MOTORE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

MOTORE

Carmelo Caputo
Alfio Consoli

(XXIII, p. 952; App. II, II, p. 358; III, II, p. 164; IV, II, p. 509)

Motori termici. Motori a combustione interna alternativi. − L'evoluzione tecnica dei m. a combustione interna alternativi in quest'ultimo decennio è strettamente connessa alla pressante esigenza di assicurare sempre più un'utilizzazione razionale delle fonti naturali di energia limitando al contempo gli effetti d'inquinamento ambientale derivanti dal loro sfruttamento. Ciò ha comportato l'introduzione di sostanziali modifiche tecniche al m. che, anche in considerazione della sempre più estesa applicazione dell'elettronica ai sistemi di formazione e accensione della miscela, ha via via perduto la sua originaria semplicità strutturale. Tale processo evolutivo ha interessato in modo diverso i m. ad accensione comandata (o a benzina) e quelli ad accensione per compressione (o Diesel), e pertanto le relative innovazioni tecniche saranno separatamente illustrate.

Motori ad accensione comandata. - I m. ad accensione comandata a 4 tempi per applicazioni automobilistiche sono stati i primi (soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone) a essere oggetto di innovazioni tecniche volte alla riduzione delle relative emissioni di inquinanti.

Il motivo di ciò è che nei m. a benzina, per ragioni di elasticità e di capacità di ripresa del veicolo, il dosaggio dell'aria comburente e del combustibile operato dagli organi di formazione della miscela (carburatore e sistema d'iniezione) è realizzato in modo da ottenere miscele alquanto ricche di combustibile, cioè con rapporti di dosatura inferiori a quello stechiometrico. Per effetto di ciò, non tutti gli atomi di carbonio e idrogeno presenti nelle molecole degli idrocarburi costituenti il combustibile dispongono dell'ossigeno necessario per essere ossidati a prodotti di combustione completa, quali l'anidride carbonica e l'acqua, prodotti questi ultimi notoriamente innocui per la salute dell'uomo.

Ne consegue che, accanto a questi ultimi prodotti, nei gas di scarico dei m. a benzina si ritrovano sempre sostanze parzialmente o totalmente incombuste, quali l'ossido di carbonio (CO), gli idrocarburi incombusti (HC) e tracce di sostanze particellari di natura essenzialmente carboniosa. A tali inquinanti si accompagna anche la presenza di apprezzabili quantità di ossidi di azoto (NOx), dovute all'elevata reattività che, alle alte temperature regnanti all'interno della camera di combustione del m. a benzina, l'azoto esplica nei riguardi dell'ossigeno dell'aria comburente.

Dal momento che l'ossido di carbonio, gli idrocarburi incombusti e gli ossidi di azoto esercitano un'azione sicuramente nociva sulla salute degli esseri viventi, le predette sostanze sono state sempre più oggetto, in quest'ultimo decennio e nei paesi tecnologicamente più avanzati, di normative che ne limitano, secondo particolari procedure di prova (ciclo USA, ciclo Europa e ciclo giapponese), i livelli di concentrazione nei loro gas di scarico.

In tab. 1 è riportata la composizione tipica, in forma ponderale, dei gas di scarico di un m. a combustione interna ad accensione comandata, alimentato a benzina. Come si può rilevare, accanto alle sopracitate sostanze, dette ''regolamentate'' in quanto oggetto di specifiche norme restrittive, nei gas di scarico sono presenti tracce di una molteplicità di altre sostanze, delle quali alcune sicuramente nocive e che, allo stato attuale, non sono ancora oggetto di specifiche limitazioni.

Tali sostanze, comunemente denominate ''inquinanti non regolamentati'', sono costituite essenzialmente da:

a) idrogeno, formatosi da fenomeni di pirolisi degli idrocarburi all'interno della camera di combustione del cilindro;

b) prodotti di ossidazione dello zolfo (anidride solforosa e acido solforico), dovuti alle reazioni di ossidazione delle piccole quantità di zolfo residuo del combustibile, non completamente eliminate dal processo di desolforazione delle benzine;

c) ammoniaca, formatasi per i processi di riduzione degli ossidi di azoto;

d) particolato metallico, costituito dagli ossidi di piombo formatisi, nella camera di combustione del cilindro, a seguito del processo di ossidazione del piombo tetraetile o tetrametile aggiunto nel combustibile per migliorarne il potere antidetonante;

e) particolato carbonioso, formatosi durante il processo di combustione degli idrocarburi nel m. a seguito di fenomeni di pirolizzazione di tracce di combustibile completamente sottrattesi al normale processo di ossidazione.

In ottemperanza alle sempre più severe normative volte a ridurre le emissioni di inquinanti e col conseguente obiettivo di un sempre più razionale sfruttamento del combustibile, i costruttori di veicoli si sono impegnati nel corso di quest'ultimo decennio nello studio e sviluppo di una molteplicità di soluzioni tecniche riconducibili, pur nella loro diversificazione, a due strategie fondamentali:

a) intervenire direttamente sul processo di combustione del m. al duplice scopo di ridurre il consumo di combustibile e di limitare la formazione delle sostanze inquinanti;

b) applicare al sistema di scarico opportuni dispositivi in grado di abbattere le sostanze inquinanti formatesi durante il processo di combustione nel motore.

Le principali modalità di tali strategie d'intervento sul m. sono state, e sono ancora attualmente, le seguenti.

Interventi sul processo di combustione nel motore. Tali interventi si propongono di agire direttamente sulle principali variabili di controllo del processo di combustione del m. (rapporto di dosatura dell'aria con il combustibile e anticipo all'accensione) per ridurre i consumi di combustibile e minimizzare la formazione delle sostanze inquinanti. Ciò viene perseguito al giorno d'oggi soprattutto mediante lo sviluppo di sistemi d'iniezione o di accensione di tipo elettronico.

I sistemi d'iniezione consistono essenzialmente in apparati costituiti da un sistema pompante che alimenta uno o più iniettori, ciascuno munito di una valvola a spillo comandata elettricamente da un solenoide che provvede, sotto la gestione di una centralina elettronica, al dosaggio della quantità di combustibile ottimale ai fini sia dell'efficienza del processo di combustione, che delle prestazioni (potenza e coppia) del motore.

Allo stato attuale, per ovviare ai problemi connessi alle elevate pressioni richieste per introdurre direttamente il combustibile in camera di combustione, l'iniezione viene effettuata a pressioni ridotte nel sistema di aspirazione del m. (iniezione indiretta).

I sistemi d'iniezione attualmente sviluppati prevedono l'introduzione del combustibile in un unico punto posto a monte della valvola a farfalla (cosiddetto sistema singlepoint), oppure direttamente nel condotto di aspirazione in prossimità della valvola di ammissione di ciascun cilindro (cosiddetto sistema multipoint). In entrambi i casi le condizioni di funzionamento del m. vengono rilevate grazie a un'opportuna rete di sensori che trasmettono i loro segnali a un'unità elettronica di controllo, gestita da microprocessore, che digitalizza i dati e provvede al dosaggio della quantità di combustibile strettamente necessaria per realizzare il miglior compromesso tra potenza, coppia, consumo, emissioni e guidabilità.

Tali sistemi, operanti in condizioni sia stazionarie che transitorie di funzionamento del m., sono ancora di costo piuttosto elevato, per cui, attualmente, vengono di preferenza impiegati su veicoli di media e grossa cilindrata.

È da citare il sistema d'iniezione elettronico di tipo multipoint Bosch L. - Jetronic, attualmente impiegato su alcune versioni di autoveicoli; questo sistema, in combinazione con la marmitta catalitica, ha reso possibile il rispetto dei limiti alle emissioni imposti dalle normative europee sull'inquinamento atmosferico per veicoli di grossa cilindrata (oltre 2000 c3) alimentati a benzina.

I sistemi di accensione sono invece costituiti da dispositivi a scarica induttiva o capacitiva, in grado di generare tra gli elettrodi delle candele scintille a elevata tensione, dotati di una centralina elettronica gestita da microprocessore che provvede, in corrispondenza di ogni regime e carico del m., a elaborare il valore dell'anticipo elettrico ottimale ai fini del contenimento dei consumi e della riduzione delle emissioni di inquinanti.

Un'altra strategia affermatasi in quest'ultimo decennio e che si propone di migliorare la potenza del m. riducendo nello stesso tempo i consumi di combustibile e le emissioni, consiste nell'adozione di più di due valvole per cilindro. Vantaggio di tale soluzione è che, risultando le valvole di dimensioni più piccole di quella unica, è possibile realizzare un migliore alloggiamento di queste ultime nella camera di combustione, a tutto beneficio sia del processo di ricambio della carica (e, quindi, del coefficiente di riempimento dei cilindri) sia del livello di omogeneità della miscela aria-combustibile aspirata dal motore.

Le soluzioni in proposito più utilizzate sono rispettivamente a 3 valvole (due di aspirazione e una di scarico), a 4 valvole (due di aspirazione e due di scarico) e a 5 valvole (tre di aspirazione e due di scarico). Al riguardo è da rilevare che, mentre le prime due soluzioni interessano anche la normale produzione degli autoveicoli di serie, l'ultima è stata sino a oggi applicata solo nel campo dei m. automobilistici e motociclistici da competizione.

Applicazione di dispositivi di riduzione delle emissioni nocive allo scarico del motore. I dispositivi realizzati in questi ultimi anni, dapprima negli Stati Uniti e in Giappone e successivamente in Europa, prendono il nome di convertitori o marmitte catalitiche. Funzione precipua di tali dispositivi è quella di promuovere, grazie all'adozione di opportune sostanze catalizzatrici in essi depositate, lo svolgimento delle reazioni di ossidazione dell'ossido di carbonio e degli idrocarburi incombusti nonché di riduzione degli ossidi di azoto.

Originariamente tali dispositivi erano formati da due elementi tra loro fisicamente distinti (marmitta ossidante e marmitta riducente) disposte in successione lungo il collettore di scarico. Attualmente, grazie allo sviluppo della tecnica dei catalizzatori e dell'elettronica, è stata sviluppata una nuova tipologia di convertitori in grado di operare simultaneamente la conversione delle succitate sostanze inquinanti.

Tali convertitori, o marmitte catalitiche, sono costituiti, nella loro versione più diffusa, da un supporto di materiale ceramico (cordierite) alloggiato entro un involucro di acciaio inossidabile e dotato di numerosissimi canali paralleli e contigui, a sezione quadrata, formanti una caratteristica struttura a nido d'ape. Sulle pareti di tali canali vengono depositate, mediante opportuni procedimenti chimico-fisici, particolari sostanze catalizzatrici (platino, palladio e rodio) che sono in grado, per valori di dosatura della miscela aspirata molto prossimi a quello stechiometrico, di convertire in elevata misura in prodotti innocui i tre inquinanti regolamentati (ossido di carbonio, idrocarburi incombusti e ossidi di azoto).

Il controllo necessario per assicurare che, in ogni condizione di funzionamento del m., la dosatura della miscela sia sufficientemente prossima a quella stechiometrica, è ottenuto per mezzo di speciali sistemi d'iniezione elettronica del combustibile del tipo a catena chiusa.

Elemento di rilievo di tali sistemi è la cosiddetta sonda lambda, cioè uno speciale sensore (costituito da ossido di zirconio) posto a monte della marmitta catalitica, e che controlla il contenuto di ossigeno nei gas di scarico. Caratteristica di tale sensore è di generare un segnale elettrico corrispondente alla concentrazione via via assunta dall'ossigeno nei gas di scarico (che a sua volta dipende dal rapporto originario della miscela aria-combustibile aspirata dal m.) e che, attraverso opportuni interventi sul sistema d'iniezione del combustibile, permette di assicurare il valore praticamente stechiometrico della dosatura, necessario perché le sostanze inquinanti possano essere convertite dal catalizzatore in prodotti di combustione completa (anidride carbonica e acqua).

L'applicazione ai m. a benzina di tali marmitte, che sono già in avanzata fase d'impiego negli Stati Uniti e in Giappone, è in fase di progressiva attuazione anche in Italia.

Naturalmente le succitate innovazioni tecniche relative sia ai risparmi di combustibile sia alla riduzione delle emissioni hanno interessato, sia pure parzialmente, anche i m. a quattro e a due tempi ad accensione comandata impiegati nella trazione motociclistica e marina.

Per quanto attiene ai m. a quattro tempi per usi motociclistici, per effetto dell'emanazione di normative ''antismog'' meno restrittive di quelle relative ai m. automobilistici, è continuato lo sviluppo di modelli con elevate potenze specifiche, ottenute ricorrendo soprattutto all'adozione di più valvole per cilindro (fino a 5, di cui tre di aspirazione e due di scarico in alcuni modelli di motociclette fabbricate dalla società giapponese Yamaha).

Allo scopo di limitare le sostanze inquinanti emesse dai motocicli, i primi provvedimenti adottati soprattutto in Giappone e in Germania sono i seguenti:

a) applicazione allo scarico del m. di marmitte catalitiche di tipo semplicemente ossidante, per abbattere tanto l'ossido di carbonio quanto gli idrocarburi incombusti;

b) adozione della tecnica di riduzione degli ossidi di azoto, nota come EGR (Exhaust Gas Recirculation), consistente in un parziale ricircolo dei gas di scarico all'aspirazione del m., allo scopo di ridurre la temperatura massima in camera di combustione, essendo quest'ultima la causa principale della formazione degli ossidi di azoto.

Prestazioni e grandezze caratteristiche. Le principali grandezze fisiche caratteristiche relative ad alcuni modelli di m. ad accensione comandata di recente fabbricazione, sia a quattro che a due tempi, sono riportate in tab. 2, dal cui esame emerge quanto segue.

a) Pressione media effettiva: per quanto attiene ai m. aspirati del tipo a 4 tempi, i valori della pressione media effettiva relativi al regime di coppia massima si sono attestati intorno a valori prossimi ai 10 bar, mentre la stessa grandezza per i m. sovralimentati raggiunge valori sensibilmente più elevati (variabili all'incirca tra i 12 e i 14 bar). Per quanto riguarda i m. a due tempi, per applicazioni sia marine che motociclistiche, la pressione media effettiva si è attestata su valori notevolmente più bassi con valori prossimi, sempre nelle condizioni di coppia più elevata, pari all'incirca ai 7 bar.

b) Consumo specifico di combustibile: tale grandezza, per quanto attiene i m. a 4 tempi, varia entro un campo piuttosto esteso che oscilla, nelle condizioni di massimo rendimento, tra valori minimi compresi tra i 250 g/kWh e i 350 g/kWh. Tali valori sono, naturalmente, alquanto più elevati per i m. a due tempi nei quali, a causa dell'intrinseca perdita di combustibile associata alla fase di lavaggio, i valori ottimi sono compresi in una fascia variabile tra i 350 e i 400 g/kWh.

c) Potenza: per i m. a 4 tempi destinati alla trazione automobilistica occorre fare una distinzione tra i modelli destinati ai veicoli per il trasporto di persone o cose, e quelli per vetture da competizione. Infatti, mentre per i primi non vengono generalmente superati i limiti dei 150÷200 kW, per gli altri vengono agevolmente raggiunti valori massimi prossimi ai 400 kW. Potenze di quest'ordine vengono realizzate negli Stati Uniti anche per m. sovralimentati di veicoli industriali.

Motori ad accensione per compressione. - Anche per i m. Diesel le principali innovazioni tecniche dell'ultimo decennio traggono origine dalla duplice e simultanea esigenza di ridurre i consumi di combustibile e di limitare le relative emissioni di inquinanti. Notevolmente diverse sono, però, le modalità con le quali queste problematiche sono state affrontate. Ciò trae origine dal diverso andamento del processo di combustione nei m. a benzina rispetto ai m. Diesel.

Nei m. a benzina, infatti, per effetto sia dell'elevata volatilità del combustibile sia del meccanismo stesso di formazione della carica, il processo di combustione avviene in una fase fluida praticamente omogenea e la formazione degli incombusti è dovuta essenzialmente agli idrocarburi del combustibile in eccesso, parzialmente o totalmente sottrattisi al processo di ossidazione.

Nei m. Diesel, invece, il processo di formazione della carica avviene sotto forma di piccolissime goccioline di combustibile (dell'ordine del centesimo di mm) che, iniettate direttamente nella camera di combustione (o indirettamente nei m. a precamera), bruciano in condizioni di elevati eccessi di aria, per effetto dell'alta temperatura raggiunta da quest'ultima durante la fase di compressione. Nonostante le ridottissime dimensioni delle goccioline di combustibile, ottenute grazie a pressioni d'iniezione molto elevate (anche oltre 1000 bar), il processo con il quale esse si distribuiscono all'interno della camera di combustione è ben lungi dall'essere uniforme.

Conseguenza di ciò è che, anche in presenza di notevoli eccessi di aria, esistono zone della camera di combustione nelle quali il processo di ossidazione del combustibile si verifica solo parzialmente. Di conseguenza i nuclei delle particelle di combustibile non ancora raggiunti dal processo di ossidazione, trovandosi simultaneamente in condizioni sia di elevata temperatura sia di carenza di ossigeno, vanno incontro a complessi processi di pirolisi che modificano sostanzialmente la loro originaria struttura chimico-fisica. Proprio tale fenomeno è attualmente ritenuto la causa primaria della formazione di quelle caratteristiche particelle materiali, di natura carboniosa, emesse allo scarico dei m. Diesel, tecnicamente definite particolato, ma più comunemente note come fuliggine o nerofumo.

Nonostante gli elevati valori del rapporto di dosatura e i notevoli sforzi compiuti per migliorare l'efficienza del processo di combustione (ricorrendo a pressioni d'iniezione elevatissime e a forme della camera, o precamera, di combustione particolarmente favorevoli ai fini della turbolenza), il particolato carbonioso, responsabile della fumosità, è sempre presente in misura più o meno accentuata nello scarico dei m. Diesel. La sua presenza in misura elevata nei gas combusti, oltre che prova certa di un cattivo sfruttamento energetico del combustibile, è causa di notevole degrado per l'ambiente e motivo di grave danno per la salute. A differenza dei m. a benzina, nello scarico dei m. Diesel (tab. 3) piuttosto modesta è la presenza delle caratteristiche sostanze gassose derivanti da un incompleto processo di combustione, come l'ossido di carbonio e idrocarburi incombusti. Del tutto paragonabili a quelle dei m. a benzina e talvolta addirittura superiori sono invece le emissioni degli ossidi di azoto, dal momento che sussistono entrambe le condizioni che ne favoriscono la formazione, e cioè gli elevati eccessi di aria e le alte temperature in camera di combustione.

Poiché, per quanto si è detto, le principali emissioni nocive dei m. Diesel sono costituite dagli ossidi di azoto e dal particolato carbonioso, i maggiori sforzi esercitati in questi ultimi anni dai costruttori di autoveicoli si sono rivolti essenzialmente verso l'abbattimento dei predetti inquinanti.

Analogamente a quanto avvenuto per i m. a benzina si può affermare che i provvedimenti adottati si possono ricondurre a due principali strategie d'intervento, che comprendono precisamente:

a) interventi attuati direttamente sul processo di combustione nel m., allo scopo di prevenire la formazione delle sostanze inquinanti;

b) applicazione di dispositivi di trattamento dei gas combusti al fine di convertire in prodotti innocui le sostanze nocive.

Interventi attuati direttamente sul processo di combustione nel motore Diesel. Tali interventi consistono essenzialmente in provvedimenti attuati per migliorare l'efficienza del processo di combustione, dal momento che è all'incompletezza di tale processo che è soprattutto dovuta la formazione del particolato carbonioso che, come già accennato, è causa sia di cattiva utilizzazione del combustibile sia di notevole inquinamento ambientale.

Le più moderne soluzioni tecniche attualmente adottate nei m. a 4 tempi destinati all'autotrazione sono:

a) la tecnica della ricircolazione dei gas di scarico che, come accennato in precedenza, consiste nell'immettere all'aspirazione del m. un'aliquota di gas di scarico allo scopo di diminuire la temperatura massima in camera di combustione, che è all'origine della formazione degli ossidi di azoto;

b) l'impiego di sistemi d'iniezione elettronica del combustibile in grado di fornire, per ogni ciclo di funzionamento, la quantità di combustibile ottimale ai fini delle prestazioni del m. in termini di potenza, coppia, consumo di combustibile ed emissioni di inquinanti.

In fig. 1 è riportato lo schema del sistema di controllo elettronico (EDC-VE) realizzato dalla società tedesca Bosch per m. Diesel a 4 tempi destinati all'autotrazione leggera e pesante. Grazie ad esso è possibile effettuare non soltanto un accurato dosaggio della quantità di combustibile ottimale ai fini dell'efficienza del processo di combustione al variare del regime e del carico del m., ma anche la determinazione della portata di gas di scarico ricircolata all'aspirazione (portata di EGR), che minimizza la formazione degli ossidi di azoto in camera di combustione.

Applicazione di dispositivi di trattamento dei gas combusti allo scarico del motore Diesel. Tenuto conto che le principali emissioni nocive dei m. Diesel sono costituite soprattutto dal particolato carbonioso, e che l'unico inquinante gassoso presente in quantità rilevante (cioè gli ossidi di azoto) viene in parte eliminato all'origine mediante interventi diretti sul processo di combustione (il cosiddetto ricircolo ''interno'' o ''esterno'' dei gas di scarico), appare evidente il motivo per cui i maggiori sforzi dei costruttori di veicoli si sono rivolti verso la fabbricazione di dispositivi in grado di abbattere la fumosità del motore.

Tali sistemi, noti come trappole per particolato, consistono essenzialmente in dispositivi applicati al sistema di scarico allo scopo di filtrare e, successivamente, eliminare le particelle carboniose formatesi durante il processo di combustione nel motore.

In sostanza le trappole sono costituite da un supporto di materiale ceramico di tipo poroso (fig. 2) che presenta una molteplicità di canali paralleli, alternativamente chiusi e aperti all'estremità, sulle cui pareti si deposita per filtrazione il particolato. Per evitare che il materiale accumulatosi nel supporto crei un'eccessiva contropressione allo scarico del m., con conseguente decadimento della potenza e maggior consumo di combustibile, il funzionamento delle trappole prevede sempre un ciclo di eliminazione del particolato (detto ''processo di rigenerazione'') durante il quale, con opportuni accorgimenti tecnici, il particolato viene bruciato convertendosi in anidride carbonica e acqua.

Nonostante l'apparente semplicità che contraddistingue il funzionamento delle trappole per particolato, la loro tecnologia non è ancora del tutto matura, in quanto sono stati solo parzialmente risolti alcuni importanti problemi tecnici connessi soprattutto alla resistenza alla ''fatica termica'' del materiale del supporto ceramico e all'affidabilità del sistema di controllo del processo di rigenerazione. Tuttavia sono già state realizzate numerose versioni di trappole per particolato, sviluppate specie per veicoli pesanti destinati al trasporto pubblico urbano. Come esempio, in fig. 3 è riportato lo schema di una caratteristica versione di trappola per veicoli pesanti realizzata dalla società tedesca Zeuna-Starker, in cui il processo di rigenerazione è ottenuto per mezzo di un apposito bruciatore ausiliario del particolato posto immediatamente a monte del supporto ceramico.

Naturalmente le su accennate problematiche dell'inquinamento atmosferico hanno interessato in misura notevolmente minore i m. Diesel marini a 2 tempi che, unitamente ai m. a 4 tempi per applicazioni navali, trovano larghissimo impiego quali apparati propulsori di motocisterne, bulk-carriers e navi da carico. Le principali innovazioni tecniche relative a tale tipologia di m. sono da attribuire soprattutto alla sempre più pressante esigenza di ridurre i consumi energetici, assicurando nello stesso tempo agli apparati propulsori (m. e relativa elica) caratteristiche sempre migliori di affidabilità e di durata.

Per perseguire tale obiettivo, le strategie seguite dalle più importanti case costruttrici a livello mondiale di m. Diesel marini a 2 tempi (principalmente, la società svizzera Sulzer, la tedesca MAN-B. & W. e la giapponese Mitsubishi) possono essere ricondotte ai seguenti indirizzi tecnici principali:

a) sostanziale riduzione della velocità di rotazione degli apparati propulsori, dai circa 140 giri/min a valori minimi molto prossimi ai 60 giri/min, allo scopo sia di accrescere il rendimento propulsivo dell'elica sia di diminuire l'entità delle perdite di natura organica del m.;

b) adozione di manovellismi caratterizzati da sempre più elevati rapporti corsa/alesaggio (superiori, addirittura, a 3,5 nei cosiddetti m. a corsa superlunga) per ottenere, nonostante i bassissimi regimi di rotazione adottati, elevati valori della potenza per singolo cilindro;

c) realizzazione di sempre più elevate pressioni e temperature massime di combustione, ottenute attraverso l'adozione di una sovralimentazione sempre più spinta (compressione in due stadi interrefrigerata) e di sempre maggiori carichi termici nel cilindro; questi ultimi sono stati resi possibili, soprattutto per lo stantuffo e per la valvola di scarico (nei m. con lavaggio unidirezionale), dall'impiego di leghe speciali particolarmente resistenti alle elevate temperature;

d) impiego del sistema di sovralimentazione turbocompound (fig. 4), che offre la possibilità, agli alti carichi del m., di derivare, a monte della turbina di sovralimentazione, un'aliquota dei gas di scarico allo scopo di alimentare una turbina ausiliaria preposta a trasmettere, tramite opportuno riduttore a ingranaggi, la propria potenza meccanica all'albero motore;

e) esteso impiego, soprattutto nei m. a corsa lunga e a corsa superlunga, del sistema di lavaggio unidirezionale che consente, con tali configurazioni del manovellismo, di ottenere le massime efficienze nei processi di lavaggio e di riempimento dei cilindri.

Grazie all'applicazione combinata di tali soluzioni tecniche è stato possibile, in questi ultimi anni, migliorare sensibilmente i già notoriamente alti valori dell'efficienza globale del m. Diesel a 2 tempi che, con riferimento ad alcuni modelli a corsa superlunga costruiti dalle società svizzera Sulzer e tedesca MAN-B. & W., ha raggiunto valori massimi (tab. 4) prossimi al 53%.

Prestazioni e grandezze caratteristiche. Le principali grandezze fisiche caratteristiche di alcune versioni di m. Diesel a 2 e 4 tempi di recente fabbricazione, sono riportate in tab. 4, dal cui esame emerge quanto segue.

a) Pressione media effettiva: per quanto riguarda i m. a 4 tempi ad aspirazione naturale, i valori massimi della pressione media effettiva (cioè, relativi alle condizioni di coppia massima) hanno assunto valori limite compresi all'incirca tra gli 8,5 e i 9 bar. Naturalmente tali valori risultano notevolmente più elevati per i m. a 4 tempi turbocompressi (con compressione sia con singolo che con doppio stadio), per i quali il massimo valore della pressione media effettiva varia entro un intervallo piuttosto ampio, tra gli 11÷12 bar caratteristici della tradizione stradale e i circa 22 bar tipici della propulsione navale. Per quanto riguarda i m. a 2 tempi, nei quali viene estesamente impiegata la sovralimentazione mediante turbocompressore, in questo ultimo decennio si è assistito a un generale incremento della pressione media effettiva attestatasi, per i m. non interrefrigerati, su valori massimi variabili tra i 9 e gli 11 bar e, per m. provvisti di sistema di refrigerazione intermedia, su valori compresi tra i 15 e i 16 bar.

b) Consumo specifico di combustibile: soprattutto grazie ai progressi realizzati nel campo della combustione e dei sistemi d'iniezione del combustibile, ultimamente si sono realizzati, per quanto attiene i m. a 4 tempi di tipo aspirato, consumi specifici di combustibile oscillanti tra i 250 e i 280 g/kWh e, per quanto riguarda i m. a 4 tempi turbocompressi, valori minimi prossimi ai 180 g/kWh. Per i m. a 2 tempi, grazie agli accorgimenti tecnici in precedenza accennati, si sono ottenuti consumi specifici di combustibile particolarmente ridotti che, in alcune tipologie di apparati propulsivi navali, hanno raggiunto valori limite addirittura pari ai 157÷158 g/kWh (questi ultimi valori corrispondono a un rendimento globale del m. prossimo al 54%).

c) Potenza: per i m. a 4 tempi, si è assistito a uno stabilizzarsi della potenza erogata intorno a valori prossimi ai 400 kW per i m. destinati alla trazione stradale pesante (autocarri, autobus, ecc.), mentre i corrispondenti limiti degli apparati propulsori a 4 tempi del settore navale sono risultati prossimi ai 12.000 kW. Per quanto riguarda i m. a 2 tempi, il limite della potenza erogata è attualmente costituito dal modello 12 RTA 84 della società svizzera Sulzer che, con i suoi 12 cilindri aventi un diametro di 840 mm e una corsa di 2400 mm, è in grado di erogare ben 41.920 kW a una velocità di rotazione di 95 giri/min.

Bibl.: Diesel engine reference book, a cura di L. C. R. Lilly, Londra 1984; C. F. Taylor, The internal-combustion engine in theory and practice, Cambridge (Mass.) 1987; J. B. Heywood, Internal combustion engine fundamentals, New York 1988; A. Beccari, C. Caputo, Motori volumetrici, Torino 1988; G. Bella, M. Feola, V. Rocco, A particulate trap model for diesel engines, in Conf. Int. su Engine emissions technology for 90's, S. Antonio (Texas) 1988; C. Bertoli, M. Migliaccio, Il motore diesel veloce per la trazione stradale, Napoli 1989; R. Della Volpe, M. Migliaccio, Appunti dalle lezioni di motori per autotrazione, ivi 1989; G. P. Blair, The basic design of two-stroke engines, Warrendale (Pennsylvania) 1989.

Motori elettrici. - Negli ultimi decenni le prestazioni di tutti i m. elettrici sono notevolmente migliorate, consentendo di risolvere in maniera efficiente e affidabile i complessi problemi posti dalle applicazioni industriali, dalla trazione elettrica, nonché da numerose altre utilizzazioni che vanno dagli elettrodomestici alle più sofisticate esigenze aeronautiche e aerospaziali, passando attraverso le macchine per ufficio e lo stesso settore dei trasporti non elettrici: si pensi, per es., che in una automobile odierna dotata di ogni comfort e optional possono essere installati fino a quaranta m. elettrici.

I miglioramenti delle prestazioni non sono dovuti a profonde innovazioni nel m. elettrico in quanto tale; infatti, dal punto di vista sia del progetto che tecnologico non si sono verificati grandi progressi e si può affermare che tutte le tipologie costruttive già da molti anni esistenti sono a tutt'oggi quelle ancora impiegate nelle varie applicazioni. A queste tipologie si devono aggiungere i m. a passo, costruiti già da alcuni decenni e utilizzati in applicazioni in cui è richiesta una regolazione della posizione angolare.

Motori a passo. − Questa denominazione identifica una classe molto vasta di m. che, alimentati elettricamente a impulso, trasducono il comando elettrico in un movimento rotativo o traslatorio, comunque di tipo incrementale continuo. Il principio di funzionamento è quello di un m. sincrono in cui a ogni impulso di alimentazione corrisponde un avanzamento elementare costante, detto passo. Una successione di impulsi a una prefissata frequenza permette d'imporre una velocità di rotazione praticamente costante. Senza introdurre errori di tipo cumulativo, il m. a passo consente, dunque, una conversione di informazioni in un controllo di posizione e velocità.

La struttura fissa (statore) è del tipo a riluttanza variabile e reca gli avvolgimenti; la struttura mobile (rotore) può essere anch'essa di tipo anisotropo (m. a passo a riluttanza e a riluttanza polarizzata) o isotropo con caratteristica di magnetizzazione periodica (m. a passo elettromagnetici; fig. 5). Lo statore ha una struttura laminata, essendo l'alimentazione periodica e, di conseguenza, risultando di tipo alternato il flusso che l'investe, con frequenze che possono raggiungere i 20 kHz. Il rotore, invece, avendo un movimento sincrono con il campo magnetico prodotto dallo statore, è investito da un flusso praticamente costante. Di conseguenza, esso può avere una struttura massiccia, anche se, in pratica, si ricorre ugualmente a una struttura laminata, onde limitare le perdite di energia legate alle pulsazioni di flusso. Il raggiungimento di una data posizione di equilibrio è determinato dall'alimentazione di un particolare gruppo di bobine dell'avvolgimento, cioè di una delle fasi del m., fasi che possono essere nel numero di 2,3,4,5 oppure 8, in dipendenza del numero di passi per giro, delle caratteristiche costruttive del m. e delle prestazioni di coppia o velocità che si vogliono raggiungere. È possibile, tuttavia, realizzare m. a passo monofasi, i quali però sono esclusivamente del tipo elettromagnetico o del tipo a riluttanza polarizzata.

Dato che la coppia generata dipende dal quadrato della corrente, l'alimentazione delle varie fasi deve approssimare una sorgente di corrente controllata, che da un lato deve essere protetta per limitare le sovratensioni susseguenti allo spegnimento del transistor (fig. 6), ricorrendo a un circuito ausiliario di estinzione, e dall'altro deve assicurare la successione delle commutazioni tra le varie fasi a un ritmo compatibile con le funzioni da realizzare. Quest'ultimo controllo può essere del tipo ad anello aperto, data la natura sincrona del m. a passo. Alle frequenze elevate e durante le fasi di accelerazione e decelerazione, le prestazioni del m. sono fortemente influenzate dal controllo dell'alimentazione e notevoli miglioramenti nel comportamento dei m. a passo sono stati ottenuti nel corso degli anni proprio intervenendo sul sistema di controllo.

Delle diverse configurazioni possibili, il m. a passo a riluttanza offre i vantaggi maggiori legati alla sua semplicità costruttiva: esso consente di raggiungere valori di velocità elevati ed è più stabile del tipo a riluttanza polarizzata; tuttavia il suo rendimento è più basso e peggiora al diminuire della potenza. La configurazione più conveniente per questo tipo di m. prevede un numero di passi per giro compreso tra 12 e 72, mentre i m. a riluttanza polarizzata sono costruiti per rapporti passi/giro compresi tra 24 e 400, con un rendimento mediamente buono. Il m. a passo elettromagnetico ha il rendimento più elevato ed è costruito per un numero di passi per giro compreso tra 2 e 24.

Motori asincroni ad alto rendimento. − Nuovi tipi di m. sono stati sviluppati nella seconda metà degli anni Settanta sotto la spinta della politica generale del risparmio energetico, grazie ai progressi raggiunti nello sfruttamento delle proprietà magnetiche dei materiali. In generale, l'evoluzione dei materiali magnetici consente di affermare che, seppure ancora lontana per motivi economici e di difficoltà di lavorazione, l'utilizzazione su larga scala di materiali magnetici già ampiamente studiati e in fase di sviluppo (come gli amorfi, quelli a microcristalli, a grani multiorientati e le leghe speciali) determinerà una vera e propria rivoluzione nel progetto e nello sviluppo di nuovi motori. Per es., sono stati costruiti prototipi di m. a potenza frazionaria con lamierini amorfi di spessore 0,035 mm e induzione pari a 1,4 T, i quali hanno consentito di ridurre le perdite nel ferro a meno di 1/3 rispetto ai lamierini al silicio. In ogni caso, già oggi si dispone di lamierini magnetici con perdite inferiori a 1W/kg e un'induzione superiore a 1,5 T a frequenza industriale (50 Hz).

Tale disponibilità ha consentito di realizzare m. asincroni ad alto rendimento, sviluppati con l'intento precipuo di ottimizzare dal punto di vista del rendimento una serie derivata da quella industriale, più che con l'obiettivo di creare una nuova serie che avrebbe richiesto investimenti elevati. Per far questo è stata necessaria un'opportuna riprogettazione delle strutture elettromagnetiche e meccaniche, basata principalmente sul sovradimensionamento sia del circuito magnetico sia degli avvolgimenti, onde ridurre rispettivamente i valori dell'induzione magnetica e della densità di corrente. Le macchine ottenute sono di tipo chiuso autoventilato e hanno il rotore a gabbia in alluminio; le carcasse sono alettate e realizzate in lega leggera per le taglie più basse di potenza. I cuscinetti sono a rotolamento e lubrificati a grasso; dispongono di un gioco che permette di assorbire eventuali differenze di dilatazione tra cuscinetto e sede, senza aumentare le perdite di attrito. Il circuito magnetico è realizzato in lamierino magnetico con percentuali di silicio aumentate, cifra di perdita ridotta fino a circa 1,5 W/kg e spessore ridotto da 0,65 a 0,35 mm. Si deve osservare che la minore cifra di perdita comporta una minore permeabilità nel campo delle induzioni più elevate e, di conseguenza, una maggiore corrente magnetizzante. L'inconveniente, più significativo nelle taglie più basse di potenza, viene ovviato usando lamierini meno legati (ovvero con minore percentuale di silicio), che consentono di avere una migliore permeabilità.

In genere le innovazioni tecnologiche che caratterizzano i m. ad alto rendimento riguardano la minimizzazione del materiale impiegato, che consente di ridurre il maggior costo del sovradimensionamento necessario alla riduzione delle perdite, e il migliore sfruttamento del materiale, che serve ad avvicinarne le caratteristiche a quelle ideali. In questo senso un m. ad alto rendimento è il risultato di una tecnologia avanzata che, partendo già dalla fase di tranciatura e impaccaggio dei lamierini magnetici, fino alla fusione del rotore, alla realizzazione dell'avvolgimento, alla lavorazione meccanica sulle superfici del traferro, consente di ottenere una riduzione delle perdite compresa tra il 20 e il 30% con punte fino al 40% rispetto alla serie di m. normali. Nella tab. 5 sono riportate le perdite dei m. ad alto rendimento, a confronto con quelle dei m. della serie normale.

Motori a magneti permanenti. − Gli elevati valori d'induzione residua e, insieme, di energia magnetica resa disponibile dai moderni materiali magnetici (v. magnetici, materiali, in questa Appendice) hanno dato grande impulso ai m. a magneti permanenti, che oggi vengono costruiti in varie forme. Si tratta di m. in cui l'avvolgimento di eccitazione, disposto sullo statore (m. a corrente continua) o sul rotore (m. sincroni a corrente alternata) con lo scopo di creare il flusso magnetizzante indispensabile per il funzionamento della macchina, è sostituito da magneti permanenti.

Nei m. a corrente continua, essendo l'eccitazione posta sullo statore, molte delle limitazioni imposte dall'uso dei magneti permanenti diventano meno restrittive. Sono, per es., sopportabili le sollecitazioni meccaniche sui poli pur senza adottare provvedimenti particolari, anche nel caso dei più fragili magneti permanenti come le ferriti; non esistono, inoltre, problemi connessi alla disponibilità di spazio per posizionare i magneti. I materiali usati sono di norma le ferriti al bario, tranne i casi in cui sono richieste particolari caratteristiche (per es., un'alta potenza specifica), proprie delle leghe con le terre rare. Dal punto di vista costruttivo, si tratta di tradizionali m. a corrente continua, dove i poli sono in genere dei settori circolari, sagomati sui bordi, aventi estensioni angolari minori del passo polare della macchina, con spessore costante e magnetizzazione in genere di tipo radiale (fig. 7). La produzione di questi m. in quantità notevoli e con potenze comprese tra le frazioni e le decine di kW, trova sbocco nel mercato automobilistico, in quello degli elettrodomestici e in quello delle macchine utensili.

I m. a corrente alternata con magneti permanenti sono del tipo sincrono, con lo statore recante un avvolgimento polifase (generalmente trifase) e il rotore a magneti permanenti di tipo diverso e con strutture di varia natura. Le due applicazioni più diffuse sono i m. brushless ("privi di spazzole") e i m. sincroni a magneti permanenti. Nel primo caso, la struttura di statore e rotore suddetta è completata da un commutatore elettronico (inverter) che, collegato a una sorgente di alimentazione in corrente continua e comandato da un sensore di posizione solidale con il rotore, alimenta le fasi dello statore ciclicamente. L'inverter è controllato in modo da alimentare lo statore con delle correnti capaci di creare un campo magnetico sempre ortogonale a quello di rotore prodotto dai magneti, realizzando così una situazione d'interazione tra campi magnetici e di produzione di coppia tipica dei m. a corrente continua. Per questi motivi, i m. brushless vengono spesso erroneamente assimilati ai m. in corrente continua, rispetto ai quali presentano in ogni caso il grande vantaggio dato dall'assenza del commutatore. Tale vantaggio, unito alla facilità di raffreddamento del rotore per l'assenza di perdite rotoriche, consente ai m. brushless di raggiungere velocità fino a 50.000 giri/min. A queste velocità i magneti, che sono fissati sulla superficie esterna e liscia del rotore (macchine a rotore isotropo), sono sollecitati fortemente ed è necessario un bandaggio per trattenerli in posizione, con anelli di fibra di carbonio oppure con un anello di acciaio amagnetico (fig. 8). L'applicazione principale dei m. brushless si ha nelle macchine utensili (azionamenti per assi e per mandrini), con potenze che vanno dalle unità a qualche centinaio di kW.

I m. sincroni a magneti permanenti sono costruiti in molteplici strutture legate all'uso di materiali diversi ad alta e bassa induzione residua, in modo da ottimizzare lo sfruttamento delle caratteristiche dei magneti. Esistono configurazioni con magneti a orientamento di flusso radiale e circumferenziale, con magneti esterni o semiesterni (fig. 9) e con magneti interni, annegati nella struttura rotorica (fig. 10). Questi ultimi sono particolarmente vantaggiosi per fronteggiare le sollecitazioni meccaniche e, quindi, adatti per applicazioni ad alta velocità; inoltre, l'anisotropia rotorica che ne consegue mette a disposizione una coppia (di anisotropia) che può essere raccolta all'albero della macchina in aggiunta a quella prodotta dall'eccitazione. Tale coppia dipende dal rapporto tra la reattanza sincrona in quadratura e quella diretta che è, in queste macchine, sempre maggiore di 1, in quanto la riluttanza del circuito magnetico risulta maggiore lungo l'asse diretto rispetto a quella lungo l'asse in quadratura per la presenza del magnete permanente. Le particolarità costruttive del rotore, legate anche alla necessità di assicurare la tenuta dei magneti all'interno della struttura (ricorrendo, per es., a supporti di materiale non magnetico; barriere di flusso c, fig. 11), hanno come conseguenza la nascita di fenomeni di saturazione della struttura magnetica che deformano l'andamento delle linee di flusso e influenzano il funzionamento del motore. Una variante molto interessante dei m. sincroni prevede l'inclusione nella parte esterna del rotore di una gabbia di scoiattolo, del tipo di quelle usate nei m. asincroni (v. App. II, ii, p. 362), che svolge una funzione stabilizzatrice durante i transitori e, se opportunamente dimensionata, consente al m. di autoavviarsi con alimentazione diretta dalla rete, prerogativa negata ai m. sincroni.

L'utilizzazione su scala industriale dei m. sincroni a magneti permanenti è a tutt'oggi limitata dall'elevato costo (in confronto, per es. al m. asincrono) dovuto all'impiego di magneti che, per potere consentire un elevato rapporto flusso magnetico/peso per unità di volume, devono essere del tipo a terre rare. Tuttavia, l'elevato rendimento, il migliore fattore di potenza, la robustezza della struttura, le elevate prestazioni dinamiche, l'affidabilità, la possibilità di funzionare a fissate velocità di sincronismo, rendono il m. sincrono a magneti permanenti la macchina più promettente su tutti i livelli di potenza, soprattutto in vista di un sempre maggiore interesse verso il risparmio energetico.

Azionamenti elettrici. − I progressi più significativi nelle prestazioni dei m. elettrici sono legati alla possibilità, che si è concretizzata su larga scala negli ultimi decenni, di controllare la loro velocità. Quest'obiettivo, nato con i primi m. elettrici, è stato perseguito a lungo (si ricordino, per es., i convertitori a vapore di mercurio usati per la variazione della tensione dei m. a corrente continua, oppure i collegamenti in cascata del tipo Scherbius o Kraemer, e i m. trifase a collettore come per es. il m. Schrage), ma con evidenti limiti d'impostazione teorica e con scarso rilievo applicativo. Il risultato è stato che per lungo tempo, fino a tutti gli anni Cinquanta, l'unico m. di cui si era in grado di variare la velocità, e anche in questo caso a gradini e con rendimenti non elevati, era il m. a corrente continua, che così rappresentava la più valida soluzione offerta sia alle applicazioni industriali sia alla trazione elettrica.

Il 1957, anno in cui venne sviluppato il primo SCR (Silicon Controlled Rectifier) della famiglia dei tiristori, rappresenta una svolta per lo sviluppo di sistemi di regolazione della velocità, coppia e posizione fornite da un m. elettrico, basati su convertitori elettronici di potenza opportunamente controllati. Lo sviluppo degli SCR consentì, innanzitutto, la realizzazione di raddrizzatori e convertitori controllati che permisero al m. a corrente continua di soddisfare in maniera quasi del tutto esaustiva le esigenze di numerosi settori industriali, come quello delle industrie tessili, cartarie, siderurgiche, delle macchine utensili, e di tutto il settore della trazione elettrica. Inoltre gli SCR, e ancor più gli innumerevoli altri componenti elettronici che a partire da quella data sono stati introdotti sul mercato, hanno consentito lo sviluppo di convertitori statici di potenza in grado di produrre tensione alternata con ampiezza e frequenza variabili (questa è la maniera più efficiente e affidabile di regolare le grandezze meccaniche di un m. a corrente alternata), in tal modo aprendo la strada all'utilizzazione di questi m. in cicli di lavorazione e in applicazioni che prima sarebbero stati del tutto impensabili.

Il m. elettrico ha vissuto per questa via la più grande rivoluzione dal momento stesso della sua nascita, diventando uno dei componenti di un sistema complesso che prende il nome di azionamento elettrico, il cui schema di principio è rappresentato in fig. 12. Occorre però osservare che gli sviluppi nel progetto e nella costruzione dei m. elettrici come singoli componenti sono stati molto modesti negli ultimi anni e non sono stati neppure stimolati dall'obiettivo di trarre vantaggio dalle nuove potenzialità offerte dai convertitori statici di potenza. Si noti, per es., che i m. a corrente continua e i m. asincroni con alimentazione a tensione e a frequenza variabile in generale sono ancora oggi costruiti come quelli con alimentazione convenzionale. Alcuni miglioramenti introdotti sono: nel caso del m. a corrente continua, la laminazione del circuito magnetico di statore; nel caso del m. asincrono, l'eliminazione della doppia gabbia nei m. per avviamenti gravosi in quanto l'alimentazione a frequenza variabile consente di disporre di un'elevata coppia di spunto.

L'unica novità in questo settore è rappresentata da un rinnovato interesse verso un m. già ampiamente studiato nel passato, il m. a riluttanza variabile (v. App. IV, ii, p. 527), e ora riscoperto in entrambe le versioni possibili: m. switched reluctance ("m. commutato a riluttanza") e m. sincrono a riluttanza.

Motore switched reluctance. È una macchina con poli salienti sia sullo statore sia sul rotore, come schematizzato in fig. 13. Il numero dei poli statorici dev'essere diverso da quello dei poli rotorici per evitare coppie bloccanti quando il rotore è fermo. Anche se in linea teorica può essere scelto qualunque rapporto di numeri di poli, purché diversi, la necessità di minimizzare il numero di interruttori elettronici di potenza, che costituiscono il convertitore di alimentazione del m., suggerisce un numero pari di poli statorici e, quindi, anche di quelli rotorici per ottimizzare la produzione di coppia. Il rotore non porta avvolgimenti e quelli di statore, che sono semplici e corti, sono alimentati in intervalli di tempo successivi, regolando la corrente in ciascuna fase in modo da ottenere la massima coppia nell'intervallo di conduzione. Tale controllo di corrente richiede ovviamente un sensore della posizione rotorica che può, tuttavia, essere eliminato in base ai risultati di alcuni studi recenti. La coppia, che nasce esclusivamente per effetto dell'anisotropia della macchina, mantiene la stessa polarità indipendentemente dal segno della corrente, per cui è sufficiente una corrente unipolare per generarla. Questo fatto riduce a metà il numero degli interruttori per fase necessari e impedisce il verificarsi di guasti di cortocircuito netto sul convertitore. Nonostante questo, il dimensionamento del convertitore per l'alimentazione del m. è circa equivalente a quello di un invertitore per un m. asincrono, così come il rendimento è paragonabile a quello di un m. asincrono di uguali dimensioni e potenza. Gli svantaggi più significativi di questo m. sono rappresentati dalle pulsazioni di coppia e dalle vibrazioni conseguenti che producono, a loro volta, un elevato rumore. Inoltre, quando l'interruttore di potenza posto su una determinata fase viene spento, sull'avvolgimento si verifica un impulso di tensione che può essere ovviamente pericoloso per l'isolamento della macchina. Diversi accorgimenti sono attualmente allo studio per eliminare tali inconvenienti e, in particolare, per quanto riguarda gli impulsi di tensione vengono proposti schemi a recupero di energia per i circuiti elettronici di alimentazione del m. basati sul principio di rinviare all'alimentazione l'energia induttiva disponibile durante lo spegnimento.

Motore sincrono a riluttanza. Questo m. differisce da quello switched reluctance fondamentalmente perché il suo statore ha una struttura isotropa come quella del m. a induzione, mentre soltanto il rotore presenta poli salienti. Le caratteristiche di questa classe di m. sono state già illustrate in App. IV, ii, p. 527. Si vuole solo ricordare una configurazione anch'essa non nuova, ma che sta oggi affermandosi come la più promettente per ottenere elevati rapporti di anisotropia tra la riluttanza secondo l'asse ''in quadratura'' e quella secondo l'asse ''diretto''. Si tratta di m. con rotori laminati assialmente dove, come mostrato in fig. 14, i lamierini magnetici sono assiemati in modo da produrre percorsi magnetici a riluttanza minima nella direzione di laminazione (asse d) e riluttanza massima lungo linee normali al senso di laminazione (asse q). Sono stati realizzati prototipi di tali m. che raggiungono rapporti di anisotropia pari a 7-8 con conseguenti notevoli miglioramenti del rendimento e del fattore di potenza. Inoltre, alimentando il m. in modo da controllare la corrente di statore, è possibile ottenere valori di densità di potenza e di rendimento paragonabili, e anche superiori, a quelli di un equivalente m. a induzione.

Campi di applicazione. L'importanza assunta dagli azionamenti elettrici è chiaramente evidenziata dal fatto che l'utilizzazione maggiore dell'energia elettrica (pari a circa il 60%) avviene mediante m. elettrici azionati, ormai in numero sempre più elevato, elettronicamente. Da un lato del campo di applicazioni si trovano i piccoli m. con potenza frazionaria del kW, usati nella strumentazione e nell'area delle macchine calcolatrici e per ufficio. Quindi, muovendosi attraverso il settore delle macchine utensili e della robotica, si va nell'ambito delle applicazioni di media potenza, come gli azionamenti per l'industria cartaria e tessile, per pompe e ventilatori. Nel campo delle potenze elevate, esistono azionamenti di molti MW, per es. per compressori a gas, ventilatori per caldaie, grossi sistemi di pompaggio, impianti cementiferi, oltre che per il settore dei trasporti marittimi e ferroviari ove, per es., sono in fase di sviluppo sistemi a levitazione magnetica che utilizzano m. sincroni lineari con avvolgimenti superconduttivi (v. App. IV, ii, p. 531).

L'utilizzazione degli azionamenti elettrici è consigliata non soltanto dall'esigenza di migliorare qualità e prestazioni di particolari cicli di lavorazione industriale o dei sistemi di trasporto, ma anche dalla necessità di razionalizzare l'uso dell'energia elettrica ai fini del risparmio energetico, che appare la risposta più adeguata alle attuali e future restrizioni nella disponibilità di energia. L'adozione di m. elettrici azionati elettronicamente riduce fortemente i consumi energetici in molti settori, come nel caso di azionamenti per pompe e ventilatori al posto di sistemi a strozzatura, o nel caso dell'aeronautica, dove i m. idraulici per il controllo dell'aereo possono essere sostituiti da azionamenti elettrici, così riducendo i pesi e risparmiando considerevoli quantità di combustibile, o, infine, nei sistemi di trasporto di massa, inclusi quelli su strada, dove l'utilizzazione di m. elettrici al posto di quelli a scoppio è ormai riconosciuta come la più idonea ai fini della riduzione dell'inquinamento urbano.

Con riferimento allo schema di fig. 12, un azionamento elettrico è costituito da un convertitore controllato di potenza e da un m. elettrico che aziona un carico meccanico con velocità variabile. Il convertitore di potenza è alimentato con tensione continua o alternata dalla sorgente di energia e alimenta a sua volta il m. con valori appropriati di tensione e corrente definiti dal sistema di controllo. Nel caso di controllo di velocità a catena chiusa (fig. 15), il sistema di controllo riceve informazioni sulla velocità effettiva ωr del carico, che è confrontata con quella di riferimento ω*r. La differenza tra le due velocità è usata dal sistema di controllo in modo da minimizzarla. Il controllo è tanto più preciso quanto più accuratamente la velocità effettiva riesce a seguire il riferimento. I sistemi di controllo hanno, in genere, una struttura in cascata o gerarchica, con un anello interno di controllo di coppia T (ovvero di corrente) e, sovrapposto, l'anello esterno del controllo della velocità ωr. Infine, l'anello di controllo della posizione ϑ può essere sovrapposto esternamente a quello di velocità per avere un controllo completo delle caratteristiche meccaniche del carico (coppia, velocità e posizione).

A seconda del tipo di m. elettrico utilizzato, gli azionamenti si dividono in due categorie: azionamenti in corrente continua (c.c.) e in corrente alternata (c.a.).

Azionamenti in corrente continua. L'invenzione dei tiristori e il conseguente sviluppo dei convertitori c.a./c.c. (v. oltre) diedero inizio a una nuova era per gli azionamenti elettrici che, fondamentalmente, significò in quel momento, e per circa un ventennio ancora, la diffusione degli azionamenti in corrente continua. Questo avvenne poiché alla possibilità d'interrompere elettronicamente correnti elevate e, di conseguenza, variare opportunamente le forme d'onda di tensione e corrente, si accoppiava la prerogativa intrinseca del m. a c.c. di poter essere controllato, rapidamente e con buon rendimento, mediante la variazione della tensione di armatura e di quella di eccitazione. Di tale semplicità di regolazione ci si può rendere conto con riferimento al circuito equivalente e alle equazioni di un m. a c.c. con eccitazione indipendente (fig. 16A).

Ricavando da tali equazioni l'espressione della velocità ωr del rotore in funzione della tensione di armatura Va, si ottengono le curve di fig. 16B, dalle quali appare chiaro che per una fissata corrente di eccitazione Ie per variare la velocità di un m. a c.c., bisogna variare la tensione di armatura, supposta costante la corrente di armatura Ia. Al variare di Va, la caratteristica meccanica del m., cioè l'andamento della coppia Ce in funzione della velocità ωr, viene modificata secondo la famiglia di curve di fig. 16C, consentendo di aumentare la velocità per traslazione continua da una curva all'altra e di mantenere nel contempo la coppia al valore costante fissato dalle correnti di armatura e di eccitazione. Se, al contrario, viene variata la corrente Ie, ovvero la tensione di eccitazione Ve, si ottengono le curve di fig. 16D, dalle quali risulta che un aumento di velocità può ottenersi diminuendo la tensione di eccitazione, cioè riducendo il flusso al traferro del m. (deflussaggio), e questo comporta una diminuzione della coppia massima disponibile in maniera pressoché inversamente proporzionale alla velocità, consentendo una regolazione di velocità a potenza costante.

In fig. 16E sono qualitativamente rappresentati gli andamenti delle grandezze del m. durante le due modalità di regolazione (sulla tensione di armatura, ovvero ''a coppia costante'', e sulla tensione di eccitazione, ovvero ''a potenza costante''). Per una fissata corrente di armatura Ia, il m. è controllato su Va alle basse velocità, tenendo Ve costante al suo valore nominale: in tal modo la coppia massima erogabile dal m. risulta costante. Quando Va ha raggiunto il valore nominale (che non si deve superare), un ulteriore aumento di velocità è ottenuto diminuendo la tensione di eccitazione e assorbendo una potenza costante nell'armatura. La coppia massima erogata dal m. in questo caso diminuisce, ed è necessario verificare che rimanga superiore a quella richiesta dal carico. Il valore massimo di velocità conseguibile con la regolazione sulla tensione di eccitazione varia da 1,5 a 6 volte quello della velocità nominale, a seconda delle particolarità costruttive meccaniche del m. e dell'influenza della commutazione.

Se si ricorda che quest'ultima è fortemente (e negativamente) influenzata dall'aumento della corrente di armatura e dalla diminuzione del flusso di eccitazione, si conclude che i m. a c.c. previsti per funzionare in azionamenti a velocità variabile (certamente i m. di una certa importanza) devono avere sia i poli ausiliari sia gli avvolgimenti di compensazione che, percorsi dalla corrente di armatura, compensano gli effetti negativi della reazione d'indotto.

Convertitori per azionamenti in corrente continua. La tensione variabile necessaria per regolare la velocità in un m. a c.c. può essere ottenuta utilizzando, a seconda dell'alimentazione, due diversi tipi di convertitori: raddrizzatori controllati (convertitori c.a./c.c.) e chopper (convertitori c.c./c.c.).

I raddrizzatori controllati sono usati quando si dispone di una sorgente monofase o trifase alternata e nel caso di applicazioni che richiedono un ampio intervallo di controllo di velocità e/o frequenti avviamenti, frenature o inversione di velocità. Delle diverse configurazioni possibili, classificabili in raddrizzatori totalmente o semicontrollati, si ricordano qui le versioni monofase e trifase più utilizzate in pratica (fig. 17). La differenza fondamentale tra i raddrizzatori totalmente e semicontrollati risiede nell'impossibilità per questi ultimi di consentire il funzionamento in frenatura rigenerativa, dato che essi non permettono d'invertire la polarità della tensione di uscita. Tuttavia, un raddrizzatore semicontrollato comporta una riduzione del costo dell'azionamento per il ridotto numero di dispositivi controllati utilizzati. Inoltre, a confronto con il ponte totalmente controllato, quello semicontrollato assorbe minore potenza reattiva, per cui lavora con un fattore di potenza più elevato e presenta una minore oscillazione della corrente nel motore. Le prestazioni di un azionamento migliorano all'aumentare del numero di impulsi del raddrizzatore. Per questa ragione, i raddrizzatori monofase sono impiegati normalmente per applicazioni fino a potenze intorno a 10 kW, che si spingono fino a 15 kW in particolari casi. Per potenze più elevate sono sempre usati raddrizzatori controllati trifase, tranne nel caso della trazione elettrica con alimentazione a c.a. monofase, ove si è costretti a raggiungere qualche migliaio di kW con raddrizzatori monofase. Esistono azionamenti con raddrizzatori a numero di impulsi ancora più elevato. Un funzionamento a dodici impulsi può, per es., essere ottenuto collegando in serie due ponti raddrizzatori a 6 impulsi del tipo di fig. 17B e alimentandoli con un trasformatore munito di due secondari. La necessità di aumentare il numero di impulsi proviene dall'esigenza di limitare le oscillazioni (ripple) della corrente di uscita del raddrizzatore. Dato che la reattanza del circuito di armatura del m. cresce direttamente con la frequenza di commutazione, il ripple di corrente diminuisce all'aumentare del numero di impulsi nel raddrizzatore.

Il chopper offre numerosi vantaggi rispetto al raddrizzatore controllato anche se quest'ultimo risulta più semplice ed economico essendo un convertitore a commutazione naturale. La maggiore frequenza di commutazione del chopper fa sì che, per i motivi appena spiegati, il ripple della corrente di armatura del m. possa essere contenuto, e che più limitate siano le zone di funzionamento discontinuo nel piano velocità-coppia. Con una frequenza di alimentazione pari a 50 Hz, l'ondulazione della tensione e della corrente in uscita da un raddrizzatore controllato raggiunge nel caso monofase i 100 Hz e in quello trifase i 300 Hz, mentre è possibile far lavorare un chopper a frequenze molto più elevate, dipendenti soltanto dai componenti elettronici usati. Così, i 400÷800 Hz ottenibili con un chopper a tiristori possono diventare 2,5÷10 kHz utilizzando i transistor di potenza e qualche centinaio di kHz quando, nel caso di applicazioni di piccola potenza, vengono utilizzati i MOSFET. Per questa ragione, quando la sorgente di alimentazione disponibile è a c.a., spesso si usa un convertitore costituito da un ponte raddrizzatore a diodi e da un chopper.

In fig. 18A è riportato il circuito di un chopper a un quadrante. All'interno di un periodo T, l'interruttore di potenza K rimane chiuso per un intervallo Ton e aperto per Toff=T-Ton. Il rapporto δ=(Ton/T) è detto duty cycle del chopper. Si noti che per semplicità è stato utilizzato il simbolo del tiristore per rappresentare l'interruttore elettronico di potenza, ma in realtà qualunque tipo di dispositivo può essere impiegato in un chopper, dal tiristore al GTO, al transistor di potenza, al MOSFET e all'IGBT.

Il funzionamento a 2 quadranti dell'azionamento (ovvero la possibilità d'inversione della coppia o della velocità) richiede di poter invertire rispettivamente la corrente o la tensione di uscita del chopper e si ottiene con i circuiti presentati in fig. 18B e 18C. Il circuito di fig. 18B è largamente adottato in alcune applicazioni, come nei servoazionamenti o nelle macchine utensili, allorché è richiesta una transizione dolce dal funzionamento da m. a quello in frenatura rigenerativa e viceversa. Il circuito di fig. 18C consente la frenatura rigenerativa mediante inversione di velocità e, pur non godendo di molte applicazioni, costituisce la base per il chopper a 4 quadranti di fig. 18D. Tale schema circuitale è topologicamente un doppio chopper con inversione di velocità, ma può essere controllato con metodi diversi per fornire anche le prestazioni del chopper con inversione di coppia, così soddisfacendo esigenze diversificate per tutto il ciclo di lavoro richiesto.

Allorché il m. a c.c. è alimentato da un convertitore controllato le sue prestazioni sono ben diverse da quelle di un m. alimentato a corrente costante. Infatti, in quest'ultimo caso, valor medio, valore efficace e valore massimo della corrente coincidono, mentre con alimentazione tramite raddrizzatore il valore efficace e il valore massimo sono maggiori del valor medio. In conseguenza, a parità di valor medio della corrente, e cioè a parità di coppia, le perdite nel rame dell'avvolgimento di armatura, che dipendono dal quadrato del valore efficace, e i problemi di commutazione, che sono legati al valore di picco della corrente, sono molto più pronunciati in un m. alimentato da convertitore elettronico. Si noti che un ulteriore aumento delle perdite nel rame è dovuto all'effetto pelle, che alle alte frequenze del ripple produce un aumento della resistenza di armatura rispetto al valore in corrente continua. Si noti, infine, che la commutazione è resa più severa non solo perché il picco di corrente è più elevato del valore medio, ma anche perché la presenza di un flusso pulsante sui poli ausiliari produce correnti parassite nel giogo di statore, che attenuano il flusso dei poli di commutazione e lo sfasano rispetto alla corrente di armatura. Nei m. tradizionali aventi giogo statorico massiccio, tale sfasamento può raggiungere i 50° producendo una forza elettromotrice addizionale la cui ampiezza dà una misura della difficoltà della commutazione. Per una commutazione soddisfacente è necessario ridurre tale forza elettromotrice a valori dell'ordine della frazione del volt, da cui segue che le macchine a c.c. per azionamenti devono essere progettate con giogo statorico laminato.

Dalle precedenti considerazioni segue che il rendimento del m. a c.c. utilizzato in un azionamento è ridotto a causa del ripple di corrente e il m. stesso deve essere declassato. Alcuni costruttori forniscono il valore massimo del ripple consentito in valori percentuali rispetto alla corrente nominale, per cui solo se il ripple è inferiore a questo valore la potenza nominale può essere tutta utilizzata, altrimenti il m. dev'essere sottoutilizzato. Dato il maggior numero di impulsi ottenuti, il declassamento di un m. alimentato da un raddrizzatore trifase è molto inferiore a quello imposto da un raddrizzatore monofase.

La riduzione del ripple di corrente può essere ottenuta mediante un'induttanza di spianamento collegata in serie al circuito di armatura che, tra l'altro, riduce le discontinuità di conduzione e limita i picchi di corrente in corrispondenza alle variazioni brusche del carico. Tuttavia, l'induttanza aumenta la costante di tempo di rotore peggiorando di conseguenza le prestazioni dinamiche del m. e, soprattutto, aumenta il costo, il peso, le perdite e il rumore dell'azionamento, al punto che spesso si preferisce tenere il ripple elevato piuttosto che impiegare il filtro.

Azionamenti in corrente alternata. Lo schema di controllo di fig. 15 è molto semplice da realizzare nel caso di un m. a c.c., poiché la coppia risulta proporzionale alla corrente di armatura quando il flusso di eccitazione è tenuto costante. Così, un anello di controllo sulla corrente è in grado di fornire una pronta azione di controllo sulla coppia del m. e, insieme, protegge il convertitore elettronico e il m. stesso da sovracorrenti durante i sovraccarichi transitori e a regime. Anche la regolazione della velocità è realizzata con grande semplicità, dato che, per le caratteristiche elementari della macchina, la tensione di armatura costituisce la variabile di comando diretta per la velocità; si tratta soltanto d'individuare la corretta rete di compensazione da inserire sull'anello di retroazione della velocità.

Il controllo della velocità dei m. a c.a. risulta in genere più complesso, poiché si tratta di sistemi non lineari, a molte variabili, nei quali è più complessa l'individuazione delle variabili di controllo capaci di agire direttamente su coppia e flusso della macchina, come avviene per l'eccitazione e la tensione di armatura nel caso dei m. a c.c.; si aggiunga che in talune macchine (per es. i m. asincroni con rotore a gabbia e i m. sincroni a riluttanza o a magneti permanenti) i flussi rotorici non sono accessibili e quindi non controllabili direttamente. In conseguenza di questi fatti, mentre un azionamento con m. a c.c. ha una struttura di controllo standardizzata, nel caso degli azionamenti a c.a. sono emerse innumerevoli soluzioni per gli altrettanto innumerevoli problemi di controllo che li riguardano, con riferimento alle varie applicazioni possibili e alle prestazioni diverse che in tali applicazioni sono richieste. Essenzialmente si distinguono applicazioni con basse e con alte prestazioni dinamiche, includendo tra le prime le macchine per il trattamento dei fluidi (pompe, ventilatori), per la trazione e per l'industria manufatturiera; mentre le seconde applicazioni comprendono la robotica e le macchine utensili. In quest'ultimo caso l'azionamento elettrico deve operare su un ampio intervallo di velocità (anche fino a un rapporto 1÷5000) con possibilità di arresto e posizionamento e con una pronta e precisa risposta transitoria.

Il controllo efficiente della coppia è in qualche modo il cuore di tutti questi sistemi ad alte prestazioni e per conseguirlo possono essere previsti numerosi schemi di controllo riguardanti, a seconda delle molte versioni proposte, il flusso al traferro, la pulsazione di scorrimento, l'ampiezza e la fase della corrente statorica, fino ad arrivare al controllo a campo orientato o, più in generale, al controllo vettoriale, che è ormai riconosciuto come il metodo più efficace per il funzionamento di un m. a c.a. in un azionamento a quattro quadranti per alte prestazioni dinamiche. Si noti che la necessità di ricorrere a tecniche di controllo più sofisticate e agenti su varie grandezze del m. non sempre di facile accessibilità, comporta l'obbligo di complicare l'azionamento con organi di misura e acquisizione di dati utili per la regolazione, nonché con strumenti di calcolo per la manipolazione delle informazioni acquisite. Si tratta di sensori e di calcolatori che vengono, in tal modo, integrati nell'azionamento, aumentandone fortemente la complessità e il costo.

Allorché una risposta pronta e precisa non è prioritaria o, addirittura, non è necessaria nel ciclo operativo della macchina, la struttura del controllo può essere semplificata eliminando l'anello più interno del controllo di coppia o sostituendolo con un anello limitatore della corrente che può funzionare come un limitatore intermittente sulla coppia quando la corrente supera un valore di riferimento predeterminato. In un azionamento controllato in velocità, si può molto semplicemente limitare l'errore massimo di velocità in modo da assicurare che l'accelerazione del m. non sia eccessiva: in tal modo si realizza una forma di controllo intermittente sulla coppia, che funziona solo quando il comando di velocità è cambiato troppo rapidamente. Queste strutture semplificate di controllo consentono significative riduzioni nel costo dell'azionamento e sono più che soddisfacenti in tutte le applicazioni con basse caratteristiche dinamiche.

Le due strutture esistenti di m. a c.a., quella asincrona (o a induzione) e quella sincrona, pongono problemi diversi negli azionamenti di cui fanno parte, che richiedono di essere affrontati separatamente.

Azionamenti con motore asincrono. Qualunque sia la complessità del controllo, due sono le variabili per il controllo della velocità di un m. asincrono: l'ampiezza della tensione e la frequenza. Queste variabili devono essere fornite al convertitore di potenza, il quale alimenta il m. secondo lo schema di fig. 12. Di questo fatto ci si può rendere conto con riferimento al circuito equivalente semplificato di fig. 19, valido per il funzionamento a regime del m. asincrono, allorché siano trascurabili la resistenza e la reattanza di dispersione dello statore.

Potendo in tal caso assumere uguali la tensione Vs di statore avente pulsazione ωe e la forza elettromotrice E1 indotta nell'avvolgimento statorico dal flusso al traferro, si ha che un flusso costante al traferro è ottenibile mantenendo costante il rapporto Vse.

D'altra parte, dall'espressione della coppia elettromagnetica della macchina si deduce che, a flusso costante, essa è determinata esclusivamente dalla pulsazione delle grandezze rotoriche, cioè dalla cosiddetta pulsazione di scorrimento sωe, essendo s lo scorrimento. Se dunque al variare della pulsazione di alimentazione ωe, si varia anche l'ampiezza Vs della tensione in modo che si mantenga costante al suo valore a vuoto il rapporto Vse e si lascia altresì invariata la differenza sωe=(ωe−ωr), supponendo la macchina a una coppia di poli, le curve di coppia del m. si spostano lateralmente come indicato in fig. 20A. Il punto di lavoro può spostarsi lungo una retta orizzontale, realizzando così un funzionamento a coppia costante su tutto l'intervallo di velocità ωr del m., fino alla velocità ωrb corrispondente alla tensione nominale.

A partire da questo punto la velocità del m. può essere aumentata diminuendo il valore della coppia e mantenendo costante la potenza, cioè, a parità di tensione e corrente, aumentando ωe e sωe. Si tratta del cosiddetto funzionamento a flusso indebolito simile a quello del m. a corrente continua. La famiglia di caratteristiche è ancora riportata in fig. 20A, e si può osservare che l'inclinazione delle curve varia progressivamente all'aumentare della pulsazione, mentre il valore della coppia massima decresce; di conseguenza se il punto di funzionamento deve muoversi su una curva a potenza costante, esso risale lungo ciascuna caratteristica (e aumenta anche la pulsazione di scorrimento sωe) fino a coincidere con il valor massimo di coppia in corrispondenza di una di queste, per la quale si ottiene il valor massimo di sωe. Al di là di questa curva limite esiste ancora una possibilità di aumentare la velocità della macchina, che è possibile sfruttare aumentando ulteriormente la frequenza di alimentazione, ma mantenendo costante sωe e diminuendo la corrente assorbita. Poiché questa variazione di corrente comporta una diminuzione in maniera quadratica della coppia massima, la famiglia di caratteristiche è del tipo mostrato in fig. 20B, con tutti i punti di funzionamento che stanno in corrispondenza della coppia massima di ciascuna curva (si noti che la coppia in quest'ultimo tratto risulta inversamente proporzionale al quadrato della frequenza di alimentazione).

L'ipotesi di trascurare la caduta di tensione statorica non è accettabile alle basse frequenze, poiché la caduta resistiva rimane costante su tutto l'intervallo di frequenza e può diventare una parte consistente della tensione applicata allorché quest'ultima è ridotta proporzionalmente alla frequenza per assicurare il funzionamento a flusso costante. Il risultato è che alle basse velocità si ottiene una notevole sottoeccitazione del m. e una conseguente diminuzione di coppia massima.

Questo fenomeno, comune anche al m. a c.c., può essere ovviato compensando la caduta di tensione resistiva con una tensione costante Vo che viene aggiunta alla componente kωe della tensione statorica proporzionale alla pulsazione in modo che la tensione effettiva applicata al m. risulti pari a Vopkωea alla pulsazione di avviamento ωea (generalmente corrispondente a una frequenza di 2÷5 Hz) e pari al suo valore nominale Vsn alla pulsazione nominale ωen.

Uno schema che realizza un controllo tensione/frequenza per un azionamento con m. asincrono è mostrato in fig. 21A. Il segnale di riferimento è il comando di velocità ω*r, che genera il comando di pulsazione al convertitore ωe tramite un oscillatore controllato in tensione (VCO) e, attraverso un regolatore di tensione Rv, il comando di tensione. Si tratta di un azionamento a basso costo utilizzato per applicazioni mono- o multimotori in cui non siano richieste particolari prestazioni dinamiche. Uno degli inconvenienti tipici è che quando è applicato il carico, la frequenza di scorrimento aumenta e il m. rallenta leggermente: questa naturale diminuzione di velocità del m. può essere compensata con una tecnica di controllo della pulsazione di scorrimento rotorica, basata sull'aumento della frequenza del convertitore mediante un segnale proporzionale alla corrente assorbita dal motore. Tuttavia si tratta sempre di un controllo a catena aperta avente prestazioni inferiori a quelle di un controllo retroazionato mediante un tachimetro, caso in cui è possibile regolare la velocità effettiva del m. secondo un fissato valore di comando, rendendola meno sensibile alle fluttuazioni di carico e assicurando prestazioni uniformi dell'azionamento su tutto l'intervallo di frequenze di funzionamento, anche a quelle più basse.

Dei molti schemi possibili di controllo a catena chiusa, in fig. 21B è presentato quello che realizza anche il controllo della pulsazione di scorrimento. L'errore di velocità tra il valore effettivo ωr e quello di riferimento ω*r è usato dal regolatore di velocità Rω per generare il comando di pulsazione di scorrimento (ωe−ωr)* che, in uno schema a catena aperta, sarebbe fornito direttamente come riferimento. Questo segnale è sommato al valore misurato dal tachimetro per determinare, direttamente, il comando di pulsazione ω*eall'invertitore e, tramite un regolatore di tensione Rv, il comando di tensione Vs*.

In un azionamento con m. asincrono esistono numerosi vantaggi nel controllare la corrente di statore piuttosto che la tensione. Un controllo diretto della corrente statorica consente infatti un controllo veloce ed efficiente dell'ampiezza e della fase della forza magnetomotrice statorica, realizzando un approccio simile a quello del controllo ad anello chiuso della corrente di armatura di un m. a c.c. e fornendo, quindi, un buon controllo di coppia e una rapida risposta dinamica.

Come più diffusamente si dirà in seguito una corrente controllata di statore può essere fornita al m. mediante un invertitore di tensione con modulazione d'ampiezza controllato in corrente o mediante un invertitore a corrente impressa. La prima soluzione è specialmente adottata in azionamenti a elevate prestazioni dinamiche fino a potenze dell'ordine delle decine di kW mentre l'invertitore a corrente impressa è usato per potenze maggiori, in applicazioni in cui può essere accettato il caratteristico ripple di coppia a bassa velocità (per es., per l'azionamento di pompe e ventilatori).

Un m. asincrono controllato in corrente viene fatto lavorare normalmente in condizioni di lieve saturazione mantenendo il flusso al traferro al suo valore nominale. In assenza di saturazione il flusso al traferro è proporzionale alla corrente magnetizzante Im, la quale dipende dalla corrente statorica Is e dalla pulsazione di scorrimento, ma non dalla pulsazione statorica ωe. Ne è conseguenza che, per un funzionamento a flusso costante, la corrente statorica e la pulsazione di scorrimento devono essere opportunamente variate contemporaneamente in modo da mantenere Im costante, in genere, al valore corrispondente al funzionamento a vuoto con tensione e frequenza nominali. In fig. 22 è mostrata la legge tipica di variazione della corrente statorica in funzione della pulsazione di scorrimento per un funzionamento a flusso costante.

Per un fissato valore della corrente statorica, la coppia erogata dal m. dipende dalla pulsazione di scorrimento ma non da quella di statore per cui, come già nel caso di un azionamento a tensione impressa, se al variare della pulsazione di alimentazione ωe si mantengono costanti la Is e la pulsazione di scorrimento, il punto si sposta lungo una retta orizzontale, muovendosi su curve di coppia parallele tra loro e realizzando un funzionamento a coppia costante su tutto l'intervallo di velocità ωr del motore.

La differenza dal caso di tensione impressa consiste nel fatto che su ciascuna caratteristica di coppia corrispondente a una fissata pulsazione ωe, il punto di funzionamento si trova stavolta sulla parte instabile della caratteristica di coppia per assicurare il funzionamento a flusso nominale (punto A di fig. 23). Infatti, il punto B sulla parte stabile della caratteristica, che pure assicurerebbe lo stesso valore di coppia, è caratterizzato da un valore più elevato del flusso al traferro e, conseguentemente, da maggiori perdite nel ferro. Si noti che la coppia a flusso nominale può essere variata regolando la corrente statorica e la pulsazione di scorrimento con la legge rappresentata in fig. 22 e realizzando in definitiva un funzionamento sulla parte stabile della caratteristica a tensione impressa nominale (punti A, A', A'',... di fig. 23).

La conseguenza più importante è che, a differenza di un azionamento a tensione impressa, un azionamento a corrente impressa non può funzionare a catena aperta, ma è necessario un controllo di velocità a catena chiusa per assicurare la stabilità del funzionamento. L'errore di velocità, calcolato sottraendo al riferimento la velocità effettiva misurata mediante un tachimetro, diventa, mediante il regolatore di velocità, il riferimento di corrente e, avendo fissato o calcolando il riferimento della pulsazione di scorrimento, consente in ultima analisi di calcolare il comando di coppia, come avveniva con il semplice anello di corrente nel caso della macchina a corrente continua.

Uno schema usualmente adottato, in cui viene calcolato anche il riferimento della pulsazione di scorrimento (che in un controllo più semplice, ma pur sempre a catena chiusa, potrebbe essere fissato al valore costante desiderato), è mostrato in fig. 24. Si osserva l'induttanza di filtro L e l'inverter a corrente impressa (Current Source Inverter, CSI) che alimenta il m. M: il blocco K implementa la caratteristica di fig. 22, avente lo scopo di mantenere costante la corrente magnetizzante. Tale relazione dipende dai parametri del m., in particolare dalla resistenza e reattanza rotoriche che possono variare, rispettivamente, a causa della temperatura e della saturazione nella macchina. In pratica, dunque, è molto difficile ottenere un flusso al traferro costante utilizzando la relazione suddetta calcolata con valori costanti dei parametri. Si deve, inoltre, osservare che tale relazione è stata calcolata in condizioni di regime e non in più generali condizioni transitorie.

Per quanto il controllo di fig. 24 fornisca buone prestazioni per molte applicazioni, allorché servano elevate prestazioni dinamiche è necessario ricorrere a strutture di controllo più sofisticate nelle quali si possa sia controllare con grande precisione il flusso al traferro, sia regolare la coppia in maniera pronta e veloce. Tali strategie, come quella presentata in fig. 25, sono innanzitutto basate sul principio di realizzare anelli di controllo indipendenti per il flusso e la coppia. A tale scopo, le tensioni e le correnti del m. sono acquisite per potere calcolare i valori effettivi del flusso e della coppia. L'errore nel flusso rispetto al valore di riferimento è usato per calcolare il comando di corrente da inviare al generatore delle sinusoidi di riferimento; l'errore nella coppia è usato per calcolare il comando della pulsazione di scorrimento, il quale serve poi per calcolare il comando della frequenza delle correnti statoriche. Nello schema di fig. 25, così come in genere avviene negli azionamenti a elevate prestazioni dinamiche, l'invertitore a corrente impressa è sostituito da un invertitore di tensione del tipo PWM che opera come una sorgente di corrente, in quanto è provvisto di anelli di regolazione di corrente. Come sarà precisato in seguito, si riesce in tal modo ad alimentare lo statore della macchina con correnti sinusoidali, con il vantaggio di eliminare l'ondulazione di coppia propria dell'invertitore a corrente impressa a gradini e, d'altra parte, di conseguire i vantaggi della regolazione in corrente, tra cui la semplificazione del controllo e l'eliminazione dell'influenza dei parametri di rotore.

Azionamenti con controllo a campo orientato. Introdotto e sviluppato in Germania all'inizio degli anni Settanta, come risultato di studi effettuati da Hasse e Blaschke presso le università di Darmstadt e Braunschweig e nei laboratori della Siemens, il controllo a campo orientato, o controllo vettoriale, può essere usato per macchine asincrone o sincrone e consente di trasformare le caratteristiche dinamiche di una macchina a c.a. in quella di un m. a c.c. con eccitazione separata. Mentre quest'ultimo dispone, infatti, costituzionalmente di una procedura di controllo molto semplice in cui flusso e coppia sono indipendenti, una macchina a c.a. ha una struttura di controllo non lineare e con molte variabili strettamente interagenti tra loro.

In un m. a c.c. la corrente è fornita agli avvolgimenti del rotore mediante le spazzole del commutatore poste in modo che l'asse della forza magnetomotrice rotorica sia a 90° elettrici rispetto all'asse del flusso di eccitazione generato dall'avvolgimento di statore. Questa ortogonalità è indipendente dalla velocità di rotazione, per cui la coppia elettromagnetica in un m. a c.c. è sempre proporzionale al prodotto del flusso di eccitazione per la corrente di armatura e, trascurando l'effetto della saturazione, al prodotto delle due correnti di statore e rotore. Se, dunque, si mantiene costante il flusso di eccitazione, la coppia è direttamente proporzionale alla corrente di armatura e un controllo diretto su quest'ultima consente di regolare in maniera veloce e precisa la coppia.

In un m. asincrono, i campi di statore e rotore che ruotano a regime alla stessa velocità dando luogo alla coppia elettromagnetica, sono sfasati di un angolo che dipende dal carico. In linea di principio si può pensare di controllare tale angolo in modo che la corrente statorica sia scomposta in una componente legata alla potenza reattiva, e quindi responsabile del flusso, e una componente legata alla potenza attiva erogata, e quindi responsabile della coppia. Questo obiettivo è raggiunto mediante la teoria del campo orientato, proiettando opportunamente le equazioni del m. in un riferimento nel quale si realizza uno sfasamento di 90° tra alcune precise componenti di campo e riducendo in tal modo quasi per intero la complessità dinamica del motore.

Il punto di partenza è l'equazione di coppia di un m. asincrono, che è funzione delle correnti statorica e rotorica. Data la difficoltà (o l'impossibilità nel caso di m. a gabbia di scoiattolo) di accedere alla corrente rotorica, la coppia dev'essere controllata mediante tensione e corrente di statore eliminando la dipendenza dalla corrente rotorica. Questo si può ottenere passando attraverso la corrente magnetizzante, ovvero attraverso la misura del flusso totale al traferro che è a essa collegato. Tuttavia, esistono alternative altrettanto valide.

Per es., si potrebbe definire una corrente magnetizzante modificata corrispondente al vettore del flusso statorico, il quale comprende oltre al flusso mutuo anche il flusso di dispersione statorico, oppure si può definire una corrente magnetizzante modificata che rappresenti il flusso rotorico. Quest'ultima è la soluzione da adottare in quanto consente di disaccoppiare completamente le due componenti di flusso e di coppia della corrente statorica. Infatti, esplicitando il comportamento statico e dinamico del m. in termini del flusso rotorico, e non più in termini del flusso al traferro, è possibile suddividere la corrente statorica in due componenti corrispondenti una alla corrente magnetizzante modificata legata al flusso di rotore, l'altra a una corrente in quadratura rispetto alla prima e legata alla coppia. Se, quindi, si orientano le componenti della corrente statorica Īs in fase e in quadratura con il flusso rotorico, si è in grado con la prima componente di controllare il flusso rotorico λr, con la seconda di controllare la coppia.

Estendendo le considerazioni precedenti dal funzionamento a regime a quello transitorio, si ha che, per orientare le correnti di statore con il flusso rotorico, è necessario trasformare le equazioni della macchina in un riferimento costituito da due assi qd ortogonali tra loro; tale riferimento è solidale con il vettore del flusso rotorico e la sua fase rispetto a tale vettore è scelta in modo che il flusso di rotore λr si viene a trovare tutto sull'asse d ed è quindi controllabile esclusivamente tramite la componente di Īs sull'asse d. Perché questo avvenga è necessario che la componente sull'asse q del flusso rotorico sia nulla e questa è la condizione essenziale del campo orientato nelle variabili dq. Da questa condizione scaturisce un'espressione semplificata della coppia che, a flusso costante, dipende soltanto dalla componente in quadratura isq della corrente statorica, esattamente come nel m. a c.c. essa dipendeva dalla corrente di armatura. In queste condizioni, una variazione su isq è istantaneamente seguita da una variazione di irq, la componente sull'asse q della corrente rotorica, e della coppia. Quando, invece, si varia isd, s'innesca un transitorio legato alla costante di tempo rotorica che introduce un certo ritardo nella variazione del flusso rotorico prima che esso raggiunga il suo valore finale corrispondente al nuovo valore isd: questo transitorio è dovuto alla nascita istantanea di una corrente ird nel rotore che poi decade a zero con la costante di tempo rotorica. Il ritardo è del tutto analogo a quello che in una macchina a c.c. ha il flusso di eccita zione per rispondere a una variazione della tensione di eccitazione. Si osservi, infine, che associato a ogni coppia di valori (isq, isd) che controllano la coppia, esiste uno e un sol valore della pulsazione di scorrimento che fornisce il valore appropriato di coppia e flusso.

Risulta evidente da quanto esposto che la realizzazione pratica di un controllo a campo orientato richiede la misura o il calcolo del vettore del flusso rotorico, cioè della sua ampiezza λr e dell'angolo ϑrf che ne individua la posizione. Il problema è analogo sia nel caso di macchina sincrona che asincrona, con la fondamentale differenza che nel primo caso l'angolo ϑrf è direttamente misurabile come una quantità meccanica precisa, mentre nel caso del m. asincrono tale angolo non può essere misurato meccanicamente. Le due strategie normalmente adottate per misurare ϑrf individuano le due categorie in cui è comunemente classificato il controllo a campo orientato: controllo diretto e controllo indiretto.

Il metodo diretto di controllo a campo orientato, come originariamente suggerito da Blaschke, determina ampiezza e posizione del vettore del flusso rotorico da misure dirette del flusso o da calcoli basati su altre grandezze variabili ai morsetti. La misura del flusso mediante spire di misura del flusso o sonde a effetto Hall richiede d'intervenire sulla macchina per il posizionamento delle sonde, pregiudicandone robustezza e affidabilità oltre ad aumentare i costi del sistema. Anche nell'ipotesi di usare porzioni dello stesso avvolgimento di statore come spira di misura del flusso, esistono diversi problemi derivanti, per es., dalla necessità di sottrarre dalla tensione misurata la caduta di tensione statorica, la quale dipende dalla variazione della resistenza statorica con la temperatura.

Altri problemi sono legati al fatto che, per ottenere il flusso, è necessario integrare il segnale misurato che è, in realtà, una variazione di flusso: alle basse frequenze tale integrazione è difficoltosa, per cui il funzionamento a velocità prossima allo zero, tipico degli azionamenti per controllo di posizione, è precluso con questo metodo che è, quindi, correttamente applicabile solo se la velocità è superiore a circa il 10% di quella nominale. I sensori speciali di flusso possono essere eliminati utilizzando i segnali di tensione e corrente che sono, ovviamente, più facilmente misurabili all'ingresso del motore. Tuttavia, oltre che per le reattanze di rotore, è necessario stavolta passare anche attraverso i parametri di statore perché sia possibile calcolare le componenti del flusso rotorico nel sistema di riferimento fisso e, da queste, l'ampiezza e l'angolo del vettore flusso di rotore. Inoltre, permangono i problemi dell'integrazione dei segnali misurati quando si opera alle basse frequenze, caso in cui, in aggiunta, la caduta di tensione resistiva diventa predominante.

In conclusione, tutti i metodi di controllo diretto non sono applicabili alle basse velocità, pur avendo molteplici e pratiche applicazioni su intervalli più elevati di velocità. In fig. 26 è presentato lo schema di un metodo diretto di controllo a campo orientato con un invertitore PWM controllato in corrente (CRPWM). Il sistema base per l'orientamento di campo è compreso nella zona tratteggiata e comprende il blocco per la ricostruzione del flusso λr e il calcolo della sua ampiezza e posizione (orientamento del campo), nonché la trasformazione dalle due correnti di riferimento isq*, isdalle correnti di fase di comando per l'invertitore (ias*, ibs*, ics*). Le componenti isqe isdsono generate mediante due anelli esterni, rispettivamente di coppia e di flusso, che usano come controreazione la coppia e il flusso calcolati tramite l'ampiezza e l'angolo del flusso rotorico.

Il metodo indiretto di controllo a campo orientato, originariamente proposto da Hasse, non richiede misure dirette dell'angolo del flusso rotorico, ma sfrutta l'espressione dello scorrimento come parte essenziale del regolatore. Così come nel metodo diretto la misura dell'angolo ϑrf del flusso rotorico e la sincronizzazione delle componenti di corrente statorica con il flusso rotorico assicurano che l'espressione dello scorrimento è sempre soddisfatta, analogamente si può dire che se l'equazione dello scorrimento è soddisfatta risulta superfluo misurare la posizione del flusso rotorico, perché la componente isd è certamente allineata con esso. Lo schema di un controllo indiretto a campo orientato è mostrato nella fig. 27, dove l'angolo ϑrf del flusso rotorico necessario per convertire le due correnti di comando isqe isdnelle correnti di fase ias*, ibs*, e icsnel sistema fisso, è calcolato sommando alla posizione misurata del rotore ϑr, la posizione di scorrimento ϑs*. Quest'ultima è calcolata come un integrale della pulsazione di scorrimento, ricavata per soddisfare l'equazione dello scorrimento con gli assegnati valori isqe isd*.

Per quanto sia oggi la scelta più comunemente adottata negli azionamenti ad alte prestazioni dinamiche, la tecnica dell'orientamento di campo indiretto non è scevra da inconvenienti. La ricostruzione dei valori di riferimento delle correnti statoriche e della pulsazione di scorrimento, sebbene avvenga a partire da grandezze facilmente misurabili e non presenti complessità dal punto di vista numerico, è gravata dalla dipendenza dalla precisione dei parametri del m. usati nei calcoli. In particolare, se il valore effettivo della costante di tempo rotorica differisce da quello usato per calcolare i riferimenti di corrente, non viene ottenuto un corretto orientamento del campo e la risposta dinamica dell'azionamento si deteriora. L'ostacolo maggiore è rappresentato dalla variazione della resistenza rotorica conseguente al riscaldamento del m. che allontana i valori dei parametri usati nei calcoli da quelli effettivi della macchina. Il problema ha ricevuto grande attenzione dagli studiosi e sono stati proposti numerosi metodi di adattamento on-line dei parametri.

Convertitori per azionamenti in corrente alternata. Negli schemi mostrati, l'alimentazione del m. è fornita da un convertitore statico basato su dispositivi elettronici che funzionano alternativamente nello stato di conduzione (on) e nello stato d'interdizione (off), in accordo con segnali di controllo a bassa potenza. Sono stati in questo modo soppiantati sia i convertitori rotanti di frequenza sia, in seguito all'introduzione del tiristore, i convertitori statici con tubi a vapori di mercurio che non avevano alcuna attrattiva tecnica né economica e non furono, quindi, mai adottati commercialmente. Oltre ai tiristori, che presentano il grave inconveniente di poter essere spenti solo mediante interruzione della corrente che li percorre e di dover quindi essere muniti di circuiti finalizzati a tale interruzione, sono oggi largamente usati i transistori di potenza, i FET (Field-Effect Transistor) di potenza, i tiristori GTO (Gate Turn-Off Thyristor), gli IGBT (Insulated Gate Bipolar Transistor), i quali tutti possono essere accesi o spenti mediante un segnale inviato alla base o al gate.

Esistono fondamentalmente tre tipi di convertitori statici di frequenza: il convertitore con circuito intermedio in corrente continua, il cicloconvertitore e il convertitore con circuito intermedio in corrente alternata ad alta frequenza.

In un convertitore con circuito intermedio in corrente continua, l'alimentazione trifase alternata viene dapprima raddrizzata mediante un raddrizzatore controllato (o non controllato) e la potenza costante ottenuta viene inviata a un invertitore. L'invertitore è un circuito che converte potenza di corrente continua in potenza di corrente alternata, ed è costruito mediante dispositivi elettronici di potenza che sono commutati sequenzialmente in modo da fornire al m. una tensione o una corrente alternate normalmente non sinusoidali. Il contenuto armonico delle forme d'onda della tensione e della corrente non comporta gravi problemi al m., se non un leggero declassamento (diminuzione della potenza massima erogabile) e una riduzione del rendimento.

Esistono fondamentalmente tre configurazioni di un convertitore con circuito intermedio in c.c. e sono schematizzate in fig. 28. Lo schema con raddrizzatore controllato (A) è la soluzione più semplice dal punto di vista realizzativo e del rendimento, ma presenta un fattore di potenza variabile, mentre la configurazione con raddrizzatore non controllato e chopper (B) non presenta questa limitazione ma richiede praticamente tre convertitori statici. Infine, la soluzione (C) con invertitore PWM (Pulse Width Modulation) offre le migliori prestazioni, ma la contemporanea regolazione dell'ampiezza della tensione e della frequenza richiede circuiti di controllo dell'invertitore più sofisticati anche in vista della riduzione del contenuto armonico. Mentre l'invertitore PWM è un invertitore di tensione, le due configurazioni di fig. 28A e B possono operare nella versione a tensione impressa nel senso di fornire al m. una forma d'onda di tensione indipendente dal carico, o nella versione a corrente impressa, in grado cioè di alimentare il m. con una corrente indipendente dal carico. In fig. 29 e fig. 30 sono rispettivamente presentati i circuiti di potenza dei due invertitori a tensione e a corrente impressa, nonché i relativi andamenti ideali della tensione va e della corrente ia in una fase, nell'ipotesi che le fasi del m. siano collegate a stella. Per la caratteristica forma d'onda generata (fig. 29) l'invertitore a tensione impressa è denominato anche ''a sei gradini''. Si noti come nell'invertitore a tensione impressa il filtro è costituito fondamentalmente dal condensatore, mentre in quello a corrente impressa è costituito da una induttanza di valore elevato.

L'invertitore a corrente impressa è intrinsecamente capace di un funzionamento rigenerativo (frenatura a recupero), nel quale cioè la direzione del flusso di energia viene invertita e l'energia è restituita dal carico all'alimentazione. Sono in tal modo consentite rapide decelerazioni del m., restituendo l'energia cinetica delle parti rotanti alla sorgente in alternata. L'invertitore a tensione impressa non può funzionare in situazioni di rigenerazione, a meno che non si predisponga un circuito raddrizzatore più complesso e una più sofisticata circuiteria di controllo. Il costo dell'azionamento a tensione impressa è accresciuto da tali circuiti addizionali, per cui, a meno che l'applicazione non richieda le rapide decelerazioni offerte dalla frenatura rigenerativa, si preferisce ricorrere a una frenatura dinamica, nella quale la potenza rigenerata è dissipata su un resistore che viene commutato in parallelo al filtro in continua, allorché la tensione raggiunge un determinato livello dovuto al fatto che la potenza rigenerata carica il condensatore posto come filtro. Esistono poi innumerevoli applicazioni nelle quali non è necessaria la frenatura dinamica o rigenerativa ed è, in questi casi, sufficiente assicurare che il controllo dell'invertitore limiti il livello di decelerazione richiesto a valori tali da non provocare pericolose sovratensioni sul filtro in continua.

Il circuito di potenza dell'invertitore PWM è identico a quello dell'invertitore a sei gradini, ma la sequenza di commutazione è molto più complessa. Il controllo della tensione è ottenuto modulando la forma d'onda della tensione in uscita, per cui non è necessario un filtro in continua con tensione variabile. Le molte tecniche di modulazione proposte si basano sul principio di confrontare un'onda portante triangolare ad alta frequenza con un'onda di riferimento modulante a bassa frequenza che può essere quadrata, trapezoidale o sinusoidale, e che viene riprodotta in frequenza, ampiezza e contenuto armonico nella tensione dell'invertitore. Le due onde, come per es. nel caso di invertitore PWM trifase a onda sinusoidale mostrato in fig. 31 A, sono confrontate per ciascuna fase in un comparatore la cui uscita determina gli istanti di commutazione dei componenti elettronici del circuito di potenza di fig. 29. All'interno dei comparatori, la stessa portante triangolare vc viene confrontata con le tre tensioni di riferimento che costituiscono un sistema trifase equilibrato. Quando il valore istantaneo della tensione modulante vr supera quello della portante vc, viene comandata la conduzione del componente superiore del semiponte; quando vr è minore di vc viene posto nello stato on il componente inferiore. Le tre uscite dei comparatori sono mostrate in fig. 31B insieme alla tensione di linea in uscita dall'invertitore. Si noti che la portante ha ampiezza costante Vc e il controllo della tensione in uscita è ottenuto variando l'ampiezza dell'onda sinusoidale Vr, ovvero variando il rapporto Vr/Vc, detto indice di modulazione.

In conclusione, il funzionamento a frequenza variabile di un azionamento PWM a onda sinusoidale richiede che venga generata una terna di tensioni di riferimento sinusoidali a frequenza e ampiezza variabili. Se il m. deve lavorare a velocità molto basse, prossime allo zero, l'oscillatore delle tensioni di riferimento deve possedere una corrispondente capacità di generare basse frequenze fino alla frequenza zero. Questo problema, di non facile soluzione per via analogica, è stato notevolmente semplificato dalle moderne tecniche digitali. In corrispondenza a elevate frequenze della portante è possibile ottenere tensioni in uscita di buona qualità, in cui le armoniche dominanti sono di ordine elevato, essendo concentrate attorno alla frequenza della portante e alle sue armoniche. Si ottiene, in tal modo, una rotazione molto dolce del m. anche alle basse velocità, poiché le indesiderate basse armoniche e le pericolose pulsazioni di coppia, che sono caratteristiche degli invertitori di fig. 29 e fig. 30, sono eliminate con un invertitore PWM a onda sinusoidale. Quando invece è necessario operare a frequenze di uscita più elevate e si aumenta, quindi, la frequenza della tensione di riferimento, viene diminuita la frequenza della portante in modo da limitare la frequenza di commutazione dell'invertitore e le corrispondenti perdite di commutazione.

L'invertitore PWM può fornire in modo molto semplice il controllo tensione/frequenza costante necessario per il funzionamento a coppia costante di un m. a corrente alternata. Variando l'indice di modulazione linearmente con la frequenza della tensione di riferimento, si ottiene una tensione in uscita in cui l'ampiezza della fondamentale è proporzionale alla frequenza di uscita. Tutto questo è ottenuto in maniera ottimale, come già detto, alle basse frequenze e, comunque, fino al valore base della frequenza. Al di sopra di tale frequenza, il m. ha ancora un ampio intervallo di funzionamento ad alta velocità, in cui l'aumento di frequenza dev'essere accompagnato da un'ampiezza costante della tensione e questo può utilmente essere ottenuto con un funzionamento a gradini dell'invertitore. È questo il tratto di funzionamento ''deflussato'' e a potenza costante, in cui la coppia massima del m. diminuisce con la velocità. Si osservi che un m. asincrono alimentato con tali modalità offre le stesse prestazioni complessive del m. a c.c. controllato dapprima sulla tensione di armatura e poi su quella di eccitazione. Esistono oggi sul mercato diversi costruttori che utilizzano nei loro azionamenti con m. asincroni un modulatore digitale PWM disponibile in un singolo circuito integrato, che realizza inoltre anche il passaggio al funzionamento a sei gradini.

In azionamenti ad alte prestazioni dinamiche, le specifiche richieste possono essere soddisfatte con un controllo accurato della corrente, come del resto avveniva già con i m. a corrente continua. Questa necessità ha portato allo sviluppo dell'invertitore PWM controllato in corrente (CRPWM), il quale consiste in un normale invertitore di tensione PWM equipaggiato con un anello di controllo della corrente che può essere realizzato secondo differenti modalità. Si tratta normalmente di effettuare il confronto, all'interno di un comparatore, tra un riferimento di corrente sinusoidale e l'effettiva corrente del motore. Il comparatore ha una banda d'isteresi che determina la deviazione consentita tra corrente e riferimento prima che sia comandata una commutazione dell'invertitore. Un'alternativa è rappresentata dalla tecnica di controllo in cui l'errore di corrente è paragonato con un'onda portante triangolare a frequenza fissa. In tal modo, l'errore di corrente diventa l'onda di riferimento di un normale invertitore PWM e il segnale risultante, il cui duty-cicle è proporzionale all'errore di corrente, controlla gli istanti di commutazione dell'invertitore.

In un cicloconvertitore la frequenza di alimentazione è convertita direttamente in una frequenza più bassa senza alcun raddrizzamento intermedio. Un tipico schema di cicloconvertitore è presentato in fig. 32, dove tre cicloconvertitori monofasi sono collegati con uno sfasamento di 120° tra le loro uscite per alimentare un carico trifase. Commutando opportunamente gli interruttori di potenza, il carico viene collegato all'alimentazione nella maniera voluta e la forma d'onda di tensione in uscita a bassa frequenza è costituita da segmenti della forma d'onda di tensione in ingresso. Nel caso trifase, la frequenza di uscita deve essere più bassa di circa un terzo della frequenza d'ingresso: di conseguenza, con normali frequenze di alimentazione si può azionare il m. a bassa velocità. Quando un cicloconvertitore alimenta una macchina sincrona, l'azionamento può operare in modo che la forza elettromotrice del m. provveda alla commutazione per i dispositivi di potenza del cicloconvertitore: in tal modo, la frequenza di uscita può superare quella d'ingresso.

In fig. 33 è, infine, presentato lo schema del convertitore con circuito intermedio in corrente alternata ad alta frequenza. Dopo aver ottenuto una tensione in alternata e ad alta frequenza mediante un circuito risonante parallelo, tale tensione monofase viene riconvertita in trifase con ampiezza e frequenza variabili mediante un cicloconvertitore. Un trasformatore d'isolamento ad alta frequenza può essere incluso nella trasformazione. Poiché in questo circuito non sono comprese tensioni in continua, i dispositivi di potenza devono consentire il passaggio della corrente in entrambe le direzioni e bloccare tensioni positive e negative. Di conseguenza, è necessario collegare i tiristori in anti-parallelo o i transistori di potenza ai morsetti di uscita di un ponte a diodi: in ogni caso, se si hanno molti ingressi e molte uscite, è richiesto in tali convertitori un elevato numero di dispositivi. Vedi tav. f.t.

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