MILZIADE

Enciclopedia Italiana (1934)

MILZIADE (Μιλτιάδης, Miltiades)

Gaetano De Sanctis.

Uomo politico e generale appartenente alla nobile gente ateniese dei Filaidi, nacque intorno al 540 a. C. Si trovava in Atene in buone relazioni coi Pisistratidi, quando, morto il fratello Stesagora, che dominava nel Chersoneso Tracio, dov'era succeduto al fondatore di quel principato ateniese, lo zio Milziade I, fratello uterino di Cimone Coalemo, fu inviato dai Pisistratidi con una trireme a prenderne il posto. La data è incerta. Sappiamo solo che fu posteriore non di molto alla morte di Pisistrato (527-26) e a quella di Cimone, e che questi vinse ancora nei giuochi olimpici del 524. M. cominciò la sua signoria imprigionando tutti i signorotti del Chersoneso che erano venuti da lui per condolersi della morte del fratello, e dandosi una guardia di cinquecento mercenarî. Probabilmente poco prima della spedizione scitica di Dario egli fece, come altri dinasti greci di quella regione e in particolare quello di Bisanzio, la sua sottomissione ai Persiani. Durante la spedizione scitica si narra ch'egli consigliasse ai suoi colleghi di rompere il ponte di navi, con cui Dario aveva allacciato le sponde del Danubio, e che il consiglio fosse respinto per l'opposizione di Istieo, tiranno di Mileto. Ma questa è probabilmente invenzione posteriore. Comunque, sappiamo da Erodoto che M. fuggì dal Chersoneso per la minaccia d'un'incursione scitica e che vi tornò più tardi, ricondotto dagl'indigeni Dolonici. La notizia in questi termini è sospetta, perché le incursioni scitiche difficilmente potevano mettere in pericolo le città fortificate della penisola. M. forse per la sua potenza divenne sospetto ai Persiani, come Istieo, o forse i Persiani lo costrinsero a liberare i tirannelli delle piccole città, e questi gli si ribellarono. Tornò probabilmente col favore dell'insurrezione ionica contro la Persia, e forse allora occupò Lemno e Imbro, che, popolate da barbari cui i Greci davano nome di Tirreni, erano state da Dario, dopo la spedizione scitica, incorporate al suo impero. Egli cacciò i barbari e popolò le due isole di coloni ateniesi. Questi coloni erano iscritti nelle tribù e nei demi dell'ordinamento clistenico, e ciò sembra dimostrare che la colonizzazione è posteriore alle riforme di Clistene, e non può quindi riferirsi che agli anni dell'insurrezione ionica. Dopo la sconfitta degli Ionî nella battaglia di Lade (494), l'appressarsi della flotta fenicia costrinse M. alla fuga. Egli abbandonò il Chersoneso, imbarcandosi con la famiglia e i tesori su 5 triremi; una di esse col figlio di primo letto, Metioco, cadde in mano dei barbari. Con le altre quattro M. si rifugiò in Atene, dove i partigiani degli Alcmeonidi, che allora dominavano e temevano in lui un rivale, lo trassero in giudizio dinnanzi al popolo sotto l'accusa di tirannide. L'accusa si riferiva alla sua condotta nel Chersoneso ed era destituita d'ogni fondamento giuridico. D'altronde la potenza degli Alcmeonidi declinava. A essi s'imputavano giustamente il mancato soccorso agli Ionî e i cattivi successi della guerra contro Egina. Forse con questo declinare della potenza degli Alcmeonidi si collega la tregua con Egina e l'adesione di Atene alla lega peloponnesiaca: vi si collega anche la nomina di M. a stratego per l'anno attico 490-89, dovuta alla fiducia che si aveva nella sua sagacia e nel suo valore, quando si seppe dei preparativi della Persia per una spedizione punitiva contro Eretria e Atene. La spedizione, grazie a M. e agli opliti ateniesi, terminò con la totale rotta degl'invasori a Maratona (v.). Vinto, ma non disanimato, il comandante persiano Dati, imbarcato l'esercito e preso il largo con la flotta, doppiò il capo Sunio e navigò verso il Falero nella speranza di sorprendere Atene impreparata e indifesa. M. peraltro, presago del pericolo, immediatamente dopo la vittoria, aveva ricondotto i suoi opliti con una marcia forzata presso la città. Sicché, mancata la sorpresa, a Dati non rimase che riprendere la via dell'Asia. M. volle profittare della vittoria per cacciare i Persiani dalle Cicladi, e, come aveva ottenuto dal popolo il famoso decreto per affrontare il nemico a Maratona, così ottenne d'essere messo a capo d'una spedizione navale. Ma la spedizione non sortì buon esito: le forze navali degli Ateniesi erano scarse, l'arte degli assedî allora assai imperfetta; Paro, ch'egli aveva cercato d'occupare per sorpresa o per tradimento, resistette, ed egli, disperando di prenderla a forza, scarseggiando di mezzi ed essendo anche rimasto ferito, tornò senza aver ottenuto alcun successo. Di qui uno scoppio d'ira popolare contro di lui. Un partigiano degli Alcmeonidi, Santippo, il padre di Pericle, lo stesso che lo aveva accusato di tirannide, lo accusò ora d'avere ingannato il popolo. M. fu condannato a un'ammenda di 50 talenti e morì poco dopo di cancrena senza averla potuta pagare. Lasciò, oltre il figlio Metioco, che era prigioniero in Persia, una figlia dello stesso letto Elpinice, e un altro figlio Cimone, natogli da una principessa tracia Egesipile, figlia di Oloro.

La tradizione su M. è troppo scarsa e in parte alterata perché possiamo formarci della sua personalità un concetto così preciso e sicuro, come di quelle di Temistocle o di Pericle. Fu certo politico e stratego geniale e audace; collaborò come pochi alla grandezza di Atene. Le notizie sui motivi piccini della sua ultima campagna sono probabilmente fallaci. Ma certo egli non è degli uomini politici la cui vita s'inserisce interamente in quella della loro polis, come appunto Cimone o Pericle; e per questo lato, più che a essi è da raccostare ai suoi grandi contemporanei ionici, come Istieo o Aristagora.

Bibl.: Oltre le storie generali si veda soprattutto l'articolo di E. Obst, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, col. 1681 segg., ove tutti i materiali antichi e le congetture moderne sono accuratamente discussi e vagliati; v. anche maratona.