Messianismo

Dizionario di Storia (2010)

messianismo


Concezione, propria della religione ebraica, relativa all’attesa del messia, alla sua persona e alla sua funzione storica. Nell’Antico Testamento esistono diverse forme di attesa messianica, documentate essenzialmente nei libri profetici. In generale si tratta di speranze nella istituzione o restaurazione di un ordine politico e morale, affidato a un re della stirpe di David, sul quale si poserà lo spirito divino di sapienza e virtù, e che fonderà una società giusta. In alcune formulazioni queste idee si associano variamente a speranze diverse, come la fine della dispersione degli ebrei, la riunificazione dei regni ebraici, la pace universale, il riconoscimento da parte dei popoli della verità del Dio di Israele. Le origini del m. sono state ricercate da alcuni studiosi nella mitologia babilonese o nell’escatologia iranica. È indubbio, tuttavia, che esse possono chiarirsi entro i limiti del pensiero religioso ebraico, e precisamente in connessione con quel concetto del patto stretto tra il popolo d’Israele e il suo Dio, cui consegue necessariamente, attraverso la temporanea vicenda della prevaricazione e della punizione, il risollevamento finale. Questo sviluppo ultimo si configura sotto due prevalenti aspetti: quello politico, che è il ritorno all’età aurea di David, e quello religioso e morale, che è la purificazione e il perfezionamento indipendente dalle congiunture politiche e quindi non condizionato da esse. All’approssimarsi dell’età cristiana, l’aspettazione messianica era molto viva: ne fanno fede i libri apocrifi, dai Salmi di Salomone a Enoch, all’Apocalisse di Baruch e al 4° libro di Esdra, come pure alcuni testi del Mar Morto. In tutti questi scritti il motivo messianico s’intensifica, nelle sue varietà politica e religiosa-morale. In questa situazione s’inserisce la predicazione di Gesù, il quale accentua la natura spirituale del Regno di Dio; e, pur schermendosi inizialmente, non ricusa quel riconoscimento di messia che gli viene dai discepoli. Così il cristianesimo ravvisa in Gesù il personaggio vaticinato dall’Antico Testamento; l’ebraismo, invece, rifiuta questo riconoscimento, e procede perciò nell’epo­ca postbiblica a una ulteriore elaborazione dell’idea messianica. La letteratura rabbinica talora precisa le date della possibile venuta del messia, talora condanna questo tipo di previsioni; attribuisce al messia una serie di nomi; ne discute la sede, ora in Paradiso, ora in luoghi terrestri; esamina le condizioni che ne determineranno l’avvento, delinea la sequela di sventure che lo precederanno e la beatitudine che a esso conseguirà. In tutta questa speculazione il dato comune è la persistente attesa, che diventa un cardine dell’esperienza religiosa, anche in mancanza di un preciso inquadramento teorico. Quanto ai filosofi ebrei medievali, anch’essi hanno teorie varie: da quella di Saadyah, che ravvisa nel m. la palingenesi universale dell’umanità, a quella di Maimonide, che limita il compito del messia alla restaurazione del popolo ebraico in Palestina, alla riedificazione del Tempio e al ristabilimento della dinastia davidica. Le credenze messianiche hanno suscitato nel popolo ebraico delle figure che hanno avocato a sé la personalità del salvatore atteso: tali nell’epoca antica Bar Kokeba, il capo della rivolta contro l’imperatore Adriano nel 132-135 d.C.; nel Medioevo Abraham Abulafia di Saragozza (circa 1280); nell’epoca moderna Dawid Reubeni (1523-32), Shabbatay Zevi (1665-76) e Jacob Frank (dal 1755).

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