Mutuo [dir. civ.]

Diritto on line (2013)

Paolo Gaggero

Abstract

Nei ristretti confini assegnati alla dimensione della voce, vengono esaminate la struttura e la funzione del contratto di mutuo quale archetipo dei contratti di credito, con preminente riferimento alla disciplina contenuta nel codice civile che concorre, ora più estensivamente, con disposizioni speciali di settore di volta in volta applicabili ai mutui conclusi da banche o intermediari finanziari o con soggetti rivestiti dallo status di consumatore, ovvero costituenti peculiari operazioni economico-giuridiche riguardate da peculiari discipline, come accade per il credito fondiario o per mutui di scopo.

Il mutuo nel codice civile

La nozione civilistica più elementare di «mutuo» risulta dalla descrizione del tipo contrattuale offerta dall’art. 1813 c.c. che, tra i contratti nominati, lo identifica nell’operazione economico-giuridica in cui una parte, detta mutuante, consegna una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili all'altra, detta mutuataria, che si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità (v. Giampiccolo, G., Mutuo (dir. priv.), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 444 ss.). Ciò che sia dato a mutuo passa in proprietà del mutuatario (art. 1814 c.c.), di tal che al contratto in esame è connaturale un effetto reale (i.e. traslativo), che appare non tanto giustificato dalla confusione e dall’obbligo di restituzione (così, invece, parrebbe per Gardella Tedeschi, B., Mutuo (contratto di), in Dig. civ., XI, Torino, 1994, 537 ss. e, ivi, 543), ma dalla funzione propria del tipo consentire al mutuatario di far uso, nel senso di godere e di disporre, delle cose fungibili (cfr. Grassani, A., Mutuo (dir. civ.), in Nss.D.I., X, Torino 1964, 1049 ss. e, ivi, 1050, e Teti, R., Il mutuo, in Tratt. Rescigno, XII, t. IV, Torino, s.d., ma 1985, 641 ss. e, ivi, 660) anche se consumabili (sul rapporto tra le une e le altre, v. Fauceglia, G., Del mutuo, in Valentino, D., a cura di, Dei singoli contratti (artt. 1803-1860), in Comm. c.c. Gabrielli, III, Torino, 2011, 113 ss. e, ivi, 133). Con i conseguenti corollari sia della rilevanza dell’inosservanza dell’obbligazione restitutoria sul terreno del solo inadempimento contrattuale e non anche della fattispecie penalmente rilevante dell’appropriazione indebita, (v. Pret. Milano, 6.3.1999, in Foro ambrosiano, 1999, 286); sia dell’esposizione del mutuatario al rischio del perimento dell’oggetto del mutuo (cfr. Cass., 1.2.1962, n. 199, in Giust. civ., 1962, I, 1092 ss.).

L’interesse del mutuante avverso l'immotivato arricchimento dell’altra parte (cfr. Gardella Tedeschi, B., Mutuo (contratto di), cit., 553) è, inoltre, preservato – questa volta dal dato positivo – dalla regola, derogatoria ed aggiuntiva rispetto all’art. 1256, co. 1, c.c., espressa dall’art. 1818 c.c. Si allude alla regola applicabile al mutuo di cose diverse dal danaro per cui, se l’esecuzione della prestazione restitutoria diventi impossibile o anche soltanto notevolmente difficile per causa non imputabile al debitore, questi è tenuto a pagarne il valore, avuto riguardo al tempo ed al luogo in cui la restituzione si doveva eseguire; e che la giurisprudenza ha interpretato nel senso che, per un verso, si riferisca (anche) all'impossibilità sopravvenuta soggettiva della restituzione e, per altro verso, non riguardi il mutuo di cose fungibili di cui sia prevista la restituzione non appena possibile (v. App. Genova, 17.2.1950, in Foro it., 1951, I, 678 ss.).

Nella configurazione legal-tipica (art. 1815 c.c.), il mutuo è naturalmente oneroso sicché, salva diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante, per la determinazione dei quali si osserva l'art 1284 c.c. Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è ora nulla e non sono dovuti interessi, a seguito della novella recata dall’art. 4 l. 7.3.1996, n. 108, anteriormente alla quale erano invece dovuti gli interessi al saggio legale.

Il termine per la restituzione si presume stabilito a favore di entrambe le parti e, se il mutuo è a titolo gratuito, a favore del mutuatario (art. 1816 c.c.), in evidente deroga all’art. 1184 c.c. per cui il termine si presume a favore del debitore qualora non risulti stabilito a favore del creditore o di entrambi. Talora si assume la strutturale essenzialità del termine per la restituzione (v. Cass., 22.6.1972, n. 2055, in Giust. civ., 1972, I, 1961 ss.), ma il connotato appare proprio della restituzione e della posteriorità di questa alla traditio di quanto mutuato, entrambe congenite all’operazione, anziché del termine della restituzione, che resta un elemento accidentale del contratto (v. Cass., 27.11.1979, n. 6228, in Foro it., 1980, I, 229 ss.); e che è suscettibile di proroga senza ch’essa dia luogo a novazione (v. Cass., 11.6.1969, n. 2069, in Giur. it., 1970, I, 1, 1855 ss.), anche tacita (non desumibile, tuttavia, dalla mera tolleranza dell’inadempimento dell’obbligazione restitutoria: cfr. Gardella Tedeschi, B., Mutuo (contratto di), cit., 550, che nega rilievo, in particolare, alla circostanza che il mutuante non esiga la restituzione alla scadenza del termine per essa previsto). Tant’è che l’assenza d’una pattuizione del termine in esame è espressamente contemplata dall’art. 1817 c.c. che, per tale eventualità, detta due regole. Per un verso, chiama il giudice a fissare quel termine avuto riguardo alle circostanze, con disposizione derogatoria dell’art. 1183, co. 1, c.c. che, confrontata con quest’ultimo, si spiega con, e prima ancora lascia emergere la funzione del mutuo e la conseguente lontananza ad esso innata della restituzione dalla consegna, alle quali si è accennato. Per altro verso, prevede che, ove sia convenuto che il mutuatario paghi solo quando potrà, il termine per il pagamento è parimenti fissato dal giudice, con disposizione integrativa dell’art. 1183, co. 2, c.c. e coerente con la sua prima parte.

Le regole da ultimo richiamate non riguardano il caso in cui la restituzione sia contrattualmente prevista in coincidenza d’un accadimento certo, di cui sia aleatorio soltanto il momento in cui si verificherà (v. Cass., 27.6.1972, n. 2216, in Rep. Foro it., 1972, voce Mutuo, n. 7); né, di per sé, appaiono sufficienti a fondare l’interpretazione restrittiva che nega che il termine di restituzione possa essere rimesso alla volontà del creditore (così, sul presupposto che una pattuizione in tal senso sarebbe elusiva di dette regole, v. Teti, R., Il mutuo, cit., 671), ché incompatibile con esse – e, più propriamente, con la funzione del mutuo – sarebbe solo una clausola che ammettesse quest’ultimo a pretendere la resa di quanto mutuato non appena consegnato al mutuatario (cfr. Cass., 5.11.2001, n. 13661, in Vita not., 2002, 340 ss.); né, infine, chiariscono la natura della determinazione giudiziale del termine in questione. A quest’ultimo riguardo, si confrontano l’indirizzo applicativo che la considera provvedimento puramente interpretativo della volontà delle parti e, dunque, di accertamento (v. Cass., 22.6.1972, n. 2055, in Giust. civ., 1972, I, 1511 ss.; e Cass., 25.9.1974, n. 2522, in Rep. Foro it., 1974, voce Mutuo, 1544, n. 6, sull’insindacabilità da parte del giudice di legittimità della sentenza di merito se adeguatamente motivata) che, conseguentemente, ammette il giudicante a statuire l’intervenuta esigibilità della restituzione del tantundem prima della sentenza; e l’orientamento dottrinale che esclude che una volontà negoziale inespressa sia suscettibile di accertamento (v. Carresi, F., Il comodato. Il mutuo, in Tratt. Vassalli, Torino, VIII, 1954, 138, e Teti, R., Il mutuo, cit., 670) e che comporta l’effetto costitutivo di quel provvedimento che, allora, non potrebbe fissare ad una data ad esso anteriore il termine della restituzione (cfr. Gardella Tedeschi, B., Mutuo (contratto di), cit., 550).

Il termine della restituzione, naturalmente spostato in là nel tempo rispetto alla traditio, non è insuscettibile di abbreviazione se sorga nel mutuante il timore dell’inadempimento del mutuatario alle proprie obbligazioni (cfr. Gardella Tedeschi, B., Mutuo (contratto di), cit., 552). Con disposizione che appare coerente con gli artt. 1186 e 1804 c.c., più restrittiva dell’art. 1525 c.c. e, in ogni caso, semplificante, siccome solleva l’interprete dalla valutazione demandatagli dall’art. 1455 c.c., si prevede infatti che, se sia stata convenuta la restituzione rateale delle cose mutuate ed il mutuatario non adempia l'obbligo del pagamento anche di una sola rata, il mutuante possa senz’altro chiedere, secondo le circostanze, l'immediata restituzione dell'intero (art. 1819 c.c.). In tale eventualità, si ha un’ipotesi di decadenza dal termine (per Teti, R., Il mutuo, cit., 682, suggestivamente riconducibile al recesso del mutuante, anziché alla risoluzione per inadempimento del mutuo), che la giurisprudenza inclina a negare operi su di un presupposto rilevante sul piano penale (v. Pret. Milano, 6.3.1999, cit., 286); ed a limitare al solo mutuo gratuito (v. Cass., 21.1.1995, n- 1861, in Vita not., 1996, 243 ss., sul rilievo che in relazione al mutuo oneroso la risoluzione del contratto già troverebbe fondamento nell’art. 1453 c.c.) sebbene la disposizione appaia riferibile anche a quello oneroso, non operando distinzioni (cfr. Teti, R., Il mutuo, cit., 682), diversamente dall’art. 1820 c.c. che ammette il mutuante a chiedere la risoluzione del contratto qualora il mutuatario non adempia l'obbligo del pagamento degli interessi.

Una disposizione, quest’ultima, a cui appare del pari conseguente l’accennato effetto di sollevare dal vaglio della rilevanza dell’inadempimento (v. Teti, R., Il mutuo, cit., 683, per il quale la risoluzione opera anche nel caso d’inadempimento di lieve importanza; contra Fragali, M., Del mutuo. Art. 1813-1822, nel Comm. c.c. Scialoja-Branca, II ed., Bologna-Roma, 1966, 436, per il quale l’art. 1820 c.c. lascia applicabile la disciplina di parte generale sulla risoluzione del contratto); e che pone la questione interpretativa se riguardi il mutuo che contempli – oltre alla corresponsione di interessi – soltanto la restituzione del tantundem in un’unica soluzione (v. Teti, R., Il mutuo, cit., 682) oppure anche quella rateale (v. Gardella Tedeschi, B., Mutuo (contratto di), cit., 552).

Alla tutela dell’interesse del mutuatario è invece votato l’art. 1821 c.c., che contempla espressamente la responsabilità del mutuante per il danno risentito dal mutuatario in conseguenza di vizi delle cose date a prestito, se il primo non provi di averli ignorati senza colpa; e la attenua in caso di mutuo è gratuito, allorché il mutuante è responsabile solo nel caso in cui, conoscendo i vizi, non ne abbia avvertito il mutuatario (l’attenuazione opera sul piano sia del presupposto della responsabilità del mutuante consistente nella conoscenza dei vizi, in luogo della conoscibilità di essi, sia del danno risarcibile confinato a quello in cui il mutuatario non sarebbe incorso che fosse stato avvertito: v. Teti, R., Il mutuo, cit., 681, per il quale, peraltro, la responsabilità del mutuante, che riguarda non solo il danno emergente, ma pure il lucro cessante, sussiste anche per danni conseguenti a vizi divenuti noti dopo la consegna). Tale disciplina si reputa integrata dalle regole, analogicamente applicabili, relative ai vizi dell’oggetto del contratto di compravendita (con esclusione dell’art. 1495 c.c.: cfr. Mutuo (contratto di), cit., 554); nonché dalla disciplina che ammette la risoluzione del contratto per inadempimento, che concorre con il risarcimento del danno (v. Teti, R., Il mutuo, cit., 681).

Ed all’interesse del mutuatario, ma delineando un assetto in cui trova considerazione anche quello del mutuante, sembra altresì orientata la disposizione per cui chi abbia promesso di dare a mutuo non può rifiutare l'adempimento della sua obbligazione, fino al limite del mutamento medio tempore delle condizioni patrimoniali del promissario che siano divenute tali da rendere notevolmente difficile la restituzione se non siano offerte idonee garanzie al promittente (art. 1822 c.c.) in coerenza, parrebbe, con la disciplina del mutamento delle condizioni patrimoniali dei contraenti espressa dall’art. 1461 c.c.

Profili strutturali del mutuo

La riassunta disciplina codicistica del contratto di mutuo lascia emergere i tratti essenziali della struttura della fattispecie. Ma, per un verso, deve confrontarsi con discipline di settore e, per altro verso, pone la questione del coordinamento di talune disposizioni in cui essa si articola. Sotto il primo profilo, risulta che il mutuo è, in linea di principio, un contratto a forma libera (cfr., sia pure con riguardo alla promessa di mutuo, nella specie qualificata come preliminare di mutuo, conclusa oralmente, Cass., 18.6.1981, n. 3980, in Giust. civ., 1982, I, 202 ss., per cui è sufficiente l’oralità anche se per il definitivo fosse stata convenuta la forma dell'atto pubblico, siccome il preliminare ne deve assumere la stessa forma solo se sia prescritta dalla legge); e, tuttavia, è contratto a forma vincolata il mutuo concluso da una banca o da un intermediario finanziario in qualità di mutuante, siccome l’art. 117, d.lgs. 1.9.1993, n. 385 (t.u.b.), da tempo attrae alla categoria dei contratti formali quelli inerenti ad operazioni o servizi bancari o finanziari (in argomento, tra gli altri, De Angelis, L., Commento sub art. 117, nel Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia diretto da F. Capriglione, III, Padova, 2012, 1687 ss.). In proposito, conviene soggiungere che, con più generale riguardo ai mutui cd. speciali, tali essendo quelli regolati da leggi speciali, ove risultino applicabili al contratto regole prescrittive della forma sotto pena di nullità, non pare che l’inosservanza del precetto formale non determini l’invalidità del mutuo, ma si limiti soltanto a sottrarlo alla speciale normativa altrimenti applicabile (v., però, Gardella Tedeschi, B., Mutuo (contratto di), cit., 546; e cfr. Fauceglia, G., Del mutuo, cit., 121 s.); che, anche nel caso di mutuo a forma libera, in base all’art, 1284 c.c. la scrittura s’impone per il patto con cui le parti convengano interessi ad un tasso supeiore a quello legale; che la prescrizione formale, in linea di principio, non esclude la determinabilità per relationem dell’oggetto della convenzione (cfr., ad es., Cass., 1.9.1995, n. 9227, in Fall., 1996, 163).

Sotto il secondo, accennato profilo, è la regola con cui si conclude la disciplina codicistica del mutuo a porre uno dei più delicati problemi ricostruttivi del tipo siccome, a fronte della descrizione della fattispecie offerta dall’art. 1813 c.c., che l’incentra sul requisito strutturale della consegna dal mutuante al mutuatario di quanto formi oggetto del mutuo così configurandolo come un contratto reale, l’art. 1822 c.c. contempla la validità della mera promessa che, evidentemente, prescinde dalla traditio del prestato contemplando una fattispecie negoziale di natura consensuale (cfr. Gardella Tedeschi, B., Deposito - Comodato - Mutuo, in Riv. dir. civ., 1995, II, 633 ss.). In proposito, vi sono alcune questioni relative alla validità della promessa che appaiono suscettibili di piana soluzione. Ad esempio, l’obbligazione del promittente appare insuscettibile di esecuzione in forma specifica (cfr. Cass., 18.6.1981, n. 3980, in Giust. civ., 1982, I, 202 ss.), siccome all’applicazione dell'art. 2932 c.c. si oppone la circostanza che la sentenza non può surrogare la mancata consegna; e, sul piano rimediale, dunque, all’inadempimento del promittente non corrisponde che il risarcimento (v. Visalli, N., La promessa di mutuo nell'ambito della teoria del contratto reale, in Riv. dir. comm., 2001, 63 ss. e, ivi, 88) per la verità integrato dalla legittimazione all’azione di risoluzione. Oppure, il titolo che obblighi il promittente del mutuo non appare qualificabile come titolo esecutivo in difetto dei requisiti previsti dall'art. 474, n. 3, c.p.c. (cfr. Trib. Roma, 28.7.1998, in Dir. fall., 1999, II, 150 ss.). Ancora, il pagamento della somma mutuata ad un terzo previsto dalla promessa di mutuo incide sulle sole modalità dell’adempimento senza per ciò implicare, di per sé, una delegazione di pagamento se non risultino pattuizioni che denotino volontà negoziali in tal senso comuni al mutuatario ed al mutuante (v. App. Roma, 8.4.1986, in Foro it., 1987, I, 2843 ss.). Infine, la promessa può essere diretta a più soggetti, nel qual caso si reputa che, in caso di adempimento di quella, l’obbligazione restitutoria gravi unicamente su chi abbia conseguito la consegna di quanto promesso in mutuo (v. Cass., 16.9.1986, n. 5630, Giur. it., 1988, I, 1, 310 ss.).

Ma resta aperto il problema del coordinamento degli artt. 1813 e 1822 c.c. che, rispettivamente, assegnano e negano rilevanza alla traditio delle cose mutuate, ai fini dell’instaurazione d’un rapporto negoziale che ne riguardi il prestito. Di modo che la consegna – oltre che cessare d’identificarsi con la sola materiale rimessa, per abbracciare forme astratte che realizzino il risultato della disponibilità giuridica di quanto prestato (cfr., ad es., Cass., 8.3.1999, n. 1945, in Foro it., 1999, I, 256 ss.; sulla spiritualizzazione della consegna, in dottrina, tra gli altri, v. Sacco, R. [e De Nova, G.], Il contratto, I, nel Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 1993, 711 – sembra privata della funzione, coessenziale all’insorgere del vincolo, e, dunque, del rilievo che assume nel quadro della fattispecie del contratto reale (qui di mutuo), siccome vincolante è altresì la promessa della dazione (cfr. Grassani, A., Mutuo (dir. civ.), cit., 1050).

Con l’intento di raccordare le disposizioni da ultimo citate, ne sono state formulate articolate interpretazioni, che si discostano dagli indirizzi più radicali che inclinano, una volta per tutte, per la realità (cfr. Giampiccolo, G., Mutuo (dir. priv.), cit., 447, e Fragali, M., Del mutuo. Art. 1813-1822, cit., 1 ss.) o la consensualità (cfr. Barbieri, E.M., Il mutuo, in Napoletano, V.-Barbieri, E.M.-Novità, M., I contratti reali, nella Giur. sistem. dir. civ. comm. Bigiavi, Torino, 1979, 3 ss. e, ivi, 9; e Carresi, F., Il comodato. Il mutuo, cit., 87) del mutuo; e che lasciano emergere, più di altri, il differente ruolo che la consegna può assumere, rispettivamente di atto libero che perfeziona il contratto (v. Cass., 28.8.2004, n. 17211, in Contratti, 2005, 147) o di mero adempimento di un contratto già esistente (v. Teti, R., Il mutuo, cit., 672).

Così, si è proposto di risolvere la contraddizione assumendo che (l’art. 1822 c.c. espliciti che) nell’esercizio dell’autonomia contrattuale le parti possono concludere, se sia strumentale all’attuazione di interessi meritevoli di tutela, un contratto di mutuo atipico consensuale nel cui quadro la consegna ha una funzione diversa che nello schema tipico (v. Galasso, A., Mutuo e deposito irregolare, Milano, 1968, 207 ss., e Natoli, U., I contratti reali, Milano, 1975, 15 ss.; e cfr., con particolare riguardo al mutuo oneroso consensuale, Gazzara, M., Crediti speciali, prestito a consegna differita e consensualità del mutuo, in Banca, borsa tit. cred., 1995, I, 335 ss., e Luminoso, A., I contratti tipici e atipici, vol. I, Contratti di alienazione, di godimento, di credito, Milano, 1995, 690); o di ritenere coesistenti due tipi di mutuo, reale e consensuale, entrambi codificati (Fausti, P.L., Il mutuo, in Tratt. dir. civ. C.N.N., Napoli, 2004, 45 ss.; Nivarra, L., Romagno, G.W., Il mutuo, Milano, 2000, 26, 61; Mastropaolo, F., I contratti reali, in Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 1999, 365 ss.); o di interpretare sì la disciplina codicistica come se configurasse due diversi tipi di mutuo, ma collegando i due diversi regimi – quanto al rilievo della consegna – alla distinzione tra mutuo gratuito e mutuo oneroso, limitando al primo l’essenzialità della consegna e, dunque, l’attributo della realità del contratto che, viceversa, non riguarderebbe il secondo attratto all’area dei contratti consensuali (Sacco, R., Il contratto, nel Tratt. Vassalli, VI-2, Torino, 1965, 620; Id., Causa e consegna nella conclusione del mutuo, del deposito e del comodato, in Banca borsa, 1971, I, 502 ss.; Teti, R., Il mutuo, cit., 654, nonché 591 ss. della seconda edizione, Torino, 2007); o di ricomporre il quadro riservando all’art. 1822 c.c. la funzione di prevedere espressamente la validità del preliminare di mutuo, ragguagliando ad esso la promessa a cui detta disposizione si riferisce (cfr. Fragali, M., Del mutuo. Art. 1813-1822, cit., 459, e Visalli, N., La promessa di mutuo nell'ambito della teoria del contratto reale, cit., 68), sul presupposto della discussa validità dei contratti preliminari di contratti reali; o di considerare il mutuo un contratto consensuale, ma sottoposto alla condizione sospensiva della consegna volontaria da parte del mutuante (v. Di Gravio, V., Teoria del contratto reale e promessa di mutuo, Milano, 1989, 83); o di dare accesso alla fattispecie del contratto di mutuo a formazione successiva, in cui l’iniziale contratto consensuale dev’essere integrato dal requisito della realità, data dalla consegna che sola perfeziona il contratto e le cui modalità debbono risultare dall’originario accordo (v. App. Firenze, 24.3.1994, in Gius, 1994, f. 15, 79).

La questione che ha diviso la dottrina, tra l’altro, si ripropone anche con riguardo ai mutui speciali, le cui peculiari discipline sembrano (ad es. a Fauceglia, G., Del mutuo, cit., 127, 132, anche per la tesi della residualità della disciplina codicistica, ivi, 118 ss.) dare accesso a fattispecie consensuali vincolanti.

Gli orientamenti applicativi classici appaiono inclinare per la realità del mutuo (v., ad es., Cass., 5.7.2001, n. 9074, in Mass. Giust. civ., 2001, 1332), in aderenza alla tradizione romanistica (cfr. Giomaro, A.M.-Morosini, P., Mutuo nel diritto romano, medioevale e moderno, in Dig. civ., XI, Torino, 1994, 584 ss.; Giuffrè, V., Mutuo (storia), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 414 ss.; Id., La “datio mutui”. Prospettive romane e moderne, Napoli, 1989); ed all’indicazione esplicita del § 735 della Relazione del Guardasigilli al Re sul testo del codice civile a fronte della novità rappresentata dall’art. 1822 c.c., in uno con la circostanza che l’art. 1813 c.c. si adegua alla consueta descrizione del tipo abbandonando la scelta a favore della consensualità del mutuo viceversa operata dai redattori del progetto preliminare sul presupposto che favorisse il credito e, con esso, i traffici e lo sviluppo economico (cfr. Gardella Tedeschi, B., Mutuo (contratto di), cit., 537 ss.). Quest’ultima esigenza parrebbe, peraltro, non già trascurata, ma recepita nella più sfumata disposizione dell’art. 1822 c.c., sottesa cioè alla norma che esso esprime; e rispetto alla cui interpretazione è meno esplorata la riconduzione della fattispecie disciplinata alla promessa unilaterale in relazione all’art. 1987 c.c.

Profili funzionali del mutuo

L’unilateralità del contratto di mutuo è stata piuttosto collegata alla realità del contratto (v. già Cass., 27.11.1967, n. 2845, in Foro pad., 1967, I, 1014 ss.) oppure, più propriamente, alla gratuità del mutuo (istituendo una corrispondenza che, però, si associa all’equivoca formula che predica la bilateralità al solo mutuo oneroso, ossia al solo mutuo a prestazioni corrispettive, correlando bilateralità e corrispettività: v., ad es., Cass., 21.2.1995, n. 1861, in Vita not., 1996, 243 ss.; o Trib. Firenze, 7.7.1997, in Riv. dir. priv., 1998, 358 ss.).

Dal punto di vista funzionale, ad integrazione di quanto si è accennato, appare convincente la tesi che riconosce al mutuo lo scopo di procurare al mutuatario la disponibilità di cose fungibili con l’obbligo dell’accipiens di restituire il tantundem dopo un qualche periodo di tempo e, eventualmente, di corrispondere gli interessi (v. Teti, R., Il mutuo, cit., 659); e che implica la ricostruzione dell’operazione cogliendone gli essentialia nella sostituzione dei beni mutuati, che risulta dalla consegna e dalla restituzione, e nel differimento nel tempo della seconda rispetto alla prima (v. Grassani, A., Mutuo (dir. civ.), cit., 1051).

Tale necessario differimento (su cui v. pure Simonetto, E., I contratti di credito, Padova, 1953, rist. 1994, 298; Mastropaolo, F., I contratti reali, cit., 375; Di Gravio, V., Teoria del contratto reale e promessa di mutuo, cit., 233; e, in giurisprudenza, Cass., 22.6.1972, n. 2055, in Giust. civ., 1972, I, 1511 ss.), che è di più immediata percezione nel mutuo oneroso che importa il pagamento di interessi, ma, più in generale, si lascia desumere dagli artt. 1816 s. c.c., inclina ad annettere il mutuo ai rapporti di durata secondo una classificazione che non riguarda la sola obbligazione di pagamento di interessi (per la qualificazione di quest’ultima come obbligazione di durata v., ad es., Teti, R., Il mutuo, cit., 679), ma il contratto tout court. La questione, peraltro, è discussa.

Dopo essere stata abbandonata a lungo ed a lungo abbandonata alla soluzione offerta dalla autorevole dottrina che escludeva l’attrazione del mutuo ai contratti di durata (v. Oppo, G., I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, I, 160 ss., sul duplice presupposto che di durata siano i contratti implicanti l’adempimento di obbligazioni di durata e che di durata sia la sola obbligazione di pagamento degli interessi: all’interpretazione si adeguano, ad es., Sangiorgi, S., Rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965, 92 ss., e Vecchi, P.M., Il contratto, in Cuffaro, V., diretto da, Il mutuo e le altre operazioni di finanziamento, Bologna, 2005, 23 ss.; contra, tuttavia, Giampiccolo, G., Mutuo (dir. priv.), cit., 452, e Id., Comodato e mutuo, nel Tratt. Grosso-Santoro Passarelli, Milano, 1972, 3 ss. e, ivi, 68 ss., poiché la funzione del mutuo si attua continuativamente, e Simonetto, E., I contratti di credito, cit., 47 ss., a cagione del differimento della restituzione, rispetto alla consegna dei beni mutuati e, successivamente, mutando un poco l’originaria impostazione, sul rilievo che gli effetti contrattuali del mutuo durano nel tempo e che la prestazione del mutuante protratta nel tempo acquista centralità sul piano causale nello schema del mutuo, v. Id., Mutuo: I. disciplina generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 1 ss. e, ivi, 6 s.), condizionata dalla circostanza che quest’ultima categoria fosse identificata da un sintagma impiegato nel metalinguaggio della dottrina per alludere ai contratti ad esecuzione periodica o continuativa (cfr. la ricostruzione delle due contrapposte tesi poc’anzi ricordate, ma accomunate dall’accennata identificazione, in Fauceglia, G., Del mutuo, cit., 136 s.), la questione ha riacquistato rilievo allorché alla categoria si è riferito testualmente il legislatore (artt. 118 s., t.u.b.), imponendo un riesame del criterio ordinante in base al quale ricostruire la categoria.(v. amplius, Gaggero, P., La modificazione unilaterale dei contratti bancari, Padova, 1999, 146 ss.).

Si sono così insinuate interpretazioni che raccolgono le sollecitazioni ad una revisione dei confini della categoria in esame (v. Id., op loc. ultt. citt.) e, in questa prospettiva, accolgono l’istanza di un suo ampliamento; riconoscono un ruolo determinante al “tempo” e, segnatamente, alla durata dell’adempimento in rapporto al (soddisfacimento del)l’interesse del mutuatario ai fini dell’apposizione di termini alla ridetta categoria (v. Luminoso, A., I contratti tipici e atipici, cit., 705 ss., e, poi, Id., Il rapporto di durata, in Riv. dir. civ., 2010, I, 501 ss. e, ivi, spec. 525 ss.). In proposito, la tendenza ad estendere quei confini, in modo da attrarre il mutuo ai contratti di durata, appare comune anche a chi conserva la tradizionale identificazione di questi ultimi con i contratti ad esecuzione periodica o continuativa a cui, infine, lo si riconduce (v. Porzio, M., I contratti di durata nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in Banca borsa, 1998, I, 294 ss. e, ivi, spec. 299); ed a chi ammette la distinzione tra la prima e la seconda categoria di contratti, ma assume che ai fini dell’ammissibilità del jus variandi, per l’appunto circoscritto dall’art. 118 t.u.b. ai contratti di durata, venga in rilievo anche la sola distanza temporale tra conclusione del contratto e sua esecuzione, escludendo che sia necessario che l’adempimento si protragga nel tempo come avviene propriamente nei soli contratti di durata (v. Sirena, P., Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 233/2006), in Banca borsa, 2007, I, 262 ss. e, ivi, 270). Si segnala, tuttavia, un’interpretazione che può indurre a recuperare la classificazione più risalente: quella, in particolare, di chi confina il rilievo della ricostruzione della categoria dei contratti di durata all’applicazione della disciplina di settore che l’ha menzionata, senza un’automatica estensione delle conclusioni al mutuo tipizzato dal diritto comune (v. Majello, U., Commento sub art. 118, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a cura di F. Belli, G. Contento, A. Patroni Griffi, M. Porzio e V. Santoro, II, Bologna, 2003, 1946 ss. e, ivi, 1948, pur senza negare che dette conclusioni possano influenzare ispirare una rimeditazione del mutuo civilistico).

La ricostruzione, già altrove espressa, che appare suscettibile di conferma riconosce autonomia concettuale alla categoria dei contratti di durata, anche in ambito civilistico; che la legislazione speciale ha avuto il merito di far emergere tale autonomia; che la categoria si organizza più proficuamente dando rilievo ad elementi strutturali e, in particolare, alla centralità che, in seno ad essi, l'elemento temporale assume e che già risulta dal nomen iuris; che vi sono operazioni economico-giuridiche che non possono realizzare la propria funzione prescindendo dall’esecuzione protratta; che il criterio ordinante, dunque, può cogliersi in un dato che non è estrinseco, bensì sostanziale e collegato all'interazione della durata con (uno de)gli elementi strutturali del contratto e, segnatamente con la causa del contratto, tenuto conto che la durata del vincolo negoziale è elemento idoneo ad influire nel momento genetico del rapporto sotto il profilo funzionale; che, per ciò, i contratti di durata appaiono identificabili con quelli nei quali non soltanto la durata del vincolo contrattuale, bensì la durata dell'esecuzione del contratto è elemento essenziale ed assume rilevanza causale; che tale classificazione conduce ad includere il mutuo tra i contratti di durata perché, anche ad escludere che esso sia un contratto ad esecuzione periodica o continuata, resterebbe pur sempre il distacco temporale tra la consegna del mutuante e la restituzione del mutuatario, che ha rilevanza causale (amplius, Gaggero, P., op loc. ultt. citt.).

Fonti normative

Artt. 1813-1822 c.c.

Bibliografia essenziale

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