Metaemoglobina

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008)

metaemoglobina

Gino Amiconi
Maurizio Brunori

Prodotto dell’ossidazione del ferro degli emi che si trovano sull’emoglobina (Hb): il ferro, dal normale stato ferroso o ridotto Fe(II) passa allo stato ferrico Fe(III). Il Fe(III) dell’Hb non è in grado di combinarsi con l’ossigeno molecolare (O2) e pertanto la metaemoglobina non svolge alcuna funzione utile per la respirazione. La metaemoglobina (Hb·Fe(III), detta anche Hb ferrica) cambia colore in funzione dell’acidità dell’ambiente (ossia opera come un indicatore di pH, con un pK intorno a 8,1): è infatti marrone a valori acidi di pH e diventa rossa a valori molto alcalini. Questa transizione di colore è dovuta alla ionizzazione della molecola d’acqua (H2O) legata all’eme, un processo che determina la ridistribuzione degli elettroni attorno al ferro, per cui l’Hb ferrica si comporta come una minuscola calamita che è più (Fe(III)∙H2O) o meno (Fe(III)∙OH) potente a seconda del legante, ma in ogni caso è sempre sensibile a campi magnetici (proprietà che nel gergo chimico è detta paramagnetismo). La molecola di H2O può essere sostituita sul ferro dell’eme da altri leganti, alcuni dei quali – in ordine di affinità decrescente – sono: cianuro (CN), azoturo (N3), tiocianato (SCN) e fluoruro (F). Il tipo di legante sulla metaemoglobina modula anche la stabilità della sua struttura quaternaria, che è per grandissima parte (in soluzione) o totalmente (nei cristalli) nello stato R: se il legante è debolmente associato al ferro, come H2O oppure F, potenti effettori allosterici, come l’inositolo esafosfato, inducono la transizione verso lo stato T, un processo questo che non avviene se il legante dell’eme è combinato con alta affinità, come il CN. È proprio a motivo di questa elevata affinità per gli ioni CN che nel trattamento dell’avvelenamento da cianuro (un potente veleno che ha una dose letale dell’ordine di 1 mg/Kg e che agisce impedendo all’ultimo enzima della catena respiratoria, la citocromo-ossidasi, di utilizzare l’O2 producendo così una sorta di strangolamento a livello cellulare) si induce farmacologicamente la formazione di metaemoglobina (iniettando all’intossicato un ossidante, come nitrito di sodio) così che questo derivato possa agire come una trappola per gli anioni CN, smorzandone di conseguenza l’azione tossica. In vitro l’Hb ossigenata o desossigenata viene rapidamente ossidata dal ferricianuro o dal nitrito; la metaemoglobina, a sua volta, può essere riportata allo stato ferroso (e dunque fisiologico) con ditionito, ascorbato o boridruro. In vivo la metaemoglobina è generata di continuo negli eritrociti mediante due meccanismi: (a) per lenta autossidazione (alla velocità del 3%/24 h), prodotta dal rilascio casuale di molecole di O2 che, dissociandosi dal metallo, strappano un elettrone al Fe(II) dell’Hb trasformandosi nel radicale ione superossido (∙O2), e (b) per reazione irreversibile dell’Hb ossigenata con l’ossido di azoto (NO, un gas prodotto continuamente da quelle cellule che di preferenza ricoprono la parete interna dei vasi sanguigni e che è corresponsabile del controllo della tonicità delle arteriole), il quale si trasforma in nitrato (NO3). Una volta formatasi, la metaemoglobina è ridotta negli eritrociti da sistemi enzimatici (detti reduttasi) e/o da sostanze riducenti presenti nella circolazione sanguigna (come ascorbato e glutatione), tornando così a essere un derivato fisiologicamente attivo, di nuovo capace di trasportare O2. Farmaci con proprietà ossidanti (come sulfonammidi, clorati, fenacetina) e agenti usati anche nell’industria (per es., ammino- e nitroderivati del benzene) possono incrementare anche di molto la concentrazione media di metaemoglobina nel sangue, il cui livello – quando è elevato – può avere riscontri clinici pure in ­individui inizialmente sani: stato di cianosi (vale a dire,­ colore bluastro delle mucose e della pelle localizzato di preferenza nelle estremità del corpo, ossia mani, piedi, orecchie e naso), quando la metaemoglobina è pari al 10÷25% dell’Hb totale; a questo segno si aggiungono cefalea, respiro affannoso ed eventualmente coma, se il derivato ferrico raggiunge o supera il 35÷40%. Esistono casi di ipermetaemoglobinemia anche di origine genetica, causati da: (a) presenza di emoglobine anormali (fra cui le più importanti sono dette Hb M, dove M indica l’iniziale di metaemoglobina); (b) deficienza di reduttasi, per cui lo stato stazionario tra la produzione e la riduzione della metaemoglobina si trova a un livello che può essere ben superiore rispetto a quello normale (che è intorno all’1% dell’Hb totale).

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