Migrazione degli animali

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Migrazione degli animali

Claudio Carere
Enrico Alleva

Movimenti stagionali o ciclici in risposta alla periodicità dei cicli geofisici giornalieri e annuali, a cambiamenti del clima, della disponibilità di cibo, spesso in relazione alla riproduzione. Si tratta in genere di movimenti da un'area a un'altra su scala stagionale, ma che possono anche occupare l'intero ciclo vitale. È, per fare un esempio, il caso dei salmoni che, nati in torrenti d'acqua dolce, vi ritornano solo per completare la riproduzione e morire. Le migrazioni si osservano in un'ampia gamma di specie, dai microrganismi d'cqua dolce, che effettuano movimenti verticali in risposta a variazioni della temperatura, alle balene che in autunno si spostano dai mari polari a quelli subtropicali per la riproduzione e tornano nelle acque più fredde a primavera. Alcuni movimenti migratori, cosiddetti nomadici, sono irregolari sia nel tempo sia nello spazio, e dipendenti esclusivamente da condizioni locali.

Un classico esempio è costituito dalle mandrie di erbivori africani che si spostano a seconda della disponibilità di cibo senza seguire una rotta predeterminata. Un altro esempio è costituito dalle locuste africane che effettuano spostamenti di massa 'a senso unico' in concomitanza con picchi nella densità di popolazione e conseguente scarsità di risorse. Movimenti cosiddetti irruttivi si osservano ciclicamente in aree con condizioni climatiche estreme. L'esempio più noto è costituito dai lemming della tundra artica. Questi roditori raggiungono un picco di densità di popolazione ogni tre quattro anni, in coincidenza del quale migrano in numeri elevatissimi andando incontro ad altrettanto elevati tassi di mortalità.

Le migrazioni si manifestano in quasi tutti i gruppi animali, ma negli uccelli la diffusione del fenomeno, le capacità di coprire distanze enormi e le prestazioni di orientamento e navigazione hanno affascinato gli umani osservatori fin dall'antichità e sono tutt'ora oggetto di studi mirati a comprenderne l'evoluzione, i meccanismi fisiologici, e le funzioni. Si stima il numero di uccelli migratori in almeno 50 miliardi su un totale di 200-400 miliardi di uccelli che popolano il pianeta. Data l'importanza delle migrazioni degli uccelli nel panorama della ricerca scientifica attuale, la trattazione sarà focalizzata su questo gruppo tassonomico.

Molti dei concetti generali e delle scoperte effettuate dagli ornitologi sono generalizzabili a gran parte delle altre specie animali che manifestano comportamento migratorio.

Evoluzione e basi genetiche

Negli uccelli i principali fattori causali delle migrazioni sono riconducibili a: a) cambiamenti globali delle condizioni ambientali (glaciazioni, variazioni del livello dei mari, deriva dei continenti; b) comparsa di risorse in luoghi distanti; c) disponibilità di risorse dipendenti dai cicli stagionali in regioni contigue; d) competizione inter- e intraspecifica in relazione alla stagionalità delle risorse; e) ipotesi della Zugschwelle (soglia di stimolo alla migrazione), secondo la quale gli organismi avrebbero un limite di 'resistenza' a condizioni ambientali avverse, superato il quale si determinerebbe un impulso a migrare.

Il comportamento migratorio non è affatto stabile nel tempo. Per questo gli ornitologi hanno effettuato indagini a lungo termine su specie che mostrano un ampio repertorio di stili migratori ed esibiscono cambi repentini nel comportamento migratorio, come la capinera (Sylvia atricapilla). Tali studi hanno consentito di spiegare sia l'evoluzione dei fenomeni migratori, sia la loro capacità di cambiare in maniera adattativa. Nella capinera parte di una popolazione migra ogni anno, mentre un'altra parte resta nelle aree riproduttive. Esperimenti di selezione genetica hanno permesso di ottenere nel corso di 3-6 generazioni individui migratori e individui stanziali. Dunque il comportamento migratorio mostra una flessibilità che dipende da pressioni ambientali contingenti e permette l'adozione di differenti stili comportamentali. Il passaggio da uno stile migratorio a uno stanziale richiederebbe non più di 25 generazioni, circa quarant'anni per un piccolo passeriforme.

Le migrazioni si sarebbero sviluppate originariamente in regioni a clima tropicale. Gli spostamenti sarebbero stati inizialmente a corto raggio in forma di migrazione parziale, da cui si sarebbero evoluti tutti i successivi comportamenti migratori. A causa delle potenzialità di variazione un ancoraggio evolutivo stabile dei tratti alla base della migrazione parziale non dovrebbe recare grossi svantaggi, mentre avrebbe il vantaggio di essere reversibile tramite una controselezione. Dunque, da tale modello è possibile lo sviluppo dell'intero ventaglio di stili migratori osservabili, inclusi quelli adottati dai migratori a lungo raggio.

Progressi nelle metodologie

Alle ormai classiche tecniche di inanellamento si sono affiancate tecnologie che utilizzano la rete satellitare per seguire le rotte di individui catturati e muniti di trasmittenti in grado di fornire informazioni anche su velocità, altezza di volo e parametri fisiologici dell'animale (temperatura, battito cardiaco). È dunque possibile ottenere informazioni on-line durante una lunga transvolata. La tecnologia GPS (Global Positioning System) consente infatti una precisa localizzazione della posizione.

Un recente studio ha utilizzato una metodologia innovativa per evidenziare un potenziale meccanismo alla base dell'evoluzione del comportamento migratorio. La specie oggetto della ricerca è stata ancora la capinera: una parte delle popolazioni mitteleuropee utilizza le rotte ancestrali dirette a Sud-Ovest, verso la penisola iberica, mentre una parte ha recentemente adottato nuove rotte in direzione Nord-Est, verso la Gran Bretagna. Nelle aree riproduttive le varie popolazioni coesistono e si mescolano. I ricercatori hanno misurato tracce di isotopi di idrogeno accumulatisi nelle unghie. Il rapporto deuterio/idrogeno varia geograficamente ed è inferiore nelle acque piovane inglesi rispetto a quelle spagnole. Una volta risaliti ai territori di svernamento, i ricercatori hanno scoperto che tutte le coppie erano formate da individui che avevano trascorso l'inverno negli stessi territori. Tale osservazione indica che la scelta del partner non è casuale rispetto alle rotte seguite da differenti individui e potrebbe dunque costituire un meccanismo di evoluzione rapida e divergente del comportamento migratorio.

Adattamenti fisiologici, energetici e cognitivi

Gli uccelli possono effettuare tragitti di oltre 10.000 km attraversando aree inospitali come oceani o deserti. Gli adattamenti più sofisticati si riscontrano tra i migratori a lungo raggio. Per es., adattamenti fisiologici e anatomici consentono di immagazzinare notevoli quantità di grasso - riserve di energia per le transvolate - precedentemente e durante la migrazione. L'ingrassamento premigratorio deriva da incrementi dell'attività alimentare (iperfagia), ma anche da modificazioni del regime alimentare e da un più efficiente sfruttamento di nutrienti. Alcune specie come il piovanello maggiore (Calidris canutus) e la pittima minore (Limosa lapponica) riescono quasi a raddoppiare il peso corporeo accumulando grasso. I migratori a lungo raggio accumulano più grasso rispetto a quelli a corto raggio e i maggiori incrementi si riscontrano in specie che attraversano barriere geografiche come oceani o deserti. Prima della migrazione autunnale i beccafichi (Sylvia borin) ingeriscono quantità di cibo anche doppie rispetto ad altri periodi dell'anno e passano da una dieta a base di insetti a una a base di frutti il cui procacciamento è meno dispendioso. L'efficienza di assorbimento dei nutrienti aumenta grazie a modificazioni dell'anatomia del tratto digerente. Nelle pittime reali (Limosa limosa) la massa stomacale aumenta del 30% all'inizio di un breve periodo di sosta durante la migrazione primaverile. Alla fine della sosta la massa si riduce di nuovo. Inoltre i muscoli del volo vanno incontro a una ipertrofia prima dei voli migratori. Nelle specie di grandi dimensioni adattamenti dello stile di volo consentono di utilizzare fonti di energia esterna come vento, correnti oceaniche e correnti termiche ascensionali. Aquile, avvoltoi e cicogne sfruttano le correnti termiche ascensionali come un pilota di un aliante: volano in circolo risalendone la sommità per poi planare nella direzione voluta in graduale discesa fino a trovare un'altra termica per riprendere quota. In tal modo possono percorrere fino a 15 km con un dispendio energetico minimo, dato che in planata perdono mediamente un metro di altezza ogni 10 metri percorsi. Strategie comportamentali si sono coevolute a sostegno del volo 'a motore spento'. Le cicogne in planata si dispongono in linea retta, così che aumenti la probabilità che un membro dello stormo si imbatta in una termica. Nelle specie che volano in formazione a 'V', alternando il volo planato a quello battuto, come oche e pellicani, è stato dimostrato che, rispetto al volo di un individuo solitario, il volo in formazione conferisce un vantaggio aerodinamico che permette ai membri dello stormo di ridurre il consumo energetico.

Benché gli uccelli si basino su un 'programma di rotta' innato, l'esperienza svolge un ruolo cruciale soprattutto per l'orientamento e la memoria topografica su piccola scala. Uno studio che ha utilizzato la tecnologia GPS per studiare le rotte di ritorno a casa (homing) nei colombi viaggiatori, ha mostrato come questi uccelli (in realtà non migratori, ma capaci di ritorno alla colombaia da luoghi sconosciuti) oltre all'utilizzo della bussola magnetica e alle mappe olfattive - meccanismi precedentemente dimostrati da numerosi esperimenti - presterebbero una sorprendente attenzione alla morfologia del paesaggio al punto di seguire il tracciato di infrastrutture come autostrade e ferrovie. Tale osservazione dimostra l'esistenza di una strategia di navigazione appresa e l'utilizzo di segnali topografici (mappa cognitiva). Un altro studio ha mostrato come la memoria di un particolare sito di alimentazione possa persistere per almeno dodici mesi in un migratore a lungo raggio (beccafico), mentre in una specie simile, ma non migratrice, come l'occhiocotto (Sylvia melanocephala) il ricordo svanisce nel giro di appena due settimane.

Controllo e organizzazione spazio-temporale

I migratori devono orientare i loro voli nello spazio e nel tempo organizzando con precisione le attività stagionali. I migratori a lungo raggio trascorrono ogni anno almeno sei mesi in viaggio e resta loro poco tempo per altre attività obbligatorie come la riproduzione. La precisione nei tempi di volo è cruciale: una partenza prematura potrebbe farli arrivare troppo presto nei territori di nidificazione, quando le condizioni sono sfavorevoli. Un ritardo nella partenza potrebbe determinare un arrivo ritardato con i territori già occupati da altri individui.

Nel 1925 l'ornitologo canadese W. Rowan scoprì che l'attività migratoria è regolata dal fotoperiodo. Un'aumentata lunghezza del giorno costituisce uno stimolo per la migrazione primaverile. Tuttavia egli suggerì anche l'esistenza di un meccanismo endogeno, un ritmo fisiologico. L'ipotesi dell'orologio interno è stata vagliata alla fine degli anni Sessanta sui luì grossi (Phylloscopus trochilus) dall'ornitologo tedesco E. Gwinner. Come molti migratori a lungo raggio, i luì grossi sono diurni, ma migrano di notte. La 'sindrome migratoria' si manifesta con uno stato di iperattività comportamentale (Zugunruhe, irrequietezza associata a iperfagia e accumulo di grasso) misurabile durante la notte tramite sensori installati nelle gabbie. Luì grossi tenuti in gabbia e nati nella precedente primavera furono esposti inizialmente alla variazione naturale del fotoperiodo nelle aree di nidificazione tedesche. Al momento della migrazione autunnale (settembre), furono trasferiti in camere sperimentali in cui il fotoperiodo era mantenuto a un regime di 12 ore; anche la temperatura e le condizioni alimentari erano a regime costante. Altri due gruppi di luì grossi furono utilizzati come controlli: uno rimase in Germania e continuò a essere esposto alle variazioni del fotoperiodo delle aree di nidificazione; l'altro fu trasportato in Zaire, area di svernamento di questa specie, ove fu esposto alle condizioni locali di fotoperiodo. Gli uccelli del gruppo sperimentale e quelli dei gruppi di controllo si comportarono in maniera simile terminando il periodo di irrequietezza migratoria nel momento atteso, a dicembre. In seguito, iniziarono a manifestare l'irrequietezza per la migrazione primaverile di febbraio nel momento della partenza dei loro conspecifici liberi. Dunque i fenomeni comportamentali che si osservano in questi migratori dipendono da fattori ritmici endogeni e sono in gran parte indipendenti da segnali provenienti dall'ambiente. Tali fattori controllano processi associati alla migrazione, come l'ingrassamento e l'iperfagia.

Il meccanismo alla base di queste funzioni endogene è un processo ritmico e persistente in condizioni costanti con un periodo di circa 12 mesi. Il periodo del ritmo è approssimativamente (circa) di un anno (annus); perciò tali ritmi sono detti circannuali, in analogia con i ritmi circadiani. Questa natura 'quasi' annuale della ritmicità esclude la possibilità di un'origine esogena e rappresenta un adattamento essenziale di processi vitali che si sono coevoluti con i cicli geofisici del pianeta. Anche il decorso temporale e la durata della migrazione sono controllati dal ritmo circannuale. Ancora più evidente è la relazione tra distanza migratoria e zugunruhe misurata in cattività; vi è dunque un programma temporale endogeno controllato da una ritmicità circannuale organizzata in maniera specie- o popolazione-specifica in modo da produrre irrequietezza migratoria a sufficienza per raggiungere le aree invernali specifiche. Tale meccanismo costituisce una parte essenziale del sistema di orientamento spaziale dei giovani uccelli che migrano nei loro territori invernali per la prima volta nella vita.

L'orientamento spaziale è basato sull'utilizzo di una serie di informazioni cosiddette bussolari, rappresentate principalmente dal sole e dalla luce polarizzata (bussola solare), dalla lettura della volta celeste (bussola stellare), dal campo magnetico terrestre (bussola magnetica), con una preminenza negli uccelli nell'utilizzare quest'ultimo tramite meccanismi innati. Un noto esperimento mostrò come gli storni (Sturnus vulgaris) nel loro primo anno di vita sono in grado di migrare solo verso una particolare direzione. Tuttavia, per arrivare nelle aree di svernamento specifiche ciò non è sufficiente, e bisogna anche viaggiare per una determinata distanza. Tale ipotesi propone che questa distanza sia determinata da un programma temporale circannuale che - specificando un certo numero di ore migratorie - stabilisce la lunghezza di un vettore che corrisponde alla distanza migratoria.

Migrazioni e cambiamenti climatici

L'incremento delle temperature (global warming) sta producendo un anticipo nei cicli riproduttivi vegetali e animali. Studi retrospettivi hanno mostrato come l'orologio temporale della migrazione degli uccelli stia subendo modificazioni dovute ai cambiamenti climatici. Gli uccelli migratori risultano particolarmente esposti, e ciò è vero in particolare per quelle specie che trascorrono differenti parti del ciclo annuale in differenti parti del globo, dato che non possono ottenere informazioni sulle variazioni in corso nei quartieri di riproduzione e dunque sul momento ottimale di partenza dai quartieri di svernamento. Deviazioni nei cicli annuali degli insetti sono state più rapide dei rispettivi mutamenti nella fenologia migratoria della balia nera (Ficedula hypoleuca), risultando in una riproduzione sfalsata temporalmente rispetto al picco ottimale di risorse alimentari.

Per un migratore a lungo raggio la precisione temporale negli eventi di partenza e di arrivo costituisce un fattore cruciale per il successo riproduttivo. Dunque tali specie sarebbero limitate dai loro ritmi endogeni a rispondere in tempi rapidi e al tempo stesso in maniera adattativa ai mutamenti climatici in atto. Nel Regno Unito uno studio effettuato su 20 specie ha evidenziato come in 17 di esse l'arrivo nei territori di nidificazione ha subito un anticipo a partire dagli anni Settanta del 20° sec. in risposta agli aumenti di temperatura nei loro quartieri invernali africani. Anche le date di partenza hanno subito un anticipo in risposta all'aumento delle temperature minime estive. Nel complesso il periodo di permanenza nel Regno Unito non è cambiato, ma ha subito un anticipo di 8 giorni.

È presto per trarre conclusioni su eventuali effetti negativi dei cambiamenti climatici. Risposte rapide potrebbero anche riflettere insospettate capacità adattative. Intense attività di ricerca sono in corso con lo scopo di manipolare le variabili di interesse legate al controllo temporale della migrazione e studiare le risposte individuali fisiologiche e comportamentali con esperimenti condotti su uccelli mantenuti in aviari climatizzati.

bibliografia

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