METRICA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

METRICA

Mario Pazzaglia

(XXIII, p. 102)

Gli studi sulla metrica. - Nel 1962, Metrica e poesia di M. Fubini conclude un trentennio di studi metrici limitati nel numero e avari di proposte metodologiche. Il libro, d'ispirazione crociana aperta a verifiche originali, evidenzia un'idea della m. come parole che solo in quanto vittoriosa sul metro come istituzione letteraria può entrare a far parte di quel giudizio critico che è il crociano riconoscimento della poesia (o non-poesia) d'un testo. Restano significativi, del periodo considerato, letture di gusto, come quelle di G. De Robertis (l'ottava del Poliziano e dell'Ariosto), o studi più tradizionali (e tuttora più utili) di m. storica, come Poesia e canto. Studi sulla poesia melica italiana e sulla favola per musica di C. Calcaterra, e, sul piano metodologico, le ricerche di U. Sesini sul rapporto fra m. e musica o gli studi di prosodia di A. Camilli, anche se le loro tesi non possono sempre essere condivise.

In Italia, un notevole rinnovamento, teorico e metodologico, a metà circa degli anni Sessanta, fu propiziato dalla ''scoperta'' (a ritroso) dei formalisti russi e praghesi, e dalla nuova linguistica strutturale elaborata, sulla scia di F. De Saussure, da R. Jakobson, prestigioso rappresentante e continuatore del formalismo. Significativo, in Italia, è il fervore di traduzioni al riguardo: nel 1966 escono Il formalismo russo di V. Erlich e i Saggi di linguistica generale di R. Jakobson, col fondamentale Linguistica e poetica (1958), nel 1968 l'antologia I formalisti russi di T. Todorov e Il problema del linguaggio poetico di J. Tynjanov (1924); e contemporaneamente vengono tradotte e discusse, incidendo profondamente anche sulla teoria e metodologia della critica letteraria e della m., le opere più importanti della linguistica coeva, da De Saussure ad A. Martinet e N. Chomsky, da E. Benveniste a A. J. Greimas a M. Riffaterre: lo strutturalismo linguistico propone un modello scientifico che tende a imporsi oltre le scienze del linguaggio e dell'espressione. Alla luce di esso retorica, poetica e m. acquistano un più saldo fondamento gnoseologico e sostituiscono alle formule magico-incantatorie delle poetiche postsimbolistiche ed ermetiche l'analisi scientifica delle componenti del linguaggio poetico e delle forme istituzionali della letteratura, unendo strutturalismo e semiologia e privilegiando, nell'operazione ermeneutica, lo studio delle tecniche di produzione e ricezione del testo. Le istanze più importanti recepite dal formalismo furono: la nozione di ''artificio'' come costruzione consapevole dello scrittore, di là dall'ispirazione metarazionale propugnata da idealisti e romantici; la nozione di ''violenza organizzata'', nei confronti del linguaggio e della struttura metrica, cooperante, proprio per questo, con gli altri ''artifici'' e sistematici ''scarti'', a liberare il linguaggio dall'automatismo. In tale prospettiva le istanze dei formalisti si congiungevano a quelle delle avanguardie e di molte estetiche e poetiche novecentesche, anelanti a una nuova percezione del mondo e del linguaggio.

Una correlazione rigorosa fra linguistica e m. viene stabilita da Jakobson, che, fissati nella selezione e combinazione i due processi fondamentali del comportamento linguistico (la prima come scelta fra una serie di termini relativamente simili − bimbo, fanciullo, monello-, in base a equivalenza, similarità, sinonimia, antinomia; la seconda come combinazione/costruzione della sequenza verbale, fondata sulla contiguità), individua sei funzioni della comunicazione linguistica (emotiva, referenziale, poetica, fatica, metalinguistica, conativa): quella poetica proietta il principio di equivalenza dall'asse della selezione a quello della combinazione. La struttura del discorso metrico partecipa di questa dinamica del parallelismo (applicata sistematicamente soltanto nella poesia) con la reiterazione regolata di unità equivalenti (i versi nella sequenza; sillabe atone e accenti nel verso), ossia con la ripetizione sistematica della stessa figura fonica. L'equivalenza del suono genera tendenzialmente quella delle parole e del senso.

Queste tesi sono state ampiamente discusse e approfondite, dagli studi sul parallelismo di S. R. Levin alla teoria metrica di M. Halle e S. J. Keyser (sulla scia della grammatica generativa e trasformazionale) intesa a distinguere struttura superficiale e struttura profonda del verso, e a definire quest'ultima con una rigorosa e astratta tassonomia comparativistica, che ha parzialmente ispirato la costruzione di modelli analoghi dei versi italiani (E. G. Sansone, C. Di Girolamo), e analisi computazionali a verifica dei modelli accentuativi più ricorrenti dell'endecasillabo e dell'isocronismo sillabico (P. M. Bertinetto). La distinzione fra le due strutture richiama, parzialmente, la distinzione (che meriterebbe ulteriori approfondimenti) di Jakobson fra ''modello'' o ''schema'' del verso e sua ''realizzazione'', caratterizzata sovente da tensioni fra ictus e accento; o da altre, che inducono una configurazione doppia o ambigua del discorso, tipica,come si è visto, del linguaggio poetico.

Le analisi testuali di Jakobson, rigidamente sincroniche, hanno peraltro suscitato qualche dubbio. In un lucido saggio (I ferri vecchi e quelli nuovi, 1968) G. Contini distingueva fra pertinenza e non pertinenza dei parallelismi rinvenuti dai critici strutturalisti, avvertendo che la pertinenza non è necessariamente legata all'iterabilità. Il discorso si attaglia, per es., alla presentazione (Jakobson e P. Valesio) del nostro endecasillabo come pentametro giambico con un centro sillabico primario nella terza delle cinque tesi (la sesta sillaba) e due centri complementari (la seconda e la quinta delle sei arsi), sicché ogni tre sillabe, una (la terza, la sesta e la nona, che è la terza dalla fine) recherebbe uno dei tre centri (il secondo è quello primario), con una perfetta reversibilità dello schema metrico del verso. Tentativi del genere, infatti, lasciano perplessi sia sul piano storico, dato che non tengono conto del formarsi e delle modificazioni successive del verso, sia su quello strutturale, dal momento che, fin dalle origini, l'endecasillabo presenta grande mobilità di accenti e di pausazioni interne.

Anche il principio, largamente condiviso, della congruenza di fondo tra sistema fonologico e sistema metrico di una lingua, richiede un'applicazione duttile, nel senso che va tenuto conto, nella definizione di entrambi, anche di fattori storico-culturali, cioè degli influssi di tradizioni letterarie diverse ed egemoni. Possono, per es., coesistere due sistemi di versificazione, uno dotto e uno popolare, il primo quantitativo, il secondo sillabico, come avviene in Ungheria (J. Lotz); oppure converrà considerare le trasformazioni del sistema metrico nel tempo, come quella fra la poesia inglese più antica e la nuova caratterizzazione tonico-sillabica che fa capo a G. Chaucer e che fu poi seguita, da allora a oggi, da una vicenda non univoca. Ogni sistema di versificazione codifica l'impiego di una parte soltanto degli indici fonetici e fonologici di una lingua (P. Guiraud), in concorrenza, però, con altri fattori e convenzioni propriamente letterari. Anche l'esecuzione fonica (ad alta voce o mentale) è condizionata, come la produzione, dalla coscienza eufonica (o ritmica, come diceva Pascoli) delle singole epoche e delle diverse classi di parlanti; e diviene coscienza metrica connessa a singole tradizioni e poetiche, con, a volte, esiti diversi anche in uno stesso autore. La competenza metrica che Jakobson riscontra nei contadini serbi in forme rigorose e persino rigoristiche, appare una possibilità metrica e metricologica eretta storicamente e culturalmente a sistema. Così è ipotizzabile che la rivoluzione metrica novecentesca indurrà nel lettore una nuova competenza. Comunque sia, la congruenza fra leggi fonetiche e metriche non si attua su standard immutabili, ma contempera certe propensioni manifeste a un determinato stadio di una lingua col patto autore/lettore (anch'esso storicamente mutevole) sul quale si organizza quel particolare tipo di comunicazione che è la letteratura.

Sul piano semantico è stato riconosciuto al metro considerato privo, per sé, di significazione specifica (D'A. S. Avalle), un carattere "iconico" (C. Segre). Certamente esso contribuisce alla messa in forma del messaggio attraverso la strutturazione fonematico-ritmica che soltanto per astrazione si può staccare dalla struttura dei significati. Sul comporsi conclusivo nel verso dei fonemi secondo un percorso concepito e attuato organicamente, e sulla portata semantica, oltre che metrica, di questo processo, si vedano le pagine illuminanti di J. Lotman; e, sul versante italiano, le analisi metriche di G. L. Beccaria o di P. V. Mengaldo; o di Avalle che, in accordo con le saussuriane ''parole sotto le parole'', indica in A Liuba che parte di Montale la persistenza implicita dell'antico schema della ballata (un fatto, a nostro avviso, non privo di conseguenze sul piano del significato).

La m. conduce a un'attualità di vissuto, reale e ideale, la comunicazione: attraverso la stilizzazione del ''tempo'' di essa ripropone una dialettica esemplare di variazione e persistenza certamente rilevante sul piano antropologico e conoscitivo. In questo senso si può applicare a ogni strutturazione metrica (anche a quella del verso libero) quello che P. Zumthor dice della strofa ''cortese'', concepita da lui come unità non soltanto formale ma di tempo, come svolgimento irreversibile di immagini uditive che si strutturano e correlano via via nella memoria, parallelamente al loro susseguirsi nella singola strofa e nel componimento intero; una successione dinamica e interrelata, si può aggiungere, che perviene conclusivamente a definire un accordo inscindibile di suono e senso. Pausato sul ritmo o percorso organizzato (Benveniste) configurato conclusivamente dal metro, il testo attua un'idea del linguaggio come fondazione, che richiama la formula di Jakobson secondo la quale "la messa a punto rispetto al messaggio in quanto tale, cioè l'accento posto sul messaggio per se stesso costituisce la funzione poetica del linguaggio".

In conclusione, un verso diventa verso in una sequenza costituita come m. (o poetica) entro quel macrotesto che è la tradizione letteraria. In questo ambito si determina anche l'opposizione/distinzione di poesia e prosa (si veda, a fine Ottocento, quella fra verso libero e poème en prose), su parametri che sarebbe poco producente voler fissare strutturalmente una volta per tutte con assolutezza scientifica astratta.

La metricologia italiana ha partecipato e partecipa al dibattito che si è qui sommariamente delineato con originalità di soluzioni e, soprattutto, eliminando posizioni viete. Basterà qui ricordare alcune conclusioni importanti: il riconoscimento (Contini) dell'autonomia del significante metrico, esemplata sul ripresentarsi in Dante di snodi e giaciture metriche analoghe in situazioni di contenuto ben distinte, in virtù di una ''memoria metrica'' che diviene autonomo principio strutturante (cfr. anche P. G. Beltrami); il riconoscimento, sulle orme di Sesini, che l'endecasillabo si caratterizza, oltre che sul sillabismo, sull'accento di decima, in accordo col carattere sillabico-tonico (dove il primo termine fa aggio sul secondo) della versificazione italiana (Bertinetto e altri); l'abbandono della posizione secondo la quale non si possono avere, nel verso italiano, due arsi consecutive. Si potrebbe continuare l'elencazione, ma giova qui piuttosto osservare che è forse venuto il momento di abbandonare le ambizioni eziologico-teoriche per dedicarsi a una descrizione storicamente e filologicamente corretta dei metri italiani: un'opera che sta già dando risultati felici ad opera dei critici già citati, cui pare opportuno aggiungere I. Baldelli, G. Capovilla, G. Gorni e altri.

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Gorni, Le forme primarie del testo poetico, in Letteratura italiana, iii: Le forme del testo, i. Teoria e poesia, Torino 1984; A. Menichetti, Problemi della metrica, ibid.; R. Jakobson, Poetica e poesia, trad. it., ivi 1985 (con importanti analisi di testi poetici, fra le quali R. J. e P. Valesio, ''Vocabulorum constructio'' nel sonetto di Dante ''Se vedi li occhi miei''); M. Pazzaglia, Metrica, in Guida allo studio della letteratura italiana, a cura di E. Pasquini, Bologna 1985; G. Capovilla, Metricologia, in Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di V. Branca, iii, Torino 19862, pp. 169-77; M. Pazzaglia, Metricologia italiana fra Antonio da Tempo e Giangiorgio Trissino, in Studi in onore di Giuseppe Vecchi, Modena 1989, pp. 29-37; Id., Manuale di metrica italiana, Firenze 1990; Metrica classica e linguistica, Atti del Colloquio, Urbino 3-6 ottobre 1988, Urbino 1990; A. Pelosi, La canzone italiana del Trecento, in Metrica, 5 (1990), pp. 1-162; P.G. Beltrami, La metrica italiana, Bologna 1991; G. Frasca, La furia della sintassi. La sestina in Italia, Napoli 1992. Cfr. inoltre la rivista Metrica (1, 1978; 2, 1981; 3, 1982; 4, 1986; 5, 1990) con ampie rassegne bibliografiche.

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