CLIFT, Montgomery

Enciclopedia del Cinema (2003)

Clift, Montgomery (propr. Edward Montgomery)

Valerio Caprara

Attore cinematografico statunitense, nato a Omaha (Nebraska) l'11 ottobre 1920 e morto a New York il 23 luglio 1966. Conquistò il pubblico grazie alla recitazione colta, sensibile e lucidamente moderna, dando vita a una galleria di ambigui antieroi della Hollywood degli anni Cinquanta che gli procurò quattro nominations all'Oscar. Alla provocatoria fisicità degli affini idoli generazionali Marlon Brando e James Dean contrappose, in film come From here to eternity (1953; Da qui all'eternità) di Fred Zinnemann, The young lions (1958; I giovani leoni) di Edward Dmytryk o Suddenly, last summer (1959; Improvvisamente l'estate scorsa) di Joseph L. Mankiewicz, la trasparente fragilità della fisionomia, l'introverso tumulto dei sentimenti e l'angoscia dei complessi di colpa, svolgendo così un ruolo importante nell'evoluzione drammaturgica dell'eroe inquieto e vulnerabile. La sua vita privata, segnata dall'ossessiva presenza materna, dalla nevrosi e dalla sregolatezza, nonché dall'omosessualità vissuta tra scandali e occultamenti secondo il costume del tempo, fu senz'altro una delle ragioni dello strisciante disagio riflesso nei diciassette film di cui fu protagonista: a volte con esiti compiuti e intensi, altre ‒ specie dopo il terribile incidente d'auto che ne sfigurò la magnetica fotogenia ‒ nei limiti di un attonito manierismo.

La chiave della breve vita infelice di Monty (così tutti lo chiamarono sempre) e della sua parabola divistica sta nel sofferto imprinting familiare. Figlio di un dirigente di banca, subì sin da bambino l'influenza della madre, che contribuì a rendere C. estraneo agli atteggiamenti della maggior parte dei suoi coetanei. Dopo aver esordito a tredici anni in una produzione di teatro amatoriale in Florida, in poco tempo, sempre con il sostegno della madre, divenne un protagonista di Broadway, sui cui palcoscenici interpretò pièces innovative, ottenendo successi e segnalazioni dalla critica, nonché dagli addetti ai lavori (come, per es., l'emergente regista Elia Kazan). Tentato a più riprese da Hollywood, si lasciò convincere solo nel 1947 dal veterano Howard Hawks a ricoprire il ruolo di un giovane cowboy che si ribella al tirannico padre adottivo interpretato da John Wayne in Red river (1948; Il fiume rosso). Poco dopo interpretò la parte del sergente yankee Stevenson, che trova in una devastata città tedesca un bambino reduce dai lager e decide di portarlo via con sé, in The search (1948; Odissea tragica) di Zinnemann uscito nelle sale nel marzo del 1948, alcuni mesi prima di Red river e per questo considerato da molti la sua prima apparizione sugli schermi (tra l'altro insignita dalla nomination all'Oscar come miglior attore protagonista). C. diventò una star del cinema esercitando il meglio e il peggio delle proprie attitudini: superbo nella gamma di vulnerabile tenerezza e istintiva dignità profuse nel contesto epico/edipico del western hawksiano, meno convincente nella parte del sergente nel film di Zinnemann. Che si trattasse di un isolato lo dimostrò la sua frustrata adesione all'Actors Studio, conclusasi con il rifiuto del celebre 'metodo' introdotto da Kazan e Lee Strasberg: pur deciso ad affrontare ruoli fuori standard, C. non entrò nello spirito di estremo realismo psicologico e totale identificazione con il personaggio invece confacente ad alcuni suoi colleghi (Brando, Karl Malden ecc.). Il suo carisma aumentò con due film letterari, ambiziosi e superpremiati come The heiress (1949; L'ereditiera) di William Wyler e A place in the sun (1951; Un posto al sole) di George Stevens, apparendo in quest'ultimo ‒ accanto alla giovanissima e bellissima Elizabeth Taylor, con la quale stabilì un intenso rapporto d'amicizia ‒ molto più convincente rispetto alla freddezza esibita nel film di Wyler. In I confess (1953; Io confesso) di Alfred Hitchcock riuscì a esprimersi efficacemente con gli occhi, anche se il taciturno prete che subisce un ingiusto processo per mantenere fede al segreto della confessione non rientra nei migliori ritratti hitchcockiani, mentre la sua aggraziata ancorché impacciata presenza in Stazione Termini (1953) di Vittorio De Sica nulla aggiunge né toglie alla convenzionalità di quel melodramma internazionale. Allo stesso anno risale anche l'uscita di From here to eternity (nuova nomination per C.), in cui diede finalmente il meglio di sé nella parte dell'ex pugile travolto dal vortice di passioni e vessazioni in un comando statunitense di stanza nelle Hawaii alla vigilia dell'attacco giapponese di Pearl Harbor (1941). Il sostanziale insuccesso ottenuto in teatro (1954) con il classico čechoviano Il gabbiano, personalmente adattato con Mira Rostova, onnipresente e invadente maestra di recitazione, segnò un punto di svolta facendo precipitare l'attore nel male di vivere che si era impossessato della sua carriera. Nel corso delle riprese del mediocre Raintree county (1957; L'albero della vita) di Dmytryk, in cui è il maestro idealista attratto dalla funesta 'bellezza del Sud' di Elizabeth Taylor, ebbe un terribile incidente che lo sfigurò in volto così da dover ricorrere alla chirurgia ricostruttiva. L'espressione e l'eleganza dei lineamenti risultarono alterate e irrigidite. Si può far risalire a questa ragione l'aria eccessivamente stordita del timido studente ebreo, eroe antinazista controvoglia nel plateale, stentoreo eppure trascinante melodramma bellico The young lions. Il raffinato Mankiewicz gli confezionò quindi per Suddenly, last summer un ruolo che nel testo originario di T. Williams era solo una figura di contorno: lo psichiatra che salva dalla lobotomia una ragazza rimasta traumatizzata dalla morte in circostanze atroci del cugino (ucciso e mangiato dai ragazzi che egli aveva attirato per soddisfare la sua omosessualità). Il film ottenne un successo inaspettato e l'interpretazione, ricca di chiaroscuri, del divo, mirabile nonostante le ingiuste perplessità della critica, riuscì a far risuonare le drammatiche rivelazioni e le inaudite morbosità del soggetto come eco atterrita dell'inconscio del personaggio. Destinata a sopravvivere al tempo fu anche l'interpretazione di Chuck Glover, rappresentante della Tennessee Valley Authority nel difficile compito di convincere i contadini a lasciare i terreni dove dovrà essere costruita una diga, in Wild river (1960; Fango sulle stelle): una sintesi maestosa e palpitante dei temi peculiari del grande Kazan. Ormai sfinito dai frequenti mancamenti, dalle sregolatezze della sua vita e dall'ostilità delle majors che lo avevano bollato come attore inaffidabile e 'inassicurabile', prese parte a The misfits (1961; Gli spostati) di John Huston: ultimo film di Clark Gable e di Marilyn Monroe, diventò una sorta di testamento dello schermo anche per C., nel film non particolarmen-te bravo, ma partecipe del senso di morte e di sbandamento che pervade gli intellettualistici romanticismi da western contemporaneo. In Judgement at Nuremberg (1961; Vincitori e vinti) di Stanley Kramer, ricostruzione del processo celebratosi nel 1945-46 contro i gerarchi nazisti imputati di crimini di guerra, la nobile verbosità del copione sul tema della Shoah venne riscattata dal virtuosismo del cast: accanto a Spencer Tracy, Burt Lancaster, Maximilian Schell, Richard Widmark, Marlene Dietrich, C. improvvisò un magnifico assolo nella breve apparizione del tedesco sterilizzato perché comunista, destinata a regalargli la quarta nomination all'Oscar. La scelta successiva fu abbastanza eccentrica, interpretare il padre della psicoanalisi in Freud (1962; Freud, passioni segrete), diretto da Huston. Nonostante l'impegno strenuo, il suo precario stato di salute lo portò a una guerra di nervi con il regista: il risultato fu una presenza sonnambolica, incupita dalla folta barba che si era fatto crescere per rappresentare i cinque anni fondamentali della vita di S. Freud e solo a tratti scossa dagli eloquenti bagliori dello sguardo, in un film comunque imperfetto. Successivamente finì con l'accettare la parte di protagonista in L'espion (noto negli Stati Uniti con il titolo The defector, 1966; L'affare Goshenko), una spy story del francese Raoul Lévy, film valutato negativamente dalla critica. La vicenda del fisico statunitense che viene quasi sedotto dalle insinuanti teorie del collega comunista sorregge, invece, con efficacia il leitmotiv del confronto tra due uomini ragionevoli in un mondo governato dalla violenza. Realtà e finzione combaciarono a vantaggio della prova d'attore: smagrito, con le mani tremanti, C. pose coraggiosamente al servizio del thrilling la sua maschera ormai masochistica.

Bibliografia

R. LaGuardia, Monty: a biography of Montgomery Clift, New York 1977; P. Bosworth, Montgomery Clift: a biography, New York 1978; M. Capua, Montgomery Clift. Vincitore e vinto, Torino 2000.

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