MUTAGENESI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

MUTAGENESI

Luciana Migliore

La m. è il processo di alterazione dell'informazione genetica, sia a livello di singoli geni, sia a livello cromosomico, sia a livello di genoma; comprende anche l'insieme dei fattori chimici e fisici e degli eventi biochimici che lo inducono e i meccanismi biologici cellulari in grado di riparare i danni indotti alla molecola di DNA. Alla base della m. vi sono le singole mutazioni, eventi specifici di modificazione del patrimonio genetico, sia naturali sia indotte.

Mutazione. - La mutazione è ciascun evento che modifica, da un punto di vista strutturale e spesso di conseguenza anche da quello funzionale, un tratto di DNA. La prima distinzione va fatta tra le mutazioni somatiche, che si verificano nelle omonime cellule e non vengono trasmesse alla progenie, e le mutazioni germinali, che si verificano nelle linee cellulari germinali e, di conseguenza, vengono trasmesse nella popolazione alle generazioni successive. Vi sono inoltre differenti tipi di mutazione, che dipendono dal tipo di alterazione che investe il filamento; questi vengono classificati in base alla loro natura genetica, definendo se si tratta di alterazioni nel numero o nella struttura dei cromosomi, oppure di alterazioni a livello del DNA. La m. si occupa principalmente delle mutazioni che investono il filamento di DNA: le sostituzioni di base, le inserzioni e le delezioni.

Le sostituzioni di base consistono in uno scambio di nucleotidi: mentre non si conosce dettagliatamente l'effetto di tali sostituzioni negli introni (regioni non codificanti), negli esoni (regioni codificanti) hanno effetto diverso a seconda della loro localizzazione e del loro tipo. Si possono infatti verificare sostituzioni silenti, cioè quelle che non provocano sostituzioni amminoacidiche, o sostituzioni che comportano la modifica di un amminoacido. Le mutazioni per sostituzione di base possono essere distinte in transizioni, quando avviene la sostituzione di una pirimidina con un'altra pirimidina o di una purina con un'altra purina, e trasversioni, quando avviene lo scambio di una pirimidina con una purina e viceversa. Non tutte le sostituzioni di base sono silenti o di senso: alcune, mutazioni non senso, generano codoni di terminazione all'interno della sequenza codificante inducendo così erroneamente un'interruzione della traduzione. Le mutazioni per scivolamento del modulo di lettura (mutazioni frame-shift) vengono indotte dall'inserzione o delezione di un numero di coppie di basi diverso da tre o da un multiplo di tre. Questo tipo di mutazione altera la lettura a triplette durante il processo di traduzione e provoca la modifica dell'intera sequenza amminoacidica che si trova a valle della mutazione.

Si definiscono mutazioni spontanee quegli eventi mutativi che, apparentemente, non sembrano indotti da fattori esterni, mentre quelli causati da agenti esterni vengono classificati come mutazioni indotte. Prove recenti indicano che molte mutazioni spontanee sono il risultato dell'inserimento di lunghe sequenze di DNA (molte kilobasi) nei pressi del sito mutato: le sequenze inserite appartengono frequentemente a famiglie di sequenze geniche ripetute e disperse in tutto il genoma, che hanno la capacità di spostarsi da un sito all'altro del genoma stesso e vengono per questo chiamate elementi trasponibili.

L'evento mutativo spontaneo è fondamentale per la persistenza di tutte le popolazioni: secondo la teoria sintetica, l'evoluzione dipende dalla continua produzione di variabilità genetica (che è responsabile della produzione di individui con diversa capacità di sopravvivenza e riproduzione) e dal vaglio che l'''ambiente'' effettua su tutti i nuovi genotipi prodotti (selezione naturale darwiniana). Alla produzione di variabilità genetica contribuisce in modo determinante il fenomeno della mutazione. La probabilità che avvenga una mutazione spontanea in un gene dipende dalle sue dimensioni: quanto più lungo è il tratto di DNA (e cioè quanto più numerose sono le coppie di basi) tanto maggiore sarà la probabilità che avvenga un evento mutativo in un sito qualsiasi del gene. A causa della degenerazione del codice genetico, per cui differenti triplette codificano uno stesso amminoacido, spesso le mutazioni avvenute a livello genico non sono rilevabili a livello fenotipico. Nel caso in cui, invece, avviene la sostituzione di un amminoacido, l'importanza dell'evento mutativo dipende dal ruolo che l'amminoacido sostituito svolge nella determinazione delle caratteristiche strutturali e funzionali della proteina e dalle caratteristiche chimico-fisiche del nuovo amminoacido inserito. In ogni gene esistono i cosiddetti punti caldi, cioè zone considerate a massima frequenza di eventi mutazionali, e i punti freddi, cioè zone erroneamente considerate a minore frequenza di mutazione. In realtà le zone ''calde'' sono porzioni di gene che svolgono un ruolo determinante per la struttura e la funzionalità del gene stesso e in cui qualsiasi variazione può inficiarne la funzionalità, mentre quelle ''fredde'' sono tratti di DNA soggetti allo stesso tasso di mutazione delle altre zone, ma in cui la sostituzione di un amminoacido solo raramente induce apprezzabili alterazioni nel prodotto genico.

Tutte le mutazioni che possono essere osservate e determinate sono, in ogni caso, compatibili con la sopravvivenza del portatore: le mutazioni letali, per ovvie ragioni, non possono essere rilevate; alcune proteine basilari per l'esistenza (come gli istoni o il citocromo c) che, anche se minimamente modificate, producono conseguenze letali, mostrano una struttura genetica estremamente conservativa sia a livello di popolazione sia a livello filogenetico.

La mutazione spontanea, come già riportato, è un evento fondamentale da un punto di vista evolutivo e viene controllata a livello genetico: questo è stato indirettamente dimostrato in alcuni batteri, in lieviti, in muffe, nel mais e in altri organismi in cui la presenza di determinati geni mutati induce alterazioni significative della frequenza di mutazione, sia incrementandola (effetto ''mutatore''), sia abbassandola (effetto ''antimutatore''). Nel batteriofago T4, inoltre, è stata dimostrata la presenza di almeno due funzioni deputate a mantenere un buon livello di accuratezza nel processo di replicazione del DNA: una deputata al controllo dell'inserimento delle giuste basi nel nuovo filamento, l'altra alla correzione di eventuali errori (proof-reading, letteralmente, "correzione di bozze") tramite rimozione delle basi non correttamente inserite (attività esonucleasica della DNA polimerasi).

Mutageni. - Sono così chiamati tutti gli agenti chimici o fisici in grado d'indurre mutazioni; si possono dividere in diverse classi a seconda del loro meccanismo d'azione o del tipo di mutazione indotta.

Analoghi delle basi. Molecole erroneamente incorporate nella struttura del DNA per via della loro analogia strutturale con le basi; questi analoghi hanno ridotta capacità e specificità di appaiamento e causano errori nella successiva replicazione (spostamento da A-T a G-C e viceversa, cioè trasversione).

Modificatori delle basi. Composti, quali l'acido nitroso o l'idrossilammina, che modificano la struttura chimica delle basi e ne alterano l'appaiamento, inducendo anche in questo caso una trasversione o una transizione.

Agenti alchilanti. Classe di composti chimici dotati di un centro elettrofilo che tendono ad associarsi ai numerosi siti nucleofili presenti nel DNA; tra le alterazioni di maggiore impatto biologico si ricordano le alchilazioni dell'ossigeno e dei ponti fosfodiesterici che assicurano l'impalcatura strutturale del DNA, con conseguente rottura del filamento di DNA e alterazione della struttura del cromosoma. Poiché l'alchilazione può avvenire su molti tipi di macromolecole, alle volte vengono interessate le fibre del fuso mitotico causando errori nella distribuzione dei cromosomi nelle cellule figlie. La fondamentale alterazione del patrimonio genetico delle cellule fa sì che questa categoria di composti venga spesso utilizzata come antineoplastico.

Agenti intercalanti. Molecole in grado d'inserirsi, più o meno stabilmente, tra due coppie di basi contigue inducendo di conseguenza inserzioni o delezioni di basi. Ciò è causa di una mutazione per scivolamento del modulo di lettura o mutazione frame-shift; fra le sostanze mutagene di questo gruppo ricordiamo le acridine e l'actinomicina D.

La riparazione del DNA alterato è un evento cellulare previsto: esistono diversi meccanismi biologici deputati specificamente a ciò, come la fotoriattivazione, la riparazione per escissione, la riparazione tramite glicosilasi, la riparazione postreplicativa e quella indotta.

Fotoriattivazione. Sistema deputato alla rimozione dei dimeri di timina indotti dalle radiazioni UV. Funziona tramite un enzima che sfrutta l'energia della luce visibile, la fotoliasi, per riconoscere i dimeri e scinderne i legami covalenti, ripristinando così la situazione originaria. Il sistema è ubiquitario.

Riparazione per escissione. Sistema deputato alla rimozione di danni di diversi tipi (rotture, addotti, dimeri, ecc.) indotti da agenti mutageni. Funziona tramite una serie di enzimi non particolarmente specializzati ma che lavorano in modo coordinato: una endonucleasi taglia l'elica di DNA in prossimità della zona danneggiata, una esonucleasi degrada una porzione variabile di filamento a partire dall'incisione dell'endonucleasi, una DNA-polimerasi sintetizza la porzione mancante usando come stampo l'altro filamento e infine una DNA-ligasi salda gli estremi del segmento di nuova sintesi a quello originario. Questo tipo di sintesi è definita riparativa o non programmata. Il sistema è ubiquitario.

Riparazione tramite glicosilasi. Sistema deputato alla rimozione di basi non correttamente appaiate o danneggiate in vario modo (deaminazioni, ecc.); funziona tramite un enzima che rimuove le basi idrolizzando il legame tra base e zucchero, la glicosilasi. Nel sito vuoto risultante può iniziare un processo di riparazione non programmata, oppure una insertasi può direttamente rimpiazzare la base rimossa con quella idonea.

Riparazione postreplicativa. Sistema deputato alla rimozione di danni di diversi tipi non riparati dai meccanismi precedentemente descritti, che arrivano alla successiva fase di sintesi del DNA. Il funzionamento di tale sistema avviene mediante un enzima, la polimerasi, che in prossimità dell'alterazione interrompe il processo di polimerizzazione o introduce altre basi a volte sbagliate; la stessa polimerasi, in questi casi, interviene sul segmento neosintetizzato con un'altra sua funzione, la già citata proof-reading, eliminando la sequenza scorretta. La discontinuità del filamento viene corretta con un processo di ricombinazione tra le due doppie eliche figlie.

Riparazione indotta. Sistema osservato in batteriofagi irradiati con UV, in cui si rilevava una maggiore sopravvivenza (dovuta a maggiore capacità riparativa) quando le cellule ospiti venivano irradiate con appropriate dosi di UV prima dell'infezione fagica. In questo sistema, alla maggiore sopravvivenza era associata maggiore mutabilità. Recenti ricerche hanno dimostrato infatti che le lesioni indotte nell'ospite sono in grado di stimolare una maggiore attività riparativa, sebbene meno accurata, che assicura maggiore sopravvivenza all'individuo trattato. Lo stimolo a questa riparazione viene da alterazioni che non possono essere riparate con i normali sistemi, come la presenza sui due opposti filamenti di due lesioni molto vicine che non permettono alla polimerasi di lavorare su un filamento integro. In questo caso infatti dopo l'eliminazione del primo danno ne rimane un altro nell'altro filamento e l'attività proof-reading della polimerasi non permette la prosecuzione della lettura ma costringe la polimerasi a tornare continuamente indietro al punto danneggiato. Per eliminare la situazione di stallo viene sintetizzata una proteina in grado di sopprimere l'attività di controllo della polimerasi, che continua la sua sintesi anche immettendo nel filamento basi differenti, e cioè nuove mutazioni. Questo sistema viene detto S.O.S. per l'eccezionalità del suo utilizzo, sebbene esso sia presente anche in cellule di mammifero.

Bibl.: B. Nicoletti, Il controllo genetico della meiosi, in Atti Assoc. Genetica Italiana, 1968; N. Loprieno, Mutagenesi ambientale, "Quaderni di Biologia, Serie Rossa", Padova 1977; J.F. Crow, Genes that violate Mendel's rules, in Scientific American, 1979; G.E. Magni, Catene metaboliche e mutazioni geniche, "Quaderni di Biologia, Serie Rossa", Padova 1979; B. Alberts, D. Bray, J. Lewis, M. Raff, K. Roberts, J.D. Watson, Molecular biology of the cell, New York-Londra 1984; C.J. Avers, Citologia, Bologna 1984; B. Lewin, Il gene, ivi 1990.

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