MONASTERO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1997)

MONASTERO

A. Paribeni

Con il termine m. viene indicato, in generale, un complesso di strutture all'interno del quale trova sede una comunità di monaci, di norma definito da cinte murarie o da altro tipo di limite fisico e comprendente luoghi destinati al culto, spazi abitativi, aree destinate ai servizi e alle attività produttive. In relazione al tipo di ordinamento liturgico e amministrativo adottato o a un legame privilegiato con memorie o santuari particolarmente venerati, nel m. possono inoltre trovarsi strutture specifiche (foresterie, ospedali) destinate all'accoglienza e all'assistenza di membri esterni alla comunità.In questa voce verranno presi in esame i m. sorti in età medievale in regioni soggette all'impero bizantino, o comunque a esso culturalmente afferenti; per i m. occidentali v. Abbazia e le voci relative all'architettura dei diversi ordini monastici. La stessa radice etimologica del termine m., dal greco μονάζω ('vivere solo'), con l'indicare l'origine e l'intima propensione per una intonazione ascetica dell'ideale monastico - laddove con il termine latino conventus (v. Convento) ne viene rimarcato invece l'aspetto associativo e comunitario -, può servire a tracciare una prima linea di demarcazione tra il monachesimo greco-orientale e quello diffusosi nell'Occidente latino.Rispetto alla mossa articolazione del monachesimo occidentale, evolutosi nel corso dei secoli attraverso la fioritura di diversi ordini religiosi, tra loro distinguibili anche sotto il profilo funzionale e architettonico degli insediamenti, il grande movimento monastico delle regioni del Mediterraneo orientale e di quelle entro l'orbita politica e culturale dell'impero bizantino potrebbe apparire, a prima vista, una realtà religiosa e artistica sostanzialmente più omogenea, sorprendentemente non toccata da quelle profonde trasformazioni e cesure dettate dall'ampiezza stessa delle coordinate geografiche e storiche nell'ambito delle quali esso ebbe corso. Confermano questa chiave di lettura gli studi di carattere generale dedicati all'argomento (Orlandos, 1927), nei quali prende corpo l'immagine di un modello esemplare di m. bizantino, le cui caratteristiche si adattano efficacemente a qualsiasi periodo storico, conservandosi in modo sostanzialmente fedele anche in epoca attuale, come dimostra l'ininterrotta tradizione di vita, di preghiera e di lavoro nei m. del monte Athos.In realtà, anche se il monachesimo bizantino non conobbe una suddivisione in ordini religiosi, esso assunse, fin dalle prime origini, aspetti e manifestazioni quanto mai varie. Nell'ambito dell'Egitto, ritenuto la culla stessa del monachesimo, coesistevano difatti forme di ascetismo individuale, sull'esempio di s. Antonio Abate, accanto a complesse organizzazioni cenobitiche, quali quelle concepite da Pacomio nella Tebaide, suddivise in numerose comunità di monaci sottoposti a una disciplina e a uno stile di vita non lontano da quello militare. In una posizione intermedia tra le due forme era il sistema della lavra, nella quale i monaci, insediati in piccole strutture abitative e lavorative disseminate in un'area ben definita, conducevano una vita isolata per riunirsi in occasione delle funzioni religiose comunitarie. Esempio significativo di quest'ultimo tipo sono gli insediamenti nella zona dei Kellía, nel Basso Egitto, a O del delta del Nilo, dove, a partire dalla fine del sec. 4°, ma con uno straordinario incremento nel corso dei secc. 6° e 7°, si sviluppò un grande insediamento monastico, di cui si contano oggi più di millecinquecento ruderi, ripartiti grosso modo in cinque agglomerati su un'estensione di km2 16 circa. Le particolari condizioni climatiche hanno consentito la conservazione di molti degli edifici conventuali, fabbricati in modo standardizzato da maestranze specializzate. Le opere erano realizzate in mattone crudo con inserti di ceramica, elementi utili per la datazione dei vari insediamenti, che si sviluppano da un'unità base, in cui la cella dell'eremita è divisa in due ambienti, oratorio e camera residenziale, fino a nuclei più elaborati, concepiti per la convivenza di due eremiti, un anziano e un giovane, con muro di cinta, piccola corte interna, spazio per i servizi, vestibolo per i visitatori, talvolta decorato con pitture murali, e oratorio. Le chiese congregazionali, a pianta basilicale con colonnato a U e santuario tripartito, attestate a partire dalla metà del sec. 5°, si moltiplicarono durante i secc. 6° e 7° in molti agglomerati, come Quṣūr al-Izayla, in coincidenza con il momento di maggior sviluppo dei Kellía, per decadere quindi dalla metà dell'8° secolo.Il sistema della lavra si diffuse in maniera significativa anche in un'altra regione a forte vocazione eremitica: il deserto della Giudea, tra Gerusalemme e Gerico, ricco di tante memorie evangeliche, che vide la nascita, già dal sec. 4°, di un grande numero di monasteri. Sono note l'importanza, la religiosità e la coesione reciproca di queste fondazioni, molte delle quali si debbono all'attività di s. Saba, che, personalmente o per mezzo dei propri discepoli, stabilì tra i secc. 5° e 6° numerosi cenobi e lavre nel deserto e ostelli per monaci nelle maggiori città. Tra i tanti, va ricordata almeno la Nea Lavra, fondata da s. Saba nel 507 sul fianco nord del monte Nahal Secacah e costituita da un grande insediamento distribuito su tre livelli lungo il declivio: in alto un muro di cinta turrito, cisterne e varie strutture; al centro altre cisterne, grotte naturali (tra cui quella trasformata da s. Saba in cappella), una chiesa e locali di servizio; in basso una porta d'ingresso, giardini e una zona abitativa. Alcuni anni prima era stata fondata la Grande Lavra sulle pendici del Cedron, composta da un nucleo monumentale corrispondente grosso modo al m. attuale, attorno al quale gravitava una serie di eremitaggi collegati tra loro da una rete di sentieri. Un altro insediamento, recentemente individuato grazie a scavi di salvataggio a Ma'ale Addummin, sulla strada Gerusalemme-Gerico, è particolarmente interessante: il grande complesso recuperato, articolato in una struttura monastica, una corte aperta e un ospizio per pellegrini, è stato identificato con il m. di Martirio, fondato alla metà del sec. 5° dal futuro patriarca di Gerusalemme e ampliato in due riprese alla fine del secolo e nella seconda metà del 6°; a quest'ultima fase vanno ascritte sia la costruzione dello xenodochio, sia la creazione, al centro del lato ovest del sito, di un impianto termale a uso interno della comunità, sia infine l'estesa e sontuosa decorazione musiva della chiesa comunitaria, di alcune cappelle e di un imponente refettorio, costituito da un ambiente a pianta basilicale su cui si affacciava un piano rialzato sopra la cucina.L'ammirazione suscitata dall'esempio religioso degli asceti propiziò il sorgere, tra i secc. 5° e 6°, nelle regioni siro-anatoliche, di alcuni imponenti santuari taumaturgici, nell'ambito dei quali comunità di monaci accoglievano i fedeli e garantivano la continuità e l'espansione del culto. Particolarmente noti sono i santuari dedicati a s. Simeone Stilita il Vecchio e a s. Simeone Stilita il Giovane. Il primo sorse nella seconda metà del sec. 5° a Qal'at Sim'ān, intorno alla colonna dove per più di quarant'anni aveva vissuto il santo. Il santuario è costituito da quattro corpi basilicali che si staccano da un ottagono centrale, scoperto, dove rimangono i resti della colonna; a S-E di questo nucleo si sviluppavano gli edifici monastici con dormitori che raggiungevano un'altezza di tre piani, un grande battistero ottagonale, ospizi per pellegrini e, ai piedi della collina, altri m. e alloggi per fedeli. Che una delle funzioni di questi complessi fosse anche l'evangelizzazione di neofiti è dimostrato dalla presenza di grandi battisteri concepiti per riti di massa, come avveniva anche nella regione del Ṭūr ῾Abdīn (Turchia sudorientale), in particolare nel m. di Qartmin, profondamente ristrutturato in epoca anastasiana, o in quello di Mār Abraham e Mār Abel a Midyat. L'altro grande complesso sul Saman Dăg presso Antiochia - l'antico Mons Admirabilis -, realizzato tra il 541 e il 565 intorno alla colonna dell'ascesi di s. Simeone Stilita il Giovane, riprende l'impianto generale di Qal'at Sim'ān e comprendeva anch'esso numerosi edifici religiosi insieme a strutture di servizio, come la cucina e il refettorio, collocati nell'area sudoccidentale, e alcune cisterne e un nucleo cimiteriale posti a breve distanza dall'insediamento. A questo genere di m.-santuari può essere associato anche il complesso di Alahan in Isauria - identificato da alcuni studiosi con il m. di Apadnas citato da Procopio di Cesarea (De Aed., V, 9, 33) - nato attorno a un primitivo insediamento in roccia e sviluppatosi nella seconda metà del sec. 5° con una prima chiesa basilicale, un battistero, una seconda e più grande chiesa a E e altre strutture disposte al margine di una via porticata prospiciente il bordo meridionale dell'altura (Alahan, 1985; Mango, 1991).In alcune aree delle regioni orientali sovente si radicarono consuetudini locali in grado di influire sulla planimetria degli stessi edifici di culto: un esempio è offerto dalle chiese a navata trasversale e santuario tripartito, ritenute da alcuni studiosi tipiche dell'architettura monastica (Fourdrin, 1985), che si trovano nell'area della Siria settentrionale, intorno ad Apamea, e soprattutto nella citata regione del Ṭūr ῾Abdīn, in complessi databili al sec. 6°, quali Mār Gabriel a Qartmin, Deir Za'faran nei pressi di Mardin (chiesa primitiva, attualmente trasformata in battistero; Iacobini, 1988) e Mār Yakub a Salah.Non si deve dimenticare però che il monachesimo ebbe un inserimento assai precoce anche all'interno delle grandi metropoli, quali Alessandria d'Egitto (Wipszycka, 1994) e la stessa Costantinopoli, dove monaci provenienti dalle eparchie orientali fondarono m. già sul volgere del sec. 4°, entro o nelle immediate vicinanze della città, integrandosi prontamente nella vita della capitale con un rapporto dinamico e spesso conflittuale con le autorità civili e religiose, pur mantenendo, per certi versi, costumi e usi propri delle regioni di appartenenza. Questo è quanto inducono a ritenere le fonti, che ricordano la presenza nella metropoli di m. nazionali (siriani, copti) e che, in alcuni casi, sembrano alludere a strutture particolari, come il m. a tre piani, con camera sepolcrale in basso e chiese invernale ed estiva in alto, descritto in un passo della Vita sanctae Matronae, molto vicino agli xenodochi di tradizione siriana, edifici tuttora attestati nel massiccio calcareo del Belus.La congerie di usi diversi e l'eccessiva autonomia giuridica e religiosa acquisita dai m. nei primi secoli della loro vita resero però necessario l'intervento legislativo di Giustiniano, il quale, in alcune Novellae (5, 1; 7, 12; 133, 5), riprendendo precedenti pronunciamenti sinodali, impose limiti e restrizioni nel regime di vita delle comunità e pretese da queste il pieno riconoscimento dell'autorità episcopale e patriarcale. In ragione di queste risoluzioni, sono rari gli interventi di Giustiniano a favore di m.: dello stesso complesso di S. Caterina sul monte Sinai, la più celebre tra le fondazioni monastiche giustinianee - di cui si conservano nello stato originario la chiesa con gli splendidi mosaici, parte delle mura di cinta e una struttura di accoglienza per i visitatori articolata in due ambienti, trasformata in moschea nel sec. 11° -, Procopio (De Aed., V, 8, 4-6) rimarca principalmente la sua funzione di controllo nell'ambito del limes orientale, trascurando l'importante memoria del roveto ardente ivi venerata, che fu meta di ininterrotti pellegrinaggi per tutto il Medioevo. È evidente del resto l'importanza delle strutture difensive per m. situati in aree esposte a pericoli, come dimostrano i resti del complesso di S. Simeone ad Assuan (eretto intorno al sec. 6°, ricostruito nel 10° e definitivamente abbandonato nel corso del 12°), in cui gli alloggi dei monaci erano situati in un torrione all'interno della cinta muraria (Monneret de Villard, 1927).La regolamentazione giustinianea non pose comunque un freno alla diffusione dei m.: senza peraltro scomparire dalle regioni conquistate dagli Arabi, il monachesimo bizantino acquisì particolare favore nelle regioni anatoliche e balcaniche, che costituirono, con alterne vicende, il nucleo dell'impero fino al termine della sua storia.Un esempio di questa fase di passaggio dal monachesimo orientale protobizantino a quello greco-anatolico delle età successive è fornito dal santuario, non più esistente, sorto a Sykeon in Galazia (Turchia centrale) tra la fine del sec. 6° e gli inizi del 7°, intorno ai luoghi di ascesi di s. Teodoro. Dall'esame delle informazioni fornite dalla Vita Theodori, scritta dal monaco Giorgio subito dopo la morte del santo, è infatti possibile ricostruire la rete di m. ed edifici di culto, dedicati a s. Giorgio, s. Cristoforo (m. femminile) e alla Theotókos, differenziati per funzioni e destinazioni d'uso che ne componevano l'articolata struttura.Il maggior prestigio e la più alta autorità morale dei monaci nei confronti del clero furono sanciti in maniera definitiva e netta dall'epilogo delle lotte iconoclaste, nel corso delle quali i primi si dimostrarono i più fermi oppositori della politica sostenuta dall'imperatore e dalla gerarchia ecclesiastica che al volere di questi si era piegata. A cavallo tra i secc. 8° e 9° assunse particolare rilievo la Bitinia, regione dell'Anatolia posta a non grande distanza dalla capitale, dove influenti famiglie costantinopolitane contribuirono alla fondazione e allo sviluppo di numerosi m. dislocati sulle pendici dell'Olimpo di Misia (od. Ulu Dağ) e nelle zone pianeggianti prospicienti il mar di Marmara. Al pari di altri 'monti santi' del monachesimo bizantino (monte Latmos, presso Mileto, e monte Galesio, presso Efeso, in auge rispettivamente nei secc. 10° e 11°) dei ca. cinquanta m. di Bitinia, dove vissero, nel corso del sec. 8°, i ss. Platone, Teodoro Studita e Pietro d'Atroa, non restano oggi che poche vestigia, relative soprattutto a edifici di culto rimasti isolati dal contesto residenziale e produttivo d'origine. Si tratta di alcune chiese a croce greca inscritta conservate a Triliye, Pelekete e presso Kurşunlu, dove i resti rinvenuti sono stati attribuiti al m. di Megas Agros, nel cui scriptorium il monaco Teofane il Confessore compose entro l'814 la sua Chronographia (Mango, Sevčenko, 1973).Molti monaci della Bitinia furono anche personaggi preminenti nella vita politica e religiosa di Costantinopoli: il più celebre fu Teodoro, già igumeno del m. di Sakkudion, che nel 798 si stabilì a Costantinopoli nell'antico m. di S. Giovanni di Studios. La riforma dell'organizzazione monastica segnò il netto prevalere delle formule cenobitiche, con le quali venivano abbandonate le forme esasperate di ascetismo ed erano esaltati invece il ruolo della disciplina interna e il lavoro materiale e intellettuale dei monaci. Tale riforma incontrò il favore generale e i suoi dettami vennero ripresi largamente negli statuti (typiká) di molti m. fondati a partire dal 9° secolo. Dalle opere di Teodoro non è possibile trarre indicazioni precise circa l'organizzazione architettonica dei m. mediobizantini, anche se l'attenzione particolare posta sulle attività lavorative e la vita comunitaria dovettero portare a una maggiore elaborazione degli spazi abitativi e funzionali.Purtroppo per molte importanti fondazioni del periodo i dati disponibili si limitano a citazioni, spesso laconiche, nelle fonti, o alla conservazione dei soli katholiká (chiese principali) di importanti complessi: tale è il caso di due celebri monumenti costantinopolitani quali il m. fondato nel 907 dal patrizio Costantino Lips e il Myrelaion, eretto nel 920 ca. da Romano Lecapeno all'interno della propria residenza. Al di fuori della capitale si possono ricordare alcuni m. fondati in Grecia sul volgere del sec. 9°, come quello di S. Andrea a Peristerai (presso Tessalonica) e quello della Dormizione della Vergine a Skripu (Orchomenos, in Beozia). Qualcosa di più è possibile sapere sui m. della Bulgaria, grazie ad alcuni scavi condotti a Pliska e a Preslav che hanno fatto luce sulle più antiche fondazioni sorte tra i secc. 9° e 10° sotto il diretto patrocinio dei regnanti locali e per l'opera di apostolato dei monaci bizantini, primi fra tutti Cirillo e Metodio. Notevole in questi m. è la presenza sia di spaziosi edifici rettangolari che, in base ai materiali rinvenuti, dovevano ospitare scriptoria e scuole per la diffusione di testi sacri in paleoslavo (m. presso la grande basilica di Pliska; m. di Manastira a N del palazzo di Preslav), sia di unità residenziali monumentali improntate al cerimoniale di corte bizantino (palazzo dell'arcivescovo direttamente collegato alla basilica di Pliska), sia infine di officine e laboratori per la produzione di ceramiche invetriate, l'intaglio di osso e avorio, la lavorazione di vetri e smalti, come nei m. di Patlejna e Tuzlalŭka, presso Preslav, e in quello di Manastira (Totev, 1987).A partire dal sec. 10° si intensificò l'iniziativa di committenti privati che, unendo aspirazioni spirituali e interessi materiali, erigevano a proprie spese nuovi m. o si prendevano cura di complessi già esistenti, restaurandone le strutture fatiscenti e dotandoli di proprietà fondiarie e altre forme di rendita. Questo sistema, noto con il nome di charistiké, nacque con lo scopo di assicurare sostegno economico a fondazioni religiose cui l'amministrazione ecclesiastica non era in grado di provvedere, ma spesso esponeva i m. all'arbitrio dei proprietari laici, i quali erano liberi di sfruttare a proprio piacimento le risorse dell'immobile e influire liberamente sull'organizzazione interna della comunità. Contro simili abusi si levarono vibrate proteste da parte di rappresentanti delle comunità monastiche o della gerarchia ecclesiastica, così come contro il dilagare delle fondazioni di m. privati, che sottraevano proprietà fondiarie al controllo della pubblica amministrazione, intervennero alcuni imperatori (Niceforo II Foca, 963-969; Manuele I Comneno, 1143-1180) con disposizioni volte a frenare l'ampliarsi indiscriminato dei loro possedimenti.Al contrario della Bitinia, la Cappadocia ha conservato una quanto mai ricca messe di monumenti, vestigia di un monachesimo strettamente locale, che non ha lasciato notizia di sé se non nelle rare iscrizioni dei committenti. Concentrati prevalentemente nella zona attorno a Ürgüp e nella valle di Peristrema, i complessi religiosi scavati nella tenera roccia vulcanica si diffusero particolarmente dal sec. 9° fino alla metà del sec. 11°, in coincidenza con il periodo di maggior predominio bizantino in Anatolia. Un recente studio (Rodley, 1985), dedicato alle strutture architettoniche monasteriali della regione, ha evidenziato la presenza di due tipologie di insediamenti sviluppatesi per soddisfare esigenze e funzioni differenziate. In quella chiamata 'a corte' (Hallaç, Soğanlı Han, Eski Gümüş), una chiesa, una sala di riunione e altri ambienti di non sempre facile identificazione si dispongono su tre lati di un cortile; la presenza di una comunità limitata di monaci, alloggiati in dormitori comuni piuttosto che in celle e di camere tombali per sepolture privilegiate farebbe pensare a m. destinati a ufficio memoriale in onore del fondatore. Nel secondo tipo, detto 'a refettorio' (Yusuf Koç Kilisesi), è proprio questa struttura, capace di accogliere anche trenta-quaranta individui, a essere la più imponente, mentre gli ambienti di servizio sono pochi, i dormitori ricavati in rozze cavità, le sepolture, poste nel nartece della chiesa, numerose ma non elaborate. Per la loro prossimità a chiese di particolare importanza, come Tokalı Kilise, questi complessi potrebbero essere stati invece sede di comunità di monaci adibiti alla custodia di siti venerati e alla ricezione di pellegrini. Va comunque ricordato che funzioni e destinazione d'uso delle architetture scavate nella roccia sono spesso di ambigua lettura e resta quindi aperta la possibilità che alcuni insediamenti cappadoci siano laici piuttosto che religiosi, come per es. Çanlı Kilise (Ousterhout, 1996). Un'incertezza ancora più grande regna per altri insediamenti rupestri, come Ayazın in Frigia o il santuario di Midye in Tracia, interessante complesso di discussa datazione (secc. 6°-9°), comprendente una chiesa, un haghíasma (fonte consacrata) e una grande camera mortuaria, ma apparentemente privo di ambienti residenziali (Eyce, Thierry, 1970).È comunque a Costantinopoli, nelle zone limitrofe e nella penisola balcanica che in maggior misura sono attestate fondazioni monasteriali di epoca mediobizantina. Nella capitale numerosi m. vennero eretti all'epoca dei Comneni (1081-1185), direttamente da membri della famiglia regnante oppure da committenti privati sostenuti dagli imperatori. Analogamente a quanto già visto per le fondazioni di età macedone, accade che per monumenti di straordinaria importanza storica e religiosa - come il m. della Theotokos Euerghetes, fondato dal monaco Paolo nel 1049 e ampliato in seguito dall'igumeno Timoteo - si conservino copiose notizie dalle fonti ma nessuna documentazione archeologica e nessun indizio dell'esatta ubicazione topografica. Per altri m. restano i soli edifici di culto trasformati in moschee dagli ottomani, mentre il tessuto insediativo circostante è scomparso, come il m. di Cristo Pantepoptes (od. Eski Imaret Cami), eretto alla fine dell'11° secolo. In altri casi rimane la testimonianza, diretta o mediata dalle fonti, di un eclatante fulgore artistico esibito dalla decorazione degli edifici di culto e dalla conservazione di lussuosi codici miniati prodotti negli scriptoria monasteriali, tra i quali sono celebri soprattutto quelli di S. Giovanni di Studios e del m. delle Blacherne. Estremamente preziosi si rivelano quindi i typiká, regolamenti amministrativi e liturgici che, in molti casi, indicano per lo meno la presenza, se non la disposizione, di strutture e ambienti pertinenti al complesso: di particolare interesse è il Typikón del m. del Pantokrator (od. Zeyrek Kilise Cami), fondato da Irene Comnena e completato dal marito Giovanni II (1118-1143), di cui restano oggi le tre chiese affiancate, erette su sostruzioni inglobanti cisterne. Secondo lo statuto di fondazione, su una vasta area monasteriale dovevano trovarsi alloggi per ca. ottanta monaci, uno xenodochio, un ospedale con cinquanta posti letto articolato in cinque diversi padiglioni, una scuola di medicina e ben due impianti termali.In Grecia, il centro monastico in assoluto più importante fu il monte Athos, nella penisola calcidica, dove l'arrivo di s. Atanasio (925 ca.-1001) infuse nuovo slancio a un monachesimo di tipo eremitico già attestato sulle pendici del monte. Atanasio, nonostante l'opposizione dei monaci più tradizionalisti, orientò l'organizzazione delle comunità atonite verso modelli di ordinamento liturgico e amministrativo più moderni e questo indirizzo influì anche sull'impianto architettonico degli insediamenti. Lo sfruttamento intensivo delle risorse agricole delle proprietà fondiarie appartenenti ai m. richiese infatti la creazione di determinate infrastrutture, come canalizzazioni, acquedotti, installazioni di tipo industriale, note solo dalle fonti. La riflessione sul rituale liturgico di ascendenza studita portò poi all'elaborazione di particolari varianti nello schema dell'edificio di culto: secondo studi recenti (Mylonas, 1984; 1990), la pianta del katholikón della Grande Lavra, partendo dal suo nucleo originario a semplice croce inscritta (963), si arricchì agli inizi del sec. 11° delle due absidi laterali per i cori dei monaci (chorostasía), riprese quasi contemporaneamente nel katholikón di Iviron e, poco dopo, in quello di Vatopedi. Con l'aggiunta delle cappelle funerarie laterali (parekklésia) e l'ampliamento del nartece (lité), la Grande Lavra si impose come il modello caratteristico del katholikón atonita adottato in numerosi m. di età tardobizantina (Chiliandari) e postbizantina entro e al di fuori della montagna sacra (chiesa del profeta Elia a Tessalonica). Anche l'impianto complessivo del m. cominciò ad assumere un aspetto più omogeneo: un possente muro di cinta, con torri e bastioni, delimitava il perimetro del m., rettangolare o di altra forma a seconda della conformazione del terreno; addossati alla cortina interna del muro di cinta si disponevano i dormitori dei monaci e gli ambienti di servizio, mentre al centro della corte, isolato dal resto degli edifici, sorgeva il katholikón, che quasi sempre era correlato al refettorio (trápeza) poiché la funzione liturgica terminava con il pasto comune dei monaci.In molti casi, la fisionomia di questi insediamenti è stata profondamente alterata da ricostruzioni e ampliamenti di età moderna, che però per alcuni aspetti riprendono probabilmente soluzioni distributive e architettoniche di epoca mediobizantina. Importante sotto questo aspetto è il recente studio di un documento (Athos, Iviron; Giros, 1992) che fornisce un elenco delle proprietà appartenenti nel 1104 al m. di Iviron. Nella dettagliatissima descrizione degli edifici conventuali sorprendono in particolare alcuni dati, come il consistente numero di strutture costruite con l'impiego di soli mattoni - tecnica ritenuta esclusiva di pochi monumenti costantinopolitani (Myrelaion) o tessalonicesi (Panaghia ton Chalkeon) -, nonché la diffusione di un tipo di copertura a falsa cupola, detta 'a sorbo', attestata particolarmente per chiese e celle monasteriali atonite di epoca postbizantina.Molti m. greci dei secc. 11° e 12°, specialmente nell'ambito dell'Attica, della Beozia e delle isole, seguirono nell'impianto generale un modello analogo, ma non adottarono la pianta del katholikón atonita, riprendendo invece lo schema a croce inscritta o a cupola su trombe angolari. Il più importante complesso è senz'altro quello di Hosios Lukas nella Focide, sorto sul luogo dove visse il santo eponimo e sviluppatosi tra la fine del sec. 10° e la prima metà dell'11° fino a comprendere il katholikón con la cripta sottostante, la chiesa della Theotokos, la trápeza, a S della chiesa principale, sul luogo dove sorge quella attuale, e le celle dei monaci, disposte in corpi di fabbrica fino a tre piani di altezza lungo il perimetro murario del complesso. Vanno poi ricordati i m. di Kaisariani e di Dafni, entrambi presso Atene e fondati agli inizi del sec. 12° su insediamenti di epoca protobizantina, e quello di Hosios Meletios sul monte Citerone in Megaride, fondato nel 1081 da Melezio il Giovane e ampliato nel corso del 12° secolo.La fioritura di insediamenti monastici è manifesta anche in altre aree, come a Cipro, dove si segnalano il m. di Haghios Chrysostomos presso Kutsovendi (1092-1103) e il curioso insediamento troglodita di Haghios Neophitos presso Pafo (fine del sec. 12°), disposto su diversi livelli lungo una scoscesa costa rocciosa e costituito da una zona d'ingresso con portale e ambienti di servizio, da una terrazza - dove sono concentrate la chiesa della Santa Croce, comunicante a E con la grotta del santo, la trápeza e altre strutture - e infine, più in alto, dalla cella della Nea Sion, estremo rifugio di Neofito contro l'affollamento del suo eremo.In questo periodo la fiorente tradizione monastica bizantina non mancò di influire anche sullo sviluppo dei m. dell'Italia meridionale e centrale (Barsanti, 1992), soprattutto per quanto riguarda la scelta delle tipologie architettoniche e decorative degli edifici di culto.Sul volgere del sec. 13°, con la conquista di Costantinopoli e l'occupazione franca in Grecia e a Cipro, molte comunità monastiche bizantine dovettero abbandonare le loro fondazioni per essere sostituite dal clero latino; in questo difficile clima la creazione di nuovi m. si perpetuò solo per quelle regioni (Despotato dell'Epiro ad Arta; impero di Nicea) dove ciò era richiesto da precise esigenze di legittimazione dinastica. Nel successivo periodo paleologo, committenti di rango imperiale, aristocratico e anche episcopale si impegnarono a risarcire le fondazioni monastiche spogliate dai latini; si ridusse quindi il numero di nuovi m., mentre molti complessi di epoca comnena venivano restaurati, soprattutto a Costantinopoli e a Tessalonica, con una particolare attenzione per gli spazi funerari di respiro monumentale - per es. costruzione e decorazione musiva e pittorica del parekklésion nel m. di S. Salvatore di Chora a Costantinopoli, degli inizi del sec. 14° -, ma anche per le strutture abitative e assistenziali, come per es. il restauro delle celle per i monaci e la costruzione di un muro di cinta nel m. di S. Giovanni di Studios (seconda metà del sec. 13°).Nella penisola greca il persistere dello stato di frammentazione politica nei secc. 14° e 15° determinò un'alternanza di esiti e sviluppi nella formazione dei m. bizantini. Un centro culturalmente e politicamente legato a Costantinopoli come Mistrà si arricchì, già a partire dalla fine del sec. 13° e fino alla metà del 15°, di nuove fondazioni concentrate in prevalenza nel katochórion (il settore più basso e forse meno inurbato della città), come per es. il m. di Brontochion (1296-1310), complesso articolato in due nuclei attorno alla chiesa cimiteriale dei Ss. Teodori e al katholikón dedicato alla Vergine Odighítria, nel cui recinto trapezoidale si individua il refettorio rettangolare absidato con pareti interne mosse da numerose nicchie, addossato al lato meridionale del complesso. Una particolare cura per la realizzazione architettonica e decorativa degli spazi destinati alla refezione comunitaria è ravvisabile anche in altri monumenti di epoca tardobizantina, come le trápezai di Didymoteichon in Tracia e del m. di Apollonia in Albania.Durante il sec. 14°, mentre sull'Athos i m. tornavano a espandersi e ad arricchirsi con nuove fondazioni (m. del Pantokrator, 1357; m. di Dionisio, terzo quarto del sec. 14°) dopo la crisi generata dalla lotta alla politica unionista di Michele VIII Paleologo (1259-1282), in Tessaglia sui giganteschi ammassi rocciosi delle Meteore venivano fondati i primi insediamenti che diedero vita a una complessa organizzazione monastica, estremamente fiorente in epoca postbizantina, di cui si conservano sette m. principali. Grandi patroni di questa nuova federazione monastica, che intenzionalmente emulava quella dell'Athos, furono i nuovi dinasti serbi, i quali si erano ritagliati un centro di potere nel cuore della Grecia e, anche nei territori balcanici di loro appartenenza, a legittimazione del proprio rango, promuovevano fondazioni monastiche (m. di Mileševa, sec. 13°; m. di Sopočani, sec. 13°) che, sia nella decorazione degli edifici di culto sia nella distribuzione degli ambienti funzionali e di rappresentanza, riprendevano i modelli bizantini, contribuendo a conservare la grande tradizione religiosa e artistica ortodossa nelle regioni dell'Europa orientale anche dopo l'eclissi dell'impero di Costantinopoli.

Bibl.:

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