Movimento

Universo del Corpo (2000)

Movimento

Rosadele Cicchetti
Mariapaola Lanti
Marco Bussagli

Per movimento s'intende l'atto e l'effetto del muoversi, cioè dello spostarsi di un corpo da una posizione a un'altra, da un luogo a un altro, da una configurazione a un'altra. Nel mondo dei viventi, dal batterio all'uomo, la possibilità di movimento, inteso anche come capacità di rispondere agli stimoli esterni, appare come una delle caratteristiche essenziali, che garantisce non solo la locomozione, cioè lo spostamento di tutto il corpo compresa la sua base di sostegno, o i movimenti parziali delle varie parti di un organismo o di singole cellule, ma anche la propulsione del sangue nel sistema vascolare, il trasporto del cibo nel tratto intestinale, lo spostamento dell'aria nei polmoni o dell'acqua nelle branchie. Nell'uomo e nei Mammiferi il movimento volontario è legato all'azione combinata di muscoli, articolazioni e ossa, attraverso meccanismi di leve, e il suo controllo è assicurato da una complessa integrazione sensorio-motoria che ha sede a livello delle regioni nervose centrali. La rappresentazione del movimento nell'arte ha sempre costituito - fino all'invenzione del cinema - un problema cui sono state date soluzioni diverse nelle varie epoche e culture. Organismi viventi e movimento l. Tipi di movimento Negli organismi viventi si distinguono tre tipi di movimento: protoplasmatico, ciliare e muscolare. Il movimento protoplasmatico si manifesta sotto forma di correnti nella massa semifluida del citoplasma, riconoscibili per lo spostamento del materiale citoplasmatico. L'esempio tipico si trova nei Protozoi rizopodi e particolarmente nelle amebe, da cui il nome di movimento ameboide. È caratterizzato dalla formazione di pseudopodi, protuberanze del citoplasma corticale in cui fluisce il plasma centrale più fluido, e consente alla cellula di muoversi e inglobare sostanze estranee (fagocitosi). Il movimento ameboide è presente anche in alcune cellule degli organismi superiori: i leucociti umani, per es., lo sfruttano per catturare nel sangue batteri e altri agenti infettivi. Il movimento ciliare appare largamente diffuso tra i viventi e in alcune classi costituisce il solo mezzo di locomozione. Particolari strutture cellulari, le ciglia e i flagelli, eseguono movimenti flessori e ondulatori, che determinano la locomozione dell'organismo o la formazione di correnti nel liquido circostante, con il conseguente spostamento delle particelle che vi si trovino sospese. Oltre che per la locomozione, il movimento ciliare serve quindi anche per vari altri scopi: per es., il tratto respiratorio dei Vertebrati terrestri è rivestito di cellule ciliate che rimuovono i corpi estranei depositatisi sulla sua superficie, mentre gli spermatozoi di quasi tutti gli animali sono dotati di movimenti autonomi dovuti alla presenza di un flagello. Le ciglia e i flagelli eucariotici possiedono una struttura generale simile a quella di un cavo, con nove filamenti di microtubuli disposti esternamente intorno a due filamenti centrali. Ciglia e flagelli sviluppano un'energia motrice appena sufficiente per la locomozione di esseri microscopici. Per questo motivo, gli organismi di maggiori dimensioni, formati da un certo numero di cellule, devono ricorrere a un altro tipo di movimento, quello muscolare, che sfrutta una nota caratteristica del citoplasma, la contrattilità. Questa è legata quasi sempre a strutture fibrose del citoplasma e negli organismi a struttura più complessa risiede quasi esclusivamente in cellule molto differenziate, le cellule o fibre muscolari (v. vol. 1°, II, cap. 2: Cellule e tessuti, Tessuto muscolare). Tutte le modalità di movimento dipendono da un meccanismo fondamentale comune, innescato dall'azione di proteine contrattili, l'actina, la miosina e la tubulina, che agiscono allungandosi o contraendosi, polimerizzandosi o depolimerizzandosi. Queste molecole, organizzate in microfilamenti e microtubuli, costituiscono il citoscheletro, la struttura che assicura alla cellula una forma propria e il movimento, compreso quello di organuli e cromosomi. I singoli filamenti di actina, detti anche microfilamenti, sono assemblati in due tipi di strutture, fasci e reticoli, che svolgono diversi ruoli nella cellula, grazie alla loro capacità di allungarsi e accorciarsi, aggiungendo o perdendo molecole di actina alle estremità opposte. La maggiore concentrazione dei filamenti di actina si trova nella zona cellulare periferica, dove essi formano, al di sotto della membrana plasmatica, un reticolo tridimensionale che fornisce alla cellula un supporto strutturale. Tale struttura determina così la forma della cellula stessa e ne consente la motilità, grazie alla quale essa può migrare, inglobare particelle, dividersi. Filamenti di actina fungono da sostegno per la maggior parte delle protrusioni o estensioni della membrana, a loro volta coinvolte nel movimento cellulare, nella fagocitosi o in funzioni specializzate, come l'assorbimento di sostanze nutrienti. Un esempio di queste protrusioni è rappresentato dai microvilli, estensioni a forma di dito della membrana plasmatica delle cellule epiteliali che rivestono l'intestino. Altre estensioni possono essere transitorie, come quelle che causano il movimento cellulare, per es. gli pseudopodi del movimento ameboide. Anche la miosina, associata a filamenti di actina, è responsabile di numerosi tipi di motilità cellulare. Di questi il più evidente è la contrazione muscolare. Le interazioni fra actina e miosina determinano anche movimenti di cellule non muscolari, compreso il movimento strisciante e la divisione cellulare. Quest'ultima avviene alla fine del processo di riproduzione, quando la cellula si divide in due mediante la formazione di un anello contrattile, costituito da filamenti di actina e miosina. Nella riproduzione cellulare è coinvolta anche la terza molecola contrattile, ossia la tubulina, che costituisce i microtubuli. Questi, come i filamenti di actina, sono strutture dinamiche che continuamente si assemblano e si disgregano. Tra le diverse funzioni di questi filamenti, anch'essi coinvolti nel determinare la forma e il movimento della cellula, particolarmente interessante è il ruolo che svolgono nel trasporto di organelli interni e nella separazione dei cromosomi durante la riproduzione cellulare. 2. Filogenesi Negli animali la mobilità di tutto l'organismo e delle sue parti è una condizione indispensabile per la sopravvivenza, poiché è collegata alla ricerca del cibo e del partner per la riproduzione. L'inseguimento delle prede, in particolare, richiede un sistema efficiente di integrazione e di controllo del gran numero di cellule che compongono l'organismo, essendo i movimenti l'espressione di comandi nervosi tradotti in attività muscolari. Si potrebbe dire, quindi, che muscoli e nervi, caratteristiche distintive e unificanti degli animali, abbiano la loro origine nell'eterotrofia. Tuttavia, questa caratteristica unificante del regno animale è anche la chiave della sua diversità. Nel corso dell'evoluzione l'adattamento degli animali ad ambienti nuovi è infatti culminato nello sviluppo di differenti e particolari strutture motorie. Gli Invertebrati si muovono in diversi modi, a volte con mezzi morfologicamente e fisiologicamente analoghi a quelli dei Vertebrati, come gli Insetti e gli altri Artropodi, a volte in modo completamente diverso. Nei Molluschi, anche quelli sessili, possono trovarsi uno o più muscoli che consentono all'animale di sfuggire ai predatori, chiudendo la conchiglia o nascondendosi sotto la sabbia, come avviene per le vongole; i polpi e i calamari, invece, possono muoversi rapidamente quando cacciano o sono cacciati, contraendo velocemente i muscoli della cavità del mantello ed espellendo con forza l'acqua. Il lombrico, verme segmentato, si muove in maniera già più evoluta, grazie all'azione di muscoli che allungano e contraggono alternativamente i segmenti di cui è costituito il corpo. Uno stadio evolutivo successivo, presente negli Artropodi, come Crostacei e Insetti, è rappresentato dalla trasformazione dello scheletro semirigido in una forma più efficiente di sostegno e protezione, ottenuta indurendo le pareti dei segmenti metamerici e dotandole di arti; in questo modo, i muscoli delle pareti, attaccati alla superficie interna dello scheletro che riveste il corpo dell'animale, sono utilizzati per spostare gli arti in avanti e indietro. Nei Vertebrati, l'acquisizione di un endoscheletro rigido e l'abbandono delle acque hanno reso necessarie radicali modificazioni a carico di quasi tutte le strutture anatomiche. La prima forma di appendici articolari è rappresentata dalle pinne pari di certi Pesci ossei, il cui sviluppo potrebbe essere avvenuto inizialmente per consentire ad alcuni esemplari di Vertebrati marini di camminare su bassi fondali, alla ricerca di acque più profonde: secondo questa ipotesi, il passaggio alle terre emerse sarebbe stato uno strumento, evoluto in alcune specie di Pesci, per continuare a vivere nel loro habitat naturale. Gli Anfibi cominciano a muoversi attraverso l'utilizzo degli arti e non più della muscolatura del tronco. Il movimento è assicurato da organi attivi, i muscoli, che sono attaccati esternamente, e da organi passivi, tra cui ossa e legamenti. La disposizione di ossa e muscoli è quella tipica dei Tetrapodi, con tre principali articolazioni in ciascun arto, che ricordano la disposizione dei segmenti delle pinne. I muscoli degli arti sono presumibilmente omologhi ai muscoli radiali che fanno muovere le pinne, ma la loro disposizione è diventata molto più complessa. In ciascuna appendice si possono riconoscere due gruppi principali di muscoli: un gruppo anteriore e ventrale, che sposta gli arti in avanti e verso la linea mediana del corpo, e un secondo gruppo di muscoli dorsali e posteriori, che servono a spostare l'arto indietro e ad allontanarlo dal corpo. Nei Rettili, che possono essere considerati i primi animali terrestri completamente svincolati dall'acqua, il movimento è assicurato dalla presenza dei quattro arti, strutturati in modo più efficiente per consentire il movimento sulla terraferma. In questa classe vi sono anche alcune specie apodi, come i serpenti, nelle quali si è evoluta una locomozione terrestre in assenza di arti, accompagnata da adattamenti e modificazioni a livello della colonna vertebrale, delle costole, della muscolatura e della pelle. La locomozione è assicurata dalla formazione lungo il corpo di anse irregolari che fanno pressione sul terreno, sfruttando le sue asperità, i sassi, la vegetazione, dai quali l'animale riceve una spinta in avanti; segue un'onda di contrazione in direzione della coda che accorcia le anse, richiamando il corpo anteriormente. Altre specie, come per es. i serpenti a sonagli, si muovono sul terreno sabbioso, privo di asperità e di punti di appoggio, scivolando direttamente su di esso, in modo rettilineo o laterale. Dai Rettili quadrupedi, dai quali si sono sviluppati poi i Mammiferi, si sono evolute anche forme bipedi e alate, ormai estinte, che hanno dato origine agli Uccelli. Il volo è il risultato di complesse pressioni selettive. L'aria, ricca di insetti volatori, ha costituito una nuova e abbondante sorgente di cibo; inoltre il volo ha offerto la possibilità di sfuggire ai predatori terrestri e l'opportunità di viaggiare su lunghe distanze, alla ricerca, nel corso dell'anno, di climi più favorevoli per la riproduzione e l'alimentazione. Le ipotesi formulate per spiegare l'origine del volo sono due: secondo la prima ipotesi, alcuni animali, antenati degli Uccelli, intrapresero i primi voli arrampicandosi sugli alberi per poi planare sulla terra; per la seconda, gli Uccelli furono inizialmente corridori terrestri, che utilizzavano ali primitive per intrappolare gli Insetti. La prima ipotesi è quella più accreditata, sebbene la presenza di Uccelli non volatori, ma eccezionali corridori, come lo struzzo oppure l'emù, potrebbe dare sostegno alla seconda. Quale sia stato il modo in cui il movimento mediante volo si è evoluto, è certo che le strutture anatomiche degli Uccelli hanno subito eccezionali modificazioni; si può dire anzi che sia la loro anatomia sia la loro fisiologia siano finalizzate al volo: la leggerezza del corpo, il piumaggio, la meccanica respiratoria rappresentano tutte condizioni favorevoli. È inoltre certo che lo sviluppo delle penne, la cui evoluzione deve essere stata contemporanea a quella del volo, è stato indispensabile. Manca infatti ogni prova a sostegno dell'idea che gli antenati degli Uccelli volassero utilizzando ali membranose, come avviene nei pipistrelli, e che solo successivamente si siano sviluppate le penne. Nei Mammiferi il movimento viene assicurato dalla colonna vertebrale e dai quattro arti più o meno specializzati per gli adattamenti ai diversi tipi di deambulazione, con differenze che riguardano essenzialmente l'ultimo tratto, quello distale. Due tipi di specializzazioni portano all'adattamento al salto e alla corsa. Nei canguri, per es., l'arto posteriore si allunga per l'accrescimento del quarto dito che dà la spinta nel salto, mentre l'adattamento alla corsa è ottenuto appoggiando sul terreno solo le dita o addirittura le unghie, come nel cavallo. Gli animali corridori tendono infatti a essere digitigradi o unguligradi, in contrapposizione alla plantigradia, nella quale l'intero segmento distale è poggiato sul terreno e che per questo non conferisce agilità al passo: anche l'uomo, che è un plantigrado, quando corre poggia sul terreno le sole dita. Se in alcuni Mammiferi le pressioni selettive hanno portato a sviluppare strumenti più efficienti nel saltare o nel correre, in altri la selezione ha spinto verso una locomozione aerea o nuovamente acquatica. Vi sono così Mammiferi che, pur mantenendo le strutture di base dei Mammiferi terrestri, le hanno modificate in ali, come i pipistrelli, oppure in pinne, come le balene. Tra i differenti tipi di locomozione, l'andatura esclusivamente bipede è peculiare dell'uomo, anche se altri animali possono averla transitoriamente e per brevi tratti. Si ritiene che nello sviluppo del bipedismo abbia giocato un ruolo importante la vita arboricola di alcune scimmie: stare appesi ai rami e spostarsi di albero in albero, dondolandosi in una posizione verticale, sarebbe stato un passaggio essenziale per raggiungere una deambulazione bipede, che ha comportato una serie di drastiche modificazioni dello scheletro, in particolar modo per quanto riguarda il cingolo pelvico e il piede (v. arto). 3. Locomozione e dispendio energetico Si tratti di nuoto, di volo o di locomozione sul suolo, gli animali si spostano in continuazione e ciò comporta, ovviamente, un costo energetico. Quando si confrontano i vari tipi di locomozione, si deve tenere conto che la differenza più rilevante tra il movimento in acqua, in aria o sulla terra è costituita dalle diverse qualità fisiche di questi elementi. In particolare, le due differenze sostanziali sono il sostegno che l'ambiente fornisce al corpo e la diversa resistenza al movimento offerto dall'acqua e dall'aria. Gran parte degli animali acquatici non compie alcuno sforzo per sostenere il peso del proprio corpo, in quanto è l'acqua circostante a fornire la spinta necessaria; gli animali che si muovono sulla terra hanno un supporto solido sotto i loro piedi, mentre quelli che volano devono sostenere in continuazione il proprio peso. Il costo energetico della locomozione, misurato con il consumo di ossigeno, è direttamente proporzionale alla taglia corporea dell'animale, sia esso nuotatore, volatore o terrestre. Non ugualmente accade per la velocità di spostamento: mentre nel nuoto e nella locomozione terrestre il costo è direttamente proporzionale alla velocità, ciò non accade nel volo. È stato infatti dimostrato che per alcuni Uccelli vi è un optimum di velocità di volo, in corrispondenza del quale il costo energetico è minimo; a velocità minori e maggiori, il costo è maggiore. Sicuramente il costo energetico è anche migliorato dalle strutture anatomiche adatte: un pesce si sposta nell'acqua con un dispendio energetico relativamente basso, grazie alla sua forma allungata. Differente è la situazione per quegli animali che non sono adattati al mezzo acquatico: per l'uomo il nuoto è estremamente dispendioso, poiché la forma del suo corpo e la presenza di arti lo rende inefficiente in tale genere di movimento. È per questo motivo che animali che vivono nello stesso habitat, e che in particolare si spostano con le stesse modalità, presentano una convergenza strutturale, pur appartenendo a classi diverse. Così, il modello del nuotatore, con corpo fusiforme e le estremità trasformate in pinne, si è sviluppato indipendentemente nei Pesci, nei Rettili nuotatori ormai estinti, negli Uccelli come i pinguini, che passano lunghi periodi della loro vita nell'acqua, e nei Mammiferi, come le balene, che sono tornati alle acque. Il movimento nell'uomo l. Connessioni fra muscoli scheletrici e articolazioni Il movimento del corpo o di sue parti dipende dalla contrazione dei muscoli, un evento che richiede energia e che è determinato dall'accorciamento delle singole fibre muscolari grazie allo scorrimento longitudinale dei filamenti (v. muscolo). Praticamente tutti i muscoli scheletrici capaci di dare origine a un movimento (azione dinamica) si inseriscono su due ossa connesse fra loro da un'articolazione mobile, cosicché, quando il muscolo si accorcia, si verifica il movimento di una delle due ossa. Il punto di connessione che non si muove o che si muove per ultimo rappresenta l'origine del muscolo, l'altro, quello che si muove, è il punto di inserzione. L'azione dei muscoli si dice statica nel caso in cui essi bloccano le articolazioni per mantenere l'intero corpo o una parte di esso in equilibrio nelle varie posizioni attive (escluse quindi le posizioni di decubito supino o prono), che possono essere mantenute per tempi più o meno lunghi. Allorché la contrazione interviene all'inizio di un movimento per poi cessare e il movimento avviato continua per inerzia, l'azione di un muscolo viene definita rapida, mentre, se la contrazione perdura per il tempo del movimento, si dice lenta. A seconda della posizione del corpo, per produrre uno stesso movimento vengono interessati gruppi muscolari diversi. Di particolare importanza è il concetto di antagonismo muscolare: esso prevede la presenza di muscoli protagonisti, che compiono attivamente lo spostamento articolare, e muscoli antagonisti, i quali interferiscono sul movimento che si sta verificando al fine di regolarne l'escursione, oppure per graduarne la velocità di esecuzione. 2. Muscoli e articolazioni: un sistema di leve I movimenti dello scheletro possono essere assimilati a quelli di semplici leve. In generale, una leva è costituita da un'asta rigida vincolata a ruotare attorno a un punto fisso, chiamato fulcro, e sottoposta all'azione di due forze applicate a due suoi punti: una forza detta potenza, necessaria per muovere la leva, contro una seconda forza detta resistenza. Per trasporre questo sistema allo scheletro, basta immaginare l'articolazione come il fulcro di una leva, l'osso, sottoposta all'azione dei muscoli (potenza) che ne determinano il movimento vincendo il peso dell'arto (resistenza) che viene sollevato. Per es., quando si solleva il braccio dal fianco lateralmente al corpo, la leva è rappresentata dall'omero, il fulcro è l'articolazione scapolomerale, la potenza è data dalla contrazione del deltoide e la resistenza è rappresentata dal peso del braccio stesso. Maggiore è la resistenza applicata, maggiore sarà la potenza che dovrà essere sviluppata dal muscolo. Le leve possono essere di tre generi, a seconda della posizione relativa dei tre punti che le definiscono: fulcro, punto di applicazione della potenza (braccio di potenza) e punto di applicazione della resistenza (braccio di resistenza). Nelle leve di primo genere il fulcro è localizzato fra il braccio di potenza e quello di resistenza. Sono leve di primo genere le cesoie e le forbici; nel corpo un esempio di questo tipo di leve è rappresentato dall'estensione dell'avambraccio sul gomito: il gomito è il fulcro, il braccio di potenza il tricipite, mentre il braccio di resistenza è la mano o qualcosa che essa contiene. Il lancio del giavellotto è un esempio di movimento compiuto attraverso l'azione di una leva di primo genere. Anche i movimenti della testa (flessione, estensione, rotazione) o della colonna (flessione ed estensione del tronco) sono rapportabili a leve di primo genere. In una leva di secondo genere la resistenza è localizzata fra il fulcro e il punto ove viene applicata la potenza, come si verifica nella carriola. Stare in punta di piedi è un tipico movimento che comporta una leva di secondo genere: il fulcro è la punta del piede, la resistenza è rappresentata dal peso del corpo e la potenza è data dai muscoli del polpaccio. Infine, nelle leve di terzo genere la potenza viene applicata fra il fulcro e la resistenza, come, per es., nelle pinzette a molla. Questo genere di leva consente la massima rapidità e ampiezza di movimento, associate a un forte impegno di massa muscolare. Esempi di movimento che comporta una leva di questa classe sono: flessione del gomito; estensione, flessione, adduzione e abduzione del femore; flessione ed estensione del ginocchio. 3. Movimenti dello scheletro L'osservazione dei movimenti dello scheletro rende immediatamente ragione del fatto che esistono delle limitazioni nell'estensione del movimento imputabili a molteplici fattori fisiologici o patologici: legamenti, muscoli, articolazioni sinoviali, artriti o sinoviti ecc. Per es., mettere un oggetto su uno scaffale alzando il braccio trova una limitazione nella capacità di raggiungere un piano superiore, dovuta all'azione dei muscoli del torace e della schiena che si connettono con l'omero. Pertanto i movimenti che le articolazioni possono compiere sono definiti e studiati nella loro dinamica. L'abduzione è il movimento che allontana una parte del corpo dalla linea mediana. Sollevare il braccio dal corpo, sollevare lateralmente la coscia, sono abduzioni. Per le dita della mano e del piede la linea di riferimento è rappresentata rispettivamente dal braccio e dalla gamba, l'abduzione pertanto sarà l'azione che vede le dita completamente distese e aperte. L'adduzione è l'azione contraria, come riportare vicino al tronco il braccio precedentemente allontanato, o riavvicinare le dita della mano. La flessione è il movimento che determina la riduzione dell'angolo esistente fra due ossa: piegare il gomito e il ginocchio, chinare il capo ecc. Al contrario, l'estensione aumenta l'angolo fra due ossa: raddrizzare gamba e braccio rispettivamente su ginocchio e gomito è un movimento di estensione. Si parla poi di iperestensione quando l'angolo fra le due ossa interessate dal movimento supera i 180°, mentre si ha rotazione quando l'osso gira intorno al suo asse o intorno a un altro osso: rotazione del capo o dell'avambraccio con alternanza di palma in avanti e indietro, movimenti che in questi ultimi due casi prendono il nome di supinazione e pronazione. La circonduzione è un movimento che deriva dall'insieme di abduzione, adduzione, flessione, estensione e, in parte, rotazione, e porta a descrivere un cerchio. La protrusione e la retrazione sono due movimenti opposti che allontanano una parte del corpo dalla linea mediana parallelamente al suolo e la riavvicinano a essa: tipici i movimenti della testa quando si avvicina e si allontana il mento dal petto. La rappresentazione del movimento Fino all'invenzione del cinema, nel 1895, il problema della rappresentazione del movimento nelle arti figurative è stato uno dei punti nodali della storia dell'arte. La difficoltà, apparentemente insormontabile, di suggerire l'idea del movimento utilizzando esclusivamente immagini fisse è stata affrontata, nelle varie epoche e culture, mettendo a punto tecniche diverse, in funzione della cultura visiva e della maturità di percezione raggiunte, che comprendevano accorgimenti compositivi, grafici, prospettici, percettivi o di altro genere, finalizzati all'esaltazione dinamica di una figura scolpita o dipinta che, tuttavia, sarebbe comunque rimasta inevitabilmente ferma. L'ultimo consapevole tentativo di rendere percepibile il movimento grazie all'utilizzazione di immagini fisse, anche se concepite alla luce dell'ormai acquisita esperienza fotografica e cinematografica, è rappresentato dall'arte futurista. Sebbene ogni posa presupponga comunque dei movimenti precedenti, soltanto alcuni atteggiamenti si prestano a dare l'impressione che la figura si stia realmente muovendo. Stare seduti, per es., per quanto sia il risultato di una serie complessa di movimenti, comunica esclusivamente un senso di stasi: l'arte egizia, infatti, raffigurava seduti faraoni e divinità per conferire alle loro immagini un'atemporalità che li proiettava in una dimensione extraumana. Anche in epoche più tarde, la rappresentazione del sovrano seduto in trono ne esprimeva la regalità, connessa a una serie di valori che vanno dal lusso, alla comodità, al rango: si può citare l'esempio dei ritratti ufficiali degli imperatori germanici del 10° secolo (Ottone III e i suoi Vangeli, Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 4453, f. 24r). Con la stessa allusione alla regalità, anche la figura del Cristo Pantocratore, realizzata a mosaico sulla lunetta della porta imperiale nel vestibolo di S. Sofia a Costantinopoli (variamente datata fra il 7° e il 9° secolo), appare seduta in trono. In ogni caso, è innegabile che la figura seduta annulli la dinamica del movimento, mentre un'immagine stante l'accentui. Rimanendo in ambito bizantino si può considerare, per es., il mosaico di Giustiniano o quello di Teodora, entrambi in S. Vitale a Ravenna: per quanto ferme, le figure hanno una dinamicità sconosciuta al Cristo in trono di S. Sofia a Costantinopoli o a quello, semplicemente assiso, raffigurato nel catino absidale della medesima chiesa ravennate. Per lo stesso motivo, il Buddha in meditazione è rappresentato seduto, o per meglio dire nella posizione di dhyana, che accentua il carattere statico e introspettivo della figura; invece, viene raffigurato in piedi quando se ne vuole mostrare tutta la potenza, come accade nel Grande Miracolo di Shravasti (Bussagli 1984, p. 110), episodio della vita del Buddha nel quale egli finisce per essere sovrapposto all'asse dell'Universo: in questo caso viene sottolineata la natura proiettiva e quindi dinamica dell'immagine (si pensi anche alla stele da Paitava conservata al Musée Guimet di Parigi). La prima differenza di carattere generale nella postura delle figure rimanda, dunque, alle due grandi categorie dello stare seduti (staticità) e dello stare in piedi (dinamismo), sia pure con una serie infinita di sfumature fra questi due estremi. Anche se talvolta una figura seduta può apparire fortemente dinamica e una in piedi rigida e fissa, è indubitabile, per es., che la Processione delle Vergini in S. Apollinare Nuovo a Ravenna non avrebbe suggerito il medesimo dinamismo se le figure fossero state sedute; ciò appare evidente soprattutto dal confronto con i dodici Apostoli seduti in altrettanti scranni, divisi in due gruppi di sei, che compaiono nell'affresco di S. Maria in Trastevere a Roma, realizzato nel 1291 da Pietro Cavallini. Dinamismo e movimento non sono, tuttavia, due concetti sovrapponibili, sicché una figura in piedi non deve essere necessariamente in movimento per risultare dinamica. Gli antichi egizi, nell'ambito dello schema di riferimento a griglia nel quale veniva ordinatamente sistemata la figura da rappresentare, aumentando la distanza e, quindi, il numero di 'caselle' tra la punta di un piede e il calcagno dell'altro, applicavano il primo e più elementare accorgimento tecnico per suggerire il movimento di una figura: se questa era ferma, la distanza fra i due piedi non superava la casella e mezzo, se invece stava camminando, lo spazio non era inferiore alle tre caselle. L'efficacia di questo espediente grafico e compositivo è garantita dal fatto che chiunque sa, per esperienza personale, che l'atto della deambulazione comporta l'allontanamento dei piedi lungo il piano dinamico solidale con la direzione del verso di spostamento, mediante una successione di movimenti estremamente complessi, che gli egizi peraltro semplificavano riproducendo soltanto il dato più appariscente, quello di uno spazio apprezzabile e consistente frapposto fra le estremità, rispettivamente anteriore e posteriore, dei due piedi. Questo accorgimento era utilizzato non solo nella pittura - come mostrano, per es., i finissimi rilievi della mastaba della principessa Idut a Saqqara (fine V-inizio VI dinastia) con scene di caccia e fasi della preparazione delle offerte -, ma anche nella scultura: proprio la distanza tra i due piedi suggerisce che Ka-aper, primo sacerdote lettore della V dinastia, il cui simulacro in legno di sicomoro è conservato al Museo Egizio del Cairo, stia camminando. Lo stesso metodo, a prescindere dalla sua riconducibilità al paradigma tipicamente egiziano della griglia compositiva, fu utilizzato anche dagli scultori della Grecia arcaica per la realizzazione dei kùroi; i giovani raffigurati in queste statue di notevoli dimensioni danno l'impressione di camminare, in quanto - come mostra, per es., quello cosiddetto di New York, conservato al Metropolitan Museum - hanno gli arti inferiori spostati l'uno in avanti e l'altro indietro rispetto all'asse sagittale del tronco. Si tratta di accorgimenti estremamente rudimentali ma non privi di una loro efficacia: anzi, se si confronta un qualsiasi kùros di età arcaica con il Doriforo di Policleto (attivo fra il 460-420 a.C.), di cui si conoscono solamente copie tardoellenistiche e romane, si può notare come nel primo caso si ricavi un'idea assai più immediata del camminare, per quanto Policleto abbia analizzato il movimento della falcata in maniera anatomicamente molto più corretta. Il Doriforo compone lungo le diagonali le coppie di arti in tensione e in rilasciamento, secondo uno schema generalmente detto a quincuncem, o chiasmatico (Bussagli 1996, p. 28), accorgimento che se, da una parte, riesce a equilibrare perfettamente la dinamica interna della figura; dall'altra, proprio perché permette di raggiungere una condizione di equilibrio, finisce per vanificare l'idea della progressione, quale è suggerita invece dal quasi completo sollevamento della pianta del piede sinistro. Inoltre, il complesso sistema di spinte e controspinte che vanno a equilibrare la posizione asimmetrica del bacino, coincide con una delle poche possibili posizioni dell'uomo stante, anatomicamente chiamata posizione ancata, che è stata più volte ripresa per rappresentare anche figure ferme (per es. nel Davide-Mercurio realizzato da Donatello intorno al 1440 e conservato a Firenze nel Museo del Bargello); l'innaturale posizione dei kùroi, invece, conferma l'ipotesi che si tratti di figure che stanno camminando. Tipico caso, questo in cui al dinamismo della figura stante non corrisponde la suggestione di movimento che ci si aspetterebbe. Diverso è il discorso sui due principali capolavori di Mirone (fine 6°-5° secolo a.C.), il Discobolo (conservato, nella versione Lancellotti, a Roma, Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo) e il Marsia (Città del Vaticano, Museo Gregoriano Profano), in cui l'artista risolve la questione del movimento rappresentando un istante di stasi fra due movimenti contrari. Questo risulta evidente soprattutto nel Marsia, che tenta di avvicinare con il piede, per poi raccoglierlo, il flauto gettato via da Atena: il satiro, infatti, è in sospensione sulla gamba sinistra (come dimostra chiaramente la tensione del vasto laterale del quadricipite femorale, del tratto ileotibiale della fascia lata e del bicipite femorale), mentre con la gamba destra, tesa allo spasimo, cerca di avvicinare l'oggetto del suo interesse; è quasi fermo, ma la sua posizione suggerisce che, entro pochi istanti, quando il suo piede avrà sopravanzato appena di poco il flauto caduto in terra, cambierà completamente postura, piegando la gamba ora tesa e passando il peso del corpo sull'arto inferiore destro per poi, verosimilmente, accovacciarsi a raccogliere lo strumento musicale. Non diversamente, il Discobolo (v. vol. 1°, p. 27) viene colto nel momento in cui ha completato il percorso di caricamento del braccio destro, accompagnato dalla torsione esterna del busto, giunto in una posizione di massima tensione; il peso del corpo è tutto spostato sull'arto inferiore destro, mentre la gamba sinistra contribuisce appena a mantenere l'equilibrio; anche qui è intuitivo che, entro qualche istante, la posizione dell'atleta cambierà radicalmente: ruoterà il corpo dalla parte opposta e, dopo aver saltato, piomberà con tutto il suo peso sulla stessa gamba destra, mentre il braccio destro si sarà portato violentemente in avanti e la mano, rilasciandosi e aprendosi, avrà lasciato andare il disco. Anche in questi casi, come si è già notato per i kùroi, è l'esperienza personale di chi osserva che, per così dire, fa muovere l'immagine realizzata dallo scultore. Pur recepita con una certa lentezza, la lezione di Mirone - che aveva sviluppato una problematica già presente nel Poseidon di Capo Artemision del 470-460 a.C. (Atene, Museo Nazionale Archeologico) - non fu senza conseguenze, come mostra il cosiddetto Gladiatore Borghese (2°-1° secolo a.C.), oggi conservato al Louvre, che con un movimento di torsione del busto riesce con la sinistra a parare il fendente calato dall'avversario, mentre con la destra si prepara a sferrarne a sua volta uno: la figura è dunque colta nell'istante intermedio fra due movimenti contrari. Sulla stessa linea, si pone il David (1618-20) di G.L. Bernini (Roma, Galleria Borghese; v. vol. 1°, p. 85). Esso mutua certamente dal Gladiatore Borghese - che Bernini ebbe modo di vedere nel Casino Borghese (oggi Galleria) nel quale stava operando per conto del cardinal Scipione - la posizione delle gambe, mentre quella del busto è elaborata alla luce del testo biblico: "frattanto David, messa la mano nella sacca, ne estrasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì Filisteo nella fronte" (I Samuele 17, 49). Non è improbabile che Bernini per giustificare il tipo di torsione del busto abbia collocato a bella posta la sacca ricordata dalla Bibbia sul lato sinistro del torace: ne deriva l'impressione che David abbia infilato la destra nella sacca per cercare un sasso adatto da sistemare nella fionda tenuta con la stessa mano, e dopo averlo estratto lo abbia posto con la sinistra nella rete a navicella che costituisce il cuore della frombola, mentre l'altra mano scorre all'indietro lungo i bracci della corda (Bussagli 1998, p. 110); la successione di questi movimenti, se da una parte provoca la torsione sul lato opposto rispetto al movimento iniziale, dall'altra giustifica il movimento stesso, aumentandone l'ampiezza e quindi la tensione. Si intuisce come di lì a poco, quando la posizione dell'eroe biblico muterà considerevolmente, questa tensione, che è sottolineata anche dall'espressione del volto, si scaricherà con la stessa velocità con cui scatta una molla. Nella non facile impresa di cogliere il momento nodale nella rappresentazione di un movimento che giustifica un'intera vicenda, Bernini fu preceduto da Michelangelo, nel Mosè, realizzato intorno al 1515 per il mausoleo di Giulio II collocato in S. Pietro in Vincoli a Roma, e prima ancora da Donatello, nella Giuditta e Oloferne (1455-60), collocata a Firenze a Palazzo Vecchio, dove in un'unica posa è sintetizzata la sostanza dell'intero racconto biblico. Secondo questo (Giuditta 13, 2 e segg.), Giuditta rimasta sola con Oloferne che "traboccante di vino era caduto in avanti sul letto [...] afferrò la chioma della testa di Oloferne. Poi vibrò con tutta forza due colpi sul collo e gli staccò la testa". Donatello, naturalmente, non ha la possibilità di ambientare la scena nella tenda di Oloferne e nel suo grande letto; sostituisce, quindi, il letto con un elegante sgabello triangolare, su cui sono rappresentati baccanali di putti che alludono a un banchetto, e coerentemente modifica la posizione di Oloferne, facendolo cadere riverso a testa indietro. Per afferrare la chioma di Oloferne e vibrare i colpi sul collo, Giuditta sale sul panchetto (nel salire schiaccia con il piede sinistro il braccio destro del generale assiro: situazione simbolica in quanto il braccio destro è quello con il quale si combatte e che quindi rappresenta la forza). Donatello coglie l'attimo intermedio fra il primo e il secondo colpo: infatti, a un'osservazione attenta del gruppo bronzeo, si può chiaramente osservare il disassamento della colonna vertebrale rispetto all'inclinazione ormai raggiunta dalla testa dopo il primo fendente. Anche Donatello quindi rappresenta il momento apicale dell'intera vicenda, il culmine della tragedia. Un metodo altrettanto efficace, anche se forse più banale, di suggerire allo spettatore l'idea del movimento è costituito dalla ripetizione delle pose, come avviene nella Taurokatapsìa cretese, proveniente dal Palazzo di Cnosso e conservata nel Museo Archeologico di Hiràklion, nella quale la presenza delle due assistenti all'estremità del dipinto e la figura dell'atleta che salta suggeriscono di fatto la successione delle varie fasi del salto, oppure nella mastaba di Ti a Saqqara, in Egitto, dove gli uomini intenti alla Caccia all'ippopotamo, assumendo ognuno una posizione diversa, lasciano intuire il susseguirsi dei movimenti. Il medesimo espediente si ritrova nelle scene che decorano la base funeraria scoperta, nel 1922, nel cimitero del Dìpylon ad Atene e oggi conservata nel Museo Nazionale della stessa città, nella quale le scene più interessanti sono la partita di palla giocata fra due schiere e una partenza per la corsa, la lotta e il lancio del giavellotto: anche se le figure si riferiscono a singole individualità diverse, la loro ripetizione comunica l'effetto della successione dei movimenti. Questo modo di concepire l'immagine in movimento non è un espediente arcaico, presto abbandonato: infatti, lo ritroviamo utilizzato nel Ricamo di Bayeux, realizzato probabilmente a Canterbury, tra il 1066 e il 1082, e conservato presso la Tapisserie de Bayeux, in cui praticamente tutte le scene sono concepite secondo questo criterio, come pure in epoca più tarda, ormai rinascimentale, in alcune scene degli affreschi del Sodoma nell'Abbazia di Monteoliveto Maggiore a Siena dove, addirittura, una serie di bagnanti ricostruisce la successione del movimento dal momento in cui l'uomo si tuffa, fino a quando non esce dall'acqua e si strizza i capelli (Micheli 1994, pp. 103-07). Più diffuso ancora risulta il sistema della ripetizione del medesimo personaggio, o anche di parti di esso, come si riscontra nelle scene di decapitazione di s. Giovanni Battista rappresentate in ambito bizantino: basterà ricordare, per tutte, la bella icona del 16° secolo, conservata presso la chiesa di S. Matteo Sinaita a Hiràklion, dove il Battista, provvisto di ali in quanto Precursore, 'annunciatore' della parola di Cristo, ha ai piedi la sua stessa testa; da notare che solo quella che giace per terra è provvista di nimbo, come a significare che Giovanni è santo solo dopo il martirio. Questi espedienti convenzionali per la rappresentazione del movimento, ampiamente studiati da B.A. Uspenskij (1973) in relazione alla complessa spazialità delle icone russe, non sono ripresi soltanto dalla cultura figurativa occidentale di derivazione bizantina (si possono citare, per es., il Cristo ripetuto nella predella della Maestà di Duccio di Buoninsegna, nel Duomo di Siena, che rappresenta la Preghiera nell'orto degli Ulivi o nel monumentale mosaico raffigurante il medesimo soggetto nella Basilica di S. Marco a Venezia; Micheli 1996), ma si ritrovano anche in un maestro del primo Rinascimento, come Masaccio, nel Tributo della cappella Brancacci in S. Maria del Carmine (Micheli 1994). Qui, però, interviene un ripensamento della struttura narrativa e compositiva, dal momento che la successione cronologica delle varie fasi dell'episodio non è più articolata in maniera lineare; infatti Masaccio, con una scelta ben precisa, focalizza l'attenzione sull'ordine che Cristo dà a Pietro, considerato il punto di snodo dell'intera vicenda narrativa, e quindi colloca l'episodio al centro della parete, riservandogli gran parte dello spazio a disposizione, pur essendo questo il momento iniziale di tutta la storia che, quindi, se fosse rispettata la relazione fra verso di lettura e ordine cronologico, avrebbe dovuto essere sistemato alla sinistra dell'affresco. Operando in questo modo, Masaccio non si limita a narrare la vicenda, ma ne sottolinea le implicazioni morali e religiose: il vero tema della storia, infatti, è l'obbedienza di Pietro, non l'episodio marginale del ritrovamento nella bocca del pesce della moneta da dare al gabelliere, tanto è vero che l'intimo legame tra Cristo e Pietro è sottolineato dalla ripetizione del gesto. Come si vede, non si tratta più di semplice resa del movimento. Anche il Martirio di s. Dionigi di J. Malouel e H. Bellechose, realizzato intorno al 1416 e conservato al Louvre, mostra delle consonanze compositive con il Tributo di Masaccio. Qui l'intervento simbolico e interpretativo dei due autori porta a spezzare la successione narrativa con la presenza di un monumentale crocifisso che campeggia al centro della tavola; a sinistra, con apparente coerenza, si trova la fase iniziale della storia con Dionigi in carcere, al quale, però, il Cristo offre la comunione, mentre a destra, ma con un verso di lettura convergente verso il grande crocifisso, si susseguono le fasi della cattura, del martirio e dell'avvenuta decapitazione del santo; a sottolineare la voluta ambiguità di lettura sta il fatto che il Cristo che offre la comunione a Dionigi in carcere indossa lo stesso abito del santo martirizzato: in questo modo l'azione di Gesù sembra successiva a quella del martirio stesso e si configura come premio della fede di Dionigi. Questa serie di espedienti figurativi per la resa del movimento e della successione narrativa offre dunque un'ampia possibilità di interpretazione dell'episodio rappresentato e costituisce, in qualche modo, la forma più intellettualistica di restituzione dell'idea di movimento. Tuttavia, fu proprio sull'idea della ripetizione delle immagini che si basarono gli studi fotografici di fine Ottocento condotti da E. Muybridge ed é.-J. Marey, che lavorava con il fucile fotografico di sua invenzione. Su questi studi si incentrò almeno una parte della poetica futurista, affascinata dal desiderio di rendere sulla tela l'idea di movimento. Basta pensare, in particolare, alle opere di G. Balla, dalla Mano di un violinista (Londra, Tate Gallery), al Dinamismo di un cane al guinzaglio (Buffalo, Albright-Knox Gallery), alla Ragazza che corre sul balcone (Milano, Civica Galleria d'Arte Moderna), tutte dipinte nel 1912, lo stesso anno in cui M. Duchamp realizzava, basandosi su studi fotografici della propria persona molto simili per impostazione a quelli di Marey, il Nudo che scende le scale nr. 2, conservato al Philadelphia Museum of Art. L'opera di Duchamp si discosta però da quelle contemporanee di Balla, in quanto non soltanto l'azione di scendere le scale della figura viene rappresentata attraverso la successione delle varie fasi del movimento stesso ma, per la prima volta, l'azione modifica la struttura stessa della figura. In altri termini, mentre, per es., nella Ragazza che corre sul balcone è sempre riconoscibile la sagoma originaria delle gambe della ragazza e addirittura si mantiene costante il rapporto triangolare fra il malleolo laterale, l'articolazione del ginocchio e quella dell'acetabolo nella successione del movimento (Bussagli 1996, p. 75), nel quadro di Duchamp l'azione trasforma la fisicità del personaggio, mutandolo quasi in una 'macchina' nata appositamente per compiere il movimento di scendere le scale. La problematica inaugurata da Duchamp trova nell'arte di U. Boccioni il suo punto di arrivo. Infatti, tanto il Dinamismo di un calciatore del Museum of Modern Art di New York, quanto soprattutto Forme uniche di continuità nello spazio, conservato alla Civica Galleria d'Arte Moderna di Milano, realizzati entrambi nel 1913, mostrano un personaggio modificato nella propria fisicità dal movimento. In questi due dipinti, a differenza degli altri esempi precedentemente ricordati, spazio circostante e protagonista dell'azione interagiscono e si integrano per dare origine a una forma nuova, che poco avrebbe a che vedere con la medesima figura rappresentata in posizione di stasi. In questo senso, le ricerche di Duchamp e Boccioni si trovano sulla medesima lunghezza d'onda degli esperimenti cubisti di P. Picasso, come si evidenzia dal loro confronto con il Nudo con drappeggio dipinto da Picasso nel 1907 e conservato all'Ermitage di San Pietroburgo. In tutti questi casi, il movimento più o meno accentuato delle figure rappresentate - in funzione di problematiche diverse, ma affini - modifica la plastica dell'immagine dipinta, la quale in qualche modo viene reinventata alla luce della nuova resa dinamica. Che Picasso fosse interessato alla problematica del movimento è provato, per es., da opere come Donna seduta (Ritratto di Marie-Thérèse, Parigi, Musée Picasso), realizzata nel 1937, in cui la differenza cromatica del volto, insieme ai piani 'smontati' che costituiscono la plastica della faccia, allude al movimento di rotazione della testa in una donna sorpresa in piacevole colloquiare. In questo caso Picasso utilizza accorgimenti arcaici non impiegati, in origine, per lo stesso scopo, ma apre la strada all'idea della modificazione della fisicità del soggetto in funzione del sentimento che lo pervade. Un'idea che verrà portata alla esasperazione da F. Bacon, ultima spiaggia nell'interpretazione del concetto di moto che, però, in questo caso diviene tutt'uno con quelle di morte e di sfacelo.

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