Misure cautelari reali [dir. proc. pen.] 2. Sequestro conservativo

Diritto on line (2015)

Francesco Vergine

Abstract

Viene analizzato l’istituto del sequestro conservativo passando attraverso l’esame dei presupposti, della struttura sino alla estinzione della misura con riferimenti di carattere procedurale.

I presupposti e gli effetti del sequestro conservativo

Il sequestro conservativo è stato trasformato, nel passaggio dal vecchio al nuovo codice, da garanzia patrimoniale di esecuzione in provvedimento cautelare reale. La sua primaria finalità è quella di inibire la disponibilità del patrimonio all’imputato e al responsabile civile al fine di consentire il ristoro delle conseguenze patrimoniali di un reato alle persone danneggiate e allo Stato.

Un legislatore silente ha, di fatto, delegato all'elaborazione pretoria l'individuazione dei presupposti che giustificano l’apposizione del sequestro conservativo. Lo sforzo ermeneutico di matrice giurisprudenziale ha, dunque, individuato due presupposti: il fumus boni iuris ed il periculum in mora. Contrariamente ai margini operativi delle misure cautelari personali, per quelle reali non è necessario che sussistano né le condizioni generali di applicabilità né le esigenze cautelari di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p. In tal senso si esprime la giurisprudenza prevalente nel massimo Consesso che ha specificato, altresì, che l’ordinanza applicativa della misura cautelare reale non deve motivare gli indizi di colpevolezza perché, essendo essa applicabile una volta che è già stata formulata l’imputazione, si attenua l’esigenza di una valutazione giurisdizionale degli indizi (così in Cass. pen., S.U., 23.3.1993, Gifuni, in Cass. pen.,1993, 1969 ma anche, più di recente, Cass. pen., sez. III, 16.6.2005, Libiati, in CED Cass., n. 232305). In relazione al fumus boni iuris, la dottrina (in particolare Cordero, F., Procedura penale, Milano, 2006,555) ha osservato che – stando al tenore letterale della norma, ove si prevede che il sequestro conservativo possa essere applicato in ogni stato e grado del processo – esso, in relazione ai danni subiti dalla parte civile, andrebbe diagnosticato come probabile danno mentre, in relazione ai crediti dello Stato, emergerebbe dall’imputazione (Bellantoni, G., Sequestro probatorio e processo penale, Piacenza, 2005, 21; Montagna, M., I sequestri nel sistema delle cautele penali, Padova, 2005, 59). Questa tesi è confortata dalla giurisprudenza secondo la quale non deve essere fatto alcun riferimento agli indizi di colpevolezza nell’applicazione del sequestro in questione. Purtuttavia, si riscontra l’esistenza di altro filone interpretativo, sempre di matrice giurisprudenziale (Cass. pen., sez. IV, 17.5.1994, Corti, in Cass. pen., 1995, 3457) secondo il quale l’elevazione di una imputazione a carico di un soggetto non è sufficiente per ritenere sussistente il fumus. Occorrerebbe, difatti, provvedere ad un accertamento giudiziale in concreto, considerando tutti gli elementi acquisiti al momento dell’applicazione della misura. In caso contrario, sostanzialmente si rimetterebbe il potere di apporre il sequestro al pubblico ministero, titolare dell’esercizio dell’azione penale (Gualtieri, P., Sequestro conservativo, in Spangher, G., Trattato di procedura penale, II, Torino, 2008, 349). Con riferimento alla ricorrenza del periculum in mora, invece, occorre riscontrare l’esistenza di un elemento oggettivo e di uno soggettivo (Pansini, C., sub Art. 316 c.p.p., in Giarda, A.-Spangher, G., Codice di procedura penale commentato, II, Milano, 2010, 3815; Cassano, M., sub Art. 316, in Gaito, A., Codice di procedura penale commentato, Torino, 2012, 2016). Il primo si sostanzierebbe nell’insieme di tutte quelle condizioni che possono concorrere al prodursi dell’evento pericoloso, mentre l’elemento soggettivo si concretizzerebbe nel giudizio che rapporta tali condizioni all’evento temuto, stabilendo se vi sia una rilevante possibilità di verificazione (Dinacci, U., Il sequestro conservativo nel nuovo processo penale, Padova, 1990, 46). È, dunque, necessario procedere ad una valutazione concreta in relazione al pericolo che si disperdano le garanzie patrimoniali dell’imputato o del responsabile civile per le obbligazioni nascenti da reato. Come ha altresì chiarito la giurisprudenza, poi, il giudizio deve risolversi in una prognosi ragionevole e motivata desumibile da differenti elementi: da un lato l’entità del credito, dall’altro la natura del bene che si intende sottoporre a sequestro. Non solo. Occorre, difatti, considerare anche ulteriori elementi concreti ed univoci, quali la consistenza del patrimonio dell’obbligato, la sua capacità reddituale e la sua condotta processuale ovverosia extraprocessuale. Occorre, in breve, considerare tutto ciò che è sintomo di un possibile depauperamento del patrimonio ovvero dell’eventuale intenzione dell’obbligato di sottrarsi al dovere di adempiere (cfr. Cass. pen., sez. V, 8.5.2009, in CED Cass., n. 244201; Cass. pen., sez. II, 23.1.1998, Airaldi, in Cass. pen., 1999, 243). Esistono due modalità attraverso cui si può manifestare il periculum. Da un lato può esserci mancanza di idonee garanzie patrimoniali ovverosia insufficienza o inadeguatezza delle stesse, dall’altro, invece, può verificarsi la dispersione dei beni del debitore o del responsabile civile (Galantini, N., Sequestro conservativo penale, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 137); l’accertamento scaturisce dal confronto tra l’entità del patrimonio e l’insieme delle ragioni creditorie gravanti sul medesimo (Montagna, M., Sequestro conservativo penale, in Dig. pen., XIII, Torino, 1997, 220). Verificata la ricorrenza dei due presupposti, occorrerà accertare che i beni sui quali si chiede l’apposizione del sequestro siano pignorabili, dal momento che al sequestro subentrerà il pignoramento in fase di esecuzione post condanna. Tra i presupposti, tuttavia, non si annovera l’indicazione delle somme da garantire. È la suprema Corte, nella sua massima composizione (cfr. Cass. pen., S.U., 26.6.2002, Di Donato, in Dir. giust., 2002, fasc. 43, 72) a stabilire che, affinché il provvedimento che dispone il sequestro conservativo sia valido, non è necessario che sia specificata la somma che deve essere garantita dalla misura cautelare perché la determinazione del suo ammontare, sia ai fini dell’eventuale prestazione di idonea cauzione, sia per evitare il perdurare ingiustificato del vincolo, può essere effettuata successivamente dal giudice. Non è, pertanto, configurabile alcuna nullità per la mancata indicazione, nell’ordinanza impositiva del sequestro conservativo, della somma a garanzia della quale la misura risulta disposta. Si era ritenuto, invece, che la somma dovesse essere anche solo approssimativamente indicata (così in Cass. pen., sez. V., 18.8.1998, in Cass. pen., 2000, 452) al fine di consentire non soltanto la possibilità di offrire in cauzione una somma di denaro, ma anche al fine di evitare di sottoporre a vincolo una quantità di beni aventi un valore maggiore ovverosia minore rispetto al danno cagionato dalla condotta illecita del soggetto agente (cfr. Cass. pen., sez. II, 16.10.1997, Sannino, in Arch. nuova proc. pen., 1998, 690). Gli effetti che derivano dall’apposizione del vincolo cautelare sui beni dell’imputato o del responsabile civile si snodano attraverso due direttrici: da una parte, esso cagiona la privazione della disponibilità giuridica e materiale della res avvinta dalla misura e, dall’altra, si costituisce un privilegio, come disposto dal co. 4 dell’art. 316 c.p.p., sui crediti tutelati rispetto ad ogni altro credito non privilegiato sia di data anteriore sia di data posteriore, con salvezza dei privilegi stabiliti a garanzia del pagamenti dei tributi. L’indisponibilità della res – che viene, per così dire, custodita a garanzia del credito – prima ancora che materiale è giuridica. Viene, difatti, imposto un congelamento che impedisce al proprietario dei beni di disporre di essi, evitando il depauperamento del patrimonio. La necessità di assicurarne l'intangibilità appare talmente fondamentale per la concreta operatività del sequestro, da aver indotto il legislatore ad apprestare idonei istituti normativi di deterrenza: la soppressione, la distruzione, la dispersione o il deterioramento delle cose avvinte dal vincolo cautelare produrrà, infatti, la consumazione del delitto di cui all’art. 334 c.p. Gli strumenti di tutela, però, sono anche di tipo civilistico. È, difatti, prevista dall’art. 2913 c.c. l’inefficacia nei confronti del creditore sequestrante delle alienazioni, fatto salvo il possesso in buona fede, rispetto ai beni mobili non iscritti in pubblici registri e che comportano un depauperamento del patrimonio. Si tratta, però, di atti che mantengono la loro efficacia inter partes e rispetto a terzi che non possono subire pregiudizio (Dinacci, U., Il sequestro conservativo, cit.,136). L’art. 192 c.p., poi, prevede l’inefficacia degli atti a titolo gratuito compiuti dopo il reato ed ancora l’art. 193 c.p. considera commessi in frode ai creditori «gli atti a titolo oneroso oltre una semplice amministrazione o l’ordinario commercio, revocabili in quanto consti la mala fede del partner» (Cordero, F., op. cit., 564).

Oggetto e soggetti del sequestro conservativo

Discostandosi dalle previsioni del codice precedente, il legislatore del 1988 ha previsto che l’apponibilità del vincolo conservativo possa concernere i beni mobili ed immobili appartenenti al potenziale obbligato (imputato o responsabile civile), nonché le somme o le cose a lui dovute. La giurisprudenza, pur se indirettamente, ha ammesso la possibilità di sottoporre a sequestro anche il peculio del detenuto depositato nelle casse della casa circondariale (cfr. Cass. pen., sez. III, 7.11.1990, Lo Bianco, in Foro it.,1991, II, 140). Il sequestro, tuttavia, è consentito purché avvinca somme o cose dovute all’obbligato nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento (art. 514 ss. c.p.c.); e ciò, perché il sequestro si convertirà, in fase esecutiva, in pignoramento. In virtù di tanto, il sequestro incontra il limite qualitativo dei beni mobili cc.dd. assolutamente impignorabili (ex art. 514 c.p.c. a norma del quale oltre a quanto previsto da speciali disposizioni di legge non si possono pignorare le cose sacre e quelle che servono all’esercizio del culto, l’anello nuziale, i vestiti, la biancheria, i letti, i tavoli per la consumazione dei pasti con le relative sedie, gli armadi guardaroba, i cassettoni, il frigorifero, le stufe ed i fornelli di cucina, la lavatrice, gli utensili di casa e di cucina unitamente ad un mobile idoneo a contenerli, perché indispensabili al debitore ed alle persone della sua famiglia con lui conviventi; i commestibili e i combustibili necessari per un mese al mantenimento del debitore e ai suoi familiari; gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, dell’arte o del mestiere del debitore, le armi e gli oggetti che il debitore ha l’obbligo di conservare per l’adempimento di un pubblico servizio; le decorazioni al valore, le lettere, i registri e in generale gli scritti di famiglia, nonché i manoscritti, salvo che formino parte di una collezione) mentre per quanto concerne i beni mobili relativamente impignorabili – compresi anche i beni mobili registrati (cfr. artt. 515 e 545 c.p.c.) – il sequestro conservativo potrà essere apposto alle condizioni previste dal codice di procedura civile (cfr. Galantini, N., sub Art. 316 c.p.p., in Amodio, E.-Dominioni, O., Commentario del nuovo codice di procedura penale, III, 2, Milano, 1990, 252 ma si veda anche Selvaggi, E., sub Art. 316 c.p.p., in Chiavario, M., Commento al nuovo codice di procedura penale, III, Torino, 1988, 342). Altresì non sequestrabili perché impignorabili sono quei beni facenti parte del fondo patrimoniale per un debito contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia (Cass. pen., sez. V, 1.10.2003, Orlando, in Cass. pen., 2005, 2319). Il contrasto di vedute sorto sotto la vigenza del codice abrogato e relativo alla sequestrabilità di beni mobili registrati e dell’azienda può dirsi superato. Allo stato attuale, infatti, (cfr. Dinacci, U., Il sequestro conservativo, cit.,120; Galantini, N., sub Art. 316 c.p.p., cit., 252; Montagna, M., Sequestro conservativo, cit., 223) è opinione comune che il sequestro conservativo possa colpire l’azienda intesa come complesso di beni mobili ed immobili. Le elaborazioni nomofilattiche sono arrivate a consentire l’apposizione del sequestro di quanto dovuto al soggetto passivo della misura a titolo di stipendio, salario o altra indennità riconosciuta per via di un rapporto di lavoro in misura non eccedente il quinto (in tal senso cfr. Cass. pen., sez. V, 28.11.1990, Robbiati, in CED Cass., n. 186417) ma non si incontra detto limite laddove si tratti di somme già incamerate dal soggetto passivo e che ovviamente si sono confuse col suo patrimonio (in tal senso cfr. Cass. pen., sez. I, 6.7.1995, Caprara, in CED Cass., n. 202884). È considerato quale emolumento il vitalizio che spetta agli ex parlamentari, aggredibile, pertanto, nella misura di un quinto (Cass. pen., sez. VI, 21.3.1995, D’Amato, in Cass. pen., 1998, 587). Il denaro presente su conti correnti intestati pro quota può essere sottoposto a sequestro nei limiti della quota stessa di spettanza del debitore dal momento che sarebbe illegittima l’apposizione del sequestro sull’intero ammontare dei depositi. La solidarietà attiva e passiva, difatti, prevista dall’art. 1854 c.c. è limitata ai soli rapporti tra correntisti ed istituto e, pertanto, il creditore di uno dei cointestatari non può aggredire l’intera somma ma solo la quota di proprietà del debitore che, in mancanza di specificazioni, si presume uguale a quella degli altri cointestatari ex art. 1101 c.c. (Cass. pen., sez. II, 30.10.1997, Bartolini, in CED Cass., n. 209029). Nel caso di coniugi in regime di comunione legale dei beni va considerato legittimo il sequestro conservativo dell’esatta metà del valore di conti correnti ovverosia depositi. Il denaro depositato su un conto corrente intestato ad uno solo dei coniugi non comporta il venir meno della comunione sulle somme in via di presunzione assoluta ai sensi degli artt. 177 e 195 c.c., indipendentemente dalla provenienza delle medesime somme (così in Cass. pen., sez. II, 23.1.1998, Airaldi, in Cass. pen., 1999, 243). In relazione ai soggetti occorre distinguere da una parte i promotori della misura e, dall’altra, coloro che la subiscono. In relazione ai primi, rispetto al codice del 1930, il legislatore del 1988 ha operato una innovazione, legittimando alla richiesta anche la parte civile oltre alla tradizionale iniziativa del pubblico ministero. L’art. 617, co. 1, c.p.p. 1930, difatti, individuava solo in quest’ultimo il titolare della richiesta cautelare. Parte della dottrina ritiene, pur in assenza di una specificazione normativa, che debba essere acquisito il parere del pubblico ministero sulla richiesta della parte civile (Selvaggi, E., sub Art. 316 c.p.p., cit., 348). Soluzione interpretativa non convincente poiché sganciata da referenti normativi che possano giustificare un iter procedimentale differente da quello, seppur sinteticamente, descritto dal legislatore processuale. Quanto alla richiesta di apposizione del vincolo da parte del pubblico ministero, l’art. 3 d.lgs. 20.2.2006, n. 106 prevede la necessità dell’assenso scritto del procuratore della Repubblica ovvero del procuratore aggiunto ovvero ancora del magistrato appositamente delegato, a meno che il procuratore non lo abbia, adottando una direttiva, escluso in considerazione del valore del bene oggetto della richiesta ovvero in considerazione della rilevanza del fatto per il quale si procede. Se sussistono i presupposti legittimanti l’applicazione della misura, mentre per la parte civile è una mera facoltà richiedere l’apposizione del sequestro, per la pubblica accusa ricorre un vero e proprio obbligo. Il privato, del resto, si attiva al fine di tutelare interessi propri che, in quanto tali, hanno natura privatistica, mentre per il pubblico ministero si tratta della gestione di crediti dello Stato che, per tale veste, fanno ritenere il sequestro un atto dovuto il quale, se non compiuto, potrà comportare una responsabilità sia di tipo disciplinare sia di tipo contabile nella misura in cui l’omissione comporti un danno patrimoniale per l’erario (Nappi, A., Guida al codice di procedura penale, Milano, 2007, 709; Ramajoli, S., Le misure cautelari (personali e reali) nel codice di procedura penale, Milano, 1996, 198; Nencini, A., Misure cautelari reali, in Quad. C.S.M., 1989, n. 27, 216). Di rilevante interesse è la previsione della possibilità di revocare la richiesta di apposizione della misura. Dalla circostanza per la quale il legislatore abbia utilizzato il lemma “chiede” per la pubblica accusa (a differenza della locuzione “può chiedere” per la parte privata) si farebbe discendere l’irrevocabilità della richiesta avanzata da quest’ultima (Selvaggi, E., sub Art. 316 c.p.p., cit., 343). Purtuttavia parte della dottrina (Guernelli, M., Il potere di sequestro tra giudice e pubblico ministero, in Arch. nuova proc. pen., 1992, 4) sostiene che, venuti meno i presupposti di fatto legittimanti l’apposizione della misura, anche il pubblico ministero può revocare la richiesta. Non sono legittimati alla richiesta né la persona offesa, che non può neanche giovarsi della richiesta avanzata dal pubblico ministero, né la persona danneggiata dal reato prima dell’inizio del processo – e, dunque, nella fasi precedenti a quella nella quale può formalmente costituirsi parte civile – dal momento che, come testualmente recita l’art. 316, co. 1, c.p.p., il sequestro conservativo può essere chiesto in ogni stato e grado del processo di merito. Il danneggiato, dunque, prima che si instauri il processo penale, potrà solo ed esclusivamente agire in sede civile e trasferire, successivamente, quell’azione in sede penale ex art. 75, co. 1, c.p.p. L’art. 316, co. 3, c.p.p. prevede che il sequestro richiesto e disposto ad iniziativa del pubblico ministero giovi anche alla parte civile, ma non è previsto il contrario, fermo restando che la pubblica accusa potrà, successivamente alla richiesta avanzata dalla parte civile, spenderne una propria che andrà soddisfatta limitatamente alle somme che residuano (cfr. Cass. pen., sez. IV, 9.12.1992, Managò, in CED Cass., n. 192770) dopo il risarcimento dei danni della parte civile. Se la parte civile interviene successivamente al pubblico ministero, troverà soddisfacimento della propria pretesa solo in via residuale rispetto all’appagamento dell’interesse dell’erario (Cass. pen., sez. V, 14.2.2000, Salvo, in Cass. pen., 2002, 3171). La giurisprudenza, in materia, ha specificato che la richiesta di apposizione della misura conservativa rappresenta, per la parte civile, esplicazione dell’azione esercitata e, pertanto, la legittimazione spetta a coloro che hanno subìto un danno ovvero agli eredi di questi ultimi e da tanto deriva che non può esservi delega di esercizio alla parte pubblica. Sulla base di tale principio si è escluso che il p.m. possa chiedere il sequestro a tutela dell’adempimento delle obbligazioni derivanti da reati tributari se l’amministrazione finanziaria non si è costituita parte civile, perché egli può chiedere il sequestro solo per ragioni endoprocessuali e, dunque, per le spese di giustizia (così in Cass. pen., sez. III, 26.11.1996, Boccia, in Cass. pen., 1997, 3187; Cass. pen., sez. III, 3.7.1996, Lodovelli, in Cass. pen., 1997, 3186). Purtuttavia, va menzionato l’orientamento della giurisprudenza nomofilattica in base al quale l’art. 316 c.p.p. riconosce all’erario, per via degli interessi pubblicistici sottesi alla figura, una sorta di tutela anticipata. Pertanto, il co. 1 attribuirebbe al pubblico ministero il potere di chiedere, anche prima della costituzione di parte civile dell’amministrazione pubblica competente, il sequestro a garanzia di ogni somma a questo dovuta. In linea con questo orientamento la locuzione “ogni altra somma” avrebbe una portata generalizzata, comprendendo tutte le obbligazioni di carattere restitutorio e risarcitorio nei confronti dell’erario (Cass. pen., sez. I, 20.12.1993, Ribatti, in CED Cass., n. 196240). La disposizione di cui all’art. 316 c.p.p. individua i soggetti che possono essere destinatari della misura nell’imputato e nel responsabile civile. Destinatario sarà il solo imputato nel caso di una richiesta cautelare avanzata dal pubblico ministero, mentre, nel caso di richiesta avanzata dalla parte civile, la misura può essere applicata anche sui beni del responsabile civile. Si parla in tal caso di un’aggredibilità sussidiaria che può, cioè, intervenire solo laddove i beni dell’imputato risultino insufficienti, fermo restando che il patrimonio del responsabile civile non può essere colpito per il pagamento delle spese di giustizia (Galantini, N., Sequestro conservativo penale, cit., 144). Se risulta agevole l’individuazione dell’imputato, non è altrettanto facile individuare il responsabile civile, per il quale occorre fare ricorso al concetto per come definito dal codice civile agli artt. 2047 ss.

Competenza e forma del provvedimento

L’art. 317 c.p.p. individua nel giudice che procede l’organo competente ad emettere il provvedimento. Pur se esso può essere adottato solo in fase processuale, il g.i.p. ha comunque una competenza inderogabile (Dinacci, U., Il sequestro conservativo, cit.,115) in quel lasso di tempo che intercorre tra l’emissione del decreto che dispone il giudizio e la successiva trasmissione degli atti al giudice competente per la trattazione (Galantini, N., sub Art. 317 c.p.p., in Amodio, E.-Dominioni, O., Commentario del nuovo codice di procedura penale, III, Milano, 1990, 252; Garavelli, M., Il sequestro nel processo penale, Torino, 2002, 98 nonché in giurisprudenza Cass. pen., sez. VI, 5.3.1996, Acerra, in CED Cass., n. 205442). Tanto risulta, poi, confermato da quell’orientamento nomofilattico che giustifica l’“ingerenza” per via del carattere di urgenza che contraddistingue la misura (così in Cass. pen., sez. I, 20.12.1993, Ribatti, in Arch. nuova proc. pen., 1994, 55). In dottrina una voce isolata (Cordero, F., op. cit., 563) ritiene possibile l’adozione della misura anche nel corso del giudizio di rinvio dopo l’annullamento da parte della Suprema Corte fermo restando che esso può essere adottato per tutta la fase di merito partendo dalla elevazione dell’imputazione sino al deposito della sentenza in grado di appello (per elevazione dell’imputazione deve intendersi la richiesta di rinvio a giudizio). In tal caso, il soggetto danneggiato dal reato ha la possibilità di costituirsi parte civile fuori udienza depositando la relativa dichiarazione in cancelleria ex art. 78 c.p.p., con conseguente possibilità di disporre il sequestro conservativo anche nel corso dell’udienza preliminare (cfr. Cordero, F., op. cit., 560 nonché in giurisprudenza Cass. pen., sez. V, 16.2.1994, Mendella, in CED Cass.,n. 197290 nonché Cass. pen., sez. VI, 4.2.1994, Sepe, in Giust. pen., 1995, III, 42). L’adozione del provvedimento in fase investigativa comporta un vizio inquadrabile nella categoria dell’annullabilità, per cui il soggetto interessato è tenuto ad impugnare il provvedimento proponendo riesame ex art. 318 c.p.p. (così in Cass. pen., sez. VI, 5.2.1998, Capestrani, in CED Cass., n. 210275). Si tratta di un tipico atto a sorpresa (Zappalà, E., Le misure cautelari, in Galati, A.-Siracusano, D.-Tranchina, G.-Zappalà, E., Diritto processuale penale, Milano, 2011, 489) per cui il giudice dovrà provvedere inaudita altera parte. Ciononostante si ritiene che non vi sia preclusione nei confronti di un intervento delle parti interessate, che possono contribuire alla decisione giudiziale anche provvedendo a fornire chiarimenti che giustifichino il rigetto della richiesta. Il provvedimento con cui si adotta il sequestro è un’ordinanza. Per come è agevole ricavare dall’art. 125 c.p.p., in materia penale non vige il medesimo principio valido in ambito civilistico secondo cui alla forma dell’ordinanza è legata l’obbligatorietà del preventivo contraddittorio. Difatti, l’ordinamento processual-penalistico impone semplicemente al giudice, presso cui si trovano gli atti, di procedere sulla richiesta del pubblico ministero o della parte civile con provvedimento in relazione al quale il contraddittorio è solo eventuale e posticipato (C. cost., 23.12.1998, n. 429, in Cass. pen., 1999, 1098 nonché Cass. pen., sez. V, 10.6.1999, Prandini, in Cass. pen., 2001, 241) alla fase dell’impugnazione col mezzo del riesame, che, tra l’altro, non comporta la sospensione della esecuzione della misura (cfr. Cass. pen., sez. VI, 21.3.1995, D’Amato, in CED Cass., n. 202815). Quanto al contenuto dell’ordinanza – che, si ritiene, debba essere motivata a pena di nullità (cfr. Cantone, R., I sequestri nel codice di procedura penale, in Arch. nuova proc. pen., 1996, 11; Montagna, M., Sequestro conservativo, cit., 225) – la giurisprudenza ha statuito che non è elemento imprescindibile della stessa l’indicazione della somma per la quale viene disposto il sequestro a garanzia dell’Erario per le spese di giustizia, perché non connotato dai requisiti di liquidità ed esigibilità (cfr. Cass. pen., sez. I, 8.2.1993, Giacobone, in Foro it., 1993, II, 463). Sull’esecuzione del provvedimento dispone l’art. 317, co. 3, c.p.p. che rimanda alle modalità prescritte dal codice di rito civile. Tanto comporta che, in relazione ai beni mobili, si proceda con le forme del pignoramento presso il debitore ovverosia presso terzi, mentre, in relazione ai beni immobili, si potrà ottenere la trascrizione del provvedimento presso l’ufficio del conservatore dei registri immobiliari. La dottrina (cfr. Dinacci, U., Il sequestro conservativo, cit., 125; Galantini, N., Sequestro conservativo penale, cit., 145) ha osservato che, in relazione all’esecuzione dell’ordinanza sugli autoveicoli, occorre notificare l’ordinanza all’imputato o al responsabile civile, con conseguente trascrizione del sequestro nel pubblico registro automobilistico. Nel caso, invece, di sequestro di quote societarie la forma è quella del pignoramento presso terzi. Individuate le quote e trascritto il sequestro nei libri societari, risulterebbe sanata ogni eventuale nullità derivante dalla inosservanza delle forme del pignoramento presso terzi (così in Cass. pen., sez. V, 12.5.2000, Pini, in CED Cass., n. 217810). L’impulso all’esecuzione del provvedimento deve provenire dall’organo che lo ha emesso (cfr. Relazione prog. prel. c.p.p., in Doc. giust., 1988, 80) e, pertanto, in linea con questo orientamento, la Corte nomofilattica ha statuito che, anche se le forme della esecuzione sono quelle previste dal codice di procedura civile, comunque l’iniziativa spetta al giudice penale che ha adottato la misura cautelare (Cass. pen., sez. V, 19.9.2001, Sapone, in CED Cass., n. 220262).

Custodia dei beni e cessazione degli effetti del sequestro conservativo

Il giudice che ha disposto il sequestro può provvedere alla nomina del custode (in tal caso la competenza gli deriverebbe dall’art. 665 c.p.p.). Da tanto consegue che, se il sequestro ha ad oggetto beni diversi dal denaro, dai titoli di credito e dagli oggetti preziosi, la nomina effettuata dall’ufficiale giudiziario ex artt. 317, co. 3, c.p.p. e 520, co. 2, c.p.c., ha carattere residuale rispetto alla nomina del custode da parte del giudice. Pertanto, può anche provvedere in ordine alla sostituzione (cfr. Scavo, M., sub Art. 316 c.p.p., in Tranchina, G., Codice di procedura penale, I, Milano, 2008, 2397; Cass. pen., sez. V, 12.5.2000, Pini, in CED Cass., n. 217808) fino a quando nel processo penale non sia stata definitivamente accertata o esclusa la sussistenza del credito a tutela del quale è stata disposta la misura cautelare reale. Il giudice civile, invece, potrà intervenire solo laddove la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile, il sequestro si sia convertito in pignoramento e abbia preso avvio l’esecuzione forzata (Cass. pen., sez. I, 3.3.1997, confl. competenza in c. De Bene, in Arch. nuova proc. pen., 1997, 336). In merito alle funzioni del custode, parte della dottrina (Pansini, C., sub Art. 317 c.p.p., in Giarda, A.-Spangher, G., Codice di procedura penale commentato, II, Milano, 2010, 3822) ha ritenuto che si tratti di un depositario amministratore sui generis perché agisce nell’interesse della giustizia ed a lui sono affidate attività collegate al processo (Cassano, M., sub Art. 317 c.p.p., in Gaito, A., Codice di procedura penale commentato, Torino, 2012, 2028). Si ritiene, pertanto (Dinacci, U., Il sequestro conservativo, cit., 130), che egli sia subordinato rispetto al giudice da cui deriva la nomina. Quest’ultimo, inoltre, esercita poteri di controllo e vigilanza su di lui, ferme restando due riserve. La prima riguarda i diritti soggettivi delle parti contrapposte e la cui regolamentazione spetta al giudice civile; la seconda riguarda gli interessi sottesi alle scelte imprenditoriali di cui il custode è responsabile. Quanto alla vigilanza sull’operato del custode, dunque, il giudice potrà effettuare valutazioni relative al rispetto delle norme e dei principi di ordine pubblico, mentre in relazione alle decisioni potrà vietare quelle che, come statuito dalla suprema Corte (Cass. pen., sez. VI, 8.11.1993, Chamonal, in CED Cass., n. 196378), si ritiene non rientrino nella discrezionalità tecnica caratterizzante le gestioni imprenditoriali ed economiche. Per gli atti di ordinaria amministrazione il custode potrà agire in maniera autonoma, mentre nel caso di atti di straordinaria amministrazione sarà necessaria l’autorizzazione del giudice. La Corte nomofilattica, in particolare, è intervenuta in materia di quote o azioni societarie statuendo che, nell’interesse del creditore, il patrimonio non deve essere esposto ad atti che diminuiscano il valore e che, pertanto, spetta al custode l’esercizio del diritto di voto (Cass. pen., sez. V, 12.5.2000, Pini, cit.). Laddove tale diritto si estrinsechi in atti di straordinaria amministrazione, il custode dovrà necessariamente essere autorizzato dal giudice ed in tale ottica è legittimo che quest’ultimo autorizzi il primo ad aderire ad un patto di sindacato di voto. In merito al compenso per l’attività svolta, esso deriva da un rapporto di natura pubblicistica correlato ad una prestazione continuativa che matura con cadenza quotidiana ed è pertanto soggetto al termine di prescrizione decennale decorrente da ogni singolo giorno, a meno che nel provvedimento con cui si conferisce l’incarico non si indichi la periodicità della corresponsione con conseguente applicazione del termine di prescrizione stabilito dall’art. 2948, co. 4, c.c. (cfr. Cass. pen., S.U., 24.4.2002, Fabrizi, in Cass. pen., 2002, 2992). In relazione agli effettidel sequestro, essi cessano o con l’irrevocabilità della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero con la revoca del provvedimento. Tuttavia la cessazione degli effetti potrebbe anche derivare dalla revoca della ordinanza che si verifica quando vengono a mancare i presupposti genetici per la concessione ovverosia quando, ex officio, il giudice verifichi la illegittimità del provvedimento. In tale ultima ipotesi, in cui non verrebbero attivati i mezzi di gravame ma permane la legittimità dell’operato demolitivo del giudice, non si può prescindere dalla costante sussistenza dei presupposti condizionanti la validità delle misure cautelari (Cass. pen., sez. III, 21.5.2007, p.m. in proc. Grieco, in Arch. nuova proc. pen., 2008, 209 ovvero Cass. pen., sez. VI, 19.5.1998, Russo, ivi, 1998, 859). La dottrina ha evidenziato (Selvaggi, E., sub Art. 316 c.p.p., cit., 350) che la cessazione degli effetti del sequestro si può altresì verificare quando la pronuncia sia favorevole ma si possa, comunque, esercitare l’azione civile; tanto accade perché la misura cautelare affonda le radici nella sussistenza di un fatto penalmente rilevante.

La cauzione

L’art. 319 c.p.p. prevede e disciplina la cauzione. Due sono le forme che l’istituto può assumere. Da un lato, può verificarsi il caso in cui l’imputato o il responsabile civile offrano una cauzione idonea a garantire i crediti di cui all’art. 316 c.p.p., prevenendo in tal modo l’apposizione del vincolo cautelare sul proprio patrimonio. Dall’altro, invece, può accadere che, successivamente all’apposizione del vincolo reale, i medesimi soggetti ottengano uno spostamento della misura dai beni originariamente avvinti ad altri da essi stessi offerti. La cauzione, pertanto, può essere impeditiva o sostitutiva a seconda del momento in cui viene offerta, se in sede di riesame (o, comunque, successivamente all’ordinanza applicativa) ovvero prima dell’apposizione del vincolo cautelare (Scavo, M., sub Art. 319 c.p.p., in Tranchina, G., Codice di procedura penale, I, Milano, 2008, 2411;Cassano, M., sub Art. 319 c.p.p., in Gaito, A., Codice di procedura penale commentato, Torino, 2012, 2038). Nel caso in cui si atteggi nella sua forma impeditiva il giudice dovrà valutare l’offerta tenendo conto della sua idoneità a garantire i crediti; nella sua veste sostitutiva, invece, il giudice dovrà effettuare una verifica relativa al valore delle res sottoposte a sequestro. Secondo l’approccio giurisprudenziale, pur non essendo indispensabile indicare la somma per la quale il sequestro viene disposto, il soggetto che intende avvalersi della cauzione può domandare al giudice di indicare l’ammontare delle spese da garantire col vincolo cautelare (Cass. pen., sez. I, 8.2.1993, Giacobone, in CED Cass., n. 193327). Il provvedimento giudiziale sull’ammissibilità della cauzione non è discrezionale: se, infatti, viene formulata idonea offerta, egli deve provvedere immediatamente senza contraddittorio come letteralmente previsto dalla disposizione normativa. Questa introduce una sorta di automatismo tra offerta di cauzione ed emissione del decreto che, in mancanza di una espressa previsione, non deve essere dunque motivato. Purtuttavia sul punto si registra l’opinione contrastante di chi ritiene che occorra dare contezza, con motivazione, dell’idoneità della cauzione, laddove sia già sorto il procedimento cautelare stoppato dall’iniziativa dell’imputato o del responsabile civile (Cantone, R., I sequestri, cit., 3). Laddove, invece, in sede di riesame o in qualsiasi stato e grado del processo di merito venga revocato il sequestro, poiché la disposizione tace, si ritiene che il giudice dovrà procedere con ordinanza motivata. Sulla scorta della valorizzazione del principio della tassatività delle impugnazioni la dottrina (Cantone, R., I sequestri, cit.) ha osservato che il decreto non è suscettibile di impugnazione mentre l’ordinanza di revoca del sequestro è solo ricorribile per cassazione. La giurisprudenza ha sul punto precisato che, nonostante l’intervenuta cauzione, l’interessato non perde interesse all’impugnazione del provvedimento cautelare e l’esito del gravame, ovviamente, non può non aver effetto sul provvedimento che dispone la cauzione stessa (Cass. pen., sez. IV, 11.7.2001, Romeo, in Arch. nuova proc. pen., 2001, 534).

Fonti normative

Artt. 75, 78, 125, 273-274, 316-319, 384, 665 c.p.p.; art. 218 norme att. c.p.p.; artt. 189-193, 334 c.p.; artt. 514 ss., 520, co. 2, 545, 671 c.p.c.; artt. 177, 195, 1101, 1854, 2047 ss., 2913, 2948 c.c.; art. 3 d.lgs. 20.2.2006, n.106; art. 22 d.lgs. 25.7.1998, n. 286; decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2005/212/GAI.

Bibliografia essenziale

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