GRAPPA, MONTE

Enciclopedia Italiana (1933)

GRAPPA, MONTE (A. T., 24-25-26)

Amedeo Tosti

È quella parte delle Prealpi Venete che si eleva tra la Brenta e il Cismon a ovest, il Piave a est, il solco vallivo di Arten, in parte occupato dal torrente Stizzone, a nord, la Pianura Veneta a sud, e che prende il nome dalla più elevata delle cime (m. 1776). Il Grappa copre un'area press'a poco ellittica con l'asse maggiore, da SO. a NE., di 28 km., e l'asse minore, da E. a O., di 23 km. Da Cima Grappa si dipartono a raggiera varî contrafforti, dei quali quelli diretti verso nord sono notevolmente più lunghi di quelli che si dirigono a sud; ne consegue che il declivio meridionale è più ripido, nell'insieme, di quello settentrionale.

Il Grappa chiude a SO. il vallone sinclinale bellunese e corrisponde a una anticlinale che verso S., con un brusco piegamento a ginocchio, scende a immergersi nella pianura. Gli strati che formano l'anticlinale sono mesozoici, calcarei e dolomitici, e perciò non vi mancano solchi carsici e buche assorbenti. Il gruppo s'innalza ripido sulla pianura e con forme aspre, tormentate, fino a 800-1200 m.; verso queste altezze le forme si fanno più dolci, e il gruppo assume l'aspetto d'un altipiano, sul quale sorgono le varie cime, dalle forme tondeggianti, collinari. Il Grappa è povero d'acqua potabile e ha scarsissime risorse economiche, le quali provengono quasi esclusivamente dall'allevamento del bestiame.

Operazioni di guerra nel 1917-18. - Fin dal tempo di pace lo Stato Maggiore italiano aveva considerato l'importanza del Grappa, quale caposaldo della difesa sulla destra del Piave. All'epoca, poi, dell'offensiva austriaca nel Trentino (maggio-giugno 1916) il gen. Cadorna, considerando il caso che le armate dell'Isonzo, della Carnia e del Cadore fossero costrette a ripiegare sulla linea del Piave, assegnò al Grappa una funzione preminente, quale appoggio d'ala montana. Sul finire del 1916, anzi, ordinò che vi fossero compiuti alcuni lavori più urgenti, per rendere il Grappa idoneo ad assolvere i compiti assegnatigli in caso di bisogno. Questa eventualità si avverò dopo la rottura della fronte Giulia (ottobre-novembre '17) e il Grappa si trovò, infatti, a diventare il nodo di sutura tra la linea montana e quella del Piave e il pilastro principale della difesa italiana. I lavori, però, che sino allora vi si erano compiuti, erano assolutamente insufficienti per le funzioni vitali che la posizione veniva improvvisamente ad assumere, sotto la pressione imminente di forti masse avversarie, decise a sboccare in piano; null'altro che una camionabile da Romano Alto alla vetta del Grappa (q. 1776), larga tre m., un paio di teleferiche e un piccolo impianto idrico. Mancavano trincee, camminamenti, ricoveri, postazioni per artiglierie e mitragliatrici: la prima difesa del monte fu affidata essenzialmente al valore delle truppe.

L'onore della prima difesa del Grappa toccò alle tre divisioni del XVIII corpo d'armata (gen. Tettoni) e alla 17ª divisione del IX corpo (gen. Ruggeri Laderchi); le prime truppe, cioè, della 4ª armata (gen. Di Robilant) che giunsero nella zona del Grappa, ripiegando dal Cadore. A ritirata compiuta, l'armata stessa ebbe il compito di difendere l'intera zona dalla Brenta a Nervesa, con i suoi tre corpi d'armata, così schierati: XVIII nella zona occidentale del Grappa; IX nell'orientale, fino a Rivasecca; I (gen. Piacentini) lungo il Piave (da Rivasecca a Nervesa). Da parte avversaria, incaricato dell'attacco diretto al Grappa era il gruppo comandato dal generale austriaco Krauss, forte inizialmente di otto divisioni austro-tedesche, salite durante lo svolgersi della lotta a tredici.

Con i primi attacchi sferrati contro le posizioni avanzate italiane del Grappa il 13 novembre, il nemico otteneva di fare sgomberare, dopo due giorni di cruenta resistenza, i contrafforti settentrionali (m. Roncone e monte Tomatico), e poi, il 17, le posizioni retrostanti di m. Prassolan e monte Cornella. Procedeva quindi all'attacco del monte Pertica, posizione di capitale importanza, poiché copriva la sbarra meridionale Grappa - Monte Coston - Asolone, e nonostante gli sforzi disperati dei difensori, durati ben cinque giorni, riusciva, il giorno 23, a rendersene padrone. Parimenti accanita infuriava la lotta al centro, ove il giorno 21 l'avversario poté impadronirsi del monte Fontanasecca; ma sullo Spinoncia tutti gli attacchi s'infransero contro la saldezza degli alpini; sulla destra il nemico, espugnato il saliente del Monfenera nella giornata del 18, con successivi, poderosi attacchi estese la sua occupazione fino alla sommità del Tomba (22 nov.).

Dopo una breve pausa, il giorno 25 dense masse avversarie rinnovarono l'attacco alle posizioni italiane dal Pertica al Monfenera, ma, salvo qualche piccolo vantaggio locale, toccarono ovunque uno scacco sanguinosissimo, tale da indurre il comando austriaco a desistere da ulteriori tentativi di raggiungere, da quella parte, la sommità del Grappa. Tentò allora di aprirsi la strada sulla nostra sinistra, ove il giorno 22 novembre era entrato in linea il XXVII corpo (gen. Di Giorgio), ma anche qui, il giorno 26, toccava un nuovo, cruento insuccesso sulle posizioni di Col della Berretta. Durante questi attacchi le divisioni franco-inglesi, giunte in Italia dopo Caporetto, rimasero di riserva, lontane dalla linea del fuoco.

Per alcuni giorni i tentativi avversarî ebbero una sosta; l'11 dicembre, con rinnovata furia, grosse unità austriache e tedesche si gettavano sulle trincee italiane dallo Spinoncia al Col Caprile, già frantumate da un poderoso bombardamento. Per qualche ora la situazione parve, ed era, gravissima; lo Spinoncia, il Col della Berretta perduti; la fronte Valderoa - testata di Val Calcino - Porte di Salton premuta da forze assolutamente soverchianti. Ovunque, però, veniva opposta dagl'Italiani la resistenza più disperata ed eroica; il 14 cadeva il Col Caprile, il 16 l'Asolone; eppure il nemico dovette accorgersi che la via alla vetta del Grappa era preclusa. Dopo altri dieci giorni di vani colpi d'ariete, il gen. Krauss rinunciò alla lotta.

Durante l'inverno e la primavera, le truppe della 4ª armata (nel cui comando al generale Di Robilant successe, il 17 febbraio 1918, il generale Morrone e quindi, dal 26 aprile alla fine della guerra, il generale Giardino) attesero alacremente al rafforzamento delle posizioni e al perfezionamento di tutta l'organizzazione italiana, nella sicurezza che il nemico avrebbe ritentato di aprirsi il varco per le valli della Brenta e del Piave. Il nuovo attacco, di sole truppe austriache questa volta, venne il mattino del 15 giugno '18, contemporaneamente all'inizio della grande offensiva austriaca sugli Altipiani e sul Piave. La 4ª armata era così schierata: IX corpo d'armata (generale De Bono) da Col del Miglio all'Asolone; VI corpo (generale Lombardi) dall'Asolone (escluso) alla val dei Lebi; XVIII corpo (gen. Basso) di qui al Tomba escluso; I corpo (gen. Piacentini) fra il Tomba e il Piave. Da parte austriaca, l'attacco era condotto dall'11ª armata (gen. Scheushenstuel).

Dopo una poderosa azione d'artiglieria le fanterie austro-ungariche balzarono in avanti su tutta la fronte, con l'intento di aggirare sui fianchi la quota massima del Grappa, attaccando le posizioni ad est e ad ovest di questa. Sulla sinistra italiana, infatti, travolte rapidamente le difese di Col del Miglio, gli Austriaci occuparono il Col Fenilon, isolarono il Col Moschin e raggiunsero il Fagheron; più a destra, però, nella zona dell'Asolone la pressione avversaria fu validamente contenuta. Nel settore orientale la parte settentrionale del saliente del Solarolo cadde in possesso dell'avversario, ma l'irruzione nemica anche qui fu arginata alle testate di Val Stizzone e Val Calcino. Anche nella zona fra Tomba e Monfenera ogni tentativo di attacco nemico fu prontamente e rapidamente infranto.

Nella giornata stessa del 15 le truppe della valorosa armata del Grappa passarono al contrattacco. Il IX corpo d'armata lanciava avanti il suo IX reparto d'assalto che coadiuvato da reparti della brigata Basilicata, rioccupava il Col Fagheron, il Fenilon. e il mattino seguente il Col Moschin; al centro il VI reparto d'assalto e la brigata Pesaro ritoglievano al nemico le posizioni tra il M. Coston e l'Asolone e quelle tra il Pertica e il Grappa. Ad est le Porte di Salton (brigata Emilia), per poco perdute, ritornavano, dopo epica lotta, in mano degl'Italiani. Nella sera del 15 giugno la battaglia del Grappa poteva dirsi decisa in loro favore; nei giorni seguenti le truppe italiane riprendevano l'iniziativa, riguadagnando altro terreno, il 2 luglio anche il Col del Miglio tornava in loro possesso.

Venne alfine l'ora della riscossa finale. Il 24 ottobre 1918, giorno anniversario di Caporetto, fu dato dal Comando supremo italiano il segnale dell'offensiva che doveva decidere la guerra. Tre nostri corpi d'armata presidiavano il monte Grappa: il IX (gen. De Bono) da Rocce Anzini a quota 1490, a sud di Casone col delle Farine; il VI (gen. Lombardi) da q. 1490 a val dei Lebi; il XXX (gen. Montanari) da Val dei Lebi al Tomba. Di fronte a queste unità italiane era schierato il gruppo d'armata di Belluno (generale von Goglia) su tre corpi d'armata. L'attacco fu iniziato alle ore sei, e subito la resistenza avversaria si rivelò ovunque accanitissima. Nella zona del IX corpo la brigata Bari occupò di slancio l'Asolone e la brigata Basilicata si spinse fino alle posizioni antistanti Col Caprile, ma il nemico, imperversando col fuoco di numerosissime mitragliatrici e contrattaccando, riusciva a impedire alla Basilicata di penetrare nelle sue linee e costringeva la Bari ad abbandonare l'Asolone; parimenti la brigata Pesaro, che nella zona del VI corpo si era impadronita della cima del Pertica, e il XXIII reparto d'assalto, che era riuscito a porre piede sulla quota 1484 del Prassolan, furono costretti a ripiegare. Sulla destra, invece, mentre la brigata Lombardia attanagliava il Solarolo, la brigata Aosta s'impadroniva del Monte Valderoa e l'oltrepassava, catturando circa 400 prigionieri.

Non essendo stato possibile, intanto, effettuare il passaggio del Piave, fissato per la sera stessa del 24, ed essendosi dovuto, anzi rimandarlo alla sera del 26, la 4ª armata si trovò a dover sostenere da sola tutto il peso della battaglia per altri due giorni ancora. Il mattino del 25, dopo una nuova preparazione d'artiglieria, le valorose truppe del Grappa tornarono decisamente all'assalto dei capisaldi della resistenza austriaca: l'Asolone, il Pertica, il Solarolo. Il IX reparto d'assalto, insieme con reparti della brigata Bari, espugnate le trincee dell'Asolone, si gettava verso il Col della Berretta, piombando nelle trincee di quota 1487 e catturando circa 600 prigionieri; ma il nemico, riavutosi della sorpresa, contrattaccava da ogni parte, minacciando di aggiramento gli arditi, che riuscirono a stento ad aprirsi un varco per ripiegare. Mantenuta fu invece, nonostante l'ostinata insistenza dei contrattacchi avversarî, la cima del Pertica, conquistata dopo alcune ore di durissima lotta dal XVIII reparto d'assalto e da reparti della brigata Pesaro. Sulla destra del Pertica fu compiuto qualche progresso verso il Col di Cuc e le Porte di Salton, ma tutti gli sforzi di fanti e alpini verso le nude pareti del Solarolo riuscirono vani. Il nemico si batteva ancora con l'usato valore, e i capi vivificavano e portavano all'estremo la loro volontà di non cedere, gettando sempre nuove forze nel crogiolo della battaglia.

Il giorno 26 la lotta si riaccese con rinnovata violenza attorno all'Asolone, all'Osteria del Forcelletto e al Solarolo, ma il nemico riuscì a mantenere ancora le sue posizioni. Il mattino del 27, anzi, passò decisamente al contrattacco contro il Pertica e il Valderoa; otto volte le ondate avversarie tentarono di sommergere la vetta del Pertica e la mischia fluttuò indecisa per oltre sei ore attorno ad essa; ma alla fine il nemico venne ricacciato, con perdite molto gravi. Il Valderoa, benché magnificamente difeso dalla brigata Aosta e dal battaglione alpini Aosta, estremamente ridotti dalle perdite di tanti giorni di lotta sanguinosa, ricadde in mano degli Austriaci. Gl'Italiani rimanevano aggrappati alle pendici del monte.

Ulteriori tentativi di contrattacchi avversarî, il giorno 28, vennero prontamente stroncati. Tuttavia, non ogni energia era spenta negli Austriaci, nonostante che gl'Italiani avessero passato il Piave nella notte del 27. Il mattino del 29, quattro battaglioni della brigata Calabria e tre reparti d'assalto divisi in tre colonne ritentarono la conquista dell'Asolone e di Col della Berretta. L'azione, condotta con molto vigore, ridiede agl'Italiani il possesso temporaneo dell'Asolone, e il 90° reparto d'assalto si spinse fino a un chilometro circa dal Col della Berretta; ma il vecchio esercito imperiale, prima di frantumarsi per sempre, con un ultimo sforzo disperato li costrinse a ripiegare. Le truppe del Grappa avevano, col loro sacrificio (due terzi delle perdite italiane nell'intera battaglia si ebbero sul Grappa), attratto a sé la massima parte delle riserve austro-ungariche, facilitando così il passaggio del Piave alle armate del piano. Alle ore 13,40 del giorno 29 il comando nemico del gruppo Belluno ordinava la ritirata, e le truppe dell'armata del Grappa, il giorno 31, si lanciavano all'inseguimento, raggiungendo rapidamente il solco Feltre-Fonzaso. Il Grappa era libero per sempre dagli Austriaci.

Bibl.: G. Dal Piaz, Appunti sulla geol. di Belluno e di Treviso, in Boll. della Soc. geol. ital., XLIII (1912): T. Taramelli, Il Massiccio del Grappa, Novara 1918; G. Giardino, Rievoc. e rifless. di guerra, voll. 3, Milano 1929-1930.