Moti del 1820-21

Dizionario di Storia (2010)

moti del 1820-21


Rivoluzioni organizzate da società segrete (Carboneria e altre) con finalità costituzionali, liberali e, in Italia, anche vagamente e confusamente indipendentistiche e unitarie su base federale. Ebbero portata internazionale. La loro repressione dimostrò concretamente l’effettiva capacità di intervento repressivo della Santa Alleanza e la portata delle difficoltà che il movimento liberale e nazionale italiano avrebbe dovuto affrontare sulla strada dell’indipendenza e dell’unità. Iniziarono in Spagna il 1° genn. 1820, quando il colonnello Quiroga e l’ufficiale Riego sollevarono a Cadice le truppe pronte a imbarcarsi per l’America. L’insurrezione si estese rapidamente ad altre province e il re Ferdinando VII fu costretto a concedere la Costituzione spagnola del 1812, il modello più democratico dopo quelle francesi del 1791 e 1793. La Santa Alleanza esitò a intervenire. L’esempio spagnolo incoraggiò la Carboneria napoletana, molto diffusa nell’esercito sin dai tempi di Gioacchino Murat e al cui vertice era il generale Guglielmo Pepe. Il 2 luglio due sottotenenti di cavalleria, Morelli e Silvati, si sollevarono con il loro squadrone e occuparono Avellino. Il moto dilagò fulmineo e già il 7 luglio Ferdinando I concesse la Costituzione spagnola, che fu accettata anche dalla Sicilia orientale. Palermo invece il 14-16 luglio insorse rivendicando il ristabilimento dell’autonomia dell’isola, soppressa con l’istituzione del regno delle Due Sicilie, e l’egemonia palermitana. Il governo rivoluzionario di Napoli fece ricorso all’intervento armato, ma in ottobre la frattura non era ancora definitivamente ricomposta. Nel frattempo Metternich, consapevole che in Spagna e a Napoli si giocava la credibilità del sistema di controllo internazionale istituito a Vienna nel 1815, faceva solennemente proclamare a Troppau il diritto di intervento. Nel gennaio 1821 il re Ferdinando I, intervenuto nel Congresso di Lubiana, smentendo il giuramento di fedeltà prestato a Napoli alla Costituzione da lui concessa, chiese l’intervento austriaco. Agli inizi di marzo un esercito di 50.000 uomini sconfisse l’esercito rivoluzionario ed entrò a Napoli, dove Ferdinando I attuò una dura repressione. Nello stesso mese di marzo iniziò tuttavia il moto piemontese, dopo che il programma più spiccatamente democratico dei carbonari prevalse su quello più moderato dei federati, fautori di una Costituzione come quella francese di Luigi XVIII e di un’iniziativa antiaustriaca della monarchia sabauda per l’ingrandimento del regno di Sardegna nella Valle Padana che avrebbe coinciso con l’indipendenza italiana dallo straniero. I federati capeggiati da Santorre di Santarosa, Moffa di Lisio, Asinari di san Marzano, avevano ritardato l’azione convinti di poter coinvolgere nel loro progetto la dinastia e in particolare il principe Carlo Alberto di Carignano, possibile erede al trono, che, in effetti, non aveva avuto sulle prime un atteggiamento di netta chiusura all’approccio dei federati. In realtà egli aveva offerto solo una mediazione presso il sovrano ed essendo poi venuto a conoscenza dei deliberati di Lubiana si era convinto dell’irrealizzabilità del progetto rivoluzionario. Lo spostamento dell’esercito austriaco verso Napoli convinse però una parte cospicua di carbonari e federati, non solo del Piemonte, ma anche della Lombardia, che fosse quello l’unico momento per colpire l’Austria. Quando l’8 marzo si sollevò la fortezza di Alessandria e il 12 il re Vittorio Emanuele I abdicò a favore di Carlo Felice, Carlo Alberto, nominato reggente per l’assenza da Torino del nuovo sovrano, concedette la Costituzione di Spagna solo perché non seppe resistere alla pressione di carbonari e federati, subendola quindi come un’imposizione. Quando Carlo Felice, da Modena, lo sconfessò e gli intimò di lasciare Torino, diede la sensazione ancora per qualche giorno di voler dirigere il nuovo regime, ma il 20 lasciò nottetempo la città e si recò a Novara presso le truppe rimaste fedeli al re. L’8 aprile l’esercito degli insorti fu sconfitto presso Novara dalle truppe sabaude e da un esercito austriaco di 15.000 uomini. La repressione non fu cruenta. Le poche condanne a morte emesse furono nei confronti di cospiratori già fuggiti all’estero. La repressione fu durissima invece in Spagna, dopo che un esercito francese nel 1823 ebbe eseguito il mandato del congresso della Santa Alleanza a Verona e ristabilito il potere assoluto di Ferdinando VII.

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