Messianismo

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Messianismo

Vittorio Lanternari

(XXII, p. 953)

Messianismi e millenarismi

Nell'Antico Testamento, in particolare nei libri profetici, ricorre più volte il tema dell'attesa di un 'unto' (ebr. mashīaḥ) di Dio che instaurerà o restaurerà un ordine religioso e politico conformemente alla promessa inclusa nel patto tra Israele e il suo Dio. Nella letteratura prossima all'era cristiana si intensifica l'attesa del Messia: il cristianesimo nasce come annuncio dell'imminente Regno di Dio e Gesù viene riconosciuto come l'atteso Messia che, secondo alcuni, dovrà instaurare un regno di mille anni in questo mondo (millenarismo). L'idea messianica e del millennio attraversa tutta la storia del cristianesimo, mentre la Bibbia, nei periodi di transizione in cui emergeva con più forza il disagio collettivo, ebbe la funzione di fonte di svariati temi escatologici e soteriologici che vennero assorbiti e assunsero quindi nuovo valore nell'ambito dei diversi movimenti messianici e millenaristi dei paesi occidentali.

D'altro verso in lontane aree etnico-culturali, dalle Americhe all'Africa all'Oceania, popolazioni tribali di tradizioni e cultura arcaizzanti, vittime, fin dall'epoca della conquista in America e dall'epoca coloniale altrove, di malversazione, oppressione, violenze e processi di deculturazione forzosa, scoprirono nella Bibbia quei richiami messianici di tempi di riscatto e di liberazione, che consentivano loro di esprimere, nello stesso linguaggio culturale dei dominatori (quello proprio della loro religione), le sofferenze patite e, al contempo, il diritto alla difesa della propria identità etnica, culturale, comunitaria. Così nacquero, si diffusero, e nel tempo si affermarono, in momenti diversi, movimenti messianici che proclamavano la liberazione e il riscatto totale nonché l'avvento di un mondo in cui fosse definitivo il trionfo del bene.

La tradizione ebraico-cristiana nei movimenti carismatici

Ai profeti fondatori dei nuovi movimenti carismatici di tipo messianico o millenarista, la Bibbia, conosciuta tramite le missioni cristiane, offriva modelli religiosi e d'azione che gli occidentali potevano comprendere e al tempo stesso autorevoli per garantire sicura efficacia salvifica alle popolazioni indigene, che ricorrevano, tradizionalmente, al linguaggio religioso per ogni bisogno vitale. Guidate dai loro profeti, le varie comunità, come quelle degli Indiani delle praterie americane, di varie tribù africane e dei Maori della Nuova Zelanda, ritrovavano nella propria tradizione religiosa nativa le due figure considerate le più significative del m. ebraico-cristiano: Mosè e Gesù. Il ruolo messianico di Gesù, annunciatore d'una religione universalista, guaritore miracoloso, martire, facilmente veniva interpretato in termini immanentistici come apportatore della libertà e di un riscatto fisicamente fruibile. Si sviluppavano mitologie messianiche e millenariste che tuttavia includevano, nei corrispondenti riti, il recupero di costumi e temi rituali tradizionali, indici di un'identità comunitaria così salvata.

Per ispirazione mistica, i profeti fondatori dei nuovi culti e movimenti messianici annunciavano l'avvento imminente d'un rinnovamento totale delle condizioni di esistenza. Essi collocavano la sparizione miracolosa dei bianchi usurpatori e oppressori nel quadro di una palingenesi cosmica, con ritorno dei morti, fine d'ogni patimento, rinascita e salvezza per i seguaci del profeta e dei riti considerati veicoli di un vero millennio. Così l'aspettativa di una vitale emancipazione si traduce nella partecipazione ai riti indetti dai leader carismatici, in un clima di esaltazione mistica, favorito dalla carica emotiva indotta da danze e canti corali, da possenti richiami dei simbolismi rituali e degli annunci dei profeti locali, che avocano a sé un ruolo simile a quello di Mosè per gli ebrei e di Gesù per i suoi seguaci. I vari profeti ricevono la chiamata da Dio o dagli spiriti ancestrali, come Mosè ricevette la sua sul monte Sinai. Ricevono visioni e sogni carismatici o ammonitori, accolgono in sé lo spirito, entrando in stato di trance e possessione spirituale, parlano lingue e guariscono prodigiosamente i malati.

Così la diffusione del m. e millenarismo nel Terzo Mondo diventa un aspetto significativo del processo di acculturazione, tanto da apparire un momento fondamentale nella storia dell'urto con l'Occidente. Il grande movimento profetico kimbangista del Congo belga fondato (1921) dal profeta Simon Kimbangu e proseguito da André Matsua, insieme con il complesso delle Chiese cosiddette sioniste degli Zulu e di altre etnie del Sudafrica dei primi decenni del 20° secolo, costituiscono esempi importanti del processo di originale reinterpretazione in senso nativista o indipendente del cristianesimo sorti tra popolazioni duramente angariate e umiliate da un regime politicamente e culturalmente oppressivo. Il profeta Kimbangu si proclamava reinterpretazione vivente di Mosè e di Cristo; Matsua, che gli succedette nel movimento, divenne per i kimbangisti dell'etnia Bakongo un vero messia con il nome di Gesù-Matsua, e alla sua morte la gente ne attese la resurrezione e il ritorno come guida spirituale. Ciò del resto prefigura quel che molto più tardi, nello stesso Congo belga, capitò perfino a un leader meramente politico, come Patrice Lumumba. Alla sua morte si disse infatti che sarebbe ritornato a dirigere il movimento di liberazione dal potere illiberale locale come capo carismatico, portatore dell'era messianica. Ciò suggerisce l'idea di quanto facile e fluido risulti, in una moltitudine di m. e millenarismi, il passaggio dal ruolo di profeta alla figura di messia. Infatti è il profeta stesso, in moltissimi casi, che assume la figura e il ruolo, esplicito o implicito, di messia, attraverso il culto volto a sollecitare, tramite un'intensa e partecipata azione rituale della comunità, le condizioni di una palingenesi umana e cosmica.

L'Antico Testamento distingue nettamente il ruolo del profeta dalla figura del messia, il cui avvento futuro segnerà il momento del giudizio e la fine del mondo. Così il profeta Isaia annuncia per la fine dei tempi l'avvento messianico d'un "germoglio dal tronco di Jesse" (padre di Davide) che "giudicherà con giustizia i poveri", "farà morire l'empio" e "isserà un vessillo per le nazioni e raccoglierà i dispersi d'Israele". Così Ezechiele preannuncia il futuro "nuovo Davide, nuovo pastore", mentre Daniele profetizza il lontano avvento liberatore del "figlio dell'uomo". Nel cristianesimo l'annuncio dell'immediato avvento del nuovo regno, dell'età nuova, ben presente nella predicazione di Giovanni Battista e di Gesù, storicamente si stempera nell'istituzione ecclesiastica, veicolo di salvezza, che perpetua il messaggio profetico nell'allontanarsi indefinito dell'avvento del regno di Dio. Tra i popoli del Terzo Mondo, invece, l'annuncio profetico dell'imminente fine di questo mondo (con la protesta contro condizioni d'aggressione coloniale e di sofferenze collettive) e l'annuncio di un mondo nuovo di giustizia e di benessere assumono toni e chiedono impegni più forti e immediati. Dalla predicazione di nuovi profeti nascono movimenti comunitari con riunioni rituali volte a sollecitare, su un piano psichico e insieme simbolico, la condizione di riscatto dalle pesanti situazioni di oppressione. Si tratta di quel processo che negli studi è stato indicato con il nome di premillenarismo (Thrupp 1962). Del resto, come si vedrà da vari esempi (relativi ai paesi dell'Africa, al Brasile e al Perù), i proseliti di singoli profeti, nello spirito di un comunitarismo mistico vissuto come avvio all'era messianica, indicono frequentemente uno spontaneo processo di messianizzazione del leader vivente, e talora ne auspicano il ritorno dopo la morte, con fenomeni di 'impersonazione' da parte di suoi portavoce.

Fin dai nuovi movimenti messianici del periodo coloniale in Africa, o dell'invasione dell'Ovest nordamericano, o dell'occupazione delle isole oceaniche nel Pacifico, l'iniziativa e la presenza carismatica d'un profeta fondatore (ispirato tramite sogni o visioni da spiriti ancestrali, o in moltissimi casi dalle grandi figure messianiche di Mosè e di Gesù) costituiscono il fattore dinamico che dà vita alla nascita di una comunità. Il profeta lancia il prodigioso annuncio di prossimo adempimento di ogni aspirazione e di ogni bene, entro una visione cosmica ed escatologica, nel contesto di una disponibilità psicologica condivisa e motivata da una condizione di sofferenza, disagio, frustrazione comune. L'entusiasmo partecipativo della comunità nella sua specifica condizione carismatica di stato nascente determina quella percezione di coesione di gruppo che porta i membri a coniare per loro il nome di fratelli, in un'atmosfera vibrante di esperienze mistiche di trance e possessione spirituale.

A proposito di tali movimenti profetici, tenendo conto anche dei profetismi sorti nell'Africa postcoloniale, in risposta al malessere di una deculturazione crescente, che lascia un vuoto di valori e un diffuso senso di smarrimento, si deve rilevare che un sostanziale mutamento è da essi introdotto nel sistema di riferimento che le società tradizionali praticano rispetto al mondo sacrale dei riti ancestrali e al relativo pantheon degli enti spirituali preposti all'esistenza dell'uomo. In effetti il rapporto con il mondo del sacro, già per tradizione caratterizzato dalla rigorosa osservanza formale di regole e riti, grazie all'intervento del profeta carismatico toccato e segnato dai grandi modelli biblici di Mosè e di Gesù, si carica di un potenziale mistico nuovo e coinvolgente. Perciò la personalità del profeta, nella percezione della comunità che lo segue come sua guida, si veste implicitamente di un ruolo messianico. E congiuntamente un'esperienza di autentica fede viene a surrogare quella più formale di semplice osservanza dovuta ai riti e agli spiriti ancestrali, tanto più che da questi ultimi non si era avuto l'aiuto necessario per superare sia l'oppressione coloniale sia il malessere della deculturazione.

Connaturata con la nuova fede è l'apertura a ogni esperienza d'ordine mistico come visioni, sogni profetici, veggenza, guarigioni sovrannaturali, ma anche attesa dell'apocalisse o fine del mondo e congiunta palingenesi cosmica e umana, dunque liberazione da tutti i mali, avvento di una terra che ne sia completamente priva, dell'immortalità, della beatitudine eterna. È da notarsi anche che, come già avvenne in Occidente attraverso la Bibbia e la fondamentale valenza teleologica ed escatologica della storia che vi è descritta come finalizzata verso l'avvento del regno di Dio, così fra le culture tradizionali del Terzo Mondo orientatesi verso i nuovi profetismi (toccati in modo palese dalla lezione biblica), s'è aperta quella nuova rappresentazione lineare e dinamica del tempo storico, che sostituisce in parte l'arcaica e pur sempre soggiacente rappresentazione ciclica del tempo, ligia alla legge dell'eterno ritorno.

La nascita di ogni movimento messianico risponde di massima a un variabile complesso di fattori storicamente determinati, posti alla base di una condizione generale o fortemente diffusa di privazione, sopraffazione, umiliazione, squilibri mortificanti, e in generale di sofferenza. Tuttavia l'aura religiosa nella quale si cala e della quale si nutre il messaggio messianico che il profeta, caso per caso, proclama e che la schiera fidente di adepti accoglie per sé, amplifica a dismisura i contenuti del messaggio stesso, secondo una dimensione mitico-apocalittica ed escatologica che conferisce al tempo messianico un orizzonte totalmente fuori della storia e dunque mitico.

Entro un siffatto orizzonte si collocano temi diversi e affini: l'annunciata resurrezione dei morti e della vita eterna in unione con essi in beatitudine (come nei culti millenaristi melanesiani del cargo), la palingenesi cosmica e di liberazione umana da ogni male e sventura (propria di tutti i m.), il giudizio selettivo tra salvi e reietti (come nelle sette dei più vari profeti), la riconfermata identificazione di salute psicofisica e salvezza spirituale (essenziale nelle nuove sette religiose in Occidente, a sfondo soprattutto psicoterapeutico, sotto una coltre di spiritualità in molti casi solo apparente), infine la riproposizione di un arcaico proprio modello esperienziale di società o comunità del passato storico, idealizzato e revivificato come profetizzato nuovo stato perfetto (è il caso del presunto ritorno dell'impero incaico in un Perù sotto il colonialismo spagnolo), e così pure l'assunzione di verità assoluta (rivelata da fonte sovrannaturale), degli enunciati del messaggio profetico. Tutto questo si ritrova nei più diversi movimenti messianici e millenaristi che percorrono la tormentata storia di molti popoli di culture diverse e meno arcaiche rispetto alle matrici giudaico-cristiane da cui trasse vita il modello unico universalmente noto di m., la Bibbia.

I nuovi movimenti religiosi extraeuropei

Giova presentare come se fossero modelli differenziati alcune significative formazioni profetiche che rientrano nella categoria dei nuovi movimenti religiosi pertinenti, in diverse fasi di età moderna, a differenti culture e aree geografiche, dal Terzo Mondo di epoca coloniale e postcoloniale all'Occidente dei nostri giorni.

Le Chiese indipendenti sorte nei primi decenni del 20° secolo tra le varie etnie di Bantu sudafricani (Sundkler 1948) furono fondate da una serie di profeti carismatici indigeni, mossi da un'infiammata e veemente contestazione della segregazione razziale, arricchita dai fervidi e rivitalizzati stimoli presi dalla Bibbia, soprattutto l'Antico Testamento. La stessa divisione nelle due classi di Chiese etiopiste e sioniste segnala nelle rispettive denominazioni il riferimento, nella prima classe, a un concetto biblico dell'Etiopia benedetta da Dio, cristiana, indenne dalla sottomissione coloniale; nella seconda il riferimento sionista riguarda la vitalità carismatica della Pentecoste che in Sion instaurò il regno di Dio. Il binomio Etiopia-Sion condensa il significato unitario, di indipendenza, nel nome del sacro esempio di Mosè e del suo popolo. Il linguaggio biblico vale intenzionalmente per entrambe le parti: per gli Africani, onde trarne garanzia di più sicura efficacia in senso pragmatico e politico oltreché in senso simbolico, per la sacralità d'una religione nuova che nel nome di Geova, Dio unico, unisce i popoli, le tribù e dà forza alla loro compagine; e vale anche per gli Europei che non potrebbero fingere di non capire o di restare indifferenti nel sentire il linguaggio del loro libro sacro, pronunciato da neri africani per combattere la segregazione e il razzismo, comparando la loro condizione socioculturale e politica con quella degli ebrei, schiavi del faraone d'Egitto o deportati dal re di Babilonia. Ma nel Sudafrica la segregazione colpiva perfino la pratica ecclesiastica, con l'esclusione dei neri dalle Chiese dei bianchi; fu proprio questa applicazione di un "cristianesimo anticristiano" il primo stimolo dato alla nascita delle nuove Chiese profetiche indipendenti, nelle quali si annuncia messianicamente l'aiuto di Geova alla liberazione dalla schiavitù dei bianchi.

Così le mitologie delle Chiese etiopiste e quella delle Chiese sioniste africane costituiscono altrettante rielaborazioni teologiche di modelli biblici reinterpretati in funzione africanista. I seguaci etiopisti aspirano all'avvento di un'Africa cristiana, ma sotto la guida del 'leone di Giuda, re dei re', mentre i seguaci delle Chiese sioniste seguono il mito messianico di un'Africa investita dallo Spirito che s'identifica con la Terra Santa, la Palestina, e di una popolazione africana che a sua volta s'identifica con le antiche tribù d'Israele, facendo di Mosè la figura preminente della propria Bibbia, e denominando Nuova Gerusalemme il proprio centro di culto, prefigurazione del mondo apocalitticamente trasformato. Il più grande dei profeti, Isaia Shembe, fondò nel 1916 tra gli Zulu la Chiesa dei Nazariti, in seguito a visioni ricevute a ripetizione negli anni, con l'invito a seguire le parole di Geova, che gli avrebbero insegnato a guarire i malati, e l'avrebbero ispirato nella guida della sua comunità. Shembe, pur muovendosi da pratiche tradizionali (riti di possessione, visioni, pratiche carismatiche di guarigione) si proclamò agli Zulu come un nuovo Mosè liberatore e insieme re dei Nazariti, creando e divulgando l'ideologia, poi diffusa in tutta l'Africa, del Cristo nero.

Il capitolo storico delle Chiese separatiste o indipendenti del Sudafrica nei primi decenni del 20° secolo offre dunque l'immagine concreta e drammatica del nesso che lega la spontanea fioritura dei tanti m. locali e di innumerevoli movimenti religiosi di liberazione con l'esperienza discriminatoria e oppressiva sofferta dai popoli indigeni. Tali movimenti esprimono con linguaggio religioso impulsi, desideri, urgenti rivendicazioni che soltanto più tardi trovarono espressione di lotta realisticamente politica. Fu attraverso quei m. preparatori che i neri d'Africa per la prima volta trovarono il modo di prendere matura coscienza della propria identità e dignità culturale, tanto da imporla contro la discrepanza tra i principi religiosi e la pratica dei comportamenti dei bianchi, contro quella minoranza egemone, depredatrice e ipocrita, alla quale i profeti sudafricani seppero lanciare un'icastica denuncia: "Voi siete venuti con in una mano la Bibbia, nell'altra il fucile"; e ancora: "Prima noi avevamo la terra e voi avevate la Bibbia; ora voi avete la terra, a noi è rimasta la Bibbia" (Sundkler 1948, p. 33).

Nei movimenti profetico-messianici sudafricani i leader fondatori indicano in Geova stesso l'esecutore dell'annunciato capovolgimento apocalittico del mondo presente, con la liberazione dalla soggezione ai bianchi. È un messianico annuncio di salvezza, che certamente vale a instaurare nella psiche dei seguaci un clima di appagamento morale e spirituale nella fede della catarsi. Ma il flusso delle reazioni psichiche collettive porta facilmente a oltrepassare il confine di una condizione puramente attendista; né mancano esempi, infatti, tra i profeti, di trasgressione e salto dalla mistica attesa rassegnata alla rivolta militante. Nel Sudafrica lo dimostra l'episodio di Bullhoek, dove il profeta Enoch Mgijima con la comunità degli Israeliti, da lui fondata come Chiesa autonoma, mosse con armi impari verso le forze governative in allerta per la presunta pericolosità politica del gruppo, con esito tragico per i mistici ammutinati (Sundkler 1948). Si ricorda qui per inciso l'episodio italiano del mistico profeta del Monte Amiata Davide Lazzaretti, che nel 1878, in testa alla processione dei fedeli del suo movimento giurisdavidico, veniva colpito a morte dai carabinieri (Moscato, Pierini 1965). Si noti che i seguaci del profeta erano poveri contadini e pastori toscani volti a sperare un'uscita da condizioni di penuria, per cui l'era messianica (da lui denominata santa repubblica) aveva il sapore d'una rivolta politica.

Ma in Africa si ha un esempio significativo di come il m., in particolari condizioni storico-sociali di oppressione o discriminazione di classe, si presti ad assumere, anche se non intenzionalmente, significati di rivolta politica. Nel movimento fondato fra i Bakongo del Congo belga da Kimbangu, il profeta visionario, toccato dall'esperienza di missioni protestanti, s'ispirò all'Antico Testamento e in particolare alla figura di Mosè, portando ai nativi la religione del Dio unico contro feticismi e stregoneria che ordinò di respingere. Perciò Kimbangu, come tanti altri profeti in omologhe condizioni storiche, si vestì dei panni di Mosè e, insieme, si fece portatore del messaggio di Gesù nell'annunciare il regno divino che avrebbe concluso misticamente la storia terrena e avrebbe inaugurato il regno, cioè la totale emancipazione e autonomia dei neri. Martire egli stesso come Cristo per avere portato una nuova religione ai neri africani, si crearono le condizioni per avviare il processo di messianizzazione del profeta scomparso. Quando poi a lui succedette nel movimento il leader politico Matsua, e poco dopo anche questi morì, si diffuse tra i kimbangisti il mito di Gesù-Matsua, messia atteso come liberatore dei neri (Lanternari 1974).

La religione di Kimbangu-Matsua ebbe complessi sviluppi e operò a lungo in clandestinità per sfuggire alle persecuzioni poliziesche. Una successione di leader religiosamente ispirati ne propagò il messaggio innovatore anche attraverso la voce di cosiddetti apostoli, dando luogo a manifestazioni di possessione collettiva nel corso della liturgia cultuale. Vi si annunciava l'avvento dell'imminente apocalisse col ritorno dei morti, la fine dei bianchi e la salvezza dei neri fedeli. Al Dio (Geova) si volgeva questa significativa preghiera: "Dio di Abramo, di Giacobbe e di Kimbangu e Matsua, quando scenderà la tua benedizione e la libertà su di noi? Ti preghiamo: tralascia di ascoltare le preghiere dei bianchi già a lungo ascoltati da te. Basta, col dar loro le tue benedizioni! Ora volgiti a noi! Amen" (Lanternari 1974, pp. 26-27). Il diffondersi del movimento tra numerose altre etnie congolesi portava via via all'organizzazione d'una grande Chiesa che assorbiva le numerose precedenti sette locali, rappresentando l'emanazione più diretta della dottrina originaria, benché influenzata dalla matrice battista. Non scevra di elementi rituali tradizionali o sincretici (il battesimo d'immersione come rito di guarigione, le danze serali, il tremito dei partecipanti ai riti), l'Église de Jésus Christ sur la terre par le prophète Simon Kimbangu, ormai scevra da toni ostili ai bianchi, disimpegnatasi da diretti interessi politici, tuttavia mantiene la sua fede messianica in Kimbangu, come hanno dimostrato episodi conflittuali esplosi nell'ultima fase del periodo coloniale, quando alcuni capi politici ribelli erano visti dal pubblico come reincarnazioni del profeta fondatore.

Dall'insieme dei casi di m. esaminati si evince che il processo di mitologizzazione messianica d'una figura di profeta sorge quando questi è ancora in vita, come inauguratore d'un movimento di salvezza, verso la sperata liberazione da uno stato socialmente condiviso di sofferenza. Può altrimenti sorgere dopo la scomparsa del profeta, sulla base di eventi, interventi o condizioni comunque predisponenti. Infine casi differenti sono quelli nei quali il ruolo di profeta si distacca nettamente dal ruolo del messia, annunciato dal primo come suo messaggero: è il caso dei grandi profeti ebraici dell'esilio, Isaia, Ezechiele, Daniele ecc., insieme a Giovanni Battista, annunciatori di un "servo di Dio" (Isaia), di un "figlio dell'uomo" (Daniele), e del Cristo riconosciuto in Gesù (Giovanni Battista).

Lontano dall'Africa, fra le tribù delle isole polinesiane, tra gli anni 1830 e 1860-70, un gruppo di movimenti carismatici avviati da profeti indigeni incontratisi con missioni protestanti promosse la diffusione di un complesso mitico di stretta somiglianza con quelli testé rievocati di genti africane. Era la risposta che i profeti, per conto degli abitanti, davano agli invasori bianchi che, senza freni, incalzavano le forze indigene con durissimi episodi di vera e propria caccia all'uomo. Si tratta di una mitologia costruita autonomamente, frutto d'un identico processo di reinterpretazione dei testi, appena scoperti da loro, dell'Antico Testamento. Nella Nuova Zelanda sorsero i profeti Te Ua, e successivamente Te Kooti, i quali diedero vita al movimento e culto Hau Hau. Basta sottolineare che il titolo dato al profeta, Jiu, non era che il termine inglese jew (ebreo). Infatti il profeta si proclamava nuovo Mosè e annunciava che i Maori erano il "nuovo popolo di Geova, Dio degli Ebrei e dei Maori". La loro terra era la nuova Canaan. Geova, che a Mosè parlò dalla montagna, ai Maori parlava dalla cima del palo niu eretto a ogni rituale nel corso dei canti e delle danze sacre che in un'atmosfera emozionale induceva l'entrata collettiva in stato di possessione (Lanternari 1974). "Giorno verrà - annunciavano i profeti Hau Hau - nel quale tutti i Pakeha (gli Inglesi) saranno cacciati dall'isola. Sarà la fine e il rinnovamento del mondo. Risorgeranno i morti Maori e tutti, viventi e risorti, daranno inizio a un'epoca nuova. Quel giorno gli Ebrei giungeranno nella Nuova Zelanda e in fraterna concordia i Maori e gli Ebrei come un solo popolo inizieranno una vita felice" (Vaggioli 1896, pp. 363-65). La reazione mitico-millenarista compensa in tal modo la frustrata resistenza dinanzi all'egemonia delle forze occupanti.

Conviene ora richiamare l'attenzione sul giudizio da dare su questi e su altri simili m., il cui afflato rivoluzionario è espresso in termini prettamente simbolico-religiosi. La storiografia europea tradizionale, nei limiti dei suoi interessi conoscitivi circoscritti a un ambito di rivoluzionarismi univocamente politico, resta chiusa, a proposito di m. e millenarismi, a una prospettiva transculturale con rare eccezioni (Worsley 1957; Hobsbawm 1959); ma una storiografia aggiornata e aperta alla prospettiva transculturale non può più limitarsi a esprimere in proposito l'obsoleta e riduzionista sentenza di ingenuo irrazionalismo. L'apparire di tali m. e millenarismi simbolicamente rivoluzionari è fenomeno valido a correggere e integrare la conoscenza tradizionalmente acquisita di processi rivoluzionari d'ordine univocamente politico. Nel rivoluzionarismo simbolico-religioso di questi movimenti si attua infatti la fase dinamicamente preparatoria e prepolitica, che per iniziativa di personalità religiosamente ispirate promuove un'innovativa assunzione d'autoconsapevolezza socioculturale e civile da parte del gruppo di aderenti, mossi da un'infiammata spinta ad affermarsi come identità autonoma.

Anche le tribù di Indiani pellirosse nordamericani (area delle praterie) ebbero loro profeti a guidarli in una resistenza simbolico-religiosa contro gli invasori yankee delle terre durante l'avanzata verso l'Ovest negli anni 1860-90. Distrutta la loro cultura, gli abitanti strappati dai loro villaggi, poi ghettizzati nelle riserve, l'opposizione si condensò nella forma di movimenti profetici di attesa millenarista di una rivalsa vissuta, in stato d'esaltazione mistica, come prossimamente reale, ma strutturata su un robusto nucleo mitologico-apocalittico. Un ciclo di miti e culti di liberazione si divulgò tra i diversi gruppi di tribù, dietro chiamata messianica di loro profeti carismatici, ispirati da mistici sogni e visioni, e apertisi alla Bibbia, con speciale interesse per l'Apocalisse. Essi annunciavano il rovesciamento totale e prossimo delle condizioni presenti con il ritorno dei morti, la scomparsa automatica dei bianchi senza guerre né violenze, con la liberazione e la perenne salvezza degli Indiani impegnati nel nuovo culto, noto col nome di Ghost Dance (danza degli spiriti). Infatti il culto consisteva in danze collettive ritmate freneticamente con battere di tamburi fino a indurre in molti un'esperienza di trance, col presunto e atteso effetto di sollecitare il ritorno degli spiriti di antenati. "Torneranno anche - proclamavano i carismatici profeti - le mandrie di bisonti distrutte dagli yankee nella loro avanzata". Si imponeva nella vita corrente il totale recupero di costumi e pratiche tradizionali eventualmente abbandonate, bandendo ogni imitazione di usi dei bianchi. Il pronostico culminava nell'annuncio di un'era paradisiaca di libertà, di benessere e di comunione eterna con gli spiriti redivivi dei propri antenati.

Significativamente, per esempio, il profeta Smohalla delle tribù del fiume Columbia rispondeva con decisione ai bianchi che intimavano di abbandonare i villaggi indigeni: "Io voglio che la mia gente rimanga qui con me. I morti ritorneranno in vita, si reincarneranno. Noi dobbiamo restare perché qui fu la loro dimora, perché qui dobbiamo attendere d'incontrarci con loro di nuovo, qui dov'è la nostra Terra Madre" (Mooney 1892-93, pp. 721-24). Ma non mancarono casi di capi guerrieri che, messi alla testa di gruppi seguaci di messaggi millenaristi di profeti locali, trasgredendo i precetti dei profeti contro ogni azione bellicosa, spinsero i loro gruppi alla rivolta. Furono i casi analoghi di Capo Giuseppe e dei seguaci del profeta Smohalla, di Tecumseh che si mosse contro i precetti del profeta Tenskwatawa, di Capo Pontiac a dispetto dei precetti del profeta Deleware; e quindi della grande rivolta dei Sioux del 1890 (Mooney 1892-93) nonostante la predicazione del profeta Wowoka (Lanternari 1974). Ma nel quadro complesso della Ghost Dance, alcuni profeti californiani diversificarono gli accenti del proprio messaggio apocalittico (rispetto ai più che identificavano la fine del mondo con la prefigurazione del ritorno dei morti), annunciando una vera catastrofe mondiale di cataclismi, terremoti, diluvio. Si diffondeva così il caratteristico culto della casa sotterranea, con rifugi semisotterranei nei quali il gruppo si dedicava alle danze rituali promotrici del prodigioso rinnovamento (Du Bois 1939). In sintesi, i profeti della Ghost Dance applicano ai rituali tradizionali una serie di nuovi elementi: a questi riti, già costituiti da danze collettive implicanti il coinvolgimento emozionale di numerosi partecipanti in preda a invasamento e possessione mistica, si aggiunge infatti la nuova componente mitico-apocalittica di derivazione biblica e cristiana. Così, dalla nuova esperienza si diffonde e cresce l'atmosfera di acuta e fremente esaltazione volta all'attesa di un evento straordinario, drammatico, sotteso fra catastrofe e rigenerazione, fra terrore e fede di una miracolosa salvezza riservata ai seguaci del nuovo culto. Il tema dell'annunciata prossima fine del mondo dunque, con l'entrata rituale delle comunità native in un vortice collettivo d'esaltazione mistica, viene a creare quella condizione psicologica e sociale di stato nascente preposta a ogni nuovo fenomeno di risveglio collettivo della propria identità sociale e religiosa, che fa da base ai movimenti di rinnovamento e di liberazione, in società tradizionali nella rappresentazione sacrale e religiosa dei propri rapporti con la realtà (Weber 1922).

I movimenti dell'America Centrale e Meridionale

Passando dalle culture originarie dell'America Settentrionale a quelle dell'America Centrale e Meridionale, si rileva la stridente sperequazione e l'arretratezza economica, sociale e culturale del mondo rurale, rimaste in vigore per secoli dal periodo coloniale a oggi, rispetto al potere dominante d'un ceto di grandi e dispotici encomenderos nel periodo coloniale e poi di liberi proprietari terrieri. Appunto di questa strutturale sperequazione, di tale condizione di emarginazione gravata nei secoli sul ceto contadino dei più diversi paesi del subcontinente, sono vistosa espressione e imponente prodotto la proliferazione e la perpetuazione d'intere sequenze di movimenti religiosi in stato nascente d'impronta carismatica, profetica e messianica (Barabas 1989 e Mazzoleni 1993 per il Messico; Wachtel 1971, Ossio 1973 e Curatola 1997 per il Perù; Pereira de Queiroz 1968 per il Brasile).

Il timbro millenarista e messianico è dato a essi da figure di popolani investiti nel ruolo di fondatori dietro ispirazione risalente a un cattolicesimo rivisto e predicato in chiave apocalittica. Il Brasile in particolare è ricco di manifestazioni sempre nuove di m. con figure di laici santoni (beatos), o con altre figure variamente denominate (monaci, padri, sagrestani, guide di preghiera). D'origine laica o ecclesiastica (per esempio, padre Cicero), costoro si presentano come potenti guaritori e taumaturghi, ma soprattutto predicatori itineranti e profeti. Ripetono metodicamente annunci di un'imminente fine del mondo con rivolgimento radicale delle condizioni sociali vigenti.

"Il Brasile dei secoli xix e xx, e in particolare il Nord-Est, si configura come una fucina privilegiata di culti salvifico-apocalittici", scrive G. Mazzoleni (1993, p. 135), e bisogna tenere conto, per capirne caratteri culturali e organizzativi, "delle molteplici radici europee e non sempre popolari". Conviene, infatti, considerare i modelli del cattolicesimo ufficiale, che i vari fondatori assumevano in proprio, ma in opposizione alla Chiesa cattolica e alle istituzioni politiche del paese. Per cui, se da un lato si stabilisce una continua osmosi culturale, d'altro lato si assiste a una serie di drammatici scontri tra le nuove comunità messianiche e le forze deputate alla difesa dell'ordine politico e religioso tradizionale. I profeti detti neobrasiliani (rispetto agli arcaici profeti annunciatori della terra senza mali dei Tupi-Guaraní d'epoca coloniale) si susseguono a catena seguendo una direttiva costante, con l'annunciare ai poveri e diseredati l'avvento prodigioso e carismatico di un'imminente liberazione dalle miserie e sofferenze quotidiane. Ciascuno di loro crea una comunità nel centro sacro prescelto, esercitando la guarigione di malati, invitando alla rettitudine cristiana dei costumi, predicando la condanna delle ingiustizie sociali e delle compromettenti complicità della Chiesa ufficiale. Tratto più saliente, e decisivo per il destino di questi movimenti, sta nel conferire alla "città santa e separata" creata dai vari profeti un carattere di prefigurazione del regno di Dio, in quanto territorio divino, in aperta contrapposizione alla società e alle istituzioni perverse vigenti nel paese. Perciò numerosi furono i casi nei quali si giunse allo scontro con le forze governative, intolleranti della crescita di comunità sospettate d'intenti sovversivi. Infatti già con il primo profeta della serie, Sylvestre José dos Santos, si verificò (1817) lo scontro armato tra i difensori della "città del paradiso terrestre", centro della comunità, e le forze governative, col massacro dei fedeli rivoltosi (Mazzoleni 1993). Il successivo profeta João Ferreira si presenta come messia inviato da un mitizzato Dom Sebastião: figura già protagonista di un movimento messianico in Portogallo, poi sincreticamente ripreso in Brasile. Si tratta della trasfigurazione mitica del re portoghese don Sebastiano, scomparso misteriosamente tre secoli prima nel corso d'una battaglia contro i Mori, e di cui si diffuse un culto messianico di attesa del suo ritorno. Nella nuova versione del mito e del culto introdotta nel Nord-Est del Brasile da Ferreira, la comunità preparò l'atteso "regno incantato" di Dom Sebastião costruendo un grande casale e apprestandosi a praticare, per ordine del profeta, un sacrificio umano con vittime da scegliersi tra gli stessi fedeli; ma il sacrificio fu sospeso dall'autorità che disperse la comunità (Mazzoleni 1993). Numerosi altri profeti poi s'avvicendarono uno dopo l'altro; tra questi il monaco itinerante João Maria che annunciava l'imminente fine del mondo e richiamava la gente alla retta condotta morale. José Maria, altro monaco profeta-messia, fondò per la comunità dei proseliti una città santa come luogo sacro, prefigurazione del regno divino. La città santa era retta con regime teocratico, in contrapposizione alle istituzioni ufficiali, le leggi erano emanate dal profeta in persona, mentre per altre mansioni era nominato un suo rappresentante, col titolo di 'imperatore del Sud'. Così la componente religiosa messianica veniva a fondersi con la campagna antiistituzionale indetta dal leader religioso-politico, ma l'autorità interveniva ordinando il trasferimento della comunità. Quando, nello scontro che esplose tra le autorità locali e il nuovo insediamento, il monaco rimase ucciso (1912), prese un sorprendente slancio il processo di messianizzazione del leader scomparso con attesa del suo ritorno, annunciato anche da visioni. Contemporaneamente il clima rivoluzionario del movimento s'infiammava nella massa sempre più numerosa di adepti, fiduciosi nel mistico aiuto di Dom Sebastião. Ma qui questo re santificato veniva messianizzato come apportatore atteso del regno del cielo sulla terra e nel 1916 si concludeva tragicamente l'avventura messianica del movimento dei monaci, in un annunciato olocausto dei seguaci. Il nuovo profeta Antonio Conselheiro creava nel 1873 nello Stato di Bahia la comunità messianica, dall'accesa spiritualità, del Bom Jesus. Egli serbò normali rapporti con la Chiesa e il regime monarchico fin quando, con il rovesciamento della monarchia e l'avvento della repubblica nel 1889, si creò un clima d'intolleranza dell'autorità politica contro ogni forma di religiosità misticheggiante e innovatrice. Presto il leader della comunità venne accusato, come organizzatore di un movimento di pericolosi fanatici, per gli attacchi alla repubblica, indicata come dominio dell'Anticristo. Facendosi egli stesso denominare Bom Jesus, istigava i fedeli a non pagare le imposte e rifiutava di riconoscere lo Stato repubblicano e le sue leggi. Con il suo atteggiamento d'intransigente intolleranza verso le istituzioni, dominava una massa crescente di seguaci, trasferitisi con lui nella nuova sede di Canudos: la città santa da lui detta Belo Monte. Così il profeta assumeva sempre più spavaldamente il ruolo di nemico ed eversore dello Stato, e anche per la Chiesa si rendeva sempre più sospetto, per cui intervennero le forze militari statali, rasero al suolo la sede di Belo Monte e massacrarono i fedeli del nuovo messia, morto di malattia poco prima della totale catastrofe (Mazzoleni 1993).

Al tragico epilogo del movimento messianico di Canudos fece seguito l'altro grande movimento di Joazeiro, con la prestigiosa figura del prete cattolico padre Cicero, carismatica personalità di profeta annunciatore dell'età dell'oro, predicatore, guaritore, autore di miracoli, capace d'attrarre masse di contadini in deprimenti condizioni sociali ed economiche. A differenza di Conselheiro, araldo d'un riformismo etico, sociale e religioso nella sua visione messianico-teocratica frontalmente contrapposta allo Stato dal cui potere veniva sopraffatto, padre Cicero rappresenta la personalità misticamente ispirata che sa guidare con realismo le masse povere delle aree marginalizzate del Brasile. Dal 1889 (anno d'inizio della nuova repubblica) egli trasformò il villaggio di Joazeiro, con l'impegno generalizzato della comunità, in un grande laboratorio di vita collettiva solidale, religiosamente fondato ed economicamente autonomo. Questo centro religioso, presto divenuto meta di pellegrinaggi dall'intero Brasile, si imponeva nel mondo contadino con i nomi di regno perfetto, città santa, nuova Gerusalemme, in opposizione alla società profana e corrotta. Sospeso a divinis, padre Cicero riusciva a salvare i rapporti con la gerarchia ecclesiastica e con l'autorità governativa, ma non rinunziò, con i fedeli, alle sue funzioni sacerdotali. Il suo prestigio religioso s'impose su ogni forza esterna, al punto che egli ripetutamente assunse la carica di vicegovernatore dello Stato di Cearà e dell'intero Nord-Est, e alla sua morte prendeva avvio la diffusione del mito messianico della sua resurrezione e ritorno, permettendo così a vari successori di presentarsi come nuove personificazioni di padre Cicero. Tali furono: il beato José Lourenço, João Cicero, Franciscano, e Pedro Batista da Silva, fino agli anni Sessanta del 20° secolo (Mazzoleni 1993; Pereira de Queiroz 1968; Lanternari 1974). Significativo è il caso del beato José Lourenço, diretto seguace del maestro padre Cicero. Da quest'ultimo infatti aveva ereditato, ma in forme più radicali, il ruolo di agitatore, tanto da suscitare l'intervento delle autorità e da rimanere ucciso in uno scontro delle forze governative con la sua comunità di Calderão. Altro predicatore itinerante, non scevro di richiami apocalittici, fu Severino, anch'egli presto scomparso, forse ucciso dai tutori dell'ordine nel 1937. Tuttavia il movimento, per iniziativa del visionario José Senhorinho, si riorganizzava nel centro Pau de Colher presso Casa Nova, tra Bahia e Piauí, che diveniva meta di pellegrinaggi. Il fondatore, con il nome di San Giuseppe, unendosi in compagnia con il beato Quinzeiro, formava una confraternita che, in vista della palingenesi cosmica, si teneva ligia a rigorosi precetti di astinenze rituali, sessuali e alimentari. Ma dietro questa ideologia di fanatismo apocalittico i seguaci indulgevano a comportamenti di spregiudicata aggressività contro genti esterne considerate miscredenti, ch'essi pretendevano aderissero alla comunità, e contro i renitenti esterni praticavano saccheggi. Un clima di terrore si sviluppò, infatti, contro gli 'esterni' alla comunità e anche contro 'fratelli' eventualmente transfughi o pentiti. Intervenuta anche qui la forza pubblica, rimaneva ucciso il leader e incarcerato il socio Quinzeiro. Significativo è il proclama che essi enunciarono al momento dello scontro finale: ai proseliti essi intimavano il principio assoluto del martirio come condizione per conseguire salvezza (Mazzoleni 1993). In effetti numerosi fratelli rimasero sul posto per un'estrema e vana difesa fino al sacrificio supremo.

A questo punto è opportuno ricordare casi noti di comunità messianiche le quali, al seguito di un leader propagatore dell'ideologia del martirio come suprema via di salvezza, hanno condotto l'intera setta al suicidio collettivo, come nel caso della setta del People's Temple del profeta Jim Jones che, dagli Stati Uniti trasferitasi in Guyana per sfuggire al mondo nemico dei controlli e della polizia, fu trascinata nel 1978 dal leader al suicidio collettivo. Casi occorsi successivamente a Losanna e in Canada riguardano gli adepti del cosiddetto Ordine del tempio solare diretti da un leader di dubbio equilibrio psichico e che seguirono analogo comportamento dietro tassativa istigazione al suicidio collettivo (Aubert, Keller 1994; Introvigne 1995; Palmer 1996). Se del resto si pensa alle minacce intimate ai fratelli pentiti o transfughi dal carismatico brasiliano testé menzionato, si ritrovano comportamenti corrispondenti presso alcune sette largamente diffuse a livello di ceti urbani nell'intero Occidente, e giunte a una potenza economica, oltreché a un espansionismo impressionanti, come nei casi della Chiesa dell'unificazione di Sun Myung Moon e della scientologia del defunto Ron Hubbard (Lanternari 1994).

Il Brasile, antica fornace di m., ha continuato nella seconda metà del 20° secolo a sfornare nuovi appelli messianici, ma in risposta a situazioni di sofferenza via via mutanti, in corrispondenza con le trasformazioni della società sulla strada della modernizzazione. Non si tratta più soltanto di movimenti di comunità contadine tormentate da miseria ed emarginazione, ma del coinvolgimento di gente venuta dalle campagne e ora cittadini di centri urbani colti da smarrimento per i travolgenti cambiamenti socioculturali dagli effetti interiormente inquietanti. Non più carismatici in veste di beatos o monaci itineranti, ma personaggi che hanno già conoscenza di paesi e di culture lontane e che d'improvviso si scoprono capaci di profetizzare un'imminente fine del mondo e di farsi portatori di salvezza per chi li segua. Tutto ciò nel quadro di un aggravamento delle generali condizioni psicologiche e morali delle popolazioni, nella morsa dei cambiamenti sempre più rapidi e intensi. Rifluiscono nei nuovi movimenti vecchie tradizioni locali peculiari del Brasile: spiritismo, miti apocalittici arcaici, esoterismi medianici, ed emerge, ex novo, un accresciuto bisogno di guarire da malesseri psichici diffusi, per cui si espande la funzione terapeutica delle nuove sette profetiche e dei nuovi messia.

Nasceva nel 1961 nella città brasiliana di Campina Grande (Paraiba) il movimento messianico delle Farfalle azzurre (dall'abito così ornato dei seguaci), creato da Roldão Mangueira (Mazzoleni 1993): uomo giunto da origini rurali a condizioni medioborghesi, che, colto da improvvisa crisi religiosa, veniva chiamato da una voce spirituale. Fondava la Casa della carità, centro spirituale presto fatto meta di gente che accorreva ad ascoltare l'annuncio apocalittico e a fruire delle cure carismatiche che il sedicente terapeuta ispirato da s. Francesco e da padre Cicero prestava ai bisognosi. Il nuovo taumaturgo prometteva di salvare i suoi seguaci dall'imminente diluvio distruttore del mondo, che sarebbe avvenuto il 13 maggio 1980, ma quando l'esperienza venne a smentire la profezia e per di più la giovane profetessa che l'aveva pronunziata fuggì dal movimento per convenire a profittevoli nozze, il discredito del terapeuta portò al declino il movimento.

Alcuni autori (Canova 1987) evidenziano la crescita di sette brasiliane fondate sulla dottrina della reincarnazione e sull'impiego esoterico di cosiddetti centri d'irradiazione mentale. Qui, tramite l'influenza irradiante del pensiero, anzi di quel che essi chiamano il 'sé', di soggetti iniziati e per i quali vi è totale fusione fra salute e salvezza, l'iniziando conseguirebbe il fine di guarire da mali fisici, psichici, morali, spirituali. È difficile a questo punto non riferirsi al movimento che si potrebbe definire psicomillenarista del potenziale umano, nato e ormai ben radicato negli Stati Uniti. Esso opera come una setta iniziatica propugnando e applicando tecniche e rituali d'influenza psichica a livello del sé, o mente interiore, volti a manipolare le potenzialità mentali e pratiche della personalità del soggetto, tanto che egli possa (si presume) affrontare e risolvere ogni problema o difficoltà fruendo d'una condizione di onnipotenza (Rivera 1989; Harris 1981). È una paradossale forma di millenarismo costruito su tecniche di manipolazione psicologica al servizio di un'ideologia che pretende di produrre una mitica superumanità dei tempi ultimi.

Ma il Brasile offre altri ragguardevoli esempi di movimenti che caratterizzano proprio l'odierna civiltà dell'Occidente iperindustrializzato, che ha visto il ritorno del sacro dopo la fase culminante della laicizzazione e della secolarizzazione. È il caso del movimento della cosiddetta Fratellanza eclettica spirituale universale, fondato tra il 1946 e il 1949 da un certo Oceano de Araújo ridenominatosi, come omonimo di Giovanni Battista, Yokaanam. Di famiglia medioborghese, dopo studi eterogenei e una vita avventurosa questo personaggio fondò una sedicente associazione filantropica che diede corso a pratiche collettive di terapia su basi promiscuamente spiritista, esorcistica, medianica. Ma l'eclettismo che impronta la dottrina unisce al cattolicesimo una variopinta fusione di umbanda brasiliana tradizionale, kardecismo spiritista, elementi giudaici (tratti dai manoscritti del Mar Morto, scoperti nel 1947), ufologia e dottrina della reincarnazione. Ma è nella seconda fase del movimento, da quando il leader decise di trasferirsi da Rio nella zona interna per fondare la nuova 'città santa' destinata alla comunità che lo seguiva, che emerse la componente apocalittica, profetica e millenarista del nuovo culto. Infatti il trasferimento da Rio rispondeva all'annuncio profetico d'una catastrofica incombente inondazione della zona costiera (Rio), effetto della caduta d'un immenso asteroide a sua volta premessa annunciata dell'apocalisse vera e propria. Così la nuova religione veniva corredata del suo mito apocalittico-messianico e la 'città eclettica' era annunciata come la salvezza per chi seguiva il fondatore. Ancora una volta dunque si verificava il perdurare, se non anche il rilancio, d'una profezia apocalittica pur dopo un suo primo fallito annuncio.

Altra area etnico-culturale sudamericana storicamente fertile di fermenti messianici è il Perù con le sue varie etnie di contadini indios. Qui, come per i paesi dell'Africa e il Brasile, si riscontrano soprattutto due ordini di fattori storici in periodi distinti, promotori di corrispettive sequenze di movimenti messianici. Una prima fase è segnata dalla pressione durissima del colonialismo spagnolo e della forzosa evangelizzazione praticata dalle missioni dopo il crollo militare del regime degli Incas, mentre una seconda fase, moderna e perfino contemporanea, registra l'esplosione di movimenti escatologici, apocalittici, avventisti e messianici.

Nella fase della conquista spagnola, il trattamento schiavistico in pesanti lavori minerari, il totale asservimento dei contadini al potere cinico dei padroni encomenderos, inumani castighi (come la garrota) contro renitenti al battesimo, repressione violenta di riti tradizionali, intimidazioni vessatorie delle missioni contro pratiche suicide di indigeni disperati, infine torture per qualsiasi infrazione sono le condizioni sociali, culturali, esistenziali preposte all'insorgenza di una complessa sequela di movimenti di attesa del ritorno degli Incas come salvatori dal caos, anzi dall'apocalisse (Pachacuti) come fu chiamata la conquista spagnola stessa (Curatola 1997). Infatti, dal 18° secolo si susseguono fermenti e manifestazioni dell'ideologia messianica e si presentano uno dopo l'altro capi e guide carismatiche, proponendosi come personificazioni dell'Inca Re (Incarrí) che tornano per liberare il popolo dall'umiliante oppressione straniera. La storia del grande regno incaico Tahuantinsuyu subisce allora un processo di mitizzazione e idealizzazione. Dopo due secoli dal crollo incaico la memoria storica del regime degli Incas, a suo tempo sofferto da molte etnie come tirannia schiavizzatrice e dispotica, viene rielaborata e reinventata in un quadro nettamente positivo, come era dell'oro, della felicità collettiva, libera dall'assoggettamento a un potere straniero egemone. Così la superba organizzazione sociale, economica, politica e militare di un regime imperiale indigeno, che aveva saputo unificare etnie conquistate e annesse al proprio dominio (tanto da provocare frequenti rivolte etniche locali, dagli stessi Incas represse con massacri), veniva ripensata nel segno di una nuova immaginazione mitopoietica che gli conferisce il valore di modello millenarista di un nuovo regno da ripristinare nel sogno degli Indios Quechua e altri (Curatola 1997). Se già nel 1565 nasceva tra i Quechua il culto millenarista del Taqui Ongo, in cui si annunciava la prossima resurrezione degli dei tradizionali e la rivalsa degli stessi, che sarebbero insorti a protezione dei loro fedeli, sconfiggendo il Dio portato dai bianchi e riportando le popolazioni alla libertà delle antiche tradizioni e costumanze (Ossio 1973), soltanto un secolo più tardi il millenarismo lasciava il campo a un vero m. con il presentarsi di una successione di sedicenti profeti assunti dalla gente come reincarnazioni dell'Inca. Il ritorno atteso dell'Incarrí, l'Inca divino figlio del Sole, "s'identifica con la vera restaurazione della religione indigena contro il cristianesimo imposto dai bianchi", come scrive Wachtel (1977, p. 280), cui occorre aggiungere che la religione indigena, a sua volta, rappresenta la cultura originaria che funge da identità etnico-culturale: quell'identità che gli Indios intendevano riconquistare nella sua piena autonomia. Un effetto ideologicamente contraddittorio del processo di ritardata messianizzazione del regime degli Incas risalta in modo vistoso: è il fatto che le etnie indigene già assoggettate al dominio incaico nella fase storica originaria e allora in conflitto con il regime, nella fase posteriore (e nel tempo mitico del millennio) si riuniscono spontaneamente tra loro nel nome di un nuovo nazionalismo definito mitico-religioso. L'Incarrí infatti è il messia che intende riunire le diverse etnie già oppresse dalla colonizzazione spagnola. Com'era inevitabile, i vari profeti sognatori sedicenti Incarrí furono incarcerati, e i moti insurrezionali repressi nel sangue (Curatola 1997).

Dopo la lunga fase dei m. postincaici, si assiste alla nascita di numerosi movimenti escatologici, apocalittici, avventisti e messianici, che riguardano soprattutto l'ambiente urbano dove pullulano nuove sette o Chiese che rispondono alle nuove esigenze di rifugio morale e psicologico e alla richiesta di valori, oltreché di risocializzazione da parte di folle di contadini inurbati, sradicati dai propri aggregati parentali e sociali. Lima ne è il modello vistoso, che accoglie Chiese di matrice giudaico-cristiana note e già diffuse in Europa e Stati Uniti, oltre a sette esotiche di recente formazione, sia pure emananti da proprie centrali americane, e infine aggregazioni create da profeti locali secondo i più eterogenei criteri sincretici. Questi nuovi aggregati religiosi costituiscono formazioni di adattamento e di riscatto psichico dall'esperienza di emarginazione, fallimento e miseria occorsa con la fuga dalle campagne. Infatti crisi dell'agricoltura, sovraffollamento demografico, spinta all'acculturazione come via di miglioramento spingono a prendere la via della città. Ma è come cadere in una ragnatela che imprigiona e riduce la persona, per lo più nel vicolo cieco del sottoproletariato urbano miserabile e senza speranza (Curatola 1997), in una condizione di privazione totale, ossia di "perdita dei significati del mondo" (Barabas 1990, pp. 30-32). Tra le svariatissime aggregazioni religiose d'orientamento apocalittico oggi prosperanti nelle città del Perù (con forti omologie sia di struttura, sia di criteri semantici e funzionali rispetto all'intero Occidente) si distingue, per la sua originale portata che si lega al cristianesimo e insieme all'ebraismo antico, la cosiddetta Missione israelita del nuovo patto universale. Si tratta di un movimento profetico creato da un vecchio contadino meticcio, Ezequiel Ataucusi Gamonal, soprannominato Cristo d'Occidente (rispetto a Gesù, Cristo d'Oriente), o anche il nuovo Inca, il nuovo Mosè. Egli stesso si presenta come nuovo messia, reincarnatosi alla fine dei tempi in Occidente, e annuncia che come Cristo sarà ucciso e resusciterà per inaugurare la nuova era del mondo: era di pace, di prosperità e giustizia, cui accederanno solo gli uomini più umili e pii (Curatola 1997). Il movimento degli 'Israeliti' (è questa la denominazione corrente) rappresenta un nuovissimo caso di reinterpretazione e impiego della Bibbia, con accento sull'Antico Testamento, in chiave socio-culturale aperta a un riformismo moderno, ben diverso dai m. giudaizzanti e di tono rivoluzionario dinanzi visti per l'Africa e la Polinesia sotto il colonialismo. Il leader Ezequiel è il nuovo Cristo venuto per redimere dall'emarginazione e dalla deprivazione i contadini dei villaggi e quelli emigrati nelle città del Perù. Ma il richiamo a Geova e a Mosè si addice al versante militante del movimento, che si muove contro i nemici indicati nel mondo del capitalismo consumista, dei reggitori di una società corrotta e carica di ingiustizie. Infatti la terra promessa si attuerà con le già avviate colonie agricole, col ritorno alla foresta, nonché con le cooperative commerciali, le imprese, le scuole, i mercati e le mense popolari, tutte realtà già create dal movimento israelita. Lo stesso Ezequiel si presentava nel 1990 alle elezioni presidenziali. Ma è da notare che gli stessi programmi d'ordine pratico e politico si innestano su una dottrina d'ordine escatologico-apocalittico, che pronostica la fine del mondo intorno al 2000, con paurosi cataclismi, di cui sarebbe stata un'avvisaglia l'epidemia di colera verificatasi nel 1991. In tale groviglio di tematiche apocalittiche non manca, per l'attuazione escatologica della terra promessa, l'annunciato ritorno degli Incas alla testa delle comunità di fedeli israeliti. Il sincretismo piuttosto fantasioso del movimento israelita dunque riduce in un unico abito variegato frammenti di tinta biblica con altri del Tawantinsuyu, mitizzato con il mito millenarista dell'Incarrí.

Non si può assolutamente tacere sulla portata ideologica, politica e non solo utopica assunta dalla rappresentazione, pur mitizzante, dell'impero Inca nella storia odierna del Perù. È un tema che grazie agli ambienti intellettuali entra nella letteratura, nelle arti e nel folklore, mentre per la massa funge da base fondante dell'identità nazionale: tanto che, nei toni di una rivalsa ideologica contro l'egemonica influenza politica e culturale dell'Occidente, ispira una sorta di millenarismo indigenista e neo-nazionalista autoproclamantesi (da Cuzco, capitale incaica) "cuzchista e incaicista" (Curatola 1997). Può anche essere utile rilevare che il cosiddetto Movimento indio-peruviano, organismo esprimente a nome di tutte le etnie locali la propria rivendicazione d'autonomia etnico-culturale, emana un manifesto nel quale si auspica l'avvento di un secondo Tawantinsuyu, come "nuova nazione degli ayllu (comunità contadine tradizionali), retta da consigli di capi-famiglia, ligia alla arcaica cosmovisione religiosa e al culto della Terra Madre Pachamama". Tutto ciò per liberarsi dall'Occidente "ligio alla barbarie dell'uomo lupo all'uomo, nemico della natura" (Amodio 1984, pp. 151-59).

Oltre al Brasile e al Perù, le comunità indigene dell'America Latina furono protagoniste di centinaia di movimenti sociali e religiosi, millenarismi, m., nativismi restaurativi in età coloniale e oltre. In Argentina sorsero tra il 1895 e il 1935 una serie di millenarismi indetti da profeti-sciamani fra gli Indios Toba e Mocovi, genti di cultura primitiva venatoria, costrette nelle reducciones a una radicale deculturazione forzosa e all'imposizione di tributi. In Guatemala nel 1820 un certo Atanasi Tzul si presentò ai Maya Quiché come capo d'un movimento rivoluzionario, egli stesso denominandosi San Giuseppe e sua moglie Santa Cecilia. Significativo il fatto che ancora oggi i Maya del luogo si definiscono discendenti di Tzul il rivoluzionario (Barabas 1989).

Anche la storia del Messico è costellata di movimenti sociali e religiosi d'impronta millenarista, indetti da diversi gruppi etnici i quali sotto il dominio coloniale spagnolo, e più tardi sotto quello dell'oligarchia dominante, diedero corso, dietro la guida di sacerdoti (chilames) e di capivillaggio (batabes), a una sequela di ribellioni intrise di spiriti religiosi millenaristi. I Maya dello Yucatán avviarono dal 1542 varie utopie rivoluzionarie volte ad attendere la scomparsa dei bianchi, il recupero dell'autonomia india con il riordinamento del mondo e l'uscita dalla condizione di vuoto esistenziale creato dalle sopraffazioni perpetrate dal potere coloniale. Dopo l'indipendenza del 1821, tra gli stessi Maya si sviluppò dal 1847 al 1901 la 'guerra delle caste' contro il potere dispotico dei grandi proprietari terrieri. Altro esempio di movimento messianico e politico fu quello delle etnie del Nord Cora, Huichol e Tepehuan, unite in un 'piano liberatore', guidato dal capo Tigre de Alica, identificato con un eroe mitizzato. Alla morte del leader le masse a lui fedeli ne aspettarono il ritorno messianico. Anche in tempi recenti, nel Sud tra gli Indios di Oaxaca, il movimento di contestazione contro la costruzione del bacino che avrebbe minacciato il loro territorio fu guidato da un capo a sua volta messianizzato, chiamato "ingeniero del Gran Dios" (Barabas 1990).

Nel loro assieme, i movimenti a sfondo millenarista-rivoluzionario delle etnie dell'America Latina vanno considerati come precursori storici del risveglio politico dei popoli indigeni contro il dominio spagnolo e, più di recente, contro l'emarginazione etnica praticata dal potere degli strati occidentalizzati dominanti (bianchi o mestizos). Essi costituiscono una piattaforma storico-psicologica e sociale da cui poté trarre stimoli precoci il processo panindianista che, nel presente, trova la sua diretta espressione (Barabas 1990) nei movimenti etnici secolari variamente organizzati nei distinti paesi, per rivendicare un mutamento radicale della società contemporanea nella quale l'indigeno resta soggetto a una struttura di dominio che implica la progressiva distruzione delle specifiche e diverse forme di vita, e cioè di cultura.

I movimenti nell'Oceania e in Africa

Una somigliante commistione di utopia mitico-millenarista e di episodici sbocchi di rivendicazioni socio-culturali in senso trasformativo si ritrova in un complesso di movimenti religiosi delle isole melanesiane. È il caso dei cosiddetti culti del cargo (cargo cults). In uno sfondo mitologico-rituale essi danno espressione simbolica a un implicito significato rivendicativo della condizione di sottosviluppo. Il fenomeno dei culti del cargo occupa, a partire dai primi decenni del 20° secolo fino a tempi recenti, la storia dei contatti tra indigeni e bianchi e delle rispettive reazioni o risposte date dai primi sulla base del loro tradizionale sistema cognitivo e di rappresentazione del reale. Risalgono alle prime esperienze del contatto tra la cultura degli isolani (della Nuova Guinea e altre isole vicine), primitivi coltivatori di tuberi e cacciatori, e gli Europei con le navi cariche d'ogni sorta di beni.

In tali condizioni nasceva e si diffondeva, in base a presupposti di miti tradizionali, il processo di mitizzazione delle merci intraviste, e dei bianchi portatori di ricchezze ignote. E sotto la guida di profeti locali resisi interpreti e portavoce di implicite aspirazioni condivise si diffondeva il mito millenarista di un prossimo arrivo, anzi del ritorno di antenati che avrebbero portato ai nativi una messe di beni pari a quelle degli Europei. Si sarebbe realizzata un'età nuova di benessere, senza più mali né infermità, senza bisogno di lavorare il suolo, in una vita eterna e felice. Come si può notare, il mito millenarista segue la mitologia tradizionale, secondo cui gli autori e i dispensatori dei beni vitali erano gli spiriti degli antenati tribali dei quali gli Europei, in quanto portatori di tanti beni sconosciuti, apparivano ai nativi degli abusivi sostituti (Lanternari 1974; Kilani 1988; Berthoud, Kilani 1982).

Il m. di tali comunità apre la via, specialmente tra gruppi etnici d'Africa come d'America Latina, a un originale comunitarismo che travalica le vecchie demarcazioni tribali e segna un nucleo germinale di innovativa identità: un'identità di gruppo su base emotiva, rituale e spirituale, in un mondo che vede declinare i rapporti clanici, parentali e territoriali di villaggio, già assi portanti dell'identità etnico-sociale. È un m. fondato sulla fede in una personalità di profeta come messia, e sul suo messaggio che annuncia l'attuazione immanentista di un bene vitale attraverso la fede e la preghiera collettiva nei nuovi rituali comunitari e consistente nella salute e guarigione, vitalità e benessere, e nel risveglio di legami umani, morali e spirituali. Ne è segno lo sviluppo di un clima di fratellanza e di riacquistato significato esistenziale fra i componenti di ciascuna comunità dietro la guida e con l'ispirata direzione del profeta.

Nella nuova situazione determinata dal processo di urbanizzazione, dalla travolgente trasformazione dei modi di vita nei villaggi depauperati degli abitanti emigrati, si è ormai distanti dal complesso mitico-escatologico di un regno trascendente proprio dell'originario m. giudaico e soprattutto cristiano, dal quale peraltro dipendono tutti i profeti delle nuove aggregazioni africane. Ma quel m. originario è da loro reinterpretato, applicato, innestato sul tronco della religiosità vitalistica locale. Si è pure distanti dall'éschaton apocalittico perseguito dal classico movimento dei Testimoni di Geova che con il nome di Kitawala o Kitower (da deformazione dell'inglese Watch tower, "torre di guardia") si era ampiamente diffuso nel continente africano sotto il segno di un rivoluzionarismo militante contro il potere coloniale e le Chiese cristiane europee (Lanternari 1974). Tuttora tale movimento propugna un nativismo o, in America, un indigenismo autonomista antiistituzionale, pervenuto al massimo sviluppo della sua distribuzione, sia pure in forme differenti, nel Terzo Mondo come nei vari neo-etnicismi d'Occidente (Stark-Iannaccone 1997; Canova 1987).

I movimenti in Occidente e il fenomeno di New Age

Elementi di collegamento con le nuove Chiese spirituali africane si rendono riconoscibili, in particolare nella omologa valenza messianica legata alla personalità di un leader carismatico, nel fenomeno assai originale o perfino eccentrico del cosiddetto caso Milingo, fenomeno africano in origine, poi trapiantato in Italia. Profeta carismatico e fino al 1983 arcivescovo cattolico di Lusaka, trasferito a Roma dalla Santa Sede per lo stile troppo personale da lui adottato in Zambia, sua patria, Emmanuel Milingo è divenuto in Italia, nonostante l'opposizione di molti vescovi, leader d'un movimento che trascina folle di seguaci. In lui si amalgamano sincreticamente il comune sfondo mistico e carismatico proprio dei profeti di Chiese spirituali africane, le diversità indotte dalla formazione cattolica, specialmente nell'accentuazione dell'ideologia d'una presenza diabolica nel mondo (Lanternari 1993) e la stregoneria di netta pertinenza africana. Risalta nelle sue prediche la veemente battaglia contro le forze malefiche tra loro congiunte del diavolo, della stregoneria e di spiriti malefici, e con tale dominante elemento della sua dottrina è connessa la missione salvifica che egli si assume di esorcista, combattente contro i poteri del male nelle sue più diverse espressioni. Sotto questa luce, che riporta al piano soggettivo individuale ogni questione di perdizione e salvezza e che lascia da parte ogni considerazione di fattori sociali e tanto più di oppressione collettiva, esterna o interna, ritroviamo in Milingo un particolare esempio della figura del profeta assunto e seguito come diretto soccorritore e salvatore dalla massa dei proseliti. Ma un numero imponente di esponenti di questa categoria di figure messianiche si riconoscono, pur in singole e multiformi espressioni, nell'enorme falange di guru, guaritori, carismatici fondatori dei cosiddetti Nuovi movimenti religiosi (comunemente denominati NMR) nella società occidentale contemporanea. Milingo e i tanti profeti carismatici costituiscono nel loro insieme una categoria d'interpreti o esponenti messianici che si adeguano alle esigenze di altrettante collettività sociali ed etniche coinvolte in condizioni di grave disagio e sofferenza legate a processi di vorticoso mutamento dei rispettivi modi di vita e d'orientamento mentale, a squilibri socioculturali e al conseguente smarrimento di significato esistenziale e crisi d'identità. Si tratta pertanto di un m. essenzialmente terapeutico e psicoterapeutico che può ben distinguersi dai m. dalla forte carica socio-politica dei profeti del Terzo Mondo in età coloniale e pure dai m. d'impegno direttamente sociale, degli Indios latinoamericani, alle prese con condizioni moderne di emarginazione etnico-sociale.

Il nuovo culto portato da Milingo, unico esempio di un movimento proveniente in Italia dall'Africa, con relativi adattamenti all'ambiente occidentale cattolico, spinge ad affrontare il tema dei Nuovi movimenti religiosi che pervadono oltre all'Italia i vari paesi dell'Occidente contemporaneo e postmoderno, soprattutto dagli anni Sessanta del 20° secolo. Il loro sviluppo si lega all'instaurarsi della grande trasformazione della civiltà tecnologica, mediatica, consumista, globalista, poi informatica e digitale, e alla profonda crisi culturale che coinvolge a livello etico orientamenti mentali e di valori. In Italia, se parte dei Nuovi movimenti religiosi risultano di matrice cristiana, cattolica (neopentecostalismo, Rinnovamento carismatico) e protestante (Testimoni di Geova, Mormoni, Chiese evangeliche), i più numerosi e di larga diffusione costituiscono altrettante scelte alternative alla tradizione originaria cattolica provenendo da matrici asiatiche e americane. Nei Nuovi movimenti religiosi, specialmente nel loro ultimo impressionante crescendo di attrazione e di seguito, si sommano in vari intrecci sincretici elementi strutturali e dottrinali di profondo ed esplicito significato innovativo. Anzitutto la struttura profetica, per cui la figura centrale del profeta fondatore e guida del movimento ne è il protagonista, che si presenta ed è assunto dai proseliti come figura carismatica. Il carattere di rinnovamento vi assume frequentemente toni apocalittici, come programmata eliminazione di condizioni di sofferenza, di mali, di vuoto e disagio profondo, in un superamento indotto dall'adesione al nuovo credo. Ma in vari casi di culti incentrati su strutture iniziatiche ed esoteriche, si cerca tale adempimento di aspirazioni attraverso un tirocinio d'indottrinamento esoterico con impiego di tecniche di condizionamento psicomentale secondo criteri di deprogrammazione mentale e comportamentale. È il caso di movimenti come la scientologia, il moonismo, gli Hare Krishna, Sai-Baba, Meditazione trascendentale di Maharishi, ecc.

In particolare nei moderni movimenti religiosi che praticano un proselitismo su base iniziatica, attraverso il tirocinio esoterico s'intende conferire al soggetto, individualmente preso, una condizione di benessere psicofisico che fonde interiormente tra loro l'esperienza di salute fisica con quella di benessere totale o salvezza in senso psichico, mentale e insieme etico-spirituale. L'iter del tirocinante passa attraverso pratiche d'isolamento e meditazione, di ginnastica respiratoria e dinamiche del corpo, di ripetitiva recitazione di litanie portata fino a condizioni d'annebbiamento mentale o estatiche, oltre a pratiche di espansione della coscienza (droga, yoga, tecniche zen, trance), con impiego dei tipici criteri del brain washing. Il risultato è quello di forgiare personalità condizionate in ogni atteggiamento, opinione, principio direttivo secondo una deprogrammazione consistente nella cancellazione metodica di ogni traccia di presupposti culturali e ideologici precedentemente incorporati, surrogati coi principi nuovi, imposti. In realtà i nuovi culti, nella loro impressionante moltitudine e varietà di orientamento, cultura e grado di coscienza più o meno severa, vogliono essere altrettante risposte in senso religioso alla condizione di profondo e diffuso malessere di ordine etico, mentale, assiologico dilagante nella società di massa. I fattori di origine della crisi della società contemporanea discendono dalle rapide e pervasive trasformazioni dei sistemi di comunicazione e degli stili di vita, dal tracollo repentino di consolidati parametri di riferimento semantico, gerarchico e simbolico nelle relazioni interpersonali interne ed esterne, dal disancoramento psicoculturale.

Collegate con i fattori di crisi indicati sono le nuove conflittualità intercomunitarie e interetniche con ondate di xenofobia, razzismo e criptorazzismo, oltre ad anacronistici neonazionalismi dispotici, aggressivi, espansionisti: fenomeni che riportano l'intero Occidente ad antiche lotte fratricide che storia e coscienza dominante avevano consegnato alla memoria di secoli passati. Da questo complesso di elementi si diffonde quello smarrimento di significati esistenziali, quella perdita della propria identità culturale, cui i nuovi culti rispondono presentandosi come elargitori di una particolare forma di riscoperta del sacro. Infatti così è stato denominato il fenomeno dei Nuovi movimenti religiosi da vari commentatori, pubblicisti e studiosi. Ma alle interpretazioni così pronunciate è sfuggito, di massima, che si tratta di un sacro in dimensione riduttivamente delimitata a una funzione terapeutica, specialmente psicoterapeutica. Ci si trova di fronte a un fenomeno la cui dimensione terapeutica opera in concomitanza con psichiatria, psicoanalisi e medicina psicosomatica. Basta pensare alla cura esorcistica, oggi di nuovo valorizzata dalla Chiesa cattolica stessa con la nomina di numerosi operatori ufficiali in vari ambiti metropolitani. Con le nuove religioni terapeutiche cresce e si diffonde la falange delle terapie magiche.

Guaritori miracolisti, predicatori 'elettronici' con esponenti della cosiddetta Chiesa elettrica proliferano negli Stati Uniti e in Europa parlando da varie reti televisive (Rivera 1989), fuori da una dimensione di trascendenza e di umanesimo universalista, sostituita spesso da una modesta pubblicistica. I loro annunci di guarigione e salvezza vogliono aprire la porta a un micromillenarismo di fruibilità strettamente individualista ed egocentrica, con il mero obiettivo di procacciarsi uno stato di benessere generale. La cultura media statunitense impiega infatti il termine fitness per indicare questo obiettivo supremo dell'uomo postmoderno. Tutto ciò, beninteso, non concerne certi movimenti che sviluppano un rigoroso impianto religioso tradizionale come il pentecostalismo e il rinnovamento carismatico che ne discende, i Testimoni di Geova, i Mormoni, oppure gli Hare Krishna e gli altri movimenti neobuddhisti, tra i quali vige un richiamo a valori spirituali intimamente vissuti secondo un impegno critico di umana emancipazione.

Numerosi sono i movimenti che, grazie a un'abile e spregiudicata commistione d'interessi religiosi e affaristici, a un esperto impiego di tecniche pubblicitarie omologhe a quelle in uso per prodotti di consumo corrente, e al disinvolto utilizzo di tecniche psicologiche d'influenzamento su soggetti appartenenti soprattutto alle fasce giovanili, sono giunti a espandere il messaggio del fondatore all'intero pianeta. Si tratta in ogni caso di messaggi, tra loro somiglianti, che annunciano garanzia di salvezza totale, guarigione spirituale, autorealizzazione individuale, conquista della verità. In essi si usano slogan e un linguaggio di seduzione ben noti per l'uso che se ne fa nei lanci pubblicitari. L'aggiunta di termini esoterici conferisce alla nuova religione, quale essa sia, un'aura magica e misteriosa, capace d'indurre in qualcuno il senso d'un carisma segreto e possente (Lanternari 1994).

La spiritualità proclamata da New Age, come dai tanti culti confluenti nella sua costellazione, è espressa integralmente nel linguaggio esaltante di una corporeità impiegata al massimo grado. Infatti protagonismo del corpo e trattamento consumistico del sacro sono due fra i connotati salienti del culto New Age. Ginnastica respiratoria, zen e yoga, diete ecologiche, terapie alternative di ogni sorta, shiatsu, massaggi, tecniche di trance e di dilatazione della coscienza, musicoterapia, arti marziali: tutto ciò risponde all'idea base che il fisico agisce sullo spirito, come componenti da cui dipende la condizione di benessere totale (Terrin 1993). Ma New Age si distingue da ogni altro culto confluente in esso come una forza nuova per il solenne annuncio dell'era cosmica che incombe nel segno dell'Acquario, era dell'adempimento millenarista di universali aspirazioni dell'umanità contemporanea. Un criterio essenziale di confuso eclettismo (unione di astrologia, misticismo, cristianesimo, buddhismo, meditazione trascendentale), di oscura equipollenza tra religioni diverse, di affrancamento da idee di valori e di responsabilità domina in New Age.

Questa religione rivolge infatti un'attenzione particolare al 'sé' individuale (self), totalmente ed egocentricamente assunto nel proprio isolamento e di cui viene enunciata la natura divina, in conformità ai principi di una teologia dell'identità che è sviluppata dalla dottrina della psicologia transpersonale nel movimento Meditazione trascendentale del guru Maharishi, che può infatti essere considerato in certo modo precursore di New Age, a sua volta ispiratore di movimenti con decine di migliaia di adepti. Molto significativamente uno dei principi enunciati dal decalogo delle norme comportamentali di New Age recita: "Tu non avrai altro Dio fuori di te", evidente provocatoria caricatura del primo comandamento biblico. Da tempo (Colombo 1983) è stato colto il fattore limite soggiacente a New Age e ai Nuovi movimenti religiosi che gli hanno dato sostanza, nella loro presunzione di valere come universale religione di salvezza, messianica o millenarista. È evidente che centro del programma millenarista di questo specifico complesso religioso è dato dalla realizzazione del sé (self), in comune al Movimento del potenziale umano, vicino ideologicamente e parallelo a New Age. Dall'indifferenza verso gli altri, che è una precisa regola comportamentale di New Age, viene la possibilità di conseguire, da parte dell'iniziando che persegua il dovuto training, una condizione di euforia derivante dalla sensazione di essere liberati dal peso degli altri o della storia. Risulta evidente a questo punto come l'esperienza spirituale di New Age si fondi sulla metodica indifferente obliterazione da parte dell'iniziando delle realtà negative del mondo in cui vive e nel quale si assiste all'esplosione di conflittualità anacronistiche e a orrori e nefandezze perpetrati da soggetti distanti da ogni cultura o humanitas. Il raggiungimento della realizzazione del sé (self) dipende infatti dall'autoisolamento in un training che si segue per gradi in base a tecniche rituali, a regole di condotta imposte secondo un rigido codice di deprogrammazione che cancella il corredo dei modelli culturali, comportamentali, cognitivi e valutativi già introiettati tramite l'educazione familiare e ambientale. In sintesi, esaltando il principio dell'indifferenza verso il prossimo e in genere gli altri, secondo un'etica individualista ed esclusivista, si vuole aprire la via a un'autonomia che si dichiara spirituale e che è invece totalmente chiusa in se stessa e a valori di apertura umana.

La componente dottrinale specificamente millenarista è da New Age risuscitata in termini piuttosto originali per l'umanità postmoderna: New Age considera infatti la storia umana secondo un ordine diacronico schematicamente periodizzato da un orologio che segue l'andamento del ciclo dei segni astrali dello zodiaco e batte ogni 2160 anni circa, appunto con il cambio dei segni stessi. L'era del Toro avrebbe compreso la storia delle grandi civiltà protostoriche (mesopotamica, egizia ecc.), l'era dell'Ariete contrassegnerebbe la storia ebraica fino all'avvento di Gesù allo scoccare dell'era dei Pesci, era che si prolunga fino al 20° secolo, quando s'è inaugurata l'era dell'Acquario, che volge alla sua pienezza nell'immediato avvenire incombente sul destino dell'umanità con i suoi primi segni vistosi: la nascita e diffusione, appunto, di tanti Nuovi movimenti religiosi. Dare a questi elementi osservabili il nuovo significato profetico, teologico, messianico o millenaristico, è stato l'assunto, a suo modo originale, di New Age. Il millenarismo di New Age nasce così dall'impiego del nucleo biblico originario della rivelazione, ripensato e riportato nel contesto ideologico dell'astrologia e dei connessi cicli periodici segnati dallo zodiaco. Ma vi si aggiunge con abile utilizzo delle circostanze la rivalorizzazione mitizzata di una data inquietante: quella del 2000. Così New Age si afferma, nel pieno della civiltà occidentale giunta all'estremo del processo di laicizzazione e secolarizzazione, in un mondo cinico e materialista, distante dalle vecchie mitologie ma disponibile a miti nuovi (Heelas 1996; York 1997; Colombo 1983; Greer 1995; Terrin 1993).

A tal punto è opportuna un'osservazione conclusiva sul problema del rapporto tra capo carismatico e candidati proseliti, connotato caratteristicamente da una sostanziale ambivalenza, in un decorso esposto a potenziali deviazioni, dalla fase iniziale di collaudata, reciproca e coerente intesa tra le parti a una di strumentale e abusiva manipolazione per personali interessi effimeri o per volontà di potenza del capo, fino all'uso sistematico di spregiudicate tecniche plagiarie sui suoi adepti. Di questa ambivalenza sostanziale del potere carismatico (Lanternari 1984) si hanno manifestazioni inquietanti in vari scandali legati a interessi personali, d'ordine economico, finanziario o anche politico oppure per soggettive deviazioni psicopatologiche del leader, come nel caso del profeta Jim Jones della setta della morte (Lanternari 1978; Pozzi 1992) e altri omologhi casi successivi. Ma il fenomeno del plagio degli adepti non è raro nei Nuovi movimenti religiosi, come dimostrano vari casi d'infatuazione collettiva. Nella civiltà postmoderna, supertecnologica, ricca di possibilità di confronto critico, si verificano episodi di comportamenti collettivi che mostrano contraddizioni mai così ardite e allarmanti.

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