Mose

Enciclopedia Dantesca (1970)

Mosè (Moisè)

Gian Roberto Sarolli

Profeta e legislatore, comandato da Dio di liberare gli Ebrei dalla schiavitù di Egitto, è considerato autore, secondo la tradizione che risale a s. Gerolamo, dei primi cinque libri del Vecchio Testamento, globalmente chiamati Pentateuco.

Nella tradizione esegetica patristica e medievale, a partire dalla felice definizione di Tertulliano (" Moyses, qui populum suum e servitute Aegyptiorum liberavit, fere per omnes suae vitae eventus Christum Salvatorem mundi exprimebat ", Patrol. Lat. I 667) universalmente seguita fino a s. Bernardo, fu considerato uno dei typi Christi o, anche, secondo Riccardo di San Vittore - " Moyses discretionem denotat ", Patrol. Lat. CXCVI 334 -, un typus iusti o, infine, secondo s. Zeno, " Moyses et Aaron... duo Testamenta praesignantes " (XI 510), typus o figura del Vecchio Testamento. D. chiaramente si muove sulle orme della tradizione esegetica e si serve di M. nominandolo direttamente, attingendo ai testi del Pentateuco o richiamandolo per chiare allusioni.

Nella Commedia M. appare per la prima volta in If IV 57, come Moisè legista e ubidente, citato da Virgilio tra le ‛ ombre ' liberate dal Cristo nel Limbo.

A proposito di questa lezione, autorevolmente difesa dal Petrocchi contro la formula obediente degli editori dell'edizione del '21 e contro la variante congetturale, Di Moisè legista, e l'obediente / Abraam (ripresa da G. Siebzehner-Vivanti, Dizionario della D.C., a c. di M. Messina, Milano 1965, 376), aggiungeremo che la serie strutturale dei versi che precedono e seguono escludono sia l'enjambement sia una diversa soluzione dal momento che il v. 57 resta incentrato in una sola ‛ figura ', come il v. 55, mentre i vv. 56 e 58 appaiono simmetricamente conclusi coi nomi di ‛ due figure ' (vv. 55 e 57 Trasseci l'ombra del primo parente [Adamo], di Moïsè legista e ubidente; d'Abèl suo figlio e quella di Noè, Abraàm patrïarca e Davìd re, vv. 56 e 58). Il termine di ubidente, inoltre, se ricavato dai fatti collegati alle due ‛ figure ' (M. e Abramo), meglio conviene al primo dal momento che il secondo, nella tradizione esegetica, è apparso simbolo non tanto di ‛ ubbidienza ' quanto di ‛ devozione ', come in s. Pascasio: " Abraham, unigenitum suum offerens, typus oblationis religiosae, et viri devoti adumbrat ", Patrol. Lat. CXX 82-83; definizione diventata tradizionale e fruita dagli esegeti scritturali fino a Lanfranco e ad Adamo Scoto.

Ai fini dell'esegesi dantesca, inoltre, metterà conto il sottolineare che nella tradizione esegetica della teologia-politica, M. è stato sempre e soltanto considerato typus Christi e mai typus Ecclesiae.

Sempre nella Commedia, come Moisè in coppia con Elia, altro typus Christi, sulla scorta della tradizione esegetica più sopra enucleata, D. lo menziona in Pg XXXII 80 e videro scemata loro scuola / così di Moïsè come d'Elia, nell'episodio della trasfigurazione ricavato da Matt. 17, 3-4 (che torna anche in Mn III IX 11); Pd IV 29 Moïsè, Samuel, e quel Giovanni / che prender vuoli, io dico, non Maria, insieme con Samuele e gli spiriti beati più alti che compariranno nella candida rosa; Pd XXIV 136 per Moïsè, per profeti e per salmi; XXVI 41 Sternel la voce del verace autore, / che dice a Moïsé, di sé parlando: / ‛ Io ti farò vedere ogne valore ', ove M., al par degli altri " scribi divini eloquii ", è considerato portavoce dello Spirito Santo, e il testo dell'Esodo è tradotto verbatim (Ex. 33, 19 " Ego ostendam omne bonum tibi "); infine, in Pd XXXII 131-132 quel duca sotto cui visse di manna / la gente ingrata, mobile e retrosa, ove D. impiega una di quelle figure retoriche, la circumscriptio " in honestis ", secondo la formula altamente esaltata nei Flores Rhetorici di Alberico da Montecassino, che D. conosceva e di cui farà largo uso nel poema.

M. è menzionato anche in Mn I XIV 9 Hoc etiam factum fuisse per ipsum ipse Moyses in lege conscribit, qui, assumptis primatibus de tribubus filiorum Israel, eis inferiora iudicia relinquebat, superiora et comuniora sibi soli reservans, quibus comunioribus utebantur primates per tribus, secundum quod unicuique tribui competebat (che è libera traduzione sia del passo dell'Esodo [18, 13-26] che di quello del Deuteronomio [dal cosiddetto " Primus Moysi sermo "] 1, 9-18); in Mn II IV 2 Unde ipse probat soli Deo competere miracula operari: quod autoritate Moysi roboratur ubi, cum ventum est ad sciniphes, magi Pharaonis naturalibus principiis artificiose utentes et ibi deficientes dixerunt: " Digitus Dei est hic " (che è libera traduzione e insieme puntuale trascrizione del passo dell'Esodo [8, 16-19]); in Mn II XI 4 Unde dicebat ille Moysi: " Quis constituit te iudicem super nos? " (che è libera rielaborazione e puntuale trascrizione dell'episodio riferito in Ex. 2, 11-15. Ma rileveremo che D., alla formula testuale " Quis te constituit principem et iudicem super nos? ", ha tolto il termine " principem " volutamente, perché non consequenziale alla tesi sostenuta nel passo in questione); in Mn III IV 11 Non enim peccatur in Moysen, non in David, non in Iob, non in Mathaeum, non in Paulum, sed in Spiritum Sanctum qui loquitur in illis (ove, come si vede, M. è citato insieme con alcuni di coloro che D. definisce scribae divini eloquii, ed è affermazione che ricomparirà, in Pd XXIV 130-138); in Mn III IV 16 Non igitur dicendum est quod quarto die Deus haec duo regimina fecerit; et per consequens intentio Moysi esse non potuit illa quam fingunt (che è passo direttamente collegato a quello precedente e basato sul fondamento della " creatio mundi " come narrata nel Genesi, e in particolare della creazione dei " duo luminaria magna ", Gen. 1, 16); in Mn III V 1 Assummunt etiam argumentum de lictera Moysi, dicentes quod de femore Iacob fluxit figura horum duorum regiminum, quia Levi et Iudas: quorum alter fuit pater sacerdotii, alter vero regiminis temporalis (che è passo sempre collegato con quello precedente e basato sul racconto del Genesi, relativo alla nascita di Levi e Giuda, figli di Lia, e tradizionalmente considerati secondo l'esegesi del simbolismo tipologico " figurae Ecclesiae et Imperii "); in III XIII 5 Quinymo invenio sacerdotes primos ab illa de praecepto remotos, ut patet per ea quae Deus ad Moysen, che è chiaro riferimento al passo del Libro dei Numeri ove Dio, dopo aver ordinato ad Aronne il " nihil possidebitis " e quindi ai Leviti tutti, a M. impone di comandarlo ai Leviti (Num. 18, 20 e 25-32).

Sul filone del simbolismo tipologico, il nome di M. è impiegato in Ep V 4 per definire Enrico VII, un typus Moysi e, secondo la tradizione della teologia-politica, un typus Christi; sul filone della tradizione esegetica e della lettura quadrifaria dei ‛ sensi ', il salmo 113 " In exitu Israël de Aegypto ", tempore Moysi, il nome di M. e la liberazione dalla cattività egizia, in Ep XIII 21 sono impiegati per offrire gli exempla del modus tractandi, secondo il ‛ sistema quadrifario ' proprio della tradizione esegetica domenicana, relativo e valido quale clavis lecturae del poema dantesco.

Infine il Pentateuco, considerato sulla scorta di s. Gerolamo come un libro solo, è simbolizzato, secondo la tradizione alcuiniana (Patrol. Lat. C 1117), in uno dei ventiquattro seniori nella processione del Sacro Romano Impero e della Chiesa militante, nel Paradiso terrestre, in Pg XXIX 83-84.

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