Metonimia

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

metonimia

Dario Corno

Definizione

La metonimia (dal gr. metōnymía; lat. denominatio, transnominatio) è una figura retorica (➔ retorica) tradizionalmente inserita tra i tropi, in quanto produce il ‘sovvertimento’ del significato proprio di una parola in un significato detto figurato per effetto della sostituzione di un’altra parola.

Benché spesso associata alla ➔ metafora, la metonimia (la parola si pronuncia con entrambe le accentazioni: metonimía o metonímia) se ne distingue perché si basa su un rapporto di scambio tra diverse categorie e non, come la prima, su un rapporto di somiglianza. In questo senso essa è un tropo in quanto sovvertirebbe le attese del contesto in cui viene inserita. Il sovvertimento, a differenza di un altro tropo con cui sovente viene collegata e confusa (la ➔ sineddoche), avviene in base alle relazioni causa – effetto e contenente – contenuto e attraverso molte altre inferenze possibili collegate alle prime. Ad es., in comprare una Fiat e bere una bottiglia si sostituisce nel primo caso il nome del produttore (Fiat, causa) col nome del prodotto lasciato implicito (auto, effetto) e nel secondo il nome del contenuto (liquido) col nome del contenente (bottiglia).

La metonimia nella tradizione classica e moderna

La metonimia trova largo spazio nella Retorica a Gaio Erennio (opera del I sec. a.C. per tradizione attribuita a Cicerone ma in realtà di autore ignoto, il cosiddetto Pseudo-Cicerone), dove è definita denominatio: «la denominazione è quella che trae l’espressione da cose prossime e connesse con la quale possa intendersi la cosa, quella che non sia stata chiamata con un suo proprio vocabolo» (IV, xxxiii, 43). Segue una lunga serie di esempi che tendono a definire la relazione di sostituzione in base a inferenze di varia natura, come lo scambio invenzione – inventore; possessore – possesso; effetto – causa; causa – effetto («chiamare pigro il freddo perché rende pigri»); contenente – contenuto («non si può superare l’Italia nelle armi»: Italia per «italiani»); contenuto-contenente (oro per «ricchezze»).

Ma, al di là degli esempi, che sembrano ad hoc, è chiara la consapevolezza dell’ambiguità della figura quando si osserva: «di tutte queste specie di metonimie è più difficile insegnare la classificazione che il trovarle quando le si cerca, perché di tali metonimie è pieno l’uso, non solo dei poeti e degli scrittori, ma anche del linguaggio quotidiano» (ibid.). Quindi, sin dalla tradizione più antica, la metonimia offre non poche ambiguità nella definizione e soprattutto nelle inferenze sulla cui base si definisce lo scambio.

Quintiliano, riprendendo la definizione, traduce il termine greco con transnominatio («transnominazione»): «essa consiste nel mettere un nome al posto di un altro» (Institutio oratoria VIII, 6, 23). E cita Cicerone quando questi, dopo aver definito la metafora, nel suo Orator (XXVII, 93) dice: «chiamo metonimie quelle in cui per una cosa al posto di un vocabolo proprio se ne sostituisce un altro che abbia il medesimo significato da una cosa che abbia rapporto con quella» (con l’esempio di rocca al posto di città desunto da Ennio). Anche Quintiliano fa uso di esempi, ma li limita all’inferenza delle cose trovate col nome dell’inventore e delle cose possedute con il nome del possessore: «questo tropo indica le cose trovate con il nome dell’inventore e quelle possedute con il nome di chi le possiede, come Cerere rovinata dalle onde del mare e Nettuno ricevuto dalla terra tiene le flotte lontano dai venti di Aquilone», dove Cerere equivale a «grano» e Nettuno a «mare». In più, egli avversa il tropo quando viene usato in senso contrario e ne sconsiglia l’impiego sottolineando l’importanza del contesto come filtro per adoperare la figura (anche se negli esempi la metonimia pare spesso sottintendere l’antonomasia) e aggiungendo le relazioni contenente – contenuto e causa – effetto per sottolineare come «in questo modo le specie diventano innumerevoli» (VIII, 6, 24-25).

La trattatistica del medioevo riceve la definizione classica conservando le relazioni che definiscono la metonimia e la sua idea di contiguità tra nome sostituito e nome sostituente. Così, Matteo di Vendôme, nella sua Ars versificatoria (XI secolo) traduce metonimia con transmutatio: «la metonimia è una trasmutazione [di nomi] che avviene in tre modi: quando si sostituisce l’invenzione con l’inventore, e il contrario; il contenente con il contenuto, e il contrario; il possesso col possessore, e il contrario» (Faral 1924: 174).

Sebbene il campo di variabilità nell’uso della metonimia sia limitato a tre aree (tacendo la macrorelazione generale causa - effetto, che la fonda, e confermando quella parte - tutto per la sineddoche), viene così fissata una tradizione, sullo sfondo della quale la metonimia si afferma nell’alto medioevo soprattutto con ➔ Dante nella Commedia.

Dante fa uso soprattutto delle relazioni causa-effetto e contenuto-contenente, che in ogni caso sono nella tradizione retorica i casi più frequenti (cfr. Tateo 19842). L’impiego nell’opera diventa massiccio in particolare per esigenza di rima, ma anche in rapporto a complesse architetture retoriche. Così, in che fece l’Arbia colorata in rosso (Inf. X, 86), il riferimento alla celebre battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), così cruenta da trasformare il colore delle acque del fiume, si affida una metonimia effetto – causa (sangue, causa – rosso, effetto). E, ancora nel celebre verso che ella mi fa tremar le vene e i polsi (Inf. I, 90), l’artificio è metonimico: in rima si ha nuovamente una metonimia che pare condividere le relazioni effetto – causa e contenente – contenuto (battito del cuore, causa – tremore di vene e polsi, effetto).

Nel Novecento, Lausberg (1960) riprese la classificazione in relazione alla funzione dei tropi, definendo la metonimia come l’unico tropo «per spostamento del limite oltre il campo del contenuto concettuale» perché il termine che sostituisce non avrebbe collegamento ‘diretto’ col termine sostituito, cioè oltrepasserebbe il campo nozionale che gli viene assegnato.

Nella seconda parte del Novecento, la metonimia, posta al centro di un approfondito dibattito, assume, in stretto collegamento con la metafora, un ruolo fondamentale negli studi sul funzionamento del linguaggio. Sulla traccia del pensiero di Ferdinand de Saussure (1857-1913), Jakobson (1963) sostiene che, nel configurarsi di un segno linguistico, di varia estensione, si hanno due processi fondamentali, la selezione e la combinazione, operando il primo (processo metaforico) sul codice e sulle virtualità di sostituzione degli elementi, e il secondo sul messaggio e la combinazione degli elementi in presenza (processo metonimico). Il linguaggio opera con entrambi i tipi di rapporto.

A sostegno della sua concezione, Jakobson propone di classificare le afasie (ma le ricerche successive non hanno convalidato le sue ipotesi) in disturbi della similarità (metafora) e della contiguità (metonimia). In questo secondo caso, il paziente procederebbe secondo una direttrice metonimica perché tenderebbe a eludere dal messaggio la ‘parola nucleo’, il soggetto, sulla base della dominanza del principio di contiguità, dando così al proferimento uno stile telegrafico. Ad es., in un test associativo con una parola stimolo (capanna) le risposte per contiguità semantica furono tetto, paglia o povertà (Jakobson 1963: 40-41).

Gli studi di Jakobson influenzarono sensibilmente la ricerca sulla metonimia nei decenni successivi. Così, Albert Henry (1971), sulla base dell’idea che ogni atto linguistico può essere spunto per una metonimia, la contrappone alla sineddoche in quanto cambiamento della comprensione semantica di una o più parole, intendendo per comprensione l’insieme dei tratti o caratteri specifici del contenuto della o delle parole. Se si dice bere una bottiglia, è perché si include nel sostantivo il carattere ‘+ liquido’ modificandone la comprensione in base a processi di focalizzazione cognitiva.

Analoga, ma più complessa, la definizione di metonimia che propone il Gruppo µ (1970), il quale parte dalla stessa esigenza di descrizione in tratti semici (sema = unità minimale del contenuto) delle parole e individuando nella somma (inclusione, operatore logico vel) e nel prodotto (intersezione, operatore logico et) gli operatori fondamentali delle figure retoriche. La metonimia agirebbe per inclusione dei termini semici tra due parole (così nel bere una bottiglia il termine intermedio contenitore viene distribuito sui termini accostati vino e bottiglia), mentre la metafora agirebbe per intersezione (così in Milano da bere il termine semico generico spazio agirebbe da fulcro intermedio metaforico).

Per Eco (1984: 179) la metonimia sviluppa invece la sostituzione di un semema (o effetto di senso generale) con uno dei suoi semi (così in bere una bottiglia, bottiglia contempla fra i semi generali del suo contenuto la destinazione finale vino) o di un sema col semema generale a cui appartiene (così in l’Italia vince agli europei il sema giocatori italiani è sostituito dal nome della nazione).

Natura della metonimia

Indipendentemente dalle nozioni scelte per definirne la natura, la classificazione delle relazioni che istituiscono la metonimia ha una lunga tradizione. Queste complesse articolazioni del tropo sono solitamente costruite in base alle inferenze (collegamenti e connessioni) che la figura richiede secondo una tipologia che prevede principalmente, ma non solo, la relazione causa-effetto variamente modulata. In tal modo si hanno metonimie passate nell’uso della lingua, e quindi lessicalizzate (➔ lessicalizzazione), mentre altre si esauriscono nell’ambito del discorso.

Si designa la causa per l’effetto articolandola nei seguenti rapporti:

(a) autore – opera: leggere Manzoni; ascoltare Beethoven;

(b) causa propria – effetti: il volto rigato di lacrime; tremare dalla paura;

(c) portatore di un attributo – attributi o sfera di influenza: Venere per «bellezza»; Bacco per «vino»; Marte per «guerra»; Carnera per «gigante muscoloso»;

(d) patrono – chiesa o altro edificio: ascoltare messa in San Marco; andare a San Siro;

(e) produttore – prodotto: bere un Martini; guidare una Ferrari;

(f) proprietario – cosa posseduta: Anna ha una piega perfetta (per «capelli di Anna»);

Si designa l’effetto al posto della causa articolandola nei seguenti rapporti:

(a) abitanti – nazione: italiani per «Italia»;

(b) concreto – astratto: essere una gioia, una sciagura; quanta bella gioventù;

(c) colore della divisa – persona che le indossa: gli azzurri; le camicie nere, rosse; bianconeri, nerazzurri;

(d) luogo – istituzione che vi abbia sede: Montecitorio; Farnesina; Vaticano; Casa Bianca;

(e) emblema – nozione associata: armi (per guerra); alloro (per «laureato»); portare la croce (per «sofferenze»); avere buon sangue (per «coraggio» e «buona salute»);

(f) strumento – persona che lo adopera: una buona penna, una buona forchetta, una tromba magnifica;

Sono variamente riconoscibili altre relazioni, spesso riconducibili alla relazione contenente – contenuto (il contenente al posto del contenuto):

(a) contenente – contenuto: bere una bottiglia, un bicchiere; ordinare un buon menu;

(b) luogo – oggetto prodotto: Parmigiano, Reggiano, Chianti;

(c) marca – prodotto: avere una Fiat; scrivere con un’Aurora; possedere un Rolex;

(d) parte del corpo – sentimento simbolicamente associato: cuore, fegato, cervello.

Come si noterà, molti degli esempi a supporto delle inferenze istituite sono in realtà stereotipi, simboli o luoghi comuni connessi a una cultura: ciò permette di giustificare anche per la metonimia la presenza di catacresi metonimiche (➔ metafora) per indicare sostituzioni per contiguità fissate dal continuo proferimento delle stesse nella nostra tradizione. L’effetto in casi del genere ha come contropartita la figura dell’➔ antonomasia. In altri casi si potrebbe notare qualche sovrapposizione tra metonimia e sineddoche (che privilegia le relazioni parte – tutto e specie – genere).

In realtà per la metonimia, come per la metafora e per la sineddoche, conviene inserire il loro processo linguistico all’interno della ‘manipolazione di credenze’ che presiede agli scambi comunicativi e consiste in una focalizzazione graduale degli ‘impliciti’ coinvolti nei processi di modulazione lessicale tali per cui la comprensione della figura comporta costantemente un calcolo interpretativo sensibile ai contesti e guidato da essi (Bianchi 2009).

Nel caso della metonimia questo calcolo è predisposto dall’interpolazione di segmenti discorsivi omessi e richiamabili per effetto contestuale. Così, per esemplificare, il verbo tagliare può produrre alta variabilità metonimica a seconda dei contesti:

(1) a. tagliare la torta

b. tagliare i capelli

c. tagliare l’erba

d. tagliare il vestito

e. tagliare le tasse

f. tagliare la corda

Casi come questo indicano come la metonimia si regga su una polisemia di fondo e sul connesso meccanismo ellittico (➔ ellissi) che categorie ad hoc costruiscono per via contestuale.

Tali categorie sono affidate ai valori enciclopedici via via fissati dalla tradizione o imposti dalla manipolazione di credenze dei messaggi ad alta diffusione, garantendo un’ampia possibilità di manovre retoriche.

Letteratura e media

La presenza di metonimie è ampiamente testimoniata nella letteratura, in particolare del Novecento, e con ➔ Giovanni Pascoli soprattutto:

(2) e il suo nido è nell’ombra che attende

che pigola sempre più piano (“X agosto”, vv. 11-12)

(3) Là sola una casa bisbiglia,

Sotto l’ala dormono i nidi (“Gelsomino notturno”, vv. 6-7).

Ma è nei media, giornalistici e pubblicitari (➔ pubblicità e lingua), che la metonimia si presenta oggi con particolare frequenza, spesso sconfinando nell’antonomasia e nella sineddoche. In un titolo di prima pagina come Il presidente attacca i giornali: «Tutto falso, povera Italia», si noteranno almeno due metonimie (giornali per «giornalisti»; Italia per «italiani»). In un titolo pubblicitario come Scavolini, la più amata dagli italiani, la sapiente regia che armonizza l’antonomasia con l’ellissi produce una metonimia (prodotto – produttore) di rara efficacia.

Fonti

Cicerone, Marco Tullio (1968), Oratore, a cura di G. Barone, in Id., Tutte le opere, Milano, Mondadori, 33 voll., vol. 16º.

Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, a cura di F. Cancelli, in Id., Tutte le opere, Milano, Mondadori, 33 voll., vol. 32°.

Faral, Edmond (1924), Les arts poétiques du XIIe et du XIIIe siècle. Recherches et documents sur la technique littéraire du Moyen âge, Paris, Champion (2ª ed. 1962).

Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.

Studi

Bianchi, Claudia (2009), Pragmatica cognitiva. I meccanismi della comunicazione, Roma - Bari, Laterza.

Eco, Umberto (1984), Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi.

Gruppo μ (1970), Rhetorique générale, Paris, Larousse (trad. it. Retorica generale. Le figure della comunicazione, Milano, Bompiani, 1976).

Henry, Albert (1971), Métonymie et métaphore, Paris, Klincksieck (trad. it. Metonimia e metafora, Torino, Einaudi, 1975).

Jakobson, Roman (1963), Essais de linguistique générale, Paris, Minuit (trad. it. Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966).

Lausberg, Heinrich (1960), Handbuch der literarischen Rhetorik. Eine Grundlegung der Literaturwissenschaft, München, Max Hueber Verlag, 2 voll.

Lausberg, Heinrich (1969), Elementi di retorica, Bologna, il Mulino (ed orig. Elemente der literarischen Rhetorik, München, Max Hueber Verlag, 1949; 19632).

Tateo, Francesco (19842), Metonimia, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, vol. 3°, ad vocem.

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