MONTICINI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MONTICINI

Rita Zambon

. – Dinastia di ballerini e coreografi. Tra i rappresentanti più significativi, il primo ricordato è Giovanni, del quale non si conoscono le date di nascita e morte. Probabilmente toscano, è segnalato per la prima volta come «figurante» al teatro Cocomero di Firenze nel Carnevale 1777; nove anni dopo fu terzo ballerino a Siena, teatro degli Intronati, e l’anno successivo si esibì a Parma nella stagione di primavera in qualità di primo mezzo carattere: da quel momento danzò in ruoli da protagonista con i coreografi che fondarono la Scuola italiana di ballo pantomimo: Giuseppe Traffieri, Eusebio Luzzi, Domenico Ricciardi. Nell’estate 1789, al teatro Dolfin di Treviso, incontrò Teresa Marzorati che sposò entro il successivo autunno e con la quale formò una quotata coppia di primi ballerini. Nel 1790 iniziò l’attività di coreografo al teatro Balbi di Mestre, di cui fu anche impresario; la sua produzione, ininterrotta fino al 1819, coprì tutti i grandi teatri e comprende una sessantina di titoli tra balli storici e di mezzo carattere. Si esibì anche in Spagna, tra il 1795 e il 1797. Fra i lavori di maggior successo: La fata Urgella (Milano, teatro alla Scala, 1793), Eloisa e Wajson o siano Gli avvenimenti fortunati (Venezia, teatro S. Benedetto, 1798), Matilde o La donna selvaggia (ibid., 1800, basato sulla commedia omonima di Giuseppe Foppa), Gengiskan (Milano, teatro alla Scala, 1802), La morte di Tipoo-Saib o la frode punita (ibid., 1804). Mescolò vari generi, convinto che «i Balli misti, abbelliti dalla forza della Mimica, possano ottenere con più facilità il pubblico aggradimento» (Sifrido Duca di Treveri, Cremona, teatro della Concordia, Carnevale 1819, p. 3).

La produzione di balli pantomimi di Monticini si colloca tra la rivoluzione apportata da Jean-Georges Noverre e Gasparo Angiolini e quella del coreodramma di Salvatore Viganò. Ben conscio di essere un buon coreografo, ma non un innovatore («non ebbi giammai intenzione di farmi Riformatore», dice nell’Avvertimento al rispettabile Pubblico nel programma del ballo Cesare in Egitto, Venezia, teatro La Fenice, Carnevale 1812, p. 30), ebbe per musa ispiratrice la moglie: su di lei costruì il personaggio della fanciulla che, segretamente sposata a un uomo avversato dal padre e dal quale ha avuto un bambino, va incontro a persecuzioni e disavventure, con un consolante lieto fine (Eloisa e Wajson, Le avventure di Adelia, Sourcoum e Dugmè), o quello della moglie ingiustamente accusata di tradimento, coniugale o politico, dal consorte (Matilde o La donna selvaggia, Sifrido Duca di Treviri). I suoi lavori vennero più volte riprodotti fino alla metà del secolo XIX.

Teresa Marzorati Monticini nacque a Milano, in data incerta. Debuttò come prima ballerina a Lodi nella primavera 1786, ma già nel 1783 veniva indicata come figurante e nel 1785 come prima ballerina di mezzo carattere nel teatro alla Canobbiana di Milano. Ricevette critiche lusinghiere, per l’espressività nella pantomima e l’abilità tecnica: «di lei si può assolutamente dire ciò che fu scritto ne’ tempi decorsi del celebre Pitrot: “co’ bracci parla e colle gambe scrive”» (Gazzetta universale, aprile 1799, p. 427). In Spagna, dove danzò col marito, si procurò la protezione della duchessa di Osuna, con cui tenne un fitto epistolario. Una litografia recante la scritta «Trieste 10 giugno 1803» la ritrae col figlioletto Antonio, di dieci anni circa, che iniziava in quell’anno a calcare le scene e che fu poi suo partner. Probabilmente fu tra le prime a tentare l’elevazione en pointe, aiutata da nuove calzature più morbide e flessibili. Negli ultimi anni di carriera si specializzò nel ruolo di madre, come testimonia anche la sua ultima comparsa al teatro della Concordia di Cremona nel Carnevale 1819. Dal 1821 al 1830, anno della morte, insegnò mimica all’Imperiale e Regia Scuola del teatro alla Scala.

Antonio, figlio di Giovanni e Teresa, nacque a Milano nel 1792 o nel 1793. Avviato fin da piccolo alla carriera dei genitori, danzò come «amorino» accanto alla madre, a Torino e a Trieste. Si esibì sempre sotto la guida del padre fino al 1812, quando, divenuto primo ballerino serio, entrò in contatto col nuovo genere di ballo pantomimo ottocentesco, ballando con Gaetano Gioia (Il ritorno di Ulisse in Itaca, Reggio, teatro Municipale, Fiera, 1812) e ancora nel 1819 a Rovigo, Padova e Firenze. Danzò anche insieme a Giovanni Galzerani, e quando questi passò alla coreografia interpretò tra gli altri uno dei suoi balli più riusciti: Virginia. Formatosi nel rapporto con questi massimi esponenti del ballo pantomimo, tecnicamente era un primo ballerino dotato, come testimonia la valutazione di uno spettatore straniero che nella primavera del 1818 alla Pergola di Firenze lo considerò migliore del francese Antoine Paul, danzatore aérien in voga negli anni Venti (Maxwell, 1842). Questa perizia lo aiutò nell’inventare ballabili ingegnosamente e brillantemente intrecciati. Nel 1821 partecipò all’ultima stagione di Salvatore Viganò alla Scala, interpretando i balli Le Sabine in Roma e Giovanna d’Arco.

Nella primavera del 1820 conobbe Maria (Marietta) Carcano, ballerina anch’essa, che sposò l’anno dopo e dalla quale ebbe un figlio, Alessandro, il quale partecipò decenne ai balli del padre nel 1842 e 1843. Sono citati nei programmi anche un N. Monticini (il nome completo non è conosciuto) «d’anni 5 circa» a Roma nel 1842 e un Aladino Monticini «d’anni sei» nel 1851 a Firenze.

Risale al Carnevale 1822 la prima produzione da coreografo di Antonio: la presidenza del teatro La Fenice, insoddisfatta dello scarso successo ottenuto dai balli di Carlo Augusto Favier, lo incaricò di comporre un balletto; egli propose Violenza e Costanza, ossia Il castello degli spiriti, un lavoro di Louis Henry. Segnalò sempre la paternità dei lavori riprodotti, come Madamigella d’Alençon di Giovanni Casati, o La Legge di Brama ossia Valcurt e Bezai da I riti indiani di Gaetano Gioja. Da quel momento, e per 32 anni consecutivi, fu tra i coreografi più ricercati e acclamati.

Il suo modo di comporre può essere riassunto dal giudizio stilato da Luigi Prividali, librettista e compilatore del Censore universale dei teatri (1831, pp. 112 s.): «Prima avvedutezza di questo coreografo è quella di scegliere soggetti suscettibili di effetto teatrale, seconda di approfittare ingegnosamente d’una tale prerogativa»; dalla sapienza e diligenza nell’amalgamare i gesti e le espressioni delle prime parti con quelli del corpo di ballo «risulta la gran perizia nella conoscenza e nell’esercizio tecnico dell’arte sua, giacché tutto il suo personale è distribuito e disposto con misura e proporzione armonica, ove tutte le parti formano un complesso pittorico e di bell’effetto, senza che i movimenti delle grandi masse, anche nei momenti del maggiore scompiglio, offrano mai confusione».

Si riconosce la scuola viganoviana nell’impiego del corpo di ballo, sempre assai curato ed elogiato.

Anch’egli come il grande maestro sottometteva la danza pura all’intreccio: nell’Avvertimento all’azione mimico-istorica Beatrice di Tenda (Milano, teatro alla Scala, autunno 1832), precorritrice dell’opera di Felice Romani e Bellini, annuncia di non essersi disperso nei ballabili, poiché la natura del soggetto non ne offriva il destro. Abilissimo nel trattare il dialogo mimico, poté valersi d’interpreti del calibro di Giuseppe Bocci, Domenico Ronzani, Effisio Catte, oltre alla moglie Marietta, protagonista in quasi tutti i suoi lavori. Accanto ai soggetti mitologici (Meleagro ovvero La vendetta di Diana, Telemaco all’isola di Calipso) trattò temi storici sia antichi (Genserico in Roma, Costantino il grande) sia moderni: La caduta di Negroponte, dato alla Pergola di Firenze nella primavera 1833 (ripresa coi titoli I Veneziani a Costantinopoli o Anna Erizo ossia La presa di Negroponte), soggetto già trattato nel Maometto II di Cesare Della Valle e Gioachino Rossini (1820), intreccia la vicenda sentimentale dell’infatuazione di Maometto II per Anna Erizo con la strenua difesa dei Veneziani a fianco dei Greci contro i Musulmani. Erano nelle sue corde anche i balli di mezzo carattere: si ricordano I viaggiatori all’isola d’Amore e L’orfana di Ginevra, che ebbe fra i principali interpreti Domenico Ronzani nella parte del malvagio Volman. Secondo la prassi coeva, Monticini influenzò e fu influenzato dal melodramma: oltre a Beatrice di Tenda, coreografò La Straniera dall’opera di Bellini (Alessandria, teatro Comunale, autunno 1829) e Marino Faliero dall’omonima tragedia lirica di Donizetti (Torino, teatro Regio, Carnevale 1840). Attinse anche dalla letteratura romantica inglese e francese: Ann Radcliffe (Il masnadiere siciliano), Walter Scott (I corsari di Warroch, La fidanzata scozzese), Victor Hugo (Esmeralda, la prima resa coreografica di Notre- Dame de Paris). Come tutti i coreografi di scuola italiana venne travolto dalla novità del ballo romantico e dalle sue «stelle»: per Fanny Cerrito (con cui aveva lavorato a Napoli quando ella era diciassettenne) compose Il genio e la maga (Bologna, teatro Comunitativo, autunno 1840) e La figlia dell’aria (Genova, teatro Carlo Felice, Carnevale 1841); collaborò anche con Flora Fabbri, Nathalie Fitzjames, Melina Marmet, Augusta Maywood, Adeline Plunkett, Arthur Saint-Léon e Maria Taglioni. I suoi lavori, assai popolari, restarono a lungo in repertorio, tanto in Italia quanto all’estero (Lisbona e Vienna), fino a una quindicina d’anni dopo la sua scomparsa. Morì a Torino nel 1854.

Marietta Carcano Monticini nacque a Milano, fu allieva della scuola di ballo del teatro alla Scala dal 1818 al 1821, dove compare per la prima volta come ballerina «in genere» nella primavera 1817 al teatro Re di Milano. È segnalata come Marietta Monticini nella primavera 1821 a Firenze, prima ballerina di mezzo carattere. Specializzatasi in parti mimiche tragiche o romantiche – anche en travesti – fu protagonista nei balli del marito: Teresa nell’Orfana di Ginevra, Esmeralda, Krettel, ma anche Clato, Beatrice di Tenda, Anna Erizo, riscuotendo sempre le lodi dei critici. A Torino, morto Antonio, si dedicò all’insegnamento della mimica nella scuola di ballo del teatro Regio, prendendo parte agli spettacoli ivi allestiti. Rimise in scena nel 1866 il ballo del marito Kardinuto al teatro Nazionale. La data di morte non è accertata.

Oltre a Giovanni e Antonio, si conoscono altri nomi: Antonia, attiva come ballerina nel 1789; Giacomo e Giovanna, presenti a Firenze e a Livorno nel 1781 (ma forse è un equivoco per Giovanni).

Fonti e Bibl.: Annali del Teatro della Città di Reggio. Anno 1828, Bologna 1828, pp. 143-147; Ibid., 1829, pp. 83-98, 107; Censore universale dei teatri, 9 aprile 1831, n. 29, pp. 112 s.; W.H. Maxwell, Rambling rcollections of a soldier of fortune, Dublin 1842, p. 211; Teatri arti e letteratura, 30 giugno 1842, pp. 150 s.; 12 gennaio 1843, pp. 155 s.; 10 agosto 1843, pp. 195 s.; 27 giugno 1848, p. 104; 19 ottobre 1848, p. 6; 2 novembre 1848, p. 15; E. Cotarelo y Mori, Orígines y establecimiento de la Ópera en España hasta 1800, Madrid 1917, pp. 379, 382, 383 s.; Virtuose: viaggi e stagioni nell’ultimo decennio del Settecento. Carteggi di Maria Medina Viganò, Brigida Banti, Luigia Todi e Teresa Monticini con la duchessa di Osuna, a cura dell’Istituto italiano di Cultura, Madrid 1979; P. Fabbri - R. Verti, Due secoli di teatro per musica a Reggio Emilia, Reggio nell’Emilia 1987, pp. 362, 425; N. Scafidi, La Scuola di ballo del teatro alla Scala: l’ordinamento legislativo e didattico nel XIX secolo, III, Il Maestro, in Chorégraphie, XII, 1998, pp. 87-122 (in part. pp. 102 s.); R.L. Weaver - N.W. Weaver, A Chronology of Music in the Florentine Theater, 1751-1800, Warren 1993, p. 800; Un almanacco drammatico. L’Indice de’ teatrali spettacoli 1764- 1823, a cura di R. Verti, I-II, Pesaro 1996; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti. Le biografie, V, p. 179; C. Celi, L’epoca del coreodramma (1800-1830), in Musica in scena. Storia dello spettacolo musicale, dir. da A. Basso, Torino 1995, V, p. 116; Id., Percorsi romantici nell’Ottocento italiano, ibid., p. 122; X.M. Carreira, Il balletto nella Penisola Iberica e nei Paesi latino-americani, ibid., pp. 667, 669-672.