NAPATA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

Vedi NAPATA dell'anno: 1963 - 1995

NAPATA (Np.t, τὰ Νάπατα, Napăta)

A. M. Roveri

Città nubiana nell'attuale provincia di Dongola nel Sudan, tra la terza e la quarta Cateratta del Nilo, ove il fiume forma una grande ansa. Appare per la prima volta nelle fonti egiziane in una stele di Amenophis II, trovata sulle pareti del tempio di Amada, ma era già stata raggiunta da Thutmosis III, una cui stele fu trovata nel tempio di Amon. Ebbe un periodo di particolare fioritura nell'VIII sec. a. C., quando fu sede di un regno etiopico (nubiano), i cui capi furono forse di origine libica e legati, quindi, culturalmente ai contemporanei re libici d'Egitto della XXII e XXIII dinastia. Giunti in un paese fortemente egittizzato, essi accettarono gli elementi egiziani, e in particolare riconobbero il valore del culto di Amon, un cui tempio era stato fondato durante la XVIII dinastia. Alcuni energici sovrani (Pi‛ankhi, Shabaka, Shabatoka, Taharqa e Tanutamon) si spinsero alla conquista dell'Egitto, proclamandosi unici legittimi difensori delle tradizioni, ne divennero faraoni, creando la XXV dinastia, e tentarono di contrastare il passo al conquistatore assiro, ma vennero ben presto respinti nelle loro sedi, ove continuarono a mantenere una monarchia teocratica legata alla tradizione egiziana, finché, nel IV sec. a. C., N. cedette alla più meridionale Meroe il ruolo di capitale.

La breve "avventura nubiana" non fu però senza seguito per l'Egitto, dato che essa apportò ad una civiltà in via di esaurimento una linfa vitale che doveva avere le sue manifestazioni più esplicite nel periodo della rinascenza saitica.

La città antica si estendeva probabilmente sulle due rive del fiume, con il centro amministrativo sulla riva sinistra nel sito della odierna Merowe ed il centro religioso sulla riva destra, ai piedi del Gebel Barkal, la montagna sacra sede di Amon. In tale zona sono stati ritrovati i resti di più templi, il più imponente dei quali era il tempio di Amon sopra ricordato (B 500). Il nucleo originario del tempio, datato da un deposito di fondazione tra la fine della XVIII e l'inizio della XIX dinastia, era costituito dal santuario, da un'anticamera, da una sala ipostila, da un pilone e da un cortile a colonne chiuso da uno spesso muro, affiancato quest'ultimo da una costruzione leggermente più antica, costituita da due stanze con colonnato centrale. A destra della sala ipostila si affiancò, durante il regno di Ramesses II, una cappella di schema assai semplice. Il tempio subì sostanziali rinnovamenti durante il regno di Pi‛ankhi il quale, oltre a rinforzare le murature primitive, eliminò le colonne della sala ipostila sostituendole con due muri divisorî, alzò il pavimento del cortile e ne ricostruì le colonne. Aggiunse poi una grande sala ipostila con pilone e, dopo la conquista dell'Egitto, un cortile a colonne e un pilone frontale davanti al quale collocò sei sfingi criocefale di Amenophis III, qui trasportate dal tempio di Soleb. Nel primo cortile fu trovata una stele di Pi‛ankhi, ora al museo del Cairo, una delle nostre fonti principali per la conoscenza di questo periodo. I restauri successivi (e gli ultimi risalgono all'età meroitica) non apportarono modificazioni sostanziali. Taharqa, terzo successore di Pi‛ankhi, vi pose una sua statua, ora al museo di Khartum, e un altare di granito; statue, altari e stele vi furono deposti anche dai suoi successori. Particolarmente notevole in questo tempio, che per pianta segue lo schema ben noto in Egitto, sono i rilievi del primo cortile, dell'età di Pi‛ankhi, trattati con un realismo e un vigore che si erano da tempo perduti nell'arte egiziana contemporanea, ormai ridotta a una frigida ricerca di eleganze stilistiche.

Nella stessa zona si sono rinvenuti i resti di almeno altri sette templi, tra cui due, in parte rupestri, dedicati ad Amon da Taharqa (B 200 e B 300). Il più grande dei due, probabilmente costruito sul sito di un tempio di Ramesses II, presenta la particolarità di avere dei pilastri a forma di Bes. Altri tre templi costruiti uno durante il regno di Thutmosis IV (B 600) e gli alri due durante il regno etiopico (B 800 e B 700), furono restaurati in età meroitica e presentano sulla fronte un portico a otto colonne, caratteristico di quest'ultimo periodo. Degli altri due templi (B 900 e B 1100) restano solo pochissime tracce.

Un altro tempio dedicato ad Amon-Rē‛ fu costruito da Taharqa sulla riva opposta del fiume, a Sanam, con una pianta semplicissima, estremamente ligia ai canoni dei templi classici egiziani. Anche qui si trovano rilievi che appaiono stilisticamente affini a quelli sopra ricordati di Pi‛ankhi.

La necropoli reale si estendeva sulle due rive del fiume in gruppi ben distinti. A el-Kurru, sulla riva destra, si trovano le tombe di Kashta, predecessore di Pi‛ankhi, di Pi‛ankhi stesso, delle sue mogli e di alcuni tra i suoi successori. Taharqa e i suoi successori sono invece sepolti a Nuri sulla riva sinistra. Tombe di età meroitica si trovano poi a Gebel Barkal, a Zūma e a Tanqāsi. Nelle due ultime località le sepolture presentano una sovrastruttura a tumulo e non sono state ancora adeguatamente esplorate. La tomba di Kashta, assieme a poche altre presenta una sovrastruttura a mastaba, mentre quelle dei sovrani a partire da Pi‛ankhi adottano la forma a piramide. L'introduzione di questo tipo di sepolcro è certo conseguenza della più intima ripresa di contatto con l'Egitto, e in particolare con l'ambiente basso-egiziano, e si inquadra nella tendenza di ricerca di motivi arcaizzanti che l'arte ufficiale egiziana assume proprio in questo momento e che sfocerà nella rinascita saitica (XXVI dinastia). L'ispirazione memfita delle piramidi di N. e di quelle, più tarde, di Meroe, è però legata alle interposte esperienze architettoniche. L'angolo di inclinazione delle facce delle piramidi etiopiche è di circa 68° (in confronto dei 51°-52° circa delle piramidi classiche), e cioè il rapporto fra base ed altezza è assai più snello. D'altronde, le camere sepolcrali sono grandi quasi come tutta la base, e la mole degli edifici è assai modesta. La ispirazione classica vale in senso più narrativo che intimo, in questa replica tardiva delle esperienze memfite, ed è certo filtrata attraverso le esperienze che hanno portato alle piramidi di Deir el-Medīneh.

Le piramidi, decorate all'interno con rilievi e pitture che riproducono testi funerarî illustrati da figure divine, per quanto devastate fin dall'antichità, hanno fornito una grande quantità di materiale, tra cui emergono per qualità alcuni pannelli in avorio decorati a rilievo, simili stilisticamente ad avori saitici. Il predominante influsso egiziano è visibile in tutti gli oggetti, dalle ceramiche agli oggetti da toletta, dagli ornamenti agli ushebti, anche se non manca l'influsso africano evidente specialmente in pettorali ed amuleti di ceramica trovati nelle tombe di due mogli di Pi‛ankhi. Alcuni cilindri in oro, poi, dalla tomba di Aspelta a Nuri, anticipano, nella pesante decorazione sovrapposta al rilievo, alcune particolarità del periodo meroitico.

Bibl.: W. A. Edwards, The Pyramids of Egypt, Londra 1947, p. 199 ss.; B. Porter, R. L. B. Moss, E. W. Burney, Topographical Bibliography of Ancient Egyptian Hieroglyphic Texts, Reliefs and Paintings, VII, Nubia, the Deserts, and Outside Egypt, Oxford 1951, pp. 193-233; D. Dunham, El-Kurru (The Royal Cemeteries of Kush, I), Cambridge-Mass. 1950; id., Nuri (The Royal Cemeteries of Kush, II), Boston 1955; D. Dunham-S. E. Chapman, Decorated Chapels of the Meroiotic Pyramids at Meroë and Barkal (The Royal Cemeteries of Kush, III), Boston 1952; D. Dunham, Royal Tombs at Meroë and Gebel Barkal (The Royal Cemeteries of Kush, IV), Boston 1957.

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