MISERONI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MISERONI

Micaela Mander

– Le notizie d’archivio per la famiglia milanese dei Miseroni risalgono fino al XV secolo, quando si trova traccia, nel 1453, di Giovanni Francesco (Venturelli, 2000) o Francesco, figlio di Gasparo, citato nel 1460 quale membro della corporazione degli orefici, di cui venne nominato consul nel 1468 e nel 1475, e abbas nel 1480 e ancora nel 1488 (Distelberger, 1999). Giovanni Francesco risulta residente nella zona di Porta Comasina, nella parrocchia di S. Michele al Gallo, ancora nel 1497, e sembra essere morto prima del 1503 (ibid.).

Suo figlio Ambrogio Matteo fu a sua volta caneparius della corporazione nel 1500 e nel 1507, e morì nel 1525, dopo essere stato censito l’anno precedente per 1500 ducati (Venturelli, 1996). Ambrogio Matteo aveva sposato Lucia Longhi de Leucho, anch’ella appartenente a una conosciuta famiglia di orefici.

Con lei ebbe diversi figli: il primogenito risulta essere Francesco (circa 1507 - 1526); seguirono Gasparo (nato nel 1518 circa), Giovanni Antonio (circa 1520 - 1532) e Girolamo o Gerolamo (nato nel 1522 circa; Distelberger, 1999). Oltre a questi figurano le quattro figlie Francesca Mattea, Bianca Girolama, Orsina e Giulia (Venturelli, 1996); i documenti relativi alle loro doti mostrano che i M. furono una famiglia piuttosto agiata.

Riguardo alla formazione dei due artefici più noti di questa generazione, Gasparo e Girolamo, la notizia riportata da Morigia relativa a un loro alunnato presso Iacopo da Trezzo (Iacopo Nizzola) e Benedetto Polignino non può essere considerata veritiera, dal momento che Iacopo, nato nel 1514, stava svolgendo l’alunnato di 8 anni previsto dal regolamento della corporazione, quando Gasparo iniziò a praticare. Distelberger (1999) ipotizza pertanto che i due fratelli fossero a bottega dai parenti della madre, e forse sarebbero stati solo garzoni presso Iacopo da Trezzo, ma non vi sono documenti in merito, così come, allo stato attuale degli studi, risulta sconosciuto Polignino. In ogni caso, entrambi dovettero ricevere una formazione sia come orafi sia come intagliatori di pietra: in particolare, Bonetti cita un contratto del 1541 in cui Gasparo sembra esercitare la professione di orafo, mentre il fratello Girolamo, in un contratto del 1543, è detto lavoratore di cristalli. Gasparo e Girolamo abitavano al medesimo indirizzo; da ciò Distelberger deduce che la madre Lucia non dovette chiudere la bottega della famiglia M. negli anni intercorsi tra la morte di Ambrogio Matteo e la prima attività dei suoi figli, che ne presero appunto insieme le redini. Successivamente i fratelli risultano residenti in una nuova casa nella parrocchia di S. Tommaso in Terra Amara, a Porta Comasina, a partire dal 1567, ma non sappiamo quando vi traslocarono (Distelberger, 1999). Questo è, peraltro, l’indirizzo in cui risiederanno pure i M. della successiva generazione. La loro bottega dovette impiegare altri lavoranti e collaboratori, oltre ai membri della famiglia: il 19 luglio 1541 Gasparo firmò per esempio un contratto con Camillo Vignoni per averlo quale garzone in bottega, con mansioni di gioielliere.

Venendo alle opere del maggiore dei due fratelli, occorre precisare innanzitutto come esistano alcuni documenti, datati tra il 1542 e il 1546, rogitati nella Tesoreria segreta del papa, che citano i gioielli di un certo Gasparo, ma Distelberger (1999) pone in dubbio il possibile collegamento con Gasparo Miseroni (collegamento indubitabile invece per Venturelli), citato con nome e cognome solo nel 1557, per la ricevuta relativa a una tazza in cristallo di rocca, pagata dalla Tesoreria pontificia 150 scudi d’oro. Esistono invece diverse fatture relative al lavoro di Gasparo per la corte fiorentina dei Medici, datate tra il 1552 e il 1573, in cui l’artista viene denominato orefice, gioielliere e intagliatore di pietre (Fock, 1976). Del 1557, per esempio, è la ricevuta di pagamento per il Vaso grande di eliotropio (Firenze, Museo degli argenti), per la somma di 300 scudi d’oro. Committente di Gasparo fu la duchessa Eleonora di Toledo, che tra il 1552 e il 1562 acquistò da lui molti vasi di cristallo e gioielli (ibid.), fino a commissionargli nel 1562 un cammeo in agata orientale con il ritratto di Filippo II di Spagna e dei suoi figli, per il quale esiste la ricevuta di pagamento datata 17 ott. 1562 (Venturelli, Carlo e Federico …, 2005). Nel 1560 e nel 1564 l’artista si recò personalmente a Firenze, per consegnare al duca Cosimo I de’ Medici due oggetti di cristallo (Bonetti). Alcune coppe identificate come sue sono conservate a Firenze (Museo degli argenti), oltre al vaso già citato, di cui esiste un altro esemplare simile in lapislazzuli, eseguito per Caterina de’ Medici (ora a Firenze, Museo di storia naturale - Mineralogia e litologia). Quest’ultima gli commissionò pure un calice di cristallo che presenta un coperchio con le iniziali di Enrico II di Francia e di Diana de Poitiers, calice che venne per lei riadattato. Pezzi simili furono ordinati a Gasparo dall’imperatore Massimiliano II d’Asburgo negli anni Sessanta e Settanta (Fock, 1976), e si trovano ora a Vienna (Kunsthistorisches Museum). Distelberger (2003) sottolinea come invenzione specifica di Gasparo fosse proprio la coppa a forma di conchiglia con una decorazione plastica zoomorfa.

Il 10 dic. 1552 Gasparo si era fidanzato, per sposarsi presumibilmente l’anno seguente, con Aurelia Borsani, figlia di Giovanni Giacomo e di Margherita Busti, della parrocchia di S. Nazaro in Brolo a Porta Romana. Anche quella dei Borsani era un’antica famiglia di gioiellieri milanesi (Distelberger, 1999).

Un documento datato 18 genn. 1572 riporta per l’ultima volta notizie di Gasparo, che risulta deceduto in un atto del 14 dic. 1573. Nello stesso documento, compare per la prima volta il nome di Giovanni Ambrogio, figlio di Girolamo. Gasparo dovette morire, secondo le ipotesi di Distelberger (1999), non a Milano, ma a Firenze dove è infatti citato come non più in vita in un’altra ricevuta registrata dal fratello Girolamo il 24 apr. 1573. Non si conoscono discendenti di Gasparo.

Girolamo si specializzò nell’intaglio del cristallo di rocca; anch’egli mise sotto contratto, nel 1546 e per la durata di un anno, Vignoni. Si sposò nel 1549 con Prudenzia Rossi, figlia di Giovanni Domenico e Caterina Solari, della parrocchia di S. Stefano in Brolo presso Porta Romana, appartenente a un’altra famiglia di orafi e intagliatori di pietre dure, se è vero che Giovanni Domenico è da legare a Giacomo Antonio de Rossi. Successivamente, sposò in seconde nozze Isabella Borsani, presumibilmente una parente di Aurelia, moglie di Gasparo (Distelberger, 1999).

Il catalogo di Girolamo è ancora da ricostruire, dal momento che non si riescono a collegare opere e documenti, ma le commissioni ricevute attestano l’alto livello che l’artista dovette raggiungere. Per esempio, nel 1550 Girolamo consegnò al monastero di S. Maria «ordinis montis Oliveti» a Roma un vaso di cristallo di rocca, per la somma di 800 scudi d’oro. L’incarico era stato svolto da Girolamo insieme con il nonno Bernardo Longhi de Leucho e con il fratello di lui Andrea; quest’ultimo morì nel frattempo, e la sua parte di onorario venne incassata dai tre figli Lodovico, Francesco e Paolo (ibidem).

I documenti su Girolamo tacciono poi fino al 1584, anno in cui si recò in Spagna con Iacopo da Trezzo, per lavorare alla «custodia» di S. Lorenzo all’Escorial, e il legame tra i due è documentato nuovamente nel 1588 (Bonetti); in ogni caso il 2 maggio 1584 (ibid.) Girolamo risulta essere a Milano.

Ebbe numerosi figli, come la registrazione tra gli Stati delle anime del 1586, pubblicata da Distelberger (1999), mostra: in questo documento vengono citati innanzitutto Giovanni Ambrogio di anni 34, sposato con Ippolita Vighi, e gli altri figli Giovanni Antonio di anni 30, Pomponio di 25, Giulio di 24, Aurelio di 20, Orazio di 19, Ottavio di 17, Vittoria di 15, Cesare di 14, Alessandro di 13, Laura di 12, Aurelia di 10, Giulia di 9, Elena di 7, oltre a due nipoti, figli di Giovanni Ambrogio: Annibale e Gasparo, rispettivamente di 2 e 1 anno. Nello stato delle anime del 1591, reso noto da Distelberger quale termine di confronto, non compaiono più i nomi di Giovanni Antonio, Giulio, Aurelio, Orazio, Ottavio, Vittoria, mentre i nipoti (da parte di Giovanni Ambrogio) sono molti di più: figurano infatti Giovanni Antonio, Christiano, Bianca e Giovanni Battista.

Girolamo morì il 1° genn. 1600. Di lui si ricorda un ritratto: una medaglia coniata da Andrea Cambi detto il Bombarda tra il 1560 e il 1570 (Distelberger, 1983).

Giovanni Ambrogio, nato attorno al 1551-52, viene riconosciuto nei documenti come il nuovo «capo della casa». A partire dal 1573-74, il duca di Mantova Guglielmo Gonzaga contattò tra gli altri anche i M. per ingenti acquisti di cristalli; in particolare, il nome di Giovanni Ambrogio è legato nei documenti alla realizzazione di un medaglione in pietre dure con il ritratto di Vincenzo I, il cui modello in cera risulta essere pronto il 20 luglio 1582 (Venturelli, Le collezioni Gonzaga …, 2005).

È presumibilmente lui l’Ambrogio figlio di Girolamo a cui si riferisce Morigia quando racconta che, specializzato nella lavorazione in cavo delle gemme, avrebbe intagliato nel 1589 un rubino «grande quanto un’unghia», inviato in dono tramite il conte Claudio Trivulzio a Rodolfo II d’Asburgo a Praga, con la raffigurazione dell’aquila imperiale con al petto uno scudo con gli Stati governati dall’imperatore e l’insegna del Toson d’oro (Id., 2000). Nel 1597 un’analoga richiesta gli pervenne da Mantova: doveva infatti intagliare uno smeraldo, ma in questo caso Giovanni Ambrogio non riuscì a portare a termine la commissione perché la pietra assegnatagli era già stata iniziata da altri, e non più idonea allo scopo (Id., Le collezioni Gonzaga …, 2005).

Giovanni Ambrogio dovette viaggiare spesso tra Milano e Praga dal momento che è rintracciabile, oltre che in patria, pure nella città boema negli anni compresi tra il 1598 e il 1612. Nel 1608 gli venne conferito il titolo nobiliare insieme con i fratelli Ottavio, Aurelio, Alessandro, dall’imperatore Rodolfo II, per aver lavorato per la corte oltre 20 anni.

Morì a Milano il 4 genn. 1616.

Giulio, specializzato nella lavorazione dei cristalli e dei gioielli, partì in veste di intagliatore di pietre nel 1582 alla volta della Spagna, ma Distelberger (1999) nota come non vi dovette rimanere a lungo, se vi venne nuovamente richiamato nel 1585 da Iacopo da Trezzo, e se già nel 1586 risulta citato nello stato delle anime. Morì a Milano il 24 ag. 1594. Aurelio dovette recarsi, secondo Distelberger (1999), a Praga con Ottavio, dove secondo lo studioso non necessariamente si fece monaco come riportato da alcune fonti precedenti, se risulta infatti residente a Milano nel 1610, in una seconda casa di proprietà dei M., insieme con la madre Isabella. Morì nel 1613. Cesare rimase, come Pomponio, nella casa paterna, dove lavorò come intagliatore di pietre e morì il 17 dic. 1599. Anche Alessandro viene citato nei documenti quali intagliatore di pietre, e seguì a Praga Ottavio. In una lettera imperiale del 1600 viene detto intagliatore di gemme. Dimorò nella casa del fratello fino alla morte, avvenuta nel 1648.

Il più importante e dotato artista di questa generazione, accanto a Giovanni Ambrogio, fu senz’altro Ottavio, che venne ingaggiato il 22 genn. 1588 come intagliatore di gemme dall’imperatore Rodolfo II. Egli era nato attorno al 1567, e perciò doveva essere molto giovane quando ricevette l’incarico: questo spiega i forti legami che tenne con la bottega paterna. Nel 1590 si sposò a Praga con Laura di Castello, figlia del cappellaio di corte Ferrante Castello, anch’egli originario di Milano, ed ebbe con lei nove figli. Ottavio fu inizialmente attivo come intagliatore di vasi, ispirati allo stile di Gasparo, ma dalle linee molto più morbide e sinuose: si vedano per esempio il calice in giada a forma di conchiglia (Stoccarda, Württembergiches Landesmuseum) e il calice in nefrite con mascherone (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Raggiunse la maturità con la grande coppa in pietre dure creata nel 1608 per la celebrazione del ventesimo anno di lavoro al servizio dell’imperatore, che aveva comportato, come detto, la sua elevazione al titolo nobiliare (Parigi, Louvre; Bonetti). Per le montature in oro dei suoi vasi, Ottavio si avvalse spesso della collaborazione dell’orafo fiammingo Hans Vermeyen: si veda per esempio il calice in calcedonio traslucido del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Ottavio intagliò anche cammei: a lui viene con certezza attribuito il cammeo con il ritratto dell’imperatore databile attorno al 1590 (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Inoltre, fu l’inventore del mosaico a rilievo in commesso, alla maniera di un cammeo (Venturelli, 2000): si vedano gli esemplari conservati a Vienna (Kunsthistorisches Museum), tra i quali la Maria Maddalena del 1602-05, o la Madonna con Bambino dell’altarolo in pietre dure, databile attorno al 1620. Dopo la morte di Rodolfo II, nel 1612, le opere di Ottavio tendono a farsi più statiche, estremamente raffinate nella lucidatura.

Morì a Praga il 6 luglio 1624.

Ereditò la bottega suo figlio Dionisio (o Dionysio), che lo aveva già affiancato ufficialmente l’anno precedente. Autore di opere di grande impatto visivo, quali per esempio la cosiddetta Piramide (Vienna, Kunsthistorisches Museum), un vaso in cristallo di rocca risalente agli anni Cinquanta del Seicento, la sua fama crebbe nel 1642 quando intagliò uno smeraldo colombiano di notevoli dimensioni.

A Praga, città dove possedeva due case nel quartiere di Malá Strana, commissionò nel 1653 al pittore boemo Karel Šcréta un ritratto della propria famiglia (Praga, Galleria nazionale, La famiglia dell’intagliatore di pietre imperiale Dionisio Miseroni).

Il suo successo a corte iniziò a declinare, però, con l’ascesa al trono, nel 1657, dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo (Distelberger, 2008). Dionisio morì a Praga il 29 giugno 1661 (Urban).

L’attività passò al figlio Ferdinando Eusebio, le cui capacità non eguagliarono quelle paterne, e con cui si chiuse, alla morte avvenuta il 17 luglio 1684, la bottega dei M. a Praga (ibid.).

Tornando a Milano, ritroviamo la famiglia, destinata a minor fortuna, di Giovanni Ambrogio.

Annibale morì il 21 marzo 1595; dell’attività di Gasparo non si sa nulla, egli viene solo citato in un atto del 1632 che lo dice domiciliato nella parrocchia di S. Maria Pedone presso porta Vercellina; si era nel frattempo sposato (1610), e aveva avuto un figlio di nome Girolamo, morto il 20 ag. 1620. Giovanni Antonio e Christiano nel 1610 non risultano più nella casa paterna. Giovanni Battista morì il 20 genn. 1607 (Distelberger, 1999). Un altro figlio avuto successivamente, Agostino, risulta avere circa 17 anni nel 1610; egli rimase presso la casa paterna, ma non si nulla di lui. Un altro figlio ancora, Girolamo, morì il 21 marzo 1602 all’età di 6 anni.

Pertanto, alla morte di Giovanni Ambrogio, avvenuta nel 1616, la bottega venne presumibilmente mandata avanti dai due fratelli Gasparo e Agostino, anche se non si sa che tipo di lavoro svolsero effettivamente e per quanto tempo.

Nel 1586 i M. risultano possedere tre case nella parrocchia di S. Tommaso, ma, in seguito alla terribile peste del 1630, nel 1633 non risulta più alcun membro della famiglia in questa parrocchia.

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