MORI

Enciclopedia Italiana (1934)

MORI

Giorgio Levi Della Vida

. Con questo nome (derivato dal latino Mauri) gli Spagnoli designarono gl'invasori musulmani che a partire dal 711 occuparono la maggior parte della penisola iberica, rimanendovi come dominatori (a partire dal sec. X in parti sempre minori di territorio) fino alla caduta del loro ultimo baluardo, Granata, nel 1492 (v. arabi: Storia; spagna: Storia). Il termine va inteso in significato geografico, ossia di popolazioni provenienti dalla costa africana del Mediterraneo e dell'Atlantico, non in significato etnico: di fatto l'invasione musulmana fu opera in parte di tribù arabe, che l'espansione del califfato aveva spinte fino all'estremo occidente dell'Africa settentrionale, in parte molto maggiore di popolazioni berbere, talune delle quali arabizzate, altre ancora in pieno possesso del loro carattere nazionale. Se il contrasto, talvolta degenerato in lotta aperta, tra Arabi e Berberi passati in Spagna, non venne mai meno, e se anzi con le successive invasioni degli Almoràvidi (v.) nel sec. XI e degli Amohàdi (v.) nel XII l'elemento berbero venne notevolmente rinsanguato, occorre tuttavia tenere presente che l'arabizzazione di esso avvenne nel territorio iberico, anche più rapidamente che in quello africano, e che la civiltà, che sogliamo chiamare "moresca", è, nei suoi caratteri tipici, essenzialmente araba. Le differenze che tale civiltà presenta rispetto al resto della civiltà arabo-musulmana sono assai minori di quanto si pensasse un tempo; e di quelle che in realtà si riscontrano, la maggior parte non è esclusivamente propria della Spagna, bensì comune a tutto il mondo arabo occidentale, che si contrappone in un'unità africano-iberica all'islamismo orientale; altre infine, peculiari dell'arabismo iberico, sono dovute all'influenza dell'elemento romanzo.

Questo elemento romanzo, come sempre più si va mettendo in luce in seguito alle indagini più recenti, si comportò di fronte alla civiltà araba secondo un processo vicendevole di azione e di reazione: da un lato l'intera popolazione iberica subì una fortissima arabizzazione, che ancora oggi ha lasciato traccia nella lingua e nei costumi; dall'altro il carattere latino della Spagna non venne mai meno, nemmeno nelle regioni rimaste più a lungo sotto il dominio degli Arabi, il che spiega la relativa rapidità con la quale, dopo la riconquista, la Spagna riacquistò per intero il suo carattere romanzo. L'aspetto etnico e culturale presentato dalla Spagna sotto il dominio dei Mori è quello di due civiltà le quali, si potrebbe dire, vivono in condizione di "simbiosi", ciascuna con un proprio carattere distinto, ma in una larga zona comune e con continui e intensi scambî. Così in molte regioni sussiste una vera e propria bilinguità, che ha dato origine da una parte al sorgere di una letteratura arabo-cristiana (v. mozarabi), dall'altra a una letteratura arabo-islamico-spagnola, che usa scrittura araba e lingua romanza (v. aljamía). In questa convivenza delle due civiltà l'araba rappresenta tuttavia, per parecchi secoli, l'elemento culturalmente superiore e la sua influenza si fa sentire tanto nelle arti costruttive e plastiche (arte "moresca"), quanto nella letteratura (trasporto nella letteratura romanza spagnola, e da essa ad altre letterature del Medioevo europeo, di motivi e di forme proprie della letteratura araba: fenomeno, questo, la cui entità è tuttavia oggetto di discussione, ma la cui realtà non può ormai più essere contestata) e nelle scienze (basti ricordare le traduzioni latine di Aristotele e dei suoi commentatori, di testi matematici, astronomici, medici, compiute in Spagna, in parte anche attraverso il medio di traduttori ebrei); anche i prodotti dell'industria araba (tessuti, ceramica, armi) penetrano in Occidente, specialmente nel periodo dal sec. IX all'XI, soprattutto per la via della Spagna.

Tuttavia (circostanza che è di somma importanza per la storia politica e culturale della Spagna) i Mori vennero sempre considerati dalla coscienza popolare spagnola come intrusi, e il loro dominio fu sentito come oppressione straniera. A tenere desto tale sentimento valse, molto più che le condizioni politiche e di civiltà, la differenza religiosa. I Mori, invece, si avvezzarono presto a considerare la penisola iberica come loro patria, e colà dove, col procedere della riconquista cristiana, venivano a essere posti in condizione d'inferiorità rispetto ai nuovi signori, si ritennero anch'essi vittime di un dominio straniero. L'impossibilità della pacifica convivenza, su un fondamento di uguaglianza e di tolleranza, delle due diverse comunità religiose spiega la tragica sorte dei musulmani nella Spagna restituita, dopo la presa di Granata sul principio del 1492, all'unità sotto l'insegna della croce.

I Moriscos (diminutivo spregiativo col quale vennero designati i musulmani sudditi dei sovrani cristiani della penisola iberica) non furono molestati nell'esercizio della loro religione, finché sul territorio iberico sussistettero accanto a loro comunità cristiane suddite di sovrani islamici. I maggiori centri musulmani in territorio cristiano erano l'Aragona e la regione di Valenza. Soltanto dopo la caduta del regno dei Naṣridi di Granata (benché nei patti della resa fosse stata esplicitamente sancita la tolleranza religiosa), la permanenza di fedeli di una religione diversa da quella professata dai sovrani e dalla maggioranza dei sudditi parve intollerabile; forse si temette anche che i moriscos potessero alimentare movimenti di rivolta o provocare l'intervento degli stati musulmani di Africa.

Dopo una serie di misure oppressive, l'11 febbraio 1502 fu emanato un decreto prescrivente la conversione di tutti i musulmani residenti nel territorio delle corone di Aragona e di Castiglia, lasciando la scelta dell'esilio ai renitenti. Questo decreto non fu tuttavia applicato con rigore, specialmente nell'Aragona, e benché, naturalmente, esso provocasse conversioni numerosissime, alcuni nuclei di musulmani continuarono a vivere in territorio spagnolo. Durante il breve regno di Giovanna la Pazza, e più sotto quello di Carlo I (v. carlo v imperatore), la persecuzione s'intensificò, dando occasione a frequenti insurrezioni di moriscos. La situazione si aggravò ancora più sotto il regno di Filippo II; nel 1566 scoppiò una violenta rivolta nel territorio di Granata e delle Alpujarras, la cui repressione durò varî anni. La completa espulsione dei moriscos non ebbe luogo tuttavia se non dal 1609 al 1614, nei quali anni i varî decreti contro essi furono richiamati e rinnovati ed ebbero applicazione rigorosa. Varie centinaia di migliaia di musulmani (tra cui molti che si erano convertiti soltanto in apparenza al cattolicismo, analogamente ai marrani ebrei) si rifugiarono nei paesi musulmani dell'Africa settentrionale, dove alcuni di essi hanno conservato fino ai nostri giorni la loro individualità nazionale (Qal‛at al-Andalus "fortezza degli Spagnoli" a Tunisi, ecc.). Alla persecuzione dei moriscos si accompagnarono numerose pubbliche arsioni dei loro libri, scritti in arabo: ciò spiega lo scarso numero di manoscritti arabi esistenti in Spagna (la grande collezione dell'Escorial vi entrò soltanto, come preda di guerra conquistata al sultano del Marocco, nel sec. XVII); caratteristico a questo proposito è stato il ritrovamento, avvenuto nel 1884 ad Almonacid de la Sierra presso Saragozza, di un cospicuo gruppo di manoscritti arabi e aljamiados che erano rimasti per tre secoli nascosti in un ripostiglio praticato nell'intercapedine di un muro.

Bibl.: V. spagna: Storia.