Musica

Enciclopedia Dantesca (1970)

musica

Alessandro Niccoli
Raffaello Monterosso

. Il vocabolo ricorre solo nel Convivio, in accezioni che gli sono proprie anche oggi.

Come sostantivo astratto, indica l'arte che si esprime per mezzo di suoni: Cv III XI 9 molti... si dilettano studiare in Rettorica o in Musica, e l'altre scienze fuggono e abbandonano; altri esempi in I XII 4, II XIII 8, 20 e 23.

In II XIII 24, pur riferendosi all'arte, assume un senso più concreto, tanto da acquistare un significato vicino a quello di " composizione musicale ": la Musica trae a sé li spiriti umani... sì che quasi cessano da ogni operazione: sì è l'anima intera, quando l'ode, e la virtù di tutti quasi corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono.

In senso figurato vale " musicalità ", " sonorità soave e armoniosa ": I VII 15 questa è la cagione per che li versi del Salterio sono sanza dolcezza di musica e d'armonia; ché essi furono transmutati d'ebreo in greco e di greco in latino, e ne la prima transmutazione tutta quella dolcezza venne meno.

L'esperienza della m. in Dante. - Nella trattatistica medievale, com'è noto, il termine ha un significato assai più vasto e generale rispetto all'impiego che se ne fece in epoca moderna, dal sec. XVI in avanti. Hieronimus de Moravia, vissuto nella prima metà del sec. XIII, all'inizio del suo Tractatus de musica (Coussemaker, I 1 ss.) riporta alcune delle più vulgate opinioni dell'epoca circa la m., le sue suddivisioni e i suoi fini: e cita Isidoro, al-Fārābī, Ricardo, e soprattutto Boezio, la cui tripartizione, rimasta famosa, fu la più accreditata per tutto il Medioevo, tanto che a essa si riferisce la maggior parte dei musicografi del tempo. Nel secondo capitolo del primo libro del De Musica, Boezio aveva teorizzato tre specie di m.: " Et prima quidem mundana est; secunda vero humana; tertia quae in quibusdam constituta est instrumentis... caeterisque quae cantilenae famulantur ".

La m. " mundana ", continua Boezio, dev'essere scrutata innanzitutto nel cielo, nella compagine dei quattro elementi, nell'alternanza delle stagioni. Com'è possibile che una macchina così veloce com'è il cielo si muova con moto silenzioso? E se anche quel suono non giunge alle nostre orecchie, non è ammissibile che il movimento di corpi così immani non emetta alcun suono... E come potrebbe darsi che le differenze e le contrarie possanze dei quattro elementi coesistano in un unico organismo, " nisi quaedam harmonica coniungeret? " E come nelle corde basse il suono non scende mai al punto da non essere più udibile, né nelle acute l'eccessiva tensione non arriva mai a spezzare, per troppa altezza, l'emissione medesima, ma tutto rimane affine e conveniente a sé stesso, così vediamo che anche nella m. del mondo nulla vi è di eccessivo al punto da distruggere, per troppa esuberanza, altre parti dell'universo. Per intendere la m. umana, bisogna discendere in noi stessi. Che cosa unisce al corpo quell'immateriale vivacità della mente, se non una compenetrazione e una contemperazione, per così dire, di voci gravi e leggere, sì da produrre un'unica consonanza? E che cosa tiene unite le varie parti dell'anima, la quale, secondo Aristotele, è fatta di elementi razionali e irrazionali?

Dal pensiero boeziano si discostano altri scrittori, i quali tuttavia hanno in comune l'elemento di base: la m. in senso proprio, vocale o strumentistica, è relegata in terza posizione; essa costituisce quindi solo un aspetto, e nemmeno il più importante, di una più vasta visione d'insieme, in cui si smaterializzano, sino ad acquistare significati assai diversi da quelli consueti, concetti quali armonia, melodia, ritmo, visti come componenti della m. " mundana " o umana, piuttosto che come elementi tecnici del fenomeno sonoro quale di solito ricade sotto la comune esperienza sensibile. Da una simile osservazione di base è impossibile prescindere quando si discorre di m. in D., e nella Commedia in particolare, per non correre il rischio di attribuire significati specifici e tecnici a immagini e concetti che sono invece d'indole speculativa generale, o, al più, matematica. La ‛ musica humana ', a sua volta, si suddivideva in armonica, ritmica, metrica. Per definire questi tre concetti, si può prendere per guida, per la chiarezza stessa del suo dettato, Aureliano di Reomé (Gerbert, I 33): " Harmonica est, quae discernit in sonis acutum et gravem accentum; ut est haec Antiphona Exclamaverunt ad te Domine. Ex gravis accentus, clamaverunt acutus accentus est ". Nessun riferimento alla m. nel senso proprio del termine, bensì piuttosto alla melodiosità delle parole, considerate singolarmente sulla base dell'escursione fonetica verso l'acuto o verso il grave. Simile interpretazione è confermata da VE II VII, in cui si esaminano le prerogative dei magnifici vocaboli dello stile tragico: Nam vocabulorum quaedam puerilia, quaedam muliebria, quaedam virilia; et horum quaedam silvestria, quaedam urbana; et eorum quae urbana vocamus, quaedam pexa et lubrica, quaedam yrsuta et reburra sentimus. Inter quae quidem pexa atque yrsuta sunt illa quae vocamus grandiosa, lubrica vero et reburra vocamus illa quae in superfluum sonant... Et pexa vocamus illa, quae trisillaba vel vicinissima trisillabitati, sine aspirazione, sine accentu acuto vel circumflexo, sine z vel x duplicibus, sine duarum liquidarum geminatione vel posizione inmediate post mutam, dolata quasi, loquentem cum quadam suavitate relinquunt (§§ 2 e 5).

Si tratta quindi di un'armonia puramente verbale, anzi fonetica, e, come tale, lontana da ogni accezione musicale in senso tecnico. Non diverse le considerazioni sulla m. ritmica, sempre secondo la testimonianza di Aureliano di Reomé: " Rhythmica est, quae incursionem requirit verborum, utrum sonus bene an male cohaereat. Rhythmus namque metris videtur esse consimilis; quae est modulata verborum compositio, non metrorum examinata ratione, sed numero syllabarum, atque a censura diiudicatur aurium, ut pleraque Ambrosiana carmina. Unde illud: Rex aeterne Domine, Rerum creator omnium, ad instar metri iambici compositum, nullam tamen habet pedum rationem, sed tantum concentus est Rhythmica modulatione ". Due sono i concetti qui sopra esposti: uno, la connessione delle parole fra loro, nel contesto di un qualunque discorso non necessariamente poetico; l'altro, la cadenza degli accenti, che all'orecchio può dare la stessa sensazione provocata dai metri, senza che i versi siano necessariamente composti su base quantitativa (e, dei due esempi che Aureliano porta, il primo è calzante, trattandosi di un dimetro trocaico a sola base accentuativa, svincolato dalla quantità, mentre il secondo è un regolare dimetro giambico, rispettoso della quantità sillabica).

Alla ‛ ritmica ' come mescolanza di parole fra loro, si riferisce D. in VE II VII 6 Ornativa vero dicimus omnia polysillaba, quae, mixta cum pexis, pulcram faciunt armoniam compaginis, quamvis asperitatem habeant aspirationis et accentus et duplicium et liquidarum et prolixitatis, e in XII 1 Est etiam... habitudo quaedam quam carmina contexendo considerare debemus: e tale habitudo riguarda principalmente la posizione che nelle singole parti della stanza di canzone devono avere i versi, e l'endecasillabo in primo luogo, secondo il loro numero e qualità.

Anche riguardo all'ultima ripartizione della ‛ musica humana ', la metrica, Aureliano di Reomé si riferisce a strutture e a elementi propri della poesia: " Metrica est, quae mensuram diversorum probabili ratione cognoscit metrorum, verbi causa heroicum, elegiacum, sapphicum, et caeterorum metrorum... Igitur secundum Nicomachum tertia pars humanae musicae, quae metrica nuncupatur, quoniam non tam speculatione ac ipsius artis ratione, quam naturali instinctu fertur ad carmen; ideo a musica, quamquam ab ea originem trahat, segregandam putat. Rhythmus vero, quia totum in ratione ac speculatione positum est, hoc proprie musicae deputandum arbitratur. Is est enim musicus, cui secundum speculationem, propositamve rationem, ac musicam convenientiam de modis ac rhythmis, deque cantilenarum generibus ac permixtionibus, sed et de poetarum carminibus adest facultas sine errore iudicandi ".

Queste premesse teoriche, per altro note agli specialisti, sono indispensabili per intendere, almeno nei principi fondamentali, l'impiego che della m. è fatto nella Commedia. Ovviamente, non tutto si riferisce alla m. verbale, la quale è preponderante invece nelle spiegazioni del De vulg. Eloq.; molti riferimenti - i più comuni, tuttavia, e i più generici - alludono a immagini sonore in senso proprio. Ma è evidente che la sensazione musicale non vive, per lo più, di vita autonoma, ma dev'essere intesa come sussidio a una più vasta visione: quasi un'esemplificazione, liberamente scaturita dalla fantasia del poeta, all'immagine nel suo insieme.

Assai scarsi i riferimenti musicali nell'Inferno: e quei pochi sono naturalmente improntati all'atmosfera generale di tristezza e di squallore propri dell'episodio in cui s'inseriscono. Così il canto delle gru (V 46) simile al lamento dei lussuriosi; così la processione degl'indovini, nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio, i quali avanzano tacendo e lagrimando, al passo / che fanno le letane in questo mondo (XX 8-9); così le ombre livide immerse nella Caina, che battono i denti in nota di cicogna (XXXII 36): nota ha significato generico (v. NOTA) ma tuttavia richiama, con realistica precisione, un rumore monotono e ossessivo.

Altri passi riportano immagini di frastuono e di disarmonia, come il tumulto del vestibolo infernale (III 25 ss.), o il romor che si sprigiona dalla selva dei suicidi, mentre gli scialacquatori sono inseguiti dalle nere cagne (XIII 111 ss.). E tuttavia l'intero Inferno, esattamente al pari delle altre cantiche, appare strutturato sotto il simbolo e le leggi della m., secondo i concetti generali richiamati più sopra. Il frequente ricorrere di numeri mistici o simbolici, da cui tutta la composizione dell'opera dantesca appare influenzata, ricade infatti sotto la concezione generale del ritmo musicale, cui D. riserba non rare allusioni. La m. " mundana ", secondo la testimonianza del già citato Hieronimus de Moravia, può consistere, oltre che nel moto delle stelle, anche " in numero, in mensura ", allo stesso modo che la m. " humana " può essere ricercata nell'anima: " alia in potentiis, ut ira, ratio; alia in virtutibus, ut iustitia, fortitudo ".

I riferimenti musicali che si trovano nel Purgatorio devono essere pertanto visti in questa più ampia prospettiva, in senso più generale e meno tecnicamente specifico di quanto non sembrerebbe suggerito dai facili accostamenti fra m. nell'accezione corrente e m. in senso metaforico. Quasi tutte le citazioni musicali del Purgatorio hanno valore etico.

La trattatistica classica aveva a lungo insistito sull'aspetto catartico del fenomeno musicale, sino a postulare effetti speciali sulla psiche dell'individuo per opera delle varie ‛ armonie ' o modi di cui la m. greca era costituita. La musicografia medievale riprese l'argomento, in particolare per quanto riguardava l'etica degli otto modi cosiddetti ecclesiastici. Ancora Boezio (De Musica I 1) puntualizza che " musica non modo speculationi, verum etiam moralitati coniuncta... Nulla omnino... aetas quae a cantilenae dulcis delectatione seiuncta sit... Lascivus quippe animus, vel ipse lascivioribus delectatur modis vel saepe eosdem audiens cito emollitur, ac frangitur. Rursus asperior mens vel incitatioribus gaudet, vel incitatioribus asperatur... Nulla enim magis ad animum disciplinis via, quam auribus patet. Cum ergo per eas rhythmi modique ad animum usque descenderint, dubitari non potest quin aequo modo mentem atque ipsa sunt eff'iciant atque conforment. Id vero etiam intelligi in gentibus potest. Nam quae asperiores sunt Getarum, durioribus delectantur modis. Quae vero mansuetae, mediocribus ". Entro questa dimensione dev'essere collocato l'episodio di Casella, specie per il riferimento all'amoroso canto / che mi solea quetar tutte mie doglie (Pg II 107-108): un effetto che i musicografi medievali attribuiscono ora all'uno ora all'altro degli otto modi, cui di volta in volta sia attribuito un potere rasserenante.

Anche la maggior parte dei canti che le anime del Purgatorio intonano, non scaturiscono tanto da un piacere estetico fine a sé stesso, quanto piuttosto dal desiderio di affrettare, attraverso il potere catartico della m., la purificazione finale. Le beatitudini cantate nelle varie cornici sottolineano infatti la virtù contraria alla colpa lì espiata e contribuiscono, con la suggestione operata dalla m., a rendere più efficace la contrizione: si spiega in tal modo la profonda compartecipazione al canto, corale o solistico, di cui anime e angeli danno prova (cantavan tutti insieme ad una voce, 1147; cantando ‛ Miserere ' a verso a verso, V 24; il Te lucis ante nella valletta dei principi, VIII 13-18; persino i bassorilievi sono tanto espressivi che sembrano cantare, X 58-60; voci / cantaron sì, che nol diria sermone, XII 110-111; Labïa mëa, Domine è cantato piangendo per modo / tal, che diletto e doglia parturìe, XXIII 11-12; Beati mundo corde è intonato in voce assai più che la nostra viva, XXVII 8-9; nel Paradiso terrestre tutto è canto: Matelda, gli augelletti per le cime, il suon della foresta, i ventiquattro seniori; alternando / or tre or quattro dolce salmodia, XXXIII 1-2, per ricordare solo i luoghi più significativi).

Nel Paradiso le immagini musicali si fanno ancora più complesse, ancora più dense e ricche di sottintesi che trascendono più che mai il puro dato tecnico. Non manca un riferimento preciso alla ‛ musica mundana ', alla vera e propria armonia delle sfere (Pd I 76-78); ma la maggior parte delle citazioni alludono a un rapporto non semplice di m. e di simbolismo o, per meglio dire, a fenomeni strutturali interpretati musicalmente. La dolce armonia promanante dai diversi gradi di beatitudine (VI 124-126) è assunta come secondo termine di una similitudine che ha come primo termine la fusione di varie voci in un insieme polifonico. È evidente che qui D. evoca due differenti qualità di armonie: una vocale, sensibile e propria di quella ‛ musica instrumentalis ' che si ode sulla terra (diverse voci fan giù dolci note, secondo una meno accettata lezione testuale); e una prodotta dagli scanni paradisiaci, riconducibile invece all'ineffabile e indescrivibile ‛ musica mundana ', anzi a una qualità ancor più immateriale, perché non risulta dal movimento delle sfere celesti, ma addirittura da un variamente distribuito grado di beatitudine, quasi un corollario alle spiegazioni di Piccarda (III 85-87).

Spesso, nel Paradiso, le immagini musicali sono espresse più attraverso il movimento che non mediante la pura e semplice sensazione auditiva.

Gli esempi sono assai numerosi e probanti: da Piccarda che cantando vanio / come per acqua cupa cosa grave (III 122-123); a Giustiniano e alle sostanze che sono con lui, le quali prima intonano Osanna, e poi quasi velocissime faville / mi si velar di sùbita distanza (VII8-9); al movimento delle voci in contrappunto, simile a faville in fiamma (VIII 16-18); alle anime nel cielo del Sole, le quali prima si dispongono a corona intorno a D. e a Beatrice, e poi si trasformano in ‛ circulata melodia ', compiendo un triplice giro (X 64-81); al meccanismo dell'orologio, le cui varie parti sembra si tirino e si spingano a vicenda dando origine a un armonioso insieme simile al movimento cantato della gloriosa rota nel quarto cielo (X 139-148); alle due corone del medesimo cielo, concentricamente circolanti: e moto a moto e canto a canto colse (XII 1-6); i loro movimenti e i loro ritmi, sia del canto sia della danza, sono perfettamente sincroni, e la loro celebrazione è rivolta alla Trinità (XIII 16-30), come risulta con evidenza ancora maggiore poco più avanti, ove l'insistere sulla triplicità dell'intonazione assume un valore simbolico ancora più intenso: Quell'uno e due e tre che sempre vive / e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno, / non circunscritto, e tutto circunscrive, / tre volte era cantato da ciascuno / di quelli spirti con tal melodia, / ch'ad ogne merto saria giusto muno (XIV 28-33); alle anime del cielo di Marte, la cui melodia si diffonde carica di movimento interiorizzato, vibrante come le corde di giga e arpa (XIV 118-123), e il cui silenzio coincide istantaneamente con l'immobilità (XV 4-6); a Cacciaguida, il quale dimostra le sue qualità di artista muovendosi e frammischiandosi con le altre luci (XVIII149-51); ai beati del cielo di Giove, i quali cantano volitando, sino a formare lettere e vocaboli (XVIII 73-81); all'aquila che canta roteando (XIX 97); all'allodetta che 'n aere si spazia / prima cantando (XX 73-74); al trionfo della Vergine, durante il quale gli angeli intonano una circulata melodia (XXIII 98-111); a s. Pietro che benedice D. cantando e girando tre volte intorno a lui (XXIV 151-154); al salmo Sperent in te intonato prima a solo poi coralmente dalle corone danzanti dei beati (XXV 97-99); all'apostolo Giovanni, il quale misesi lì nel canto e ne la rota (XXV 109); ai tre apostoli danzanti: anche per loro la quiete coincide istantaneamente col silenzio (XXV 130-132); alla milizia degli angeli che volando vede e canta / la gloria di colui che la 'nnamora (XXXI 4-5); all'arcangelo Gabriele che, mentre canta ‛ Ave, Maria, gratia plena ', / dinanzi a lei le sue ali distese (XXXII 96).

Si sono riportati solo gli esempi più significativi, sufficienti a mostrare che un fatto musicale è rilevante oltre che sotto l'aspetto auditivo, anche come emanazione di un movimento che è esso stesso m., in quanto parte costituente del moto generale dell'universo. Un moto, tuttavia, da non intendersi solo come traslazione nello spazio, ma come anelito a raggiungere il porto per lo gran mar de l'essere (Pd I 113), a conseguire il fine ultimo dell'esistenza: compito supremo che è gioia, che provoca gioia e che quindi si estrinseca nella più immateriale delle sensazioni, la musica.

Spesso il fenomeno musicale è permeato di una notevole complessità, in cui il riferimento simbolico ai numeri mistici si compenetra e si confonde con le strutture polifoniche più complesse: particolarmente importanti, in questo senso, i richiami al contrappunto di Pd VI 124-126, VIII 17-18, XVII 43-44, XXIII 109-110 (cfr. la voce MELODIA), XXVIII 118-120. Mentre i canti menzionati nel Purgatorio hanno solitamente strutture semplici, essendo o monodici o omofoni (a una sola voce, non importa se intonata da uno solo o da più cantori), le melodie del Paradiso si adeguano al concetto medievale di ‛ ars ', cui D. mostra così spesso di aderire: basti pensare al modum cantionum, quem casu magis quam arte multi usurpare videntur (VE II IV 1), dove ‛ casus ' è da intendere come l'intuito naturale, e ‛ ars ' la consapevolezza dottrinale degli strumenti tecnici necessari al conseguimento della poesia. Tutto il Paradiso in particolare è dominato dalle preoccupazioni dell'‛ ars ' (I 13-18 e 127-129, II 1-9, IX 106-107, X 10-12 e 43, XIII 78, ecc.), ed è quindi necessario che lo fren de l'arte si faccia sentire anche nella musica.

Quando i musicografi medievali parlano di " ars " sottintendono o aggiungono esplicitamente il concetto di " scientia ". Fra le moltissime testimonianze basterà ricordare quella di Simon Tunstede, operante nella prima metà del sec. XIV: " Officium... huius artis [musicae], aliud practice, aliud theorice... Theorice vero officium est in summa comprehendere cognitionem specierum armonicarum, et illud ex quo componuntur et qualiter componuntur, et quantum ad planam musicam, et quantum ad musicam mensurabilem " (Coussemaker, IV 205 b). Né sembra il caso di ricordare, sebbene le locuzioni siano usate in senso assai specifico, la " via naturae " e la " via artis " proprie dell'Ars Nova italiana. Per questa ragione gli esempi musicali citati nel Paradiso, oltre che per il simbolismo generale di cui si è detto, sono stati scelti dal poeta tenuto conto della loro complessità strutturale, e perciò tali da poter essere degnamente eseguiti da artisti, di cui Cacciaguida è un esempio insigne (mostrommi l'alma che m'avea parlato / qual era tra i cantor del cielo artista, Pd XVIII 50-51).

Del resto, l'attribuzione alla m. di finalità d'indole trascendentale, quale sussidio e mezzo al conseguimento della felicità eterna, non è certo esclusiva del solo D., ma si ritrova altresì, se pur con non grande frequenza, nella trattatistica dell'epoca. Nel Liber de musica di Iohannes Veruli de Anagna (vissuto fra il XIII e il XIV secolo), si trovano precisi riferimenti a tale proposito: " Primo videndum est quid sit musica, quid sit subiectum in ea, unde dicatur, et ad quem finem tendat. Est enim musica scientia mollificans duritiem et pravitatem cordis humani corporis ad caelestia contemplandum... Subiectum est quod agitur per totam scientiam, videlicet sonoritas vocum, et ipsarum melodia. Et dicitur musica a Moys graece, quod est aqua, et logos, quod est scientia vel sermo, quia talis scientia inventa fuit iuxta aquas, et merito. Nam sicut aqua abluit sordes et reficit corpora, sic ista scientia diluit maerores mentis, et erigit ipsam ad iucunditatem. Finis ad quem tendit, est tota laus Dei, nam omnes voces ipsum Deum laudare debent " (Coussemaker, III 129 a). Anche per quanto riguarda la m., non diversamente che per le cognizioni scientifiche e teologiche, D. ha assorbito le convinzioni del suo tempo, senza innovarle nella sostanza, ma trasportandole, dal puro livello conoscitivo, a esperienza personale, a sensazione profondamente rivissuta: in altri termini, a emozione di arte, e questa volta in senso non medievale, ma universale.

L'aver puntualizzato i principi generali secondo cui dev'essere inteso il concetto di m. nell'opera dantesca non deve però far perdere completamente di vista altri aspetti della ricerca, marginali certo, ma non privi d'interesse. Pur con la convinzione che, almeno nella maggior parte dei casi, D. si è riferito a melodie esistenti solo nella sua fantasia creatrice (e il discorso vale soprattutto quando gli esempi musicali sono immaginati su parole messe insieme appositamente per inserirsi con tutta naturalezza nell'episodio di volta in volta trattato), è probabile che in altri casi il poeta avesse realmente presenti cantilene effettivamente praticate, e a quelle volesse riferirsi.

Che D. dovesse conoscere sufficientemente gli elementi tecnici della m., è assai probabile, come attesta il Boccaccio, sia perché la m. era compresa nel curriculum quadriviale, sia perché sono frequenti, in tutte le opere di D., riferimenti a fatti e a termini specifici. Gli strumenti musicali sono citati con tanta appropriata aderenza all'immagine contestuale, che della loro foggia, oltre che dei loro caratteri acustici, il poeta doveva essere non superficiale osservatore (cfr. le voci Arpa; Cennamella; Cetra; Chitarra; Corno; Giga; Lira; Leuto; Tuba). E doveva anche essere buon conoscitore del repertorio musicale vero e proprio. Certamente, rimane pur sempre la difficoltà, non facilmente superabile, di stabilire se le melodie che D. cita sono proprio le stesse che sono giunte sino a noi; in alcuni casi è tuttavia possibile giungere a conclusioni non azzardate, se ci si basi sull'accurata indagine della tradizione manoscritta.

Di facile reperimento è l'antifona Asperges me (Pg XXXI 98). La citazione allude espressamente al canto della melodia, e non al solo testo: altrimenti, non avrebbe senso l'inadeguatezza del poeta a ricordare, non che a scrivere. Tale antifona è rimasta viva ancor oggi nella pratica liturgica corrente, per essere cantata al momento dell'aspersione dell'acqua benedetta prima del Kyrie, al di fuori del tempo pasquale, quando è sostituita dall'antifona Vidi aquam. Diamo qui di seguito, traslitterata in forma di note-punti onde evitare la spinosa questione della ricostruzione ritmica solesmense, la versione che di tale antifona si legge a p. 7 dell'Antifonario monastico (F. 160) della biblioteca della cattedrale di Worcester: insigne monumento del XIII secolo, fedele depositario della più autentica tradizione liturgica benedettina, miracolosamente scampato alla generale distruzione dei libri liturgici romani avvenuta in Inghilterra nel 1549, e pubblicato in facsimile nel vol. XII della Paléographie Musicale.

Solo in apparenza la versione qui riportata differisce dalla vulgata che si legge nei moderni libri liturgici (Liber Usualis, p. 11). La concordanza è invece quasi perfetta, poiché le differenze si riducono a qualche nota di ornamentazione in più o in meno, come del resto era prassi consueta specialmente quando una stessa melodia è tramandata sia in tono feriale sia in tono solenne: questo, d'abitudine, più carico di note ornamentali di quello. Rivestimenti melodici assai diversi del medesimo testo si vedono in liturgie non romane, ad es. nell'Antifonario ambrosiano del XII secolo (British Museum, Additional 34209: Paléographie Musicale, voll. V e VI, trascrizione VI 204), ma non esiste nessuna ragione per cui si debba supporre che D . avesse in mente una tradizione melodica affatto periferica e regionale come quella ambrosiana. Si deve pertanto concludere, con quasi assoluta certezza, che D., nello stendere l'episodio del Paradiso terrestre, alludesse alla lezione citata più sopra: melodia particolarmente ampia e flessibile, facile a essere ricordata anche da parte di un non professionista del canto liturgico e, per la sua stessa ricchezza inventiva, tale da suscitare un'impressione dolcissima, indefinita, e perciò non facile a essere espressa nella sua letterale precisione.

Assai più dubbio è il riferimento di Pd XXV 98: il canto antifonico Sperent in te, intonato da una voce a solo dopo che D. ha superato l'esame sopra la speranza, e a cui rispondono coralmente tutte le carole. La doppia versione che di questo inno si legge nell'Antifonario ambrosiano sopra ricordato non è accettabile come quella eventualmente nota a D., per le stesse considerazioni fatte in precedenza; d'altronde, anche rintracciandone una versione romana, non avremmo alcuna sicurezza che con quella possa veramente identificarsi la reminiscenza dantesca: libera creazione fantastica, e non citazione erudita, come appare con tutta evidenza dalla realizzazione coreografica che della medesima antifona è data nei versi immediatamente seguenti.

L'inno che i lussuriosi cantano nel seno al grande ardore, Summae Deus clementiae (Pg XXV 121), è attestato in numerosissime fonti medievali; per tentar d'identificare la citazione dantesca occorre procedere per successive eliminazioni. Da scartare è la versione contraffatta che si legge a c. 329v. del manoscritto Mus. 40608 della Staatsbibliothek di Berlino, pubblicato dallo Stäblein (Monumenta monodica, 443 n. 752), in quanto il codice che la contiene è di rito aquileiense, e pertanto, data la sua diffusione strettamente regionale, difficilmente conosciuto al punto da poter essere citato da chi non praticava quella liturgia. Si possono senz'altro escludere i contrafacta dell'Innario Trivulziano per ragioni liturgiche (il repertorio è quello proprio del rito milanese), e degl'innari di Klosterneuburg (Stiftsbibliothek 1000, che ha la data del 1336), di Nevers (Parigi, bibl. Nazionale, lat. 1235, sec. XII), di Worcester (Cathedral Library F. 160, sec. XIII), di Kempten (Zurigo, Zentralbibliothek Rh. 83, sec. XI), di Einsiedeln (Stiftsbibliothek 366, sec. XII), di Verona (bibl. Capitolare CIX, sec. XI), di Gaeta (Roma, Casanatense 1574, sec. XII), dell'Innario Cistercense di Heiligenkreuz (Stiftsbibliothek 20, secc. XII-XIII), dell'Innario di Moissac (Roma, Vaticana, Rossiano 205, secc. X-XI), per l'unica ragione che la melodia di Summae Deus si trova applicata, con varianti d'indole prevalentemente ornamentale, a testi poetici dissimili: l'identità della melodia può essere stabilita solo mediante un attento lavoro di collazione, non ipotizzabile da parte di un ascoltatore non specializzato come Dante. Invece, nel medesimo Innario di Verona già ricordato, si trova, a cc. 17v-18r, il testo di Summae Deus con melodia propria, che qui presentiamo trascritta sulla base della quantità prosodica: ogni strofa tetrastica è costituita di quattro dimetri giambici acatalettici, con la lunga irrazionale quasi costante sul primo e sul terzo piede.

Altra fonte di primaria importanza per rintracciare ulteriori testimonianze di melodie citate da D., è un antifonario monastico (cod. 601 della biblioteca Capitolare di Lucca) pubblicato in facsimile nel vol. IX della Paléographie Musicale. Si tratta di un manoscritto di eccezionale valore, sia sotto l'aspetto paleografico, sia per la ricchezza del repertorio in esso contenuto: antifone, responsori e versetti vi sono accolti in gran numero. Troviamo in esso (p. 511) la melodia di una beatitudine evangelica, Beati pacifici (Pg XVII 68-69), qui trascritta diplomaticamente.

Altrove, a c. 94 del medesimo codice, è contenuto il responsorio In te, Domine, speravi (Pg XXX 83), e trascritto secondo i criteri generali cui si adeguano gli esempi musicali riportati nella voce canzone (v.).

L'esempio qui offerto differisce radicalmente da quello riportato dal Bonaventura (p. 96), ove si cita, anziché il responsorio, il versetto alleluiatico che si canta nella messa della sesta domenica dopo la Pentecoste (cfr. Liber Usualis, da cui l'esempio del Bonaventura è tolto). Ma è improbabile che D., se pur aveva in mente una melodia precisa, facesse riferimento a un canto così ornato, complesso, e indubbiamente, nel sec. XIV, già notevolmente corrotto rispetto alla versione dei più antichi graduali. Se D. voleva alludere a una melodia realmente da lui conosciuta, è più probabile che volesse riferirsi a un canto di tipo sillabico, ancora arieggiante ai moduli della declamazione salmodica, e quindi facile da ricordare, anziché a un brano del repertorio ufficiale, riserbato ai cantori professionisti, e non certo tale da poter essere richiamato con immediata facilità alla memoria del lettore.

L'antifona Venite, benedicti Patris mei, il cui canto scaturisce dalla luce abbagliante dell'angelo posto a guardia del Paradiso terrestre (Pg XXVII 58), si ritrova anch'essa nel codice lucchese, c. 134, con la seguente lezione:

In altri casi, invece, la ricerca, nei codici del tempo, di melodie il cui testo collimi con la citazione dantesca, acquisterebbe valore di erudizione astratta, senza alcuna probabilità che l'eventuale reperto abbia una qualsiasi corrispondenza con l'immagine dantesca. Esempio tipico è quello di Pg XXX 19-21, ove la citazione evangelica " Benedictus qui venit " è stata variata in Benedictus qui venis in rima con la libera citazione virgiliana (Aen. VI 883). Davanti a simile libertà nel riportare il testo, è evidente che non si può pretendere fedeltà di lezione melodica. La stessa considerazione può valere per altri canti che D. menziona: il Veni, sponsa, de Libano (Pg XXX 11), forse suggerito dall'analogia con l'antifona Veni Sponsa Christi accipe coronam, e il canto di Matelda all'inizio del c. XXIX del Purgatorio, liberamente desunto dal salmo 31.

Ben diverso il problema concernente il Te lucis ante, cantato nella valletta dei principi negligenti (Pg VIII 13). Se, per quanto riguarda il testo poetico, non esistono incertezze gravi circa l'esatta lezione, pur potendosi escludere l'attribuzione di esso a s. Ambrogio, la stesura melodica dell'inno si presenta sotto parecchie versioni assai differenti fra loro, ed è pressoché impossibile, pur procedendo per via di successive eliminazioni, localizzare con qualche probabilità il canto cui D. intendeva eventualmente riferirsi. Nella maggioranza dei casi, si tratta pur sempre di una melodia sillabica, talvolta addirittura lineare e stilizzata come una formula salmodica; altrove, essa si presenta invece carica di melismi ornamentali, che appaiono essere la risultante di successive elaborazioni e destinate pertanto a un'esecuzione solistica. Certo è solo che doveva trattarsi di un testo assai largamente diffuso, addirittura popolare. Persino il salmo In exitu Isräel de Aegypto (Pg II 46), può ovviamente cantarsi secondo una qualsiasi delle formule salmodiche consuete, né esiste alcuna probabilità che il tonus peregrinus, riportato dal Bonaventura (p. 77), fosse proprio quello cui D. intendeva riferirsi. Perché proprio il tono peregrino, e non una qualsiasi delle altre otto formule?

Considerazioni non molto dissimili potrebbero farsi per altre melodie cui si allude nella Commedia; ma sempre con lo stesso largo margine di approssimazione, e sempre con la riserva che non si tratta necessariamente di ‛ citazione ', bensì di libera creazione fantastica.

Bibl. - M. Gerbert, Scriptores ecclesiastici de musica sacra potissimum, 3 voll., St. Blasien 1784 (rist. anast., Hildesheim 1963); E. De Coussemaker, Scriptorum de musica Medii Aevi..., 4 voll., Parigi 1864-1876 (rist. anast., Hildesheim 1963); A. Bonaventura, D. e la musica, Livorno 1904; Monumenta monodica Medii Aevi, I, Hymnen (I), a c. di B. Stäblein, Kassel-Basilea 1956; N. Pirrotta, Ars Nova e Stil Novo, in " Rivista Ital. di Musicologia " I (1966) 3 ss.; R. Monterosso, Problemi musicali danteschi, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 207-212; N. Pirrotta, D. Musicus: Gothicism, scholasticism, and Music, in " Speculum " XLIII (1968) 245 ss.