MONASTERO

Enciclopedia Italiana (1934)

MONASTERO

Luigi GIAMBENE
Giorgio ROSI

È una residenza religiosa stabile, dove si vive secondo le norme d'un istituto regolare e approvato. La parola, come indica la sua etimologia, significò dapprima l'abitazione dei singoli "monaci", poi passò a indicare quella specie di villaggio che era costituito da quelle dimore isolate (v. monachismo), e finalmente prese il significato attuale di casa comune a parecchie persone religiose, dell'uno o dell'altro sesso, dove vige la clausura papale, se, come avviene generalmente, emettono i voti solenni. Tuttavia, in un senso più speciale, sono chiamate indistintamente monasteri le case ove dimorano le religiose, anche se di regola meno stretta. Nel Codex iuris canonici la parola monasterium è usata ora nell'uno, ora nell'altro senso, ma generalmente come sinonimo di domus religiosa (cfr., per esempio, il can. 494 col 497 e il n. 1 col n. 2 del § 1 del can. 512). Per il resto, v. convento.

Architettura. - La residenza delle comunità monastiche presenta, dal punto di vista architettonico, caratteristiche pressoché costanti, nonostante il variare dei tempi e dei luoghi. Ciò è la naturale conseguenza del fatto che la vita monastica, sottoposta a una regola rigorosa rimasta quasi sempre la stessa fino dalla fondazione dell'ordine a cui il monastero appartiene, deve rispondere innanzi tutto ad alcuni principî comuni a tutte le istituzioni del genere, quali la vita e i beni in comune, la separazione più o meno completa dall'ambiente profano, l'obbligo della preghiera secondo norme stabilite e così via.

A queste ragioni si dovrebbe aggiungere, secondo alcuni, l'intervento diretto dei monaci stessi nella costruzione dei loro monasteri, non soltanto come committenti, ma anche come architetti e addirittura esecutori materiali dell'opera. Questo però si può affermare solo per certi periodi, per es. l'alto Medioevo, nei quali gli ordini monastici furono innegabilmente depositarî delle scienze e delle arti, e fra queste certo l'architettura e in speciale modo quella dei monasteri. Ma in periodi di maggiore civiltà e più diffusa cultura, la costruzione dei conventi passò, come quella di ogni altro edificio, ad artisti di più certa competenza e alle comuni maestranze operaie; così che pure senza perdere le caratteristiche proprie e indispensabili a tali edifici, l'architettura monastica seguì più da vicino l'evoluzione di quella civile e religiosa del suo tempo.

Nell'oriente mediterraneo, ove il monachismo ebbe origine, si trovano le prime residenze monastiche in quelle laure (v. laura) sparse per i deserti dell'Egitto, delle quali più che avanzi si hanno ormai notizie nelle biografie degli eremiti che le abitarono, e che nel sec. IV furono oggetto di ammirazione e venerazione vivissime. Si riduce tale rudimentale forma di monastero a un gruppo di celle in capanne o in caverne riunite intorno a quella di un anacoreta di maggiore rinomanza. Manca in tali primitivi cenobî quella che fu invece una caratteristica dei monasteri veri e proprî, cioè la munita recinzione che riuniva i diversi fabbricati in un unico insieme.

Questa unità di organismo doveva invece essere raggiunta nei due grandi monasteri pure in Egitto noti col nome di "Monastero Bianco" e "Monastero Rosso" presso Sōhāǵ. Risalgono essi alla metà del sec. V e dagli avanzi che ce ne restano e che si limitano alla chiesa e annessi, ci mostrano l'importanza che tali edifici avevano già raggiunto.

Le chiese, notevolissime per la loro forma che riunisce lo schema longitudinale delle tre lunghe navate a quello centrale del presbiterio tricoro, sono fuse insieme con altri ambienti di destinazione in parte incerta in un grande edificio di pianta rettangolare, al cui aspetto fortificato contribuisce, insieme con le strette aperture praticate nelle alte e nude pareti di pietra, la rastremazione di quest'ultime, dovuta senza dubbio, come la caratteristica cornice di coronamento, all'imitazione dei vicini monumenti appartenenti all'Egitto faraonico.

Una vera e propria recinzione si trova invece nei complessi edifici che in Siria sorsero nello stesso secolo intorno ai luoghi santificati dalla dimora di eremiti non meno famosi.

Il più celebrato, del quale ancora oggi restano tracce imponenti, è quello di S. Simone Stilita a Qal‛hat Sim‛ān, ove oltre la forma ecezionale del santuario, costituito da una vera basilica e da tre edifici di analoga forma, disposti a croce intorno al cortile ottagono avente al centro la colonna che aveva sostenuto l'eremita nel suo aereo isolamento, è notevole il grandioso complesso di edifici destinati ad abitazione dei monaci e specialmente del loro superiore, a ospizio per i pellegrini, ecc. Nella disposizione degli ambienti lungo portici e loggiati sovrapposti, nella presenza della suaccennata cinta di difesa al cui centro sorge il santuario, sono già quegli stessi elementi che si ritrovano nei monasteri dei periodi successivi in Oriente, ove insieme con il nome di cenobio (lat. coenobium, gr. κοινόβιον, da κοινός "comune" e βίος "vita") conservarono anche le caratteristiche rispondenti alla concezione orientale del monachesimo.

È questa infatti la forma dei monasteri greci fino ai giorni nostri: la chiesa, destinata quasi esclusivamente ai monaci e agli scarsi abitatori dei dintorni, sorge isolata al centro di un vasto cortile, nel quale si trovano pure di regola la fontana e il pozzo, e che è ricinto spesso su ogni lato dai fabbricati di abitazione dei religiosi, dal refettorio con relativa cucina e altri annessi. Di tutto il complesso di edifici, imponenti talora per le opere di sostegno e di difesa rese necessarie dall'impervia ubicazione o dai vicinati pericolosi, i più interessanti sono naturalmente la chiesa e i locali comuni, riducendosi gli altri a costruzioni leggiere, con grande uso di legname, spesso a un solo piano di celle che si aprono su loggiati senza pretese.

La chiesa segue di regola lo schema centrale, caratteristico dell'architettura medievale greca, secondo i tipi comuni all'arte tardo-bizantina, e fra questi a preferenza quelli a matronei. Fra i locali comuni, il refettorio con l'adiacente cucina occupa talvolta un intero lato del cortile ed è certo l'edificio, dopo la chiesa, di maggiore mole e complessità. Di forma molto allungata, coperto generalmente da una vòlta a botte e absidato a una delle estremità, comunica direttamente con la cucina, coperta da una vòlta a cupola che costituisce un'unica grande cappa e ha al centro un alto camino. Altri edifici che talora completano i monasteri greci sono i bagni, in padiglioni isolati su schemi analoghi a quelli delle chiese, e la biblioteca.

Da questo schema seguito attraverso secoli dall'architettura monastica greca, i più recenti esempî si discostano solo per maggiore regolarità di esecuzione, comodità e completezza di servizî, e forme decorative, che, abbandonando i tipi dell'arte bizantina seguiti fino al sec. XVIII, sono passate all'imitazione ora dello stile classico ora del liberty, secondo il gusto imperante in Europa.

In Occidente l'architettura monastica sorse e si diffuse con aspetti ben diversi da quelli orientali nel sec. VI per opera specialmente di S. Benedetto. Le istituzioni monastiche anteriori (S. Ambrogio, S. Agostino, S. Martino di Tours) non avevano avuto infatti sedi d'importanza paragonabili a quelle che ebbe la regola benedettina. Questa pose i suoi monasteri, analogamente a quanto era avvenuto in Oriente, in luoghi remoti. Lo scopo sociale che i benedettini si prefissero fu allora la conservazione del sapere e, più che tutto, la coltivazione delle terre. Conseguenza fu che i monasteri divennero nello stesso tempo centri di devozione, di cultura e di benessere, e dovettero rispondere a numerose esigenze di ordine vario, che si tradussero in una notevole complessità di edifici. Rimandando alla voce abbazia per quanto riguarda più particolarmente i primi monasteri benedettini, che ebbero appunto quel nome, ricordiamo qui gli elementi più caratteristici e indispensabili dei monasteri di quel tempo.

L'indirizzo sociale del monachismo in Occidente portò in origine all'adozione di ambienti comuni per i pasti (refettorio) riposo (dormitorio) e riunioni dei monaci (sala capitolare). Questi vasti locali che erano il nucleo indispensabile del monastero furono disposti intorno a un cortile di forma regolare adiacente alla chiesa, che ebbe il nome di chiostro e divenne elemento sostanziale di tutta l'architettura monastica occidentale. La chiesa seguì in principio generalmente lo schema basilicale, modificandolo in vario modo secondo la speciale destinazione. Così il coro occupò l'abside, che a tale scopo si ampliò, quando non si ripeté addirittura alle due estremità della chiesa, come a S. Gallo e in altre della valle del Reno; oppure si estese nella navata centrale entro un recinto di stalli che si chiamò in Francia jubé e divenne in seguito grande e ricchissimo. Dall'interno di esso era talora possibile suonare le campane disposte nella torre-lanterna che si elevava sull'incrocio del transetto con la navata centrale (v. lanterna).

Avanti alla chiesa, di più facile accesso esterno che non in Oriente, il nartece proprio della basilica bizantina divenne la galilea (v.) destinata ai pellegrini, sviluppandosi specialmente nelle grandi abbazie del nord in forme complesse.

Intorno a questo insieme di edifici si disposero gli altri meno intimamente legati alla vita monastica, quali i laboratorî per le diverse attività pratiche svolte entro l'ambito del monastero stesso, fra i quali speciale importanza e nome ebbero i locali adibiti al lavoro di trascrizione di codici, locali che si chiamarono appunto "scriptoria". E ancora locali per l'amministrazione dei vasti possedimenti terrieri e la conservazione dei loro prodotti in amplissimi magazzini detti grange (v.) e per l'ospitalità dei pellegrini e il ricovero di ammalati in edifici a parte muniti di cucine e servizî separati da quelli dei monaci.

Di simili imponenti abbazie, alle quali si giunse durante il periodo carolingio, non restano che notizie e rari avanzi sommersi dai rifacimenti posteriori. Ma da tali avanzi e descrizioni e specialmente da disegni di piante e di vedute, se ne può ricostruire il tipo quale rimase più o meno per tutto il Medioevo e quale risulta dai versi di Goffridus Vindocinensis:

Quadratum speciem structura domestica profert

Atria bis binis inclyta porticibus

Quae tribus inclusae domus quas corporis usus

Postulat et quarta quae domus et Domini

Quarum prima domus servat potumque cibumque

Ex quibus hos reficit iuncta secunda domus

Tertia membra fovet vexata labore diurno

Quarta Dei laudes assidue resonat.

Infatti le ramificazioni che ebbe la regola benedettina, specialmente in Francia, non modificarono in sostanza l'organizzazione del monastero che mantenne il suo carattere culturale e agricolo e nelle grandi linee la sua fisionomia architettonica. Soltanto con il crescere della floridezza in alcuni monasteri, come a Cluny in Francia, a Monteoliveto in Italia, si cominciò a mitigare l'austerità della regola primitiva e a ricercare una maggiore perfezione artistica. In altri invece si accentuò il carattere di eremitaggio, come a Camaldoli o, in reazione alla raffinatezza cluniacense, si ritornò ad alcune costumanze originarie, come presso i cisterciensi, che ristabilirono l'uso del dormitorio comune. L'importanza di questi varî ordini fu invece grandissima nello sviluppo di alcune forme d'architettura, specialmente gotiche, che seguirono la diffusione degli ordini prendendone anche il nome.

La fondazione degli ordini mendicanti, domenicano e francescano, il cui programma era la predicazione, portò nell'architettura monastica del secolo XIII un cambiamento sensibile d'indirizzo, in quanto i loro conventi dovettero essere collocati non più in luoghi solitarî e male accessibili o fra le terre di loro proprietà, ma in vicinanza di centri abitati e da questi divisi solo quanto bastava ad assicurarne l'isolamento e la tranquillità. Inoltre, essendo diminuita o cessata l'attività agricola e industriale dei monasteri, alcune parti di essi si ridussero al necessario, come i magazzini e i laboratorî; decadde l'importanza delle cinte difensive per l'aumentata sicurezza della vita civile.

Ciò non impedì che in alcune località esposte a incursioni ostili sorgessero e si sviluppassero nello stesso periodo alcuni conventi nei quali il sistema difensivo ha importanza preponderante. Così su uno scoglio della Normandia si raggrupparono intorno alla cattedrale gotica le fabbriche del monastero di Mont-Saint-Michel e a Patmo nell'Egeo, intorno al celebre convento del secolo IX, sorsero sotto la minaccia barbaresca le mura dell'XI, restaurate poi in più riprese fino al secolo XVII.

Vere fortezze monastiche furono i presidî che gli ordini cavallereschi dei Gerosolimitani e dei Templari disseminarono in Siria nel sec. XII a difesa delle conquiste cristiane di Terrasanta. Esse differiscono dai castelli feudali coevi solo per la presenza entro la loro cinta di alcuni elementi proprî della vita collettiva che vi si conduceva, come la sala capitolare e la chiesa. Questi edifici sono di regola costruiti secondo forme prettamente gotiche, importate senza esitazioni né adattamenti, quasi per affermazione di predominio e di superiorità, in un paese non privo di tradizioni artistiche completamente diverse.

Più spesso però le forme decorative che rivestirono gli edifici di cui si sono sin qui descritti gli elementi e gli schemi, furono quelle del tempo e del luogo in cui essi sorgevano. Tranne i periodi più antichi per la ragione che si è detto in principio e tranne il caso di ordini trapiantatisi in paesi nuovi, come i cisterciensi in Italia e gli ordini cavallereschi in Terrasanta, nella maggior parte degli edifici monastici medievali costruiti da corporazioni di artisti e di operai estranee all'ordine committente, si ritrovano i caratteri proprî delle varie correnti artistiche a cui tali corporazioni appartengono.

Così, ad es., i chiostri sorti a Roma e nel Lazio nei secoli XIII e XIV furono caratteristica e inconfondibile opera di quell'ammirevole gruppo di artisti che s'indicano comunemente col nome di cosmati (v.). Così pure i chiostri di Amalfi e di Monreale, il primo nell'intreccio delle arcate sulle colonnine binate, il secondo negli archi acuti e rialzati, nella decorazione geometrica e floreale dei fusti delle colonne e della fontana, accusano quell'influenza moresca che fu una caratteristica dell'arte nell'Italia meridionale durante il secolo XIII.

Ma pur rispecchiando i caratteri delle tendenze locali, l'architettura dei monasteri, che nei secoli più tardi ed evoluti del Medioevo divenne più organica e unitaria allontanandosi, specie in Italia, dal primitivo tipo dato dalla riunione di più edifici separati, serbò sempre la tendenza a ridurre e semplificare gli schemi sia decorativi sia costruttivi. Così l'esterno degli edifici si mantenne in una linea di disadorna semplicità, talora di straordinario effetto per l'imponenza dell'opera, come nelle costruzioni del Sacro Speco a Subiaco e del convento di S. Francesco ad Assisi. E analogamente le chiese domenicaile o francescane rifuggirono dalla sfarzosa complicazione del gotico, che era stata un'impronta caratteristica degli ordini francesi, continuando lo sviluppo dell'arte locale, sia adottando pochi e grandiosi elementi (come il numero delle navi, al massimo tre e di poche amplissime campate), sia ripudiando soluzioni caratteristiche ma difficili (come le vòlte a crociera su pareti molto traforate e simili). Da ciò nacquero varie caratteristiche delle chiese conventuali in Italia, quale l'innesto della navata coperta a tetto e capriate visibili col transetto coperto a vòlta, la disposizione lungo quest'ultimo, generalmente ai lati del coro, di cappelle minori, a sostituire quelle che, nelle chiese francesi, fiancheggiavano ora la navata maggiore, ora il coro, e che costituivano con i loro muri divisorî i contrafforti necessarî alla stabilità delle vòlte.

Al tipo di monastero già riunito intorno ai suoi chiostri di andamento regolare a fianco della chiesa aperta ormai direttamente sulle vie e sulle piazze pubbliche, il Rinascimento portò solo la novità delle forme decorative e la grandiosità dei mezzi. La trasformazione si limitò dapprima alle forme strutturali e decorative sostituendo nei chiostri, alle coppie di colonnine, colonne isolate più robuste e, più tardi, il piedritto di tipo romano decorato dalla parasta, agli archetti acuti le arcate a tutto sesto, sovrapponendo più ordini di ambulacri per servire i piani dell'edificio cresciuti di numero e di grandezza. Di questo periodo di trasformazione limitata alle forme decorative, si hanno esempî magnifici nella Certosa di Pavia, sorta durante tutto il Quattrocento, nelle abbazie di Montecassino e di Monteoliveto, trasformate in più riprese, in quella di Praglia presso Padova, che più di ogni altra mostra unità di concezione e di esecuzione. In seguito invece i cambiamenti divennero più profondi, fino a che l'edificio sorto su progetto unitario e spesso grandioso finì con avvicinarsi al tipo del palazzo dello stesso tempo, ampliando i chiostri in cortili, sovrapponendo varî piani, trasformando gli ambulacri aperti in corridoi chiusi, e così via. Del palazzo il monastero ebbe anche altri elementi, come i piani secondari destinati a servizi e magazzini, al posto degli edifici separati che avevano fatto parte dei conventi più antichi; alcuni grandi ambienti di rappresentanza, specialmente il refettorio e la biblioteca, che costituirono la parte di rappresentanza dell'edificio e per la grandiosità e la decorazione si avvicinarono spesso alle grandi sale delle dimore signorili del tempo. L'esempio più imponente in questa tendenza al monumentale si ha forse nell'Escoriale presso Madrid, che contiene in un unico edificio grandissimo, oltre il convento e la chiesa, un palazzo e un sepolcreto reale. Fra i tanti imponenti edifici che la stessa tendenza produsse in Italia, ricordiamo per grandiosità la Casa professa dei gesuiti e il Collegio Romano a Roma, veri e proprî palazzi cinquecenteschi, e il monastero dei benedettini a Catania, distribuito intorno a quattro grandi chiostri.

Analogamente la chiesa non differì più dalle chiese non conventuali altro che per la presenza del coro, il quale, mentre divenne sempre più ricco e ammirevole per la decorazione degli stalli, diminuì gradatamente di grandezza e d'importanza, finché nelle chiese degli ordini di più recente fondazione, come la Compagnia di Gesù, scomparve quasi completamente.

Più ligi alle regole primitive restarono gli ordini di maggiore austerità, come i certosini, che seguitarono a vivere isolati in piccole casette riunite da gran di chiostri, separati e lontani dall'abitato. Lo splendore però degli ambienti comuni divenne sempre maggiore e basti citare gli esempî della certosa di Roma, il cui chiostro si attribuisce, come l'adattamento delle vicine terme di Diocleziano, a Michelangelo, di quella di S. Martino a Napoli (sec. XVII) e di Calci presso Pisa (sec. XVIII). Nelle chiese di tali regole, come in quelle di molti monasteri femminili di stretta clausura, si seguitò pure a dividere il coro dallo spazio riservato al pubblico, più spesso con cancelli e balaustre, ma talora con una intera parete piena di varia altezza.

Le forme raggiunte nel '500, portate spesso a una ricchezza e a una grandiosità straordinarie durante i secoli XVII e XVIII, si continuarono nel sec. XIX, solo sostituendo alle forme decorative genuine dei periodi precedenti quelle imitate dagli stessi. Più spesso però i monasteri di una certa importanza sorti nel secolo XIX e nel XX si avvicinarono come funzione, e quindi come architettura, a quelle dei collegi, essendo destinati ad accogliere scolari, convittori, ricoverati o simili. Degno di nota per l'imponenza delle dimensioni, è fra questi il monastero di stile romanico di S. Anselmo, a Roma.

E ancora oggi, mentre per la residenza dei pochi monaci, a cui talora sono affidate le chiese, si provvede con alloggi non molto diversi da quelli di comune abitazione, la costruzione di nuovi monasteri si limita ai casi in cui vi debbano essere ospitati seminarî, noviziati, missioni e simili e il tipo dell'edificio non differisce ormai da quello del collegio (v.). V. anche athos.

V. tavv. CXXXI-CXXXVI.

Bibl.: Oltre le opere citate nelle voci relative a elementi di architetturamonastica, come: chiostro; coro; galilea, e simili, e ad istituzoni monastiche, come: abbazia; certosa; cisterciensi; cluniacensi; laura, e simili, vedi: A. Lenoir, Architecture monastique, Parigi 1852; M. de Vogüé, Syrie Centrale, Parigi 1865-67; E. Rey, Architecture militaire des croisés, Parigi 1871; E. E. Viollet-le-Duc, s. v. Architecture, in Dictionnaire raisonné de l'architecture française du XIe au XVIe siècle, Parigi 1882; J. Schlosser, Die abendländische Klosternlage des früheren Mittelalters, Vienna 1889; G. Giovannoni, L'architettura dei monasteri sublacensi, Roma 1904; U. Monneret de Villard, Les Couvents près de Sohâg, Milano 1925; C. Enlart, Les monuments des croisés dans le royaume de Jérusalem, Parigi 1925; A. K. Orlandos, Μοναστηρικὴ ἀρχιτεκτονικὴ, Atene 1927; D. U. Berlière, L'ordine monastico dalle origini al sec. XII, Bari 1928.