MESSICO

Enciclopedia del Cinema (2004)

Messico

Nuria Vidal

Cinematografia

Sin dalle sue origini, agli inizi del 20° sec., il cinema messicano ha seguito un'evoluzione analoga a quella del Paese, offrendo un esempio di perfetta correlazione tra situazione politica, conquiste sociali e ricerca culturale.

La fase pre-industriale

Il periodo del cinema muto coincise con gli ultimi anni della dittatura di P. Díaz (1876-1911) e con quelli dello scoppio e del consolidamento della Rivoluzione (1910-1930). Nel 1895 venne presentato a Città di Messico un Kinetoscope Edison e l'anno successivo Díaz assistette alla prima proiezione Lumière. Uno dei pionieri del cinema messicano fu Salvador Toscano Barragán che girò per lo più documentari, che sarebbero stati rimontati dalla figlia Carmen Toscano nell'interessante Memorias de un mexicano (1950). Nel 1907 lasciò un segno El grito de Dolores di Felipe de Jesús Haro sull'inizio della guerra di liberazione ottocentesca (1810) che portò all'indipendenza messicana dalla Spagna (1821). La Rivoluzione scoppiò nel 1910, ma le sue conseguenze politiche, sociali ed economiche si fecero sentire fino al 1930, con il consolidarsi dell'egemonia del PRI (Partido Revolucionario Institucional).

Operatori di diversi Paesi ‒ tra cui John Reed ‒ seguirono gli spostamenti di E. Zapata, P. Villa e dei grandi generali rivoluzionari, filmandone vita e battaglie. Durante i primi anni della Rivoluzione, infatti, il cinema si rivelò un'importante arma politica: in un Paese in cui l'80% della popolazione era analfabeta, le immagini diventarono il principale strumento di propaganda. Per quanto riguarda la fiction, l'influenza del cinema europeo si fece sentire sul nascente star system, in cui spiccava Mimí Derba, interprete, produttrice e forse anche regista di La tigresa (1917), grande melodramma in stile italiano; tuttavia, l'opera più importante di quegli anni, El automóvil gris (1919) di Enrique Rosas, Joaquín Coss e Juan Canals de Homs è già di chiaro stampo hollywoodiano. In poco tempo, infatti, i film statunitensi avrebbero invaso il mercato, nonostante le polemiche suscitate dall'immagine caricaturale e negativa dei messicani in essi rappresentata.Difficoltà tecniche, aumento dei costi di produzione e mancanza di validi attori resero abbastanza deludenti i primi anni del cinema sonoro, con un'unica eccezione: Santa (1932) di Antonio Moreno, con Lupita Tovar come protagonista e le musiche di Augustín Lara. Ma già a partire dal 1934 si profilò una rinascita del cinema messicano, che andò di pari passo con l'affermarsi di un sentimento nazionalista incoraggiato dal presidente L. Cárdenas (1934-1940), il quale nazionalizzò il petrolio e accolse l'ondata dei rifugiati reduci dalla guerra civile spagnola nel 1939. Tali circostanze contribuirono anche a risvegliare l'interesse dei cineasti stranieri: nel 1930-31 Sergej M. Ejzenštejn viaggiò per il Paese girando materiali di un film rimasto poi incompiuto, ¡Qué viva México!; il suo lavoro ebbe comunque il duplice effetto di suscitare curiosità e rispetto per il nuovo mezzo espressivo da parte degli intellettuali e di dare impulso a una corrente di cinema indigeno, promossa anche attraverso sovvenzioni statali, il cui esempio più alto è Redes (1935; Redes ‒ I ribelli di Alvarado) di Fred Zinnemann, Emilio Gómez Muriel e Paul Strand. Si trattava ancora di una fase pre-industriale e artigianale, animata da registi come Arcady Boytler Rososky, Juan Bustillo Oros e soprattutto Fernando de Fuentes (autore del primo grande successo internazionale del cinema messicano e della prima commedia ranchera, Allá en el Rancho Grande, 1936), che gettarono le basi della futura cinematografia nazionale.

L'epoca d'oro del cinema messicano

L'impulso dato da Cárdenas al nazionalismo militante, la crisi del cinema in una Spagna impegnata nella guerra civile e il fallimento delle versioni ispaniche dei grandi successi di Hollywood rinforzarono un'industria che, tra il 1939 e il 1950, avrebbe vissuto il suo periodo di massimo splendore, conosciuto come 'epoca d'oro' del cinema messicano. Nel 1939 venne fondato il Sindicato de Trabajadores de la Industria Cinematográfica de la República Mexicana (STIC), cui si sarebbe aggiunto nel 1945 il Sindicato de Trabajadores de la Producción Cinematográfica (STPC), e nel 1942 un istituto di credito, il Banco Cinematográfico, per sostenere lo sviluppo del cinema. La situazione favorevole venne rafforzata anche dallo scoppio della Seconda guerra mondiale perché il M. fu l'unico Paese di lingua spagnola apertamente schierato con gli Alleati, consolidando così i rapporti con gli Stati Uniti e favorendo il rilancio dell'economia in tutti i settori, compreso quello del cinema. Nel 1938 furono girati 57 film, nel 1945 82; in questo periodo esordirono più di 70 registi e venne creato l'unico vero star system latino-americano. I generi più diffusi erano la commedia ranchera, il melodramma di ambientazione urbana, la rievocazione nostalgica della rivoluzione e le commedie basate sull'humour popolare.Influenzato da Ejzenštejn, Emilio Fernández detto 'El indio', fu autore di opere originali di ispirazione indigena, con la collaborazione del direttore della fotografia Gabriel Figueroa e degli attori Dolores del Río, María Félix, Pedro Armendáriz e Columba Domínguez. Grande successo ebbero anche Jorge Negrete e Pedro Infante, eroi della canzone ranchera; Cantinflas (nome d'arte di Mario Moreno) e Tin Tan (nome d'arte di Germán Valdés), comici di strada; Arturo de Córdoba e i tre fratelli Fernando, Andrés e Domingo Soler, acclamati interpreti del melodramma urbano; Ninón Sevilla e Libertad Lamarque, volti noti del genere rumbero in cui i 'cattivi' per eccellenza erano Carlos López Moctezuma o Ignacio López Tarso. Tra i registi, ai veterani Fuentes (Doña Bárbara, 1943), Bustillo Oro (Canaima, 1945) e Miguel Contreras Torres (La vida inútil de Pito Pérez, 1943), si possono aggiungere, oltre a Fernández noto soprattutto per Flor silvestre (Messico insanguinato) e María Candelaria (La vergine indiana), entrambi del 1943, i nomi di Julio Bracho (Distinto amanecer, 1943), Roberto Gavaldón (La barraca, 1944), Ismael Rodríguez (Cuando lloran los valientes, 1945), Alejandro Galindo (Campeón sin corona, 1945) e Miguel Zacarías (El peñón de las Animas, 1942).Nel 1946 si verificò un evento la cui importanza sarebbe risultata evidente soltanto in seguito: giunse in M., dove sarebbe morto nel 1983, Luis Buñuel, che girò il suo primo film messicano, Gran Casino e influenzò profondamente quella cinematografia. La conclusione della guerra segnava l'inizio di un lento declino del cinema messicano, che però dal punto di vista industriale visse il suo miglior momento nel 1950, anno in cui vennero girati 125 film. Gli autori già consacrati proseguirono la carriera con film importanti: La perla (1945), Enamorada (1946) e Pueblerina (1948; Dimenticati da Dio) di Fernández; ¡Esquina… bajan! e Una familia de tantas (1948) di Galindo; Nosotros los pobres (1947) e Ustedes los ricos (1948) di Rodríguez. Vennero ancora prodotti i grandi successi dei generi rumbero (Aventurera, 1949, e Sensualidad, 1950, di Alberto Gout) e comico (Calabacitas tiernas, 1948, ed El rey del barrio, 1949, di Gilberto Martínez Solares). Il cinema messicano si impose come il migliore dell'America Latina, ottenendo premi in tutti i più importanti festival. Tuttavia era soprattutto al mercato nazionale ‒ il più fiorente ‒ che venivano de-dicati gli sforzi di produzione. Il 1950 fu anche l'anno di Los olvidados (I figli della violenza) di Buñuel, considerato "il primo film di genio prodotto per il cinema nazionale" (García Riera 1992, 5° vol., p. 85); nel corso degli anni Cinquanta, il regista girò alcuni dei suoi film migliori: Subida al cielo (1951), él (1952), Abismos de pasión (1953; Cime tempestose), La ilusión viaja en tranvía (1953), Ensayo de un crimen (1955; Estasi di un delitto) e Nazarín (1958; Nazarin).

Segnali di crisi

L'opera di Buñuel costituì un'eccezione in una cinematografia che cominciava a manifestare seri segnali di crisi: tra il 1952 e il 1960 si verificò infatti una stasi dell'industria cinematografica e un arretramento culturale. Tra le cause, anche la politica culturale perseguita dal monopolio diretto dallo statunitense William Jenkins insieme ai messicani Manuel Espinosa Iglesias, Manuel Alarcón e Maximino Avila Camaho, che nel 1949 controllava l'80% della programmazione, nonostante la Ley de la Industria Cinematográfica promulgata proprio in quell'anno vietasse i monopoli. L'arrivo al potere del presidente A. Ruíz Cortinez (1952-1958) coincise con la fine del cosiddetto genere cabaretero (storie di donne che per i diversi casi del destino diventano cantanti di cabaret), contrastato da una rigida morale sociale e dal successo del genere horror e dei film violenti (soprattutto negli anni Sessanta). La crisi strutturale dell'industria cinematografica fu aggravata da un rigido controllo ideologico, che a sua volta provocò alcuni tentativi di film a sfondo sociale ‒ come Espaldas mojadas (1953) di Galindo o La sombra del caudillo (1960) di Bracho ‒ e produsse come effetto secondario la nascita di un cinema programmaticamente artistico, lontano dalla realtà, ben rappresentato da Raíces (1953; Raices) di Benito Alazraki, Tizoc (1956) di Rodríguez o da Macario (1959; Morte in vacanza) di Gavaldón.

La fine della presidenza di A. López Mateos (1958-1964) coincise con i primi timidi moti di protesta sociale culminati in quelli studenteschi dell'ottobre 1968, duramente repressi. Parallelamente a queste rivendicazioni politiche iniziò a svilupparsi un cinema indipendente, alla ricerca di strade diverse da quelle dei generi popolari ormai logori. Mentre Buñuel girava gli ultimi film messicani, El ángel exterminador (1962; L'angelo sterminatore) e Simón del desierto (1965; Simon del deserto), entrambi con Silvia Pinal, la protagonista anche di Viridiana (1961), il suo aiuto regista e amico Luis Alcoriza esordiva nella regia con Los jóvenes (1960), e subito dopo girava l'interessante trilogia Tlayucan (1961), Tiburoneros (1962) e Tarahumara (1964; Tarahumara, la vergine perduta), riaffermando l'importanza delle culture indigene tradizionalmente disprezzate dal cinema nazionale. Nei primi anni Sessanta un produttore indipendente, Manuel Barbachano Ponce, diede vita, insieme ad altri cineasti, a una rivolta ideologica che investì diversi settori. Intorno a lui e a Buñuel nacquero riviste, si consolidò una critica specialistica e maturò una generazione che, nei due decenni successivi, avrebbe cambiato l'impostazione del cinema messicano. Nello stesso periodo venne fondata la prima scuola universitaria di cinema, il Centro Universitario de Estudios Cinematográficos (CUEC). L'industria cinematografica tradizionale era crollata alla fine della presidenza di López Mateos; gli stessi lavoratori del STPC erano consapevoli della gravità della situazione e furono i principali promotori del I Concurso de Cine Experimental de Largometrajes, bandito nel 1965 con lo scopo di offrire ai giovani cineasti l'opportunità di emergere. Da questo concorso uscirono 18 film che fecero conoscere 12 nuovi registi. Raggiunto questo primo obiettivo, si cercò di riconquistare la classe media urbana, che aveva ormai voltato le spalle al cinema nazionale, rivolgendosi a intellettuali di prestigio come Juan Rulfo, Carlos Fuentes o Gabriel García Márquez, questi ultimi legati alle origini di una delle più folgoranti, durature e brillanti carriere del cinema messicano, quella di Arturo Ripstein che aveva esordito nel 1965 con Tiempo de morir e la cui filmografia continuò a svilupparsi alla ricerca di sempre nuovi linguaggi cinematografici.

Il cinema d'autore

Si può affermare che un cinema d'autore sia nato in M. alla fine degli anni Sessanta, quando nomi come quelli di Alejandro Jodorowski (Fando y Lis, 1967, Il paese incantato), Felipe Cazals (La manzana de la discordia, 1968), Jaime Humberto Hermosillo (La verdadera vocación de Magdalena, 1971), Jorge Fons (El quelite, 1970), Paul Leduc (Reed, México insurgente, 1970) iniziarono a essere noti a livello internazionale. Gli anni Settanta si aprirono con la presidenza di L. Echeverría álvarez (1970-1976), liberale e riformista che tentò di far uscire il Paese dal caos economico. La sua politica di riforme investì anche il cinema con un sostegno progressivo dello Stato, attuato attraverso la trasformazione del Banco Nacional Cinematográfico (che nel 1947 aveva sostituito il Banco Cinematográfico), l'acquisto dei più importanti stabilimenti cinematografici (i famosi Estudios Churubusco) e la statalizzazione dei principali circuiti di sale. Si cercò in tal modo di mascherare la crisi dell'industria cinematografica. I cineasti che esordirono alla fine degli anni Sessanta proseguirono la loro carriera con maggiore o minore indipendenza e qualità sfruttando gli aiuti dello Stato. Ripstein, Leduc, Cazals, Hermosillo e lo stesso Alcoriza firmarono alcune opere interessanti, che rimasero tuttavia casi isolati, accompagnati da molti insuccessi commerciali. Particolarmente significativa fu la stagione 1975-76: venne infatti realizzato un certo numero di film storicamente importanti. Così Cazals girò la famosa trilogia, Canoa (1975), El apando (1975) e Las poquianchis (1976); Hermosillo La pasión según Berenice (1975); Fons Los albañiles (1976) e Gabriel Retes esordì con Chin Chin el teporocho (1975). Inoltre, Leduc osò un film speri-mentale, Etnocidio: notas sobre el mezquital (1976) e Ripstein girò un documentario scioccante sulla situazione carceraria in M. (Lecumberri: el palacio negro, 1976). Ma fu un periodo di splendore breve, nel quale vennero fondate la Cineteca nazionale e la scuola di cinema Centro de Capacitación Cinematográfica diretta da Buñuel; con il mandato presidenziale di J. López Portillo (1976-1982) questa favorevole congiuntura sarebbe finita.Nel 1978 le cose cambiarono radicalmente: scomparse le sovvenzioni statali, l'unico criterio di valore tornò a essere quello commerciale; i timidi tentativi di creare un cinema d'autore vennero schiacciati da un'industria che cercava unicamente un ritorno economico. Alcuni registi continuarono nonostante tutto a lavorare, per es. Ripstein, che tuttavia considerava i film girati tra il 1977 e il 1982 come i peggiori della sua carriera; altri, come Hermosillo o Leduc, si tennero invece ai margini. Il cinema messicano scomparve così dalla scena internazionale. Al termine di questi tempi oscuri, connotati dal consumo di prodotti di infimo valore, il 24 marzo 1982 scoppiò un incendio alla Cineteca nazionale: le fiamme distrussero più di 200 negativi, 4000 positivi, una biblioteca di migliaia di libri, cartelloni, fotografie e due sale di proiezione in cui si trovavano in quel momento quasi 600 persone.

La ripresa

Nei primi anni Ottanta la crisi del cinema giunse al culmine. Lo Stato intervenne nuovamente creando nel 1983 l'IMCINE (Instituto Mexicano de la Cinematográfía) diretto inizialmente da Alberto Isaac. Nel 1985, anno del terribile terremoto che distrusse parte di Città di Messico, Ripstein girò El imperio de la fortuna, uscito poi nel 1986, primo film in collaborazione con la sceneggiatrice Paz Alicia Garcíadiego, che segnò un'indubbia rinascita del cinema messicano. Tra il 1984 e il 1990 esordirono molti giovani registi (Alejandro Pelayo, Sergio Olhovich, Diego López, María Novaro), mentre gli autori affermatisi negli anni Sessanta proposero alcuni dei loro film più interessanti: Frida, naturaleza viva (1984) di Leduc, Doña Herlinda y su hijo (1984; Doña Herlinda e suo figlio) di Hermosillo, Los motivos de luz (1985) di Cazals. In quel periodo l'IMCINE raggiunse una certa indipendenza passando di competenza alla Secretaria de Cultura, non più quindi direttamente alle dipendenze del governo, e diede impulso a un nuovo cinema capace di suscitare interesse anche all'estero. Nel 1991 sono stati girati alcuni film eccellenti: La mujer del puerto di Ripstein che ha fatto scoprire un'attrice notevolissima, Patricia Reyes Spíndola; Danzón (Danzon) di María Novaro; Rojo amanecer di Fons, che rievoca la violenta repressione dei moti studenteschi del 1968; e nel 1992 La tarea prohibida di Hermosillo, con la proposta di un volto nuovo, María Rojo.

Agli inizi degli anni Novanta si è profilata una nuova generazione di cineasti, quella che ha mantenuto in vita il cinema messicano: Dana Rotberg (Intimidad, 1989); Carlos Carrera (La mujer de Benjamín, 1990, La donna di Benjamin); Luis Estrada (Bandidos, 1991); Alfonso Cuarón (Sólo con tu pareja, 1991); Nicolás Echeverría (Cabeza de vaca, 1991); Guillermo del Toro (Cronos, 1992); Marysa Sistach (Anoche soñé contigo, 1992). Il M. è quindi tornato a occupare un posto di rilievo nei festival internazionali (Cannes, San Sebastián, Venezia), e non solo con Ripstein; anche Alfonso Arau ha ottenuto un considerevole successo con Como agua para chocolate (1992; Come l'acqua per il cioccolato). Sempre nel 1992 Dana Rotberg ha inaugurato a Cannes la Quinzaine dei registi con El ángel de fuego. Nel 1995, nel film di J. Fons El callejón de los milagros si è imposta Salma Hayek, un'attrice che in poco tempo ha saputo conquistare Hollywood come ai tempi di Dolores del Río.

Tra la fine del 20° sec. e l'inizio del successivo, la rivolta degli Indios del Chiapas organizzati nell'esercito zapatista ha portato alla luce una realtà da tempo dimenticata: la presenza di comunità indigene che vivono un'esistenza economicamente e culturalmente precaria. Inoltre, per la prima volta dopo settant'anni, il PRI è stato sconfitto nel corso di elezioni democratiche e nelle presidenziali del 2000 è stato eletto Vicente Fox, candidato dell'opposizione. Gli ultimi grandi successi internazionali del cinema messicano, La ley de Herodes (2000) di Luis Estrada, un'aspra critica alla corruzione del PRI, e Amores perros (2000) di Alejandro Gonzáles Iñárritu (prodotto indipendentemente e candidato all'Oscar come miglior film in lingua straniera), hanno dimostrato l'esistenza di un cinema di qualità. Il cinema popolare è invece quasi completamente scomparso: la televisione e il videoregistratore hanno definitivamente allontanato il pubblico dalle sale cinematografiche. Nuove strade per la produzione e lo spettacolo sono state aperte dall'ultimo film di Ripstein, La perdición de los hombres (2000), girato in digitale, con un'équipe ridotta e ai margini dell'industria cinematografica.

Bibliografia

J. Ayala Blanco, La aventura del cine mexicano, Ciudad de México 1968.

E. García Riera, Historia documental del cine mexicano, 18 voll., Ciudad de México 1992.

P.A. Paranaguá, Le cinéma mexicain, Paris 1992.

Le età d'oro del cinema messicano. 1933-1960, a cura di A. Martini, N. Vidal, Torino 1997.

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