NATURA MORTA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

NATURA MORTA

F. Eckstein

Questo termine fu usato, per un particolare genere di dipinti della pittura parietale romana, per primo da W. Helbig, che lo scelse a causa della grande affinità che questi antichi dipinti presentavano con le cosiddette nature morte (Stilleben, nature morte) della pittura europea, diffuse alla fine del XVI secolo. Oltre le scene mitologiche, le rappresentazioni allegoriche, gli sfondi architettonici, le marine e le rappresentazioni di animali, veniva così delimitato un altro genere pittorico particolare, che doveva rivestire un ruolo determinato nel sistema della decorazione parietale campana. Con questa denominazione si definiva in parte anche il soggetto dei dipinti, i cui più autorevoli modelli furono dallo Helbig rintracciati nella pittura dell'età ellenistica e collegati ai nomi dei pittori Peiraikos e Sosos e del plasticatore Possis. La descrizione che la letteratura antica ha dato di queste opere, ha offerto un ottimo paragone per le nature morte campane: uccelli, pesci, frutta ed altri alimenti resi spesso con seducente naturalezza (Plin., Nat. hist., xxxv, 112 e 115). Così fino ai tempi più recenti era un fatto assodato che le nature morte romane rappresentassero tardi derivati di composizioni ellenistiche di frutta e commestibili in genere e che non si potesse attribuire loro altro valore che il saper riprodurre il loro aspetto naturale con la maggior freschezza e splendore possibile. Opinione questa che coincide perfettamente con il concetto tradizionale della n. m. occidentale.

Fu tentato di rintracciare anche nelle prime epoche dell'arte greca composizioni che si avvicinassero alla n. m. o per lo meno elementi precursori di questo genere. E. Pfuhl accennò ad alcune pitture vascolari, a figure nere o a figure rosse, come pure a rilievi sepolcrali dell'ellenismo, nei quali è effettivamente sorprendente la gran quantità di oggetti e strumenti entro ed accanto alle scene figurative. A volte occupano perfino tutta la superficie del dipinto. È fuor d'ogni discussione che questi esempî, non molto numerosi del resto, non possono in nessun caso presentare una tematica concordante od affine al genere n. m. Piuttosto, queste rappresentazioni prevalentemente caratteristiche su vasi di culto funebre (alabastri, idrie ed anfore: v. hadra, ceramica di) e perfino su stele tombali, si riferiscono di volta in volta inequivocabilmente al defunto, le cui armi, utensili ed oggetti a lui cari sono per l'ultima volta riuniti su questi monumenti. Alla base di tutte queste rappresentazioni sta un concetto nato dal rituale funebre, ma in nessun caso una particolare tendenza delle arti figurative. (Lo stesso può dirsi delle tavole di offerta, sulle quali vengono composte frutta e cibarie varie, rappresentate nelle pitture egiziane).

In questo senso vanno avanzate riserve anche verso l'ipotesi di K. Schefold, che volle trovare una connessione tra gli epigrammi ellenistici e le nature morte pompeiane, e paragonò all'usanza dell'offerta votiva individuale, rispecchiata dagli epigrammi, le rappresentazioni di nature morte come forma votiva contemporanea e di uguale importanza. In conseguenza, nelle nature morte pompeiane ci si dovrebbe aspettare per lo meno una disposizione concordante con quella degli oggetti descritti dagli epigrammi o una riprova della comparsa di questi stessi arnesi, utensili ed oggetti: armature ed armi di soldati, arnesi ed utensili di contadini ed operai, gioielli ed oggetti da toletta di donne e fanciulle. Niente di tutto ciò è documentato dalle nature morte pompeiane.

Le nature morte pompeiane presentano una caratteristica del tutto peculiare: alimenti alla rinfusa e in gran varietà, arnesi d'uso comune e di culto. Spesso i due generi sono mescolati, talora la rappresentazione è graziosamente animata dalla presenza di un animale vivo. Comunque, ciò si potrebbe anche collegare con i dipinti di xenia, o doni ospitali, tramandati nelle abitazioni greche (Vitruvio, vi, 7, 4) o con gli opsonia del pittore di minutaglie Peiraikos (Plin., Nat. hist., xxxv, 112), se si sapesse qualcosa di più su questo genere di raffigurazioni. Ma il significato dell'opsonium, parola esemplata sul greco τὸ ὀψώνιον, ci insegna che con questo termine sono indicate prevalentemente vivande preparate in modo speciale, aromatizzate o cotte, e che dunque i dipinti di opsonia di Peiraikos non possono essere i legittimi precursori delle nature morte campane. In queste l'oggetto, il frutto o la vivanda, è rappresentato sempre fresco e senza alcuna preparazione speciale. Le cose stanno alquanto diversamente per quanto riguarda i dipinti di xenia tramandatici da Vitruvio come ornamento murale delle domunculae greche. La loro connessione con particolari usanze d'ospitalità e la loro derivazione dal caratteristico costume della piena autonomia domestica dell'ospite, ci fanno piuttosto arrivare alla conclusione che questo genere di dipinti riproducenti (imitantes) alimenti inviati agli ospiti, abbiano avuto piuttosto un carattere decorativo che non di elevate opere d'arte. Non sarebbe perciò un caso il fatto che Vitruvio non ci tramandi alcun nome di pittore.

Al massimo ci si potrebbe rifare alla notizia di Plinio su Possis (Nat. hist., xxxv, 155) e ricordare il realismo caratteristico di questo artista, se potessimo stabilire con sicurezza in quale connessione questo talento si esplicasse: questi frutti, alimenti e pesci, riprodotti con tanta verisimiglianza rappresentavano parte di una composizione più grande, in cui emergevano per l'eccellente fattura, o costituivano opere autonome da classificarsi nel genere della natura morta?

I più antichi ed allo stesso tempo più splendidi esempî di nature morte campane, si trovano su pareti del 2° stile (v. pompei, Stili parietali). Mentre Roma non presenta alcun esempio di quest'epoca, ne sono conservati in gran quantità a Pompei ed Ercolano. La maggior parte d'essi è attualmente conservata nel Museo Nazionale di Napoli, come elementi singoli staccati dalla composizione originaria. I pochi casi però, in cui in occasione di scavi più recenti vennero alla luce nature morte, ci hanno mostrato, che questi dipinti, contenuti entro solide cornici erano inseriti nella struttura architettonica della decorazione murale, dove compaiono riprodotti posati sopra mensole quali dipinti a sé stanti. Le cornici di legno riprodotte in pittura (v. cornice), gli sportellini accuratamente segnati, i chiodi e le cordicelle che dovrebbero reggerli, disegnati minuziosamente, indicano la derivazione delle nature morte inserite nella sintassi della decorazione parietale da quadretti su tavola. Come già avvenne per gli altri generi di pittura pompeiana così anche qui l'affresco decorativo ha preso a modello quadretti (pìnakes) contemporanei o più antichi. Degli originali di tali dipinti neppure un esemplare è conservato. Qui dunque l'interpretazione della decorazione murale pompeiana e l'analisi pittorica, portano ad una prima conclusione: innanzi tutto (secondo quanto risulta dalla Casa del Criptoportico e dalla Casa delle Vestali), i dipinti si presentano in una determinata disposizione alternata, cioè le nature morte composte esclusivamente di cibi, frutta, ecc. si alternano con quelle in cui è aggiunto un arnese, un oggetto od un animale vivo. Inoltre i dipinti, nonostante la diversità della forma e la varietà degli oggetti stessi, presentano un carattere molto omogeneo e, dal punto di vista della composizione figurativa, persino uniforme: gli oggetti sono disposti in ordine libero e disinvolto su gradini, cubi od altre figure di solidi, quinte, davanzali e nicchie. Il tentativo di una disposizione spaziale e prospettica è attuato in modo svariato, ma ne risulta una costante disposizione di oggetti su due piani. Nei dipinti di cibi il contrasto (certamente intenzionale) sta nel modo di rappresentare gli oggetti. Al raggrupparli in recipienti, canestri e coppe, corrisponde la collocazione libera, quasi casuale, del singolo frutto, pane, uovo. Spesse volte è raggiunto in modo molto efficace un effetto di contrasto ottico-pittorico: grandi tazze e coppe di vetro contengono lucenti frutti maturi i cui colori si riflettono nella trasparenza del vetro con una luce più chiara. Qui effettivamente sembra riscontrabile, limitatamente a questo isolato effetto tecnico-pittorico, una connessione con la grande pittura greca (Paus., II, 27, 3).

Fra gli animali predomina di gran lunga il gallo che, o è rappresentato legato e rannicchiato al suolo, o mentre si pavoneggia in libertà, e l'anatra. È difficile dare una classificazione agli utensili aggiunti, tanto più che, anche presi separatamente, non si sa il più delle volte come chiamarli. Ma l'infula spesso ricorrente, il singolare coltello sacrificale insanguinato (Napoli M.N. 8611), indicano forse la caratteristica generale di un sacrificio o di un atto cultuale. Così le nature morte con questi requisiti, potrebbero forse essere considerate nature morte sacrificali o cultuali, se in tutta una serie di esempî, gli oggetti rappresentati non mostrassero una concezione meramente pittorica qual'è caratteristica alle nature morte rappresentanti esclusivamente alimenti. Inoltre, le nature morte che ornano taluni ambienti di culto (Pompei, tempio di Iside) non sono assolutamente di soggetto cultuale, ma la raffigurazione di animali è associata liberamente a quella di oggetti di culto. Ci limitiamo qui ad accennare soltanto alla forma compositiva del tutto diversa degli oggetti e dei cibi di indubbio carattere cultuale rappresentati nei cosiddetti Larari (v. lari; pinax).

Tutto sta dunque ad indicare che in queste più antiche nature morte che si son dette cultuali o sacrificali, ci si trova di fronte ad una forma di rappresentazione già molto secolarizzata, il cui contenuto è largamente assimilato alla struttura compositiva delle altre nature morte pure rappresentanti soltanto frutta. Vi domina sempre un'unica caratteristica pittorica di fondo, che tende a riprodurre le cose nella loro naturale freschezza ed effetto di colori. In questa "Galleria di Quadri" il principio basilare sembra essere la sequenza alternata. Struttura, composizione e motivi figurativi costituiscono l'insieme di elementi che danno alla natura morta una caratteristica formale così omogenea.

Le nature morte conservano questo carattere per tutto lo svolgimento della pittura campana. Però, con l'inserimento sempre più stretto delle nature morte nel sistema della decorazione prospettica parietale si accompagna inevitabilmente una notevole riduzione della dimensione dei dipinti e della loro qualità artistica. Ormai i dipinti non sono più concepiti, e conseguentemente riprodotti, come dipinti singoli, a sé stanti; ma il quadro singolo è inserito come elemento nel sempre più rigoglioso sistema decorativo architettonico. Non si riproducono più le cornici e gli sportellini. Le composizioni stesse sono inserite nella zoccolatura o nelle costruzioni prospettiche dove vivono ancor sempre, anche se molto limitatamente, di vita propria. L'ultima fase del 4° stile usa nature morte ormai di formato assai piccolo e che si esauriscono anche nel repertorio degli oggetti raffigurati, sistemate entro i pannelli parietali o nella zona delle cornici. Ma ancor qui, pur in questa forma rudimentale, questi dipinti conservano una composizione assolutamente corrispondente ed un'esecuzione simile a quella delle più antiche nature morte del 2° stile. Anche qui vige quella caratteristica disposizione in primo piano degli oggetti, quella evidente mancanza di tridimensionalità che carattenzzava i dipinti del 2° stile, con la differenza che là il contrasto con gli elementi dello scenario era molto più pronunciato che non in questi stentati dipinti decorativi di 4° stile. Proprio da ciò risulta evidente, nei dipinti più antichi, l'assoluta indifferenza per l'ambiente, la mancanza di una ricerca di colore locale. Si tratta di un ambiente neutrale, sicché si può senz'altro mettere in dubbio che vi siano rappresentati, come è stato supposto, particolari di magazzini e di dispense di abitazioni romane.

A questa unità formale della n. m. non corrisponde affatto la ricca varietà dei motivi figurativi, nei quali predomina piuttosto la massima varietà dei singoli elementi che compongono le nature morte. Anche se uccelli ed animali, frutta e cibi si presentano ripetutamente della stessa maniera e specie, in parte anche con la stessa disposizione, soltanto in rarissimi casi essi corrispondono ad elementi figurativi di tipologia fissa. Così due pesci incrociati o un canestro di vimini rovesciato dal quale si sparge della frutta, o dei pesci od altri animali appesi (pesci, quaglie), o infine pernici uccise, rigidamente supine, sono senz'altro diventati un motivo molto popolare e molto diffuso, che è poi servito da modello stereotipo ai mosaicisti. Non è più possibile conoscere tutta l'ampiezza tematica dei motivi figurativi, poiché rarissimi sono gli esempî di nature morte conservatici fuori delle città della regione campana (per esempio a Roma, Domus Aurea; Ostia).

La comparsa di nature morte nel macellum di Pompei ed in osterie (per esempio Pompei, ix, 5, n. 16) potrebbe eventualmente spiegare il loro contenuto. Purtroppo proprio questi dipinti, che per la loro collocazione hanno una inequivocabile ragione d'essere, non rappresentano un gran ché riguardo al gruppo complessivo delle nature morte. Questo perché i singoli elementi figurativi sono sempre prettamente intonati alla località. Come nella trattoria pane e prosciutto, coltello e brocca sono ovviamente un invito a mangiare, così nel macellum i dipinti appaiono orientati e raggruppati secondo le singole mercanzie che vi erano in vendita. Qui si nota dunque il sorgere di una arte di consumo ed il dipinto ha acquisito valore di cartellone commerciale, di insegna pubblicitaria.

Rimane ancora il gruppo delle nature morte che rappresentano l'occorrente per scrivere e denaro. È questo il gruppo delle composizioni più omogenee in quanto i suoi motivi presentano tra loro la massima analogia. Ma proprio in questo tipo di n. m. la spazialità è in regresso, accennata qua e là soltanto in forma rudimentale da linee orizzontali. Così anche qui si tratterà largamente di arte al servizio della pratica, di insegne professionali ed emblemi, e l'uso di questi singoli soggetti nei ritratti correnti (per esempio Napoli M. N. 9058), in un caso persino della unione esteriore di natura morta e di ritratto (Napoli M. N., Helbig 1422, Reinach, Rép. Peint., 260, 10) favorisce quest'ipotesi, poiché i ritratti sono di volta in volta ornati con requisiti, che stanno ad indicare un determinato grado sociale del personaggio ritrattato. Gli esempî più antichi della comparsa, che avviene contemporaneamente, di singoli motivi di natura morta, sia in ritratti che nella toreutica e nello ornato architettonico, appartengono al periodo del 4° stile.

Per quanto nei recipienti di metallo sbalzato manchi la delimitazione a cornice, negli esempî più antichi (coppa di Boscoreale) ogni lato mostra una rappresentazione omogenea, chiusa e diversa dalle altre. Ma gli esempî toreutici, musivi ed architettonici successivi dimostrano quanto rapidamente una trasposizione inizialmente viva degli elementi figurativi della pittura in un'altra tecnica, si possa trasformare in rigido ornato e in schema fisso.

Nel quadro della pittura parietale campana le nature morte assumono una posizione propria, ben delineata. Il repertorio dei motivi e le loro possibili combinazioni, infine l'omogeneità delle composizioni nel loro insieme, sono così determinati, che i dipinti pregevoli e di gran formato presentano senz'altro le stesse caratteristiche dei più piccoli e più rozzi quadretti di 4° stile. Con ciò esse vengono omogeneamente a determinarsi anche per quanto concerne il contenuto e il concetto figurativo. Non è pertanto il caso di considerarle esclusivamente come elementi decorativi, perché proprio gli esempî più antichi e più belli sembrano spesso esprimere un contenuto ben definito. Ma già la constatazione che le serie che abbiamo definito gallerie di quadri presentano le nature morte in un ordinamento decisamente alternato, che inoltre il carattere cultuale, messo chiaramente in evidenza dai singoli oggetti inseriti, può sfociare, per l'omissione facoltativa di questi oggetti, in un carattere figurativo più generale, che alcuni dipinti si assomiglino addirittura come repliche, differenziandosi soltanto per dei particolari insignificanti (Napoli M. N. 8645), tutto ciò sta ad indicare che per questo genere di dipinto la legge artistica suprema era la possibilità di variazione, la permutazione, e che l'asserto di questi dipinti era puramente formale piuttosto che di contenuto. Essi sono nature morte autentiche, genuine, proprio nel senso che rappresentano "espressive composizioni di oggetti inanimati" (K. Schefold), senza però quello specifico contenuto di senso e di significato che alle nature morte della pittura europea postrinascimentale era profondamente e genuinamente proprio e che poi svanì altrettanto rapidamente nel periodo successivo. Il termine di Stillevens coniato dall'olandese Houbraken, storiografo d'arte, diventa appropriato ed esplicativo appena da questo momento in poi. Prima di allora la natura morta europea aveva un contenuto dal significato ben specifico, che traeva la sua ragion d'essere dal Libro di Emblematica Olandese. È discutibile se un tempo le antiche nature morte fossero caratterizzate da un riferimento di significato similare, oggi non più percepibile. Certo è soltanto che l'antica n. m. si presenta fin dai suoi primi esempî in una forma soggetta esclusivamente a punti di vista pittorico-artistici ed alle regole della composizione; essa è l'espressione di una autonomia della forma e dell'espressione artistica, raggiunta, nel mondo antico, soltanto con l'arte ellenistica (v. pittura; pompei).

Bibl.: W. Helbig, Wandgemälde der vom Vesuv verschütteten Städte Campaniens, Lipsia 1868; id., Untersuchungen über die campanische Wandmalerei, Lipsia 1873; S. Reinach, Rép. Peint., Parigi 1922; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923; H. G. Beyen, Über Stilleben aus Pompeji und Herculaneum, 'sGravenhage 1928; L. Curtius, Die Wandmalerei Pompejis, Lipsia 1929; G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Milano 1929; O. Elia, Pitture murali e mosaici del Museo nazionale di Napoli, Roma 1932. I varî volumi di Monumenti della pittura antica scoperti in Italia, sez. III. La pittura ellenistico-romana; G. E. Rizzo, Le pitture di natura morta, Roma 1935; G. K. Boyce, Corpus of the Lararia of Pompeji, in Mem. Am. Acc., XIX, 1937, p. i s.; K. Schefold, Pompejanische Wandmalerei, Basilea 1952; id., Die Wände Pompejis, Berlino 1957; F. Eckstein, Untersuchungen über die stilleben aus Pompeji und Herculaneum, Berlino 1958; G. Sgatti, Caratteri della "natura morta" pompeiana, in Archeologia Classica, IX, 1957, p. 174 ss.