 1910-13, relativamente alle disposizioni legislative sulle associazioni (Ley del Candado) che riguardavano gli ordini e le congregazioni religiose. Fin dall’inizio ribadì il principio, sancito dalla costituzione del Paese, secondo cui il cattolicesimo romano era da considerare la sola religione della nazione spagnola, con l’assoluta esclusione di qualsiasi altro culto (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, 1913, rubr. 249). Né tentennò quando, nel marzo 1910, Theodor Roosevelt richiese un’udienza a PioX e la domanda venne respinta perché l’ex presidente degli Stati Uniti si era precedentemente impegnato a farsi ricevere dai metodisti di Roma, notoriamente assai ostili nei confronti del Papato, ma anche a recarsi presso un gruppo massonico, presente il sindaco della capitale E. Nathan (per la posizione del M. in quella occasione v. La Civiltà cattolica, LXXXI [1920], vol. 2, pp. 367-372). Quando Nathan, commemorando alcuni mesi più tardi la presa di Roma (19 settembre), pronunciò dure critiche nei confronti della Chiesa fu il segretario di Stato a comporre il testo della perentoria lettera di reazione che Pio X inviò tre giorni dopo al cardinale vicario di Roma.

Ciò non escludeva più elastiche attitudini, come si è rilevato, e come dimostrò il suo ripiegamento durante le controversie con il governo della Germania e con le organizzazioni cattoliche di quel Paese, specie sul tema dell’interconfessionalità del sindacato, questione che acuì il suo dissenso con Benigni. Del resto, egli non esitò a riprovare gli attacchi diretti nel 1912 dal polemista genovese don Giovanni Boccardo contro l’arcivescovo di Milano, cardinale A. Ferrari, definendoli «di portata tutt’altro che serena e con apprezzamenti oltreché aspri nella forma ed esagerati nella sostanza, lesivi, in modo evidente, della onorabilità degli interessati» (lettera del 30 giugno 1912 a Boccardo, in Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, 1912, Rubr. 162, f. 5).

Alla fine del pontificato di Pio X il M., pur avendo da poco firmato il concordato con la Serbia che tutelava la minoranza cattolica (24 giugno 1914), dopo l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando (28 giugno) sostenne la necessità di una drastica reazione austriaca, che parve avallare il ricorso all’intervento bellico. In seguito precisò di non avere mai sostenuto che l’Austria dovesse far ricorso alle armi. Come ebbe a ribadire ancora nel 1923, affermazioni in contrario costituivano «una glossa e una interpretazione» inammissibili (dichiarazione autografa del 22 ott. 1923, Arch. segr. Vaticano, Spogli di cardinali e officiali di Curia, Spoglio cardinal Merry del Val, b. 6).

Nel conclave che seguì alla morte di PioX e si aprì agli inizi di settembre 1914, il M. riportò 7 suffragi nelle prime 3 votazioni, 6 nella quarta e 2 nella quinta. Dopo l’elezione di Giacomo Della Chiesa, papa Benedetto XV, non ottenne la conferma a segretario di Stato, ma fu nominato nell’ottobre successivo segretario della congregazione del S. Uffizio, cui nel 1917 venne annessa, come semplice sezione, quella dell’Indice. Egli conservò la carica di arciprete della basilica Vaticana, conferitagli da Pio X qualche mese prima (14 gennaio). Simili ruoli gli garantirono ancora, seppur in forma ridotta rispetto agli anni precedenti, una distinguibile autorevolezza all’interno della Curia romana.

Datato 6 nov. 1915, un suo memoriale sulla questione romana sosteneva che lo sbocco definitivo e completo dell’annosa controversia con lo Stato italiano avrebbe dovuto consistere nell’attribuire al pontefice un «principato civile sia pure limitato», in grado di assicurare «efficacemente l’indipendenza del Papa e le sue comunicazioni con il mondo cattolico». Essendo tale soluzione per il momento impraticabile, occorreva tuttavia richiamarne l’urgenza. Allo scopo, l’episcopato cattolico avrebbe dovuto inoltrare formale, solenne richiesta affinché, a conflitto concluso, il congresso di pace emettesse una dichiarazione in tal senso. Peraltro non si nascondeva come a ciò ostassero il «nazionalismo» e il «patriottismo esagerato» diffusi tra i cattolici (ibid., Spoglio Jacobini, b. 3, f. 81; si veda anche una successiva nota, del 28 ott. 1918, ibid., Spoglio Merry del Val, b. 5). Otto anni più tardi, il 4 ott. 1926, un suo incontro ad Assisi con il ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele sembra abbia contribuito ad accelerare il processo che condusse poi ai Patti lateranensi.

Nel conclave successivo alla morte di Benedetto XV, iniziato il 2 febbr. 1922 e concluso quattro giorni più tardi, notevole peso esercitò il M., ottenendo nei primi scrutini un consistente pacchetto di voti. Alla fine, grazie all’appoggio decisivo del gruppo vicino al segretario di Stato P. Gasparri, venne eletto il cardinale Achille Ratti, papa Pio XI: si vociferò che il gruppo di cardinali capeggiato dal M. e da G. De Lai avesse garantito i propri suffragi all’arcivescovo di Milano dietro l’impegno, comunque poi disatteso, di non confermare Gasparri alla segreteria di Stato.

Dissensi tra quest’ultimo e il M. punteggiarono gli anni successivi, in particolare a proposito dell’accordo con il governo francese sulle associazioni diocesane, il cui statuto venne approvato da Pio XI con l’enciclica Maximam gravissimamque, del 18 genn. 1924.

Il M., ribadendo, pur «colla massima riverenza», la propria convinzione contraria, del resto già contenuta in un suo «votum» del 23 luglio 1922, si disse convinto che la decisione pontificale finiva per approvare «la legge nefasta del 1905» (appunto del 6 genn. 1924, in Arch. segr. Vaticano, Spoglio Merry del Val, b. 6). Un altro motivo di contrasto scaturì dalla condanna comminata da Pio XI nei riguardi di Ch. Maurras e dell’Action française. Per la verità, verso la fine del pontificato di Pio X (precisamente il 26 e il 29 genn. 1914) da parte dei consultori dell’Indice erano state proscritte pubblicazioni maurassiane e la rivista Action française, ma papa Sarto, sebbene ratificasse il corrispondente decreto, ne aveva sospeso la pubblicazione, ritenendo il responsabile «damnabilis, non damnandus». In sostanza, pur nella consapevolezza dei limiti insiti nel movimento maurassiano, se ne calcolavano i vantaggi tattici per la Chiesa, quale argine contro il radicalismo anticattolico. Il M., ancora negli anni Venti, restava del medesimo avviso, fino a scontrarsi duramente con Pio XI. Singolarmente rivelatore delle distanze fra il pontefice e il cardinale resta un tempestoso colloquio che lo stesso M. riferì in un manoscritto del 23 febbr. 1927 («il papa mi trattò come uno scolaretto»); ne seguirono malintesi e laboriose precisazioni (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Spoglio Merry del Val, b. 6 e Affari ecclesiastici, 515, f. 538).

Nella conduzione del S. Uffizio, il M. proseguì sistematicamente la lotta antimodernista. Tra i procedimenti si possono citare quelli nei confronti del barnabita p. G. Semeria, che incontrarono però un freno da parte di Benedetto XV; o altri riguardanti, più di una volta, E. Buonaiuti; così come la condanna della riedizione del Manuel biblique di F.G. Vigouroux. Del resto un decreto del M. in data 22 marzo 1918 aveva insistito sul dovere del giuramento Sacrorum antistitum, «cum virus Modernismi minime cessaverit». Sospettò della stessa tendenza i promotori degli incontri di Malines, serie di conversazioni tra esponenti cattolici e anglicani, tenute a intervalli tra il 1921 e il 1926 in vista di una possibile riunione fra le due Chiese.

Disapprovandoli, denunciò «infiltrazioni protestanti nella mentalità di non pochi cattolici», e soprattutto «l’errore fondamentale» alla base dei tentativi di riavvicinamento tra le confessioni cristiane, cioè «la non esistenza di una chiesa unica visibile con unità assoluta di fede, i medesimi sacramenti ed unità di governo e l’episcopato con a capo il Vicario di Cristo» (così in un suo dattiloscritto del 1927, in Arch. segr. Vaticano, Spoglio Merry del Val, b. 7). Con le medesime motivazioni osteggiò tentativi di dialogo tra cattolici e protestanti in area tedesca. Sempre in qualità di segretario del S. Uffizio, respinse nel 1928 una petizione degli «Amici di Israele», sostenuta anche dall’abate Ildefonso Schuster, volta a cancellare, nella liturgia del venerdì santo, le espressioni «perfidus» e «perfidiam» riferite agli ebrei.

Pochi mesi prima di morire diede alle stampe un’edizione riveduta dell’Index librorum prohibitorum (Città del Vaticano 1929), corredandola di una prefazione in cui additava il serio pericolo per la fede e per i costumi rappresentato dagli errori che si divulgavano a mezzo stampa. Vi risaltava perspicuamente una sua costante persuasione, sintomatica delle idealità che lo avevano guidato nel suo impegno di uomo di Chiesa, sotto la guida del papa.

Il M. morì a Roma 26 febbr. 1930. Il 27febbr. 1953 fu aperta ufficialmente la causa di beatificazione: attualmente non si ha notizia del proseguimento del processo.

Postumi furono pubblicati: Notes de direction, Paris 1937; Pio X (impressioni e ricordi), Padova 1949; Pensieri ascetici…, Roma 1953. Si veda inoltre: The spiritual diary of R. cardinal M., a cura di F.J. Weber, New York 1964.

Fonti e Bibl.: Manca una biografia critica del Merry del Val. Delle ricchissime fonti archivistiche esistenti, si forniscono qui indicazioni su materiale direttamente riferibile al M., e in particolare: Roma, Collegio spagnolo di S. José, Archivio della Postulazione (12 casse, 8 libri, 4 quaderni, raccolte di fotografie e di oggetti appartenuti al M.: vi si trovano carte strettamente inerenti alla causa, come richieste per l’introduzione della medesima, memoriali, verbali di interrogatori e documenti concernenti la vita del M., le sue opere, i suoi scritti inediti, articoli di giornale, corrispondenze varie). Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Polizia politica, Fascicoli personali 1927-1944, b. 828 (Merry del Val); Ibid., Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato 1922-1943, b. 92, cart. 1925. Inoltre: Romana beatificationis et canonizationis s.d. Raphaelis card. M. del V. Informatio, Tabella testium, Summarium, Litterae postulatoriae super causae introductione et Summarium ex officio super scriptis, Romae 1957;… Animadversiones promotoris generalis Fidei, Romae 1959. Tra i principali studi in cui si tratta del M. si segnalano: G. Dalla Torre, Il cardinale M. del V., Milano 1930; F.A. Forbes, R. cardinal M. del V., London 1932; P. Cenci, Il cardinale M. del V., segretario di Stato di s. Pio X papa, Roma-Torino 1933; O. Giacchi, Il cardinale R. M. del V., Milano 1933; Assisi al cardinale M. del V., giorno di S. Francesco 1926 - 4 ott. 1933, Roma 1934; A. Canestri, Un missionario in porpora: s.em. il cardinale M. del V., Roma 1934; V. Dalpiaz, Attraverso una porpora. Il cardinale M., Torino 1935; A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1949, ad ind.; P.G. Dal-Gal, Il cardinale Raffaele M. del V. segretario di Stato del beato Pio X, Roma 1953; M.C. Buehrle, Give me souls, a life of Raphael card. M. del V., Westminster, MD, 1958; J.M. Javierre, M. del V., Barcellona 1961; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, Bari 1966, I, ad ind.; G.P. Carroll-Abbing, Servire Dio per amore. Il card. M. del V. ed i giovani, Città del Vaticano 1973; Id., Cardinale M. del V. Il Rinnovamento in Cristo, Città del Vaticano 1974; J.A. Dick, Cardinal M. del V. and the Malines conversations, in Ephemerides theologicae Lovanienses, LXII (1986), pp. 333-355; V. Carcel Ortí, Instrucciones de M. del V. a Vico en 1907 y relación final del nuncio en 1912, in Revista española de derecho canónico, XLIX (1992), pp. 567-605; Id., Intervención del cardenal M. del V. en los nombramientos de obispos españoles, in Archivum historiae pontificiae, XXXII (1994), pp. 253-291; L. Bedeschi, L’antimodernismo in Italia: accusatori, polemisti, fanatici, Torino 2000, ad ind.; A.J. González Chaves, R. M., Madrid 2004; A. Claus, Antimodernismo e magistero romano: la redazione della «Pascendi», in Riv. di storia del cristianesimo, V (2008), pp. 435-464.

A. Zambarbieri

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