METALLI

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

METALLI (XXIII, p. 23)

Francesco MAZZOLENI
Leo CAVALLARO
Giulio CERADINI

Plasticità-Incrudimento-Ricristallizzazione. - Un metallo è un aggregato di grani cristallini, orientati a caso, macroscopicamente isotropo per compensazione statistica delle anisotropie dei singoli elementi costitutivi. Se una orientazione preferenziale è indotta dal flusso di calore nella solidificazione, o da deformazioni plastiche, il metallo mostra differenze di proprietà, specialmente meccaniche, nelle diverse direzioni. Tra i grani si annidano le impurità, per segregazione nella solidificazione. Se esse non indeboliscono eccessivamente i legami di coesione tra i grani adiacenti, i metalli mostrano sempre notevole plasticità.

ll processo di deformazione plastica dei metalli è stato chiarito da esperienze su cristalli unici di notevoli dimensioni (monocristalli), ottenuti per es. con lenta solidificazione di metalli molto puri. Se al monocristallo vengono applicate forze di intensità sufficiente, si hanno scorrimenti plastici secondo determinati piani cristallografici e, in essi, secondo direzioni determinate. Sia quelli sia queste dipendono dal tipo di struttura cristallina del metallo e non dalle forze applicate, come accade invece nel corpo isotropo, nel quale le superfici di scorrimento sono determinate dalle maggiori tensioni tangenziali. Per lo scorrimento plastico, la tensione tangenziale in una delle direzioni di possibile scorrimento, deve raggiungere un valore caratteristico proprio del metallo.

La deformazione plastica del metallo policristallino risulta dal complesso degli scorrimenti nei singoli grani. Poiché questi sono orientati a caso, la deformazione di ciascuno è ostacolata dagli adiacenti. L'impedimento mutuo allo scorrimento tra i grani è più efficace se è maggiore il numero di questi in un dato volume: metalli a grana più fine hanno migliore resistenza meccanica.

Lo scorrimento plastico provoca nel reticolo cristallino di ogni grano una distorsione che per le alterazioni delle distanze degli atomi porta ad un incremento dell'energia interna che aumenta con la deformazione ed è accompagnato da una progressiva variazione delle proprietà del metallo (incrudimento). Aumentano, ad es., limite elastico, carico di rottura, resistività elettrica; diminuiscono, capacità di deformazione plastica e potenziale elettrochimico. L'aumento dell'energia interna con la deformazione tende ad un valore di saturazione e, analogamente, variano con l'incrudimento le altre caratteristiche.

Il reticolo distorto è in uno stato di equilibrio instabile e tende spontaneamente a tornare allo stato normale mediante piccoli spostamenti degli atomi, resi possibili dalle fluttuazioni locali dell'energia interna. La rapidità con cui il metallo incrudito torna allo stato normale (velocità di riassetto o di ricristallizzazione) è funzione della temperatura, perché con questa aumenta la mobilità degli atomi, cioè l'energia media di ciascuno e la probabilità che una fluttuazione di essa produca piccoli spostamenti, con riassetto del reticolo nella configurazione non distorta.

Agli effetti pratici, per ogni metallo si ha un campo di temperature nel quale la velocità di riassetto è trascurabile e una distorsione del reticolo permane indefinitamente, e un campo in cui essa è tanto elevata che ogni distorsione prontamente scompare, cosicché il metallo durante la deformazione resta simile a sé stesso. Nel primo campo di temperature, in condizioni, quindi, da produrre incrudimento permanente, un metallo subisce deformazioni a freddo, nel secondo, deformazioni a caldo. Temperatura di ricristallizzazione è quella, non rigorosamente definibile, che separa i due campi. Essa è tanto più elevata quanto più alta è la temperatura di fusione del metallo. Per alcuni (piombo, stagno) è inferiore alla temperatura ambiente, per altri (alluminio, rame, ferro) notevolmente superiore. I metalli con alta temperatura di ricristallizzazione, per i quali la velocità di riassetto dello stato distorto a temperatura ordinaria è praticamente trascurabile, spesso si impiegano in uno stato incrudito, cui corrispondono limite elastico e carico di rottura più elevati che nello stato normale.

Gli effetti dell'incrudimento scompaiono col portare un metallo incrudito al disopra della temperatura di ricristallizzazione. Con la ricristallizzazione dopo una deformazione plastica di sufficiente entità si formano, dai primitivi, nuovi individui cristallini diversamente orientati, di dimensioni tanto più piccole quanto maggiore è stata la deformazione e, a parità di questa, tanto più grandi quanto più elevata è la temperatura alla quale la ricristallizazione si svolge. I fenomeni sono analoghi sia se il metallo è deformato freddo e poi fatto ricristallizzare, sia se la deformazione avviene a caldo e quindi la ricristallizzazione neutralizza l'incrudimento all'atto stesso in cui questo è prodotto. Nelle lavorazioni plastiche dei metalli si realizzano condizioni di deformazione e di ricristallizzazione tali da portare a struttura più fine di quella originale, per migliorare le proprietà di resistenza del metallo.

La tendenza al riassetto del reticolo cristallino si manifesta anche se la distorsione è di carattere elastico, anziché derivare dal disordine portato nella disposizione degli atomi dallo scorrimento plastico. Macroscopicamente, questo fenomeno si manifesta con una lenta attenuazione nel tempo delle tensioni indotte in un metallo da una deformazione elastica, o con una lenta variazione delle dimensioni sotto l'azione di forze applicate (scorrimento a caldo o creep). I due fenomeni, fisicamente analoghi, si manifestano con tanta maggiore intensità quanto più elevata è la temperatura. Grande importanza ha assunto lo studio di essi e la ricerca di metalli e leghe che mostrino questi effetti in misura minore per la costruzione di organi esposti ad elevate temperature, ad esempio parti di motori e di turbine a combustione interna.

Proprietà di alligazione dei metalli. - Nelle leghe i metalli componenti possono essere presenti come individui cristallini indipendenti, o come soluzioni solide, composti intermetallici o eutettici tra due dei costituenti ora elencati (per le strutture caratteristiche vedi leghe metalliche e metallografia).

Le soluzioni solide si dicono di sostituzione, se nel reticolo cristallino del metallo base alcuni atomi sono sostituiti da altri di un metallo diverso. Tali soluzioni solide si possono formare tra metalli i cui diametri atomici non differiscano più del 14÷15%. In generale è maggiore la solubilità allo stato solido di metalli di valenza maggiore in altri di valenza minore, che non viceversa. Il limite di solubilità corrisponde in molte leghe al raggiungimento di una uguale concentrazione degli elettroni di valenza riferita al numero totale di atomi presenti.

Nelle soluzioni solide di inserzione gli atomi del metallo soluto si dispongono negli interstizî di quelli del solvente, che restano disposti secondo il reticolo di questo. Queste soluzioni si possono formare quando gli atomi del soluto hanno diametro atomico sensibilmente inferiore a quello del solvente.

I composti intermetallici sono caratterizzati da rapporti ponderali dei metalli che li costituiscono, corrispondenti all'unione di numeri interi di atomi delle diverse specie. Un c. i. si comporta come un metallo puro nell'alligazione con altro metallo o con altro composto analogo. Alcuni composti sono costituiti dall'unione di atomi diversi nelle proporzioni della valenza ordinaria, ad es. Mg2 Pb, Mg3 Sb2.

In altri composti (elettronici) le proporzioni degli atomi costituenti corrispondono a determinati valori del rapporto tra il numero degli elettroni di valenza e il numero complessivo degli atomi (legge di Hume-Rothery). I composti con lo stesso valore di quel rapporto hanno reticolo analogo. Nella valutazione del rapporto, gli elementi di transizione (es. Fe, Co, Ni), nei quali uno degli strati elettronici più interni dell'atomo è incompleto, si devono considerare caratterizzati dal numero 0 di elettroni di valenza. Le strutture possibili sono: rapporto elettroni di valenza: atomi = 3:2 − reticolo cubico a corpo centrato; es.: Cu Zn; Cu3 Al, Cu5 Sn, Fe Al, oppure reticolo del manganese β (struttura complessa con 52 atomi per cella), es.: Ag3 Al, Cu5 Si, Co Zn3; rapporto 21 : 13 - reticolo dell'ottone γ, es.: Cu5 Zn8, Cu9 Al4, Cu31 Sn8, Fe5 Zn31, Na31 Pb8; rapporto 7 : 4 − reticolo esagonale compatto, es.: Cu Zn3, Cu3 Sn, Ag5 Al3.

I composti interstiziali sono formati dai metalli con elementi di diametro atomico molto piccolo (H, N, C, B), disposti negli spazì interatomici del reticolo del metallo base.

L'esistenza di composti intermetallici conferisce a molte leghe proprietà nettamente superiori a quelle corrispondenti ai metalli puri, agli eutettici o alle soluzioni solide. Molte leghe in cui sono presenti tali composti sono suscettibili di trattamenti termici che permettono di elevarne sensibilmente le caratteristiche meccaniche.

Bibl.: W. Hume-Rothery, The Structure of Metals and Alloys, Londra 1947; N. F. Mott, H. Jones, The Theory of the Properties of Metals and Alloys, Oxford 1936; G. Masing, Handbuch der Metallphysik, in diversi volumi pubblicati a partire dal 1939 a Lipsia; F. Seitz, The modern Theory of Solids, New York 1940; id., The Physik of Metals, New York 1943. Sulla plasticità, oltre il trattato di G. Masing: E. Schmid-W. Boas, Kristallplastizität, Berlino 1935; A. Kochendorfer, Plastische Eigenschaften von Kristallen und metallischen Werkstoffen, Berlino 1941. Sulle proprietà dei singoli metalli: A.E. van Arkel, Reine Metalle, Berlino 1939; H. Carpenter, J.M. Robertson, Metals, Londra 1944.

Protezione dei metalli.

La gravità dei danni prodotti, sulle strutture metalliche, dai fenomeni corrosivi è tale da porre in sempre maggior rilievo il problema della loro protezione, tenuto anche conto delle sempre maggiori esigenze della tecnica del loro impiego. Per quanto in tale materia, in via di continua evoluzione, una classificazione riesca ardua, si può dire che le vie per le quali una protezione anticorrosiva dei metalli può prodursi rientrino nelle seguenti categorie: 1) protezione per modifiche apportate alla composizione chimica e alla struttura del metallo; 2) protezione per modifiche della composizione del mezzo attaccante; 3) protezione per modifiche naturalmente o intenzionalmente prodotte sulla superficie del metallo; 4) protezione di natura elettrochimica del metallo da proteggere (protezione catodica).

La protezione del primo tipo si può esplicare per più vie: a) per purificazione del materiale metallico da impurità che ne ridurrebbero la resistenza anticorrosiva (vedasi il caso dell'alluminio di elevata purezza); b) mediante aggiunte in lega di particolari elementi, i quali, com'è noto, possono esaltare di molto la resistenza anticorrosiva; basti citare il caso degli acciai comuni al rame o quello degli inossidabili, tipo 18/8, al nichelio, cromo, e di tutti i correttivi che a questi ultimi vengono aggiunti (titanio, molibdeno, ecc.) per esaltarne o mantenerne in casi particolari (es.: saldature) la notevole resistenza anticorrosiva; c) operando le suddette aggiunte che possono agire anche in quanto variano la struttura metallografica dei materiali ch'è, d'altra parte, funzione del trattamento termico.

In modo analogo a quanto sopra la protezione del secondo tipo, per modifiche alla composizione del mezzo di attacco, può ottenersi sia con aggiunte a quest'ultimo di sostanze capaci di ridurne l'aggressività, sia per rimozione di sostanze che vi si trovino naturalmente o vi siano presenti come impurezze e promuovano o esaltino l'azione corrosiva. Valga ad es.: il problema della purificazione delle acque per varî usi (caldaie) con rimozione tanto degli elettroliti in essa contenuti, quanto dell'ossigeno che vi si trova disciolto. Notevole esempio, invece, di aggiunte al mezzo di attacco a fini protettivi è fornito dagli inibitori solubili di corrosione che usati o in mezzo acido (inibitori di decapaggio), o in mezzo salino (inibitori a carattere elettrochimicamente meglio definito: cromati, nitriti, ecc.) contengono entro limiti assai bassi e spesso, addirittura annullano, l'azione corrosiva sul materiale da proteggere.

In casi particolari tali sostanze possono con varî accorgimenti essere impiegate per produrre vere e proprie pellicole protettive macroscopiche (es.: gelatine al cromato) sulla superficie del materiale. Ciò rientra, però, nel terzo tipo di protezione, quello che tende alla difesa del materiale attraverso variazioni prodotte sulla superficie di esso. Un tale tipo di difesa può realizzarsi spontaneamente attraverso i prodotti stessi della corrosione in una fase iniziale, prodotti che ne bloccano l'ulteriore svolgimento in quanto formano uno strato protettivo: caso della corrosione del piombo in acido solforico, bloccata dal primo strato di solfato di piombo formatosi. Analoga difesa, di tipo spontaneo, è il formarsi di pellicole d'ossido che metalli, quali l'alluminio e il ferro, elaborano più o meno efficacemente all'aria o con l'ossigeno disciolto nelle soluzioni attaccanti. Tale azione può essere resa ben più efficace, o con particolari aggiunte in lega nel metallo (per es.: acciai inossidabili, ciò che rientra già nel primo tipo di corrosione considerato), o per via elettrochimica come nel caso dell'ossidazione anodica dell'alluminio o, infine, con altri accorgimenti quali trattamenti preventivi in bagni capaci di produrre alla superficie del materiale degli strati protettivi. Un esempio caratteristico di trattamenti di tale tipo, oltre la brunitura, è la fosfatazione del ferro (parkerizzazione, bonderizzazione) consistente nel trattamento a caldo, e, più recentemente, anche a freddo e a pennello senza preventivo decapaggio (fosfatazione a freddo) in soluzioni di fosfati ultraacidi (o di acido fosforico con particolari coadiuvanti) dei campioni, alla superficie dei quali viene a formarsi uno strato cristallino protettivo le cui caratteristiche, spessore, porosità, adesione, ecc. risultano tali da potenziare notevolmente l'azione protettiva di ulteriori strati ricoprenti, siano essi olî antiruggine, pitture, vernici, smalti, o, addirittura, placcature metalliche ottenute sia per via meccanica sia elettrochimica; l'indirizzo scientifico attuale tende a dare sempre maggiore importanza allo stato delle superfici su cui tali protezioni debbono esercitare la loro azione. Inoltre si va sempre meglio mettendo in luce, nel caso delle pitture e vernici, l'azione chimico-fisica degli inibitori e dei pigmenti che possono contenere e, nel caso degli olî antiruggine, il meccanismo per il quale la loro protezione si esplica.

L'ultimo tipo di protezione, infine, quella catodica, è realizzata collegando la struttura metallica da proteggere con un metallo che nel mezzo considerato si comporti anodicamente nei confronti del primo in modo che questo, funzionando da catodo nella pila così formatasi, non vada in soluzione e, quindi, non risulti corroso. Ciò avviene, quindi, a spese del metallo anodico che dev'essere di natura e di dimensioni tali da garantire un duraturo funzionamento del sistema, anche in vista delle proprietà del mezzo circostante (sia esso il terreno o un mezzo liquido). Ove un tale sistema non sia realizzabile con sicura continuità si ricorre all'artificio di sovrapporre alla coppia galvanica così spontaneamente formatasi una forza elettromotrice esterna che esalti rispettivamente le caratteristiche catodiche e anodiche del protetto e del protettore. Ciò è particolarmente indicato quando i sistemi siano esposti all'azione di correnti vaganti, ed ha avuto sempre crescente diffusione nel caso delle canalizzazioni interrate.

Bibl.: U.R. Evans, Metallic corrosion passivity and protection, Londra 1946; H. H. Uhlig, Corrosion Handbook, New York 1948; O. Kröhnke e G. Masing, Der Korrosionschutz metallischer Werkstoffe und ihre Legierungen, Lipsia 1940; G. Guidi e G. Guzzoni, La corrosione dei metalli, Milano 1937.

Costruzioni metalliche.

Si definiscono con questo nome le strutture metalliche di ponti, di edifici civili ed industriali, di costruzioni idrauliche, di gru, piloni, antenne, di impianti industriali, di serbatoi, ecc.

Durante la seconda metà del secolo scorso il ferro fu l'unico materiale da costruzione con il quale fosse possibile realizzare grandi strutture di moderne costruzioni (v. ferro: Il ferro in architettura, XV, p. 107). A partire dagli inizî del nostro secolo lo sviluppo delle costruzioni in cemento armato ridusse sensibilmente il campo di applicazione delle costruzioni metalliche. Particolarmente nei paesi a limitata produzione di materiali ferrosi - fra i quali è da annoverarsi l'Italia - il cemento armato è preferito, per ragioni economiche, al ferro nelle costruzioni edili e di ponti di piccola e media luce. Nonostante la forte concorrenza del cemento armato, l'impiego di strutture metalliche risulta spesso conveniente nella costruzione di grandi tettoie, aviorimesse, strutture di impianti industriali, piloni di sostegno di linee elettriche e di funivie. Conviene inoltre adottare strutture metalliche quando è necessario ridurre al minimo il peso delle costruzioni, al fine di non sovraccaricare le fondazioni, e quando si vogliono realizzare travi di piccola altezza relativamente alla luce ed ai sovraccarichi. La facilità del montaggio e, con particolari sistemi costruttivi (ad es. sistema Innocenti), la possibilità dell'integrale ricupero e reimpiego dei materiali, rendono l'adozione di strutture metalliche particolarmente conveniente nel caso di costruzioni temporanee, quali centinature, impalcature, coperture di grandi ambienti di esposizioni, ecc. L'adozione delle strutture metalliche risulta infine indispensabile ogni qual volta l'elevata resistenza del materiale ed il basso peso della struttura abbiano influenza determinante, e cioè: nei ponti (in particolare ponti ferroviarî) di grande luce, nei ponti mobili, nelle gru, in numerosi impianti industriali, nei grattacieli, nelle antenne, in grandi piloni di sostegno di linee elettriche, nelle paratoie ed in numerosi elementi di costruzioni idrauliche, ecc.

Materiali. - I materiali che si impiegano nelle costruzioni metalliche devono presentare le seguenti proprietà fondamentali: a) adeguata resistenza meccanica, caratterizzata dal carico di snervamento, dal carico di rottura, dalla durezza, dalla resistenza a fatica; sulla base di queste caratteristiche si determinano le tensioni massime ammissibili; b) notevole capacità di deformazione, caratterizzata dall'allungamento percentuale a rottura, dalla strizione, dall'indice di piegamento; i materiali devono infatti sopportare, senza subire danni, le lavorazioni meccaniche cui sono sottoposti nelle varie fasi della costruzione, ed in esercizio devono far fronte alle sovrasollecitazioni locali, teoricamente non valutabili, dovute ad eventuali tensioni interne ed alle concentrazioni di tensione che si generano nelle zone di collegamento; c) elevata resistenza agli urti, scarsa sensibilità agli intagli e, particolarmente per i materiali delle costruzioni saldate, scarsa sensibilità alla tempra.

Gli acciai con forti tenori di carbonio o di elementi speciali, impiegati correntemente nelle costruzioni meccaniche, nonostante la loro alta resistenza, non possono essere impiegati nelle costruzioni metalliche a causa della loro limitata capacità di deformazione, della bassa resilienza e della grande sensibilità agli intagli ed alla tempra. Si impiegano pertanto acciai dolci a basso tenore di carbonio, anche se meno resistenti e, da un ventennio, anche acciai speciali (As 52), a basso tenore di carbonio e con limitati tenori di elementi speciali (silicio, manganese, nichelio, cromo, rame, ecc.), i quali, pur elevando le caratteristiche di resistenza, ed in particolare il carico di snervamento, non riducono sensibilmente le caratteristiche di deformazione.

I requisiti di qualità che devono presentare i materiali da impiegarsi nelle costruzioni metalliche sono fissati da norme ufficiali (in Italia: Norme UNI; Norme tecniche riguardanti le opere metalliche delle F.S.; Istruzioni del Consiglio nazionale delle ricerche).

Di recente in casi particolari, nei quali si è avuto interesse a ridurre al minimo il peso proprio della struttura, si sono impiegate leghe di alluminio bonificate (duralluminio, avional, ecc.). Queste leghe, largamente usate nelle costruzioni meccaniche ed aeronautiche, pur risultando molto più leggere dell'acciaio (peso specifico ~ 2,7, contro 7,8) hanno resistenza alle sollecitazioni statiche dello stesso ordine di quella degli acciai A 37 ed A8 52 (fig.1). Tuttavia la loro resistenza a fatica risulta minore (figg. 7, 8), sono più fragili e più sensibili agli intagli. A causa del basso modulo di elasticità, la loro resistenza al carico di punta risulta notevolmente minore di quella degli acciai equivalenti (fig. 2).

Criteri generali di calcolo. - Nella determinazione delle sollecitazioni massime ammissibili, nel calcolo delle costruzioni vanno considerati:

a) il pericolo dello snervamento del materiale: le grandi deformazioni, che si generano se il limite di snervamento viene superato in una o più membrature di una costruzione, mettono quest'ultima fuori servizio. Deformazioni plastiche locali di piccola entità, che si verificano nel corso dei primi cicli di carico della costruzione nelle zone di concentrazione delle tensioni (ad esempio ai bordi dei fori delle chiodature, nelle gole dei cordoni di saldatura, ecc.), non sono pregiudizievoli per la sicurezza della costruzione, qualora il materiale e l'esecuzione soddisfino alle prescrizioni delle norme;

b) il pericolo di rottura statica: questa ha luogo nelle sezioni di minor superficie resistente; normalmente le eventuali disuniformità nella distribuzione delle tensioni sono eliminate dalla grande deformazione plastica che precede la rottura;

c) il pericolo di rottura dinamica: è presente in tutte le costruzioni sottoposte a sollecitazioni fortemente variabili nel tempo, ad urti e a vibrazioni (quali ad esempio: ponti, incastellature di macchine, gru, condotte forzate, serbatoi ad alta pressione). La rottura per fatica si inizia con una fessurazione che parte dai punti di concentrazione delle tensioni provocati da intagli (fori di chiodature, irregolarità superficiali e difetti interni del materiale, difetti di saldature, ecc.) e si propaga con il ripetersi delle sollecitazioni, fino a che la superficie resistente della sezione è talmente ridotta da rompersi staticamente;

d) il pericolo dell'instabilità dell'equilibrio elastico: si può presentare come carico di punta delle travi compresse o pressoinflesse, ingobbamento dell'anima delle travi sollecitate a flessione e taglio, sbandamento laterale delle travi inflesse, ecc., nonché come instabilità di intere membrature o della struttura stessa nel suo insieme;

e) il pericolo della risonanza nelle strutture soggette a vibrazioni;

f) per alcune strutture (ponti, travi inflesse di costruzioni edili) le frecce massime d'esercizio, fissate in maniera che le deformazioni elastiche sotto i carichi d'esercizio non risultino eccessive.

Sistemi di collegamento. - I varî elementi - profilati, lamiere, tubi, getti di ghisa e di acciaio - costituenti le membrature delle costruzioni metalliche sono collegati fra di loro mediante chiodature, bullonature, giunti a perno, saldature.

Chiodatura.- Per gli acciai da costruzione la chiodatura, salvo per chiodi di diametro molto piccolo, si effettua a caldo, a mano o a macchina (v. chiodatrici, X, p. 125). La contrazione che, dopo la ribaditura, subisce il gambo del chiodo raffreddandosi, fa sì che le superfici a contatto degli elementi collegati risultino energicamente compresse l'una sull'altra. L'entità di questo sforzo di compressione varia notevolmente secondo le modalità e l'accuratezza dell'esecuzione della chiodatura; può venire a mancare se i chiodi sono ribaditi a temperatura troppo bassa o se le superfici degli elementi collegati sono ingobbate.

I fori dei chiodi sono eseguiti di regola per trapanatura; la punzonatura, che danneggia il materiale ai bordi del foro, è ammessa a condizione che il diametro del foro punzonato risulti di 4 mm. inferiore a quello definitivo, che deve essere ottenuto mediante alesatura o trapanatura.

I chiodi sono a testa semisferica, a testa svasata o a testa rasata. Affinché sia assicurato il rifollamento del materiale nel foro, lo spessore totale degli elementi da collegarsi con i chiodi a testa sferica non deve superare 4,5 d (d = diametro del chiodo); con chiodi a testa svasata detto spessore può raggiungere 6,5 d. Per spessori maggiori si devono sostituire i chiodi con bulloni.

I chiodi, a causa delle intense sollecitazioni cui sono sottoposti all'atto della ribaditura e del successivo raffreddamento, e nel corso della vita della costruzione, devono essere di acciaio con ottime caratteristiche di deformazione.

La chiodatura non richiede particolare perizia nell'esecuzione e costituisce un sistema di collegamento notevolmente sicuro. Gli eventuali difetti (chiodi lenti, scarso rifollamento, danneggiamento della superficie dei pezzi collegati, fessurazioni, eccentricità della testa, ecc.) possono generalmente essere individuati e riparati con facilità. D'altra parte la presenza di un chiodo difettoso in una chiodatura composta di un certo numero di chiodi non riduce generalmente in maniera notevole la resistenza del collegamento.

I chiodi lavorano di regola a taglio. Lo stato di tensione che si genera nei chiodi e negli elementi collegati è molto complesso: la trasmissione delle forze ha luogo in parte per effetto dell'attrito fra le superfici degli elementi collegati, compresse l'una sull'altra, in parte per la pressione esercitata dai gambi sulle pareti dei fori. Ai bordi di questi ultimi si generano forti concentrazioni di tensione, teoricamente non valutabili. Nella fig. 4 è indicato l'andamento delle linee isostatiche in un nodo chiodato.

La ttura avviene per taglio nei chiodi o per trazione in uno dei pezzi collegati, in corrispondenza della sezione debole. In questo caso il carico di rottura del materiale, determinato per la sezione al netto dei chiodi, ha valore praticamente eguale a quello misurato in una normale prova di trazione.

La fig. 8 dà i valori della resistenza a fatica - riferita alla sezione netta e ad un milione di pulsazioni - di chiodature realizzate con l'A37, l'A44, A,2.

Il calcolo delle chiodature si effettua trascurando il contributo dell'attrito, che può venire a mancare, e valutando la ripartizione degli sforzi trasmessi dai singoli chiodi secondo criterî semplici, convalidati da una lunga esperienza e dalle prove di laboratorio. Ad esempio si ammette che in una chiodatura sollecitata a trazione, compressione o taglio tutti i chiodi siano egualmente sollecitati, e che in una chiodatura sollecitata a flessione gli sforzi trasmessi dai singoli chiodi siano proporzionali alla distanza dei chiodi stessi dall'asse baricentrico o dal baricentro della chiodatura. Si verificano lo sforzo di taglio nel chiodo e la pressione di parete sul bordo del foro.

La resistenza dei chiodi alla trazione è relativamente bassa: qualora si verifichino sforzi assiali nei gambi dei chiodi le tensioni massime ammissibili siano notevolmente ridotte.

Le tensioni nei pezzi collegati si verificano considerando le sezioni nette, dalle quali siano cioè detratte le aree occupate dai fori dei chiodi.

Affinché le chiodature così calcolate abbiano la sufficiente sicurezza, è necessario che i chiodi siano opportunamente disposti, secondo criterî basati su considerazioni teoriche e sull'esperienza. Le distanze massime e minime dei chiodi tra di loro e dai bordi degli elementi collegati sono fissate dalle norme. Le chiodature delle leghe di alluminio bonificate si eseguono a freddo, perché la chiodatura a caldo, riscaldando il materiale al bordo dei fori, ne riduce sensibilmente la resistenza. Per la stessa ragione non è possibile realizzare con leghe di alluminio bonificate saldature autogene di forza. A causa della maggiore sensibilità agli intagli e della mancanza del contributo dell'attrito (dovuta al fatto della ribaditura a freddo), la resistenza a fatica delle chiodature su leghe di alluminio bonificate è inferiore a quella delle chiodature sui corrispondenti tipi di acciaio (v. fig. 8).

Il materiale dei chiodi deve essere uguale a quello degli elementi collegati, al fine di ridurre al minimo la corrosione al bordo dei fori.

Collegamenti con bulloni. - Si impiegano i bulloni in luogo dei chiodi: a) nelle costruzioni di carattere temporaneo; b) quando lo spessore totale delle parti da collegare risulta maggiore di quello massimo ammissibile per le chiodature; c) se si devono collegare parti di acciaio con parti di ghisa, che per la loro fragilità non possono sopportare l'operazione della chiodatura; d) quando per la disposizione del collegamento la chiodatura sia disagevole e non sicura; e) quando il collegamento sia sollecitato da rilevanti forze assiali nei gambi.

Il calcolo dei collegamenti con bulloni si esegu in maniera analoga al calcolo delle chiodature.

Collegamenti a perno. - Si impiegano nelle catene dei ponti sospesi, per il collegamento di membrature articolate (come ad esempio bracci di gru, articolazioni di ponti mobili, ecc.), per le cerniere di chiavi di strutture a tre cerniere, per le cerniere di piccole travi Gerber, ecc. Il perno viene verificato a taglio e flessione. Particolare cura deve essere rivolta alla conformazione ed al calcolo delle aste o piastre forate di collegamento, nelle quali si generano stati di tensione complessi con forti concentrazioni di tensione al bordo del foro (v. fig. 3).

Saldature. - La tecnica delle costruzioni saldate ha realizzato tali progressi, che attualmente le strutture saldate, correttamente progettate ed eseguite, possono essere poste su di un piano di perfetta equivalenza con quelle chiodate; esse risultano inoltre notevolmente più leggere grazie all'eliminazione di numerosi elementi secondarî richiesti dalla chiodatura (quali coprigiunti, piastre di collegamento, ecc.), e grazie ad un più razionale sfruttamento delle sezioni resistenti, dovuto alla mancanza dei fori delle chiodature.

Si impiega generalmente la saldatura elettrica all'arco con elettrodi rivestiti; per la saldatura di lamiere e tubi sottili può essere preferibile la saldatura ossiacetilenica.

Gli acciai che si impiegano nelle costruzioni saldate devono avere ottime caratteristiche di saldabilità; in particolare devono: a) presentare struttura metallografica regolare, essere praticamente privi di segregazioni, soffiature, inclusioni di scorie, difetti di laminazione che ne riducano la resistenza in senso trasversale; b) avere basso tenore di fosforo e zolfo; c) avere scarsa sensibilità alla tempra ed alla fragilità secondaria (v. saldatura, XXX, p. 497 ed in questa App.).

Il materiale d'apporto deve essere scelto in relazione alle caratteristiche del materiale di base, con lo scopo di ottenere nella zona di saldatura ed in quella di transizione strutture che si differenzino quanto meno è possibile da quelle del materiale di base. In particolare è assolutamente necessario che la zona di transizione e quella di apporto abbiano buona capacità di deformazione per poter far fronte, plasticizzandosi, alle sovrasollecitazioni locali prodotte dalle tensioni interne di saldatura e dai carichi applicati al collegamento.

Le norme concernenti l'esecuzione e l'impiego della saldatura (ad esempio norme del Ministero dei trasporti) prescrivono particolari prove di saldabilità da eseguirsi sul materiale di base, su quello di apporto e sulle saldature stesse.

L'acciaio A 37 presenta generalmente buone caratteristiche di saldabilità; si sono avute talvolta difficoltà nella saldatura dell'acciaio As 52, particolarmente nel caso di lamiere di forte spessore a causa della maggiore sensibilità alla tempra ed alla fragilità secondaria di questo acciaio.

Il preriscaldamento delle parti da saldare e l'eventuale ricottura della saldatura permettono di ridurre notevolmente il pericolo della formazione di strutture fragili nella zona di transizione.

Esigenza fondamentale per la sicurezza delle costruzioni saldate è che tutte le saldature siano esenti da difetti grossolani quali: mancanza o eccesso di penetrazione, incollature, inclusioni di scorie, porosità, ossidazione, azoturazione, surriscaldamento e tempra della zona di apporto e di transizione, eccesso di rugosità della superficie dei cordoni. Ciò si ottiene mediante l'impiego di materiali di prima qualità, affidando l'esecuzione delle saldature ad operai coscienziosi e provetti, curando che ciascuna saldatura sia eseguita nella posizione più favorevole, predisponendo con cura la successione e le modalità di esecuzione delle singole saldature, determinando convenientemente in fase di progetto la forma dei collegamenti e la conformazione generale della struttura.

Le strutture saldate esigono maggiore accuratezza delle costruzioni chiodate, perché più sensibili di queste ultime ai difetti di esecuzione. Il controllo delle saldature è difficile, costoso e non sempre sicuro; esso ha tuttavia una notevole influenza psicologica sugli operai, i quali, sapendo di essere controllati, sono indotti a lavorare con maggiore accuratezza. Di esecuzione particolarmente difficile risultano le saldature di montaggio in cantiere, a causa delle condizioni disagevoli e della sfavorevole influenza dei fattori climatici. Perciò si preferisce spesso realizzare per saldatura i collegamenti delle membrature costruite in officina e per chiodatura quelli di montaggio. Questo sistema è da raccomandarsi particolarmente nel caso di strutture fortemente iperstatiche, nelle quali durante l'esecuzione delle ultime saldature, a causa del ritiro di queste, possono nascere stati di coazione generali, che sono molto pericolosi ed hanno dato luogo in passato a gravi inconvenienti.

Resistenza dei collegamenti saldati. - La resistenza dei collegamenti saldati dipende, oltre che dalle caratteristiche dei materiali e dalla accuratezza dell'esecuzione, dalla forma dei giunti.

Il giunto di testa (v. fig. 9 I) praticamente non altera l'andamento delle linee isostatiche. Piccoli disturbi locali possono essere prodotti dalla conformazione bombata delle superfici superiore ed inferiore del cordone, con punte di tensione di lieve entità, che non influiscono sulla resistenza. La resistenza statica dei giunti di testa è uguale a quella del materiale di base: la rottura avviene in quest'ultimo in vicinanza della zona di transizione. Le scabrosità della superficie grezza del cordone e i difetti interni costituiscono gli inneschi delle rotture per fatica; la lavorazione (fresatura, molatura) della superficie del cordone e della zona di transizione incrementa sensibilmente la resistenza a fatica delle saldature esenti da difetti interni.

Il giunto a K (v. fig. 9 II) ha caratteristiche di resistenza analoghe a quelle del giunto di testa.

I giunti a cordoni laterali frontali o laterali interrotti (v. fig. 9 IV e III risp.), danno luogo a stati di tensione complessi, con forti disturbi nell'andamento delle linee isostatiche e notevoli concentrazioni di tensione.

I cordoni d'angolo laterali correnti (v. fig. 9 V), sollecitati parallelamente al cordone non danno luogo a concentrazioni di tensione. Effetti di concentrazione di tensione si verificano alla radice della saldatura e sulla superficie del cordone: essi sono della stessa entità di quelli che si hanno nelle saldature di testa non lavorate. Per evitare forti concentrazioni di tensione in corrispondenza delle estremità dei cordoni, è conveniente disporre ivi particolari saldature d'angolo di raccordo (v. fig. 9 V) di sezione molto slanciata, delle quali è opportuno lavorare la superficie in maniera da eliminare qualsiasi scabrosità nella zona di transizione e sulla superficie del cordone. Questo tipo di raccordo, se viene correttamente progettato ed eseguito, ha una elevata resistenza statica e dinamica.

Nella fig. 10 sono riportati i grafici della resistenza a fatica dei giunti sopra menzionati, relativi ad un milione di cicli del carico ed a saldature di ottima qualità su acciaio A 37. Saldature di seconda qualità, saldature di montaggio, ecc., hanno resistenze inferiori del 20÷30%.

Le saldature in fori hanno resistenza statica, e particolarmente dinamica, molto bassa; sono quindi da evitarsi in tutte le strutture fortemente sollecitate.

Forme strutturali fondamentali delle costruzioni metalliche. - Pilastri. - Costituiscono gli elementi portanti verticali delle strutture. Sono sollecitati a pressione o, più generalmente, a pressione e flessione. Pilastri poco sollecitati sono realizzati con singoli profilati o con tubi. Nel caso di rilevanti forze assiali si adottano sezioni composte piene oppure a traliccio, quale ultime specie per pilastri di grande altezza. Nei calcoli si deve verificare la stabilità al carico di punta dell'intera membratura e dei suoi singoli elementi.

Strutture a parete piena (v. fig. 11). - La sezione è generalmente a doppio T, costituita dall'anima e dai correnti od ali superiore ed inferiore; l'anima assicura la resistenza al taglio, le ali la resistenza a flessione. Nelle sezioni ad U od a cassone l'anima è doppia. Lo spessore delle ali e, talvolta, l'altezza dell'anima, si fanno variare in maniera da adeguare la resistenza della sezione all'entità delle sollecitazioni. Con struttura a parete piena si realizzano travi, telai ed archi.

Strutture reticolari. - Sono costituite da aste sollecitate a trazione e compressione, terminanti in nodi ed ivi collegate fra di loro per chiodatura, bullonatura o saldatura, generalmente per tramite di piastre nodali. Le forze esterne sono di regola applicate ai nodi. Nelle aste, a causa della rigidezza dei loro collegamenti nei nodi, si generano momenti secondarî, che però normalmente sono poco rilevanti e non influenzano sensibilmente la resistenza della struttura: salvo casi particolari, nei calcoli si trascurano i momenti secondarî, ammettendo che le aste siano collegate a cerniera nei nodi. Per evitare dannose sollecitazioni secondarie gli assi delle aste devono giacere nel piano della struttura e devono concorrere nei nodi teorici di quest' ultimo.

Stati di tensione complessi si generano alle estremità delle aste e nelle piastre nodali (v. fig. 5), la conformazione dei nodi deve essere studiata in modo tale che non si generino nei collegamenti e nelle piastre concentrazioni di tensione eccessive: ciò è particolarmente importante nel caso di strutture sollecitate dinamicamente.

Le aste sono costituite da profilati composti in vario modo secondo le caratteristiche generali della struttura e l'entità delle forze sollecitanti. In strutture reticolari di medie e piccole dimensioni si impiegano anche tubi. Per le aste sollecitate a compressione si adottano sezioni a forte momento d'inerzia nei piani di massima lunghezza libera d'inflessione, al fine di limitare quanto più è possibile la riduzione delle tensioni massime ammissibili dovute al carico di punta. Aste compresse di lunghezza eccessiva si controventano con elementi reticolari secondarî.

Nelle strutture reticolari correttamente progettate la resistenza del materiale viene sfruttata in ogni sezione pressoché integralmente; ne consegue che, a parità di condizioni, le strutture reticolari risultano più leggere delle strutture a parete piena; per contro la loro esecuzione risulta più costosa. Generalmente si adottano strutture a parete piena per costruzioni di piccole e medie dimensioni, strutture reticolari per costruzioni di grandi dimensioni. Travi e telai a parete piena sono talvolta preferiti alle corrispondenti strutture reticolari per ragioni estetiche.

Le strutture reticolari trovano applicazione in tutti i campi delle costruzioni metalliche: ponti di grande luce a travata o ad arco, capriate, strutture principali e secondarie di tettoie e grandi coperture, ossature e piani di scorrimento di gru, strutture di controventamento di ponti, di ossature di edifici, di coperture, ecc. Reticoli spaziali costituiscono la struttura di piloni, antenne, cupole, ecc.

Strutture a parete sottile. - Sono costituite da lamiere collegate per chiodatura o, più spesso, per saldatura ed eventualmente munite di costole e membrature irrigidenti. Le lamiere sono sollecitate a membrana, con eventuale presenza di momenti secondarî. Tali sono p. es. le tubazioni, i serbatoi e particolari tipi di coperture a vòlte sottili metalliche.

Bibl.: F. Masi, La pratica delle costruzioni metalliche, Milano 1931; F. Bleich, Stahlhochbauten, Berlino 1932: id., Theorie und Berechnung der eisernen Brüchen, Berlino 1924; G. Schaper, Feste stählerne Brüchen, Berlino 1934; id., Grundlagen des Stahlbaues, Berlino 1933; A. Hawraneck, Bewegliche Brüchen, Berlino 1936; L.E. Grinter, Theory of modern steel structures, New York 1936; cfr. i Berichte dell'Ass. tedesca per le costruzioni metalliche, Berlino e del Laboratorio federale di prova dei materiali, Zurigo (M. Roš e coll.); Memoria ed atti di congressi dell'Association intern. des ponts et charpentes, Zurigo; Stahlbau-Kalender, Berlino; Stahl im Hochbau, Düsseldorf.

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