NECROPOLI

Enciclopedia Italiana (1934)

NECROPOLI (dal gr. νεκρός "morto" e πόλις: "città dei morti")

Goffredo Bendinelli

È il termine generalmente usato per indicare un aggruppamento di sepolture appartenenti ad età antica, precristiana. Dopo l'avvento del cristianesimo, infatti, si usa indicare la stessa cosa con la parola "cimitero". Data l'importanza che il culto dei morti e le credenze nell'altra vita hanno avuto attraverso i secoli, a partire dalle prime età dei metalli, e le più varie manifestazioni di carattere materiale che con tale culto si sono accompagnate, i complessi sepolcrali detti "necropoli" hanno costituito e costituiscono le più ricche miniere di notizie e di documenti intorno alla civiltà, alla religione e alla vita privata degli antichi. Senza lo studio e l'esplorazione delle necropoli, l'archeologia, come scienza delle antiche civiltà in genere, sarebbe ancora molto lontana da quella ricchezza e sicurezza di risultati che sono da tempo divenuti il suo vanto e la sua gloria.

Egitto. - Tre o quattro tombe monumentali faraoniche, di forma piramidale, situate a non grande distanza una dall'altra, come le piramidi famose di Gizeh, non costituirebbero una necropoli. L'idea della necropoli incomincia a prendere corpo quando sul suolo intorno alle grandi tombe faraoniche vengono costruite, disposte in allineamenti regolari, tombe minori e di aspetto più modesto, le maṣṭabah (v. mastaba) che non sono altro che le tombe dei cortigiani, dei favoriti, dei funzionarî e delle persone di fiducia in genere del sovrano: come si è constatato intorno alle stesse piramidi di Gizeh, appartenenti alla quarta dinastia (fine del IV millennio a. C.). Ove però si prescinda dall'elemento architettonico, le più antiche necropoli egiziane sono naturalmente non quelle intorno alle Piramidi, ma i depositi sepolcrali di età predinastica, costituiti di sepolture assai povere, praticate nella nuda terra, con le salme rannicchiate e avvolte entro semplici stuoie, e con corredi primitivi, generalmente anteriori all'uso dei metalli.

Una caratteristica generale delle necropoli di Egitto, oltre che di quasi tutto il mondo antico, è quello dell'assenza di qualsiasi riconoscibile delimitazione delle aree. Delle tre più grandi e più famose necropoli egiziane, sviluppatesi nel corso di millennî, Menfi, Abido e Tebe, la più antica e la più importante è la prima. Essa è la necropoli più vasta che si conosca, misurando una larghezza media di cinque chilometri, su una lunghezza di venticinque, da Gizeh a Dasur, sulla riva sinistra del Nilo. Segue la necropoli di Abido nel Medio Egitto, dalle numerose tombe costruite sopra terra in forma di piccole piramidi di mattoni. Ultima in ordine di tempo, se non d'importanza, la necropoli di Tebe, distinta pure dalle tradizionali maṣṭabah, ma particolarmente contrassegnata dalle tombe ipogee, e dai templi funerarî, più o meno gran. di e monumentali a seconda dell'importanza dei personaggi. Il bisogno, sentito in questo periodo, di rendere le sepolture irreperibili, e quello di trovare banchi di roccia particolarmente idonei allo scavo, rende sempre più vago e incerto lo sviluppo delle necropoli: come è il caso della necropoli o Valle dei re e quello della necropoli o Valle delle regine, estrema punta meridionale della grande necropoli di Tebe.

Mesopotamia. - Le minori cure dedicate al culto dei morti e la diversa qualità del terreno, meno adatto che nell'Egitto alla conservazione di materie organiche, contribuiscono a rendere poco varî e fruttuosi i risultati degli scavi delle antiche necropoli della Mesopotamia (Babilonia e Assiria). Tali necropoli, risalenti a date tanto remote quanto quelle di Egitto, prendendo a modello la necropoli di Susa, della metà del IV millennio a. C., si sviluppavano ai limiti dei centri abitati, senza alcun apparente ordine prestabilito, con le tombe (a inumazione) strettamente addossate le une alle altre, e anzi spesso agglomerate le une sulle altre, sino a formare, insieme con la suppellettile varia delle tombe stesse, vere e proprie collinette. Lo stesso tipo di necropoli, a limiti particolarmente angusti, si è trovato in uso nella Mesopotamia meridionale (Sumer), dove sono oggi famose le necropoli di Ur e Kish, caratteristiche per le loro tombe di varî tipi, a fossa semplice, a custodia di terracotta e in costruzione di mattoni. La fama di dette necropoli è dovuta, più che altro, al pregio eccezionale delle suppellettili che sono state rinvenute in alcune tombe principesche.

Fenicia. - In territorio fenicio (Siria) non si sono finora rinvenute estese necropoli, ma soltanto gruppi ristretti di tombe ipogee, come quelle molto arcaiche di Biblo, coeve della XII dinastia egiziana, con pozzi terminati da camere sepolcrali. La famosa "necropoli regia" di Sidone, scoperta nel 1888, consta di un gruppo di sette ipogei, contenenti 18 sarcofagi in tutto, e potrebbe quindi essere tolta ad esempio di sepolcreto di famiglia. Ampie necropoli, a cremazione e inumazione, che vanno dall'VIII al III e II secolo a. C., sono state esplorate a Cartagine.

Creta. - Quanto alla civiltà minoica, la più antica fiorita nell'isola, i risultati cui hanno approdato finora gli scavi, in relazione al trattamento dei morti, sono piuttosto modesti. Più che l'addensamento di tombe singole, appare in uso nell'isola, a partire dal periodo minoico antico, il sistema del seppellimento multiplo, in comune: con tombe a cupola in muratura (tombe a tholos), di grandi dimensioni, rinvenute stipate dei resti di numerose deposizioni (non meno di 250 deposizioni si contarono nella tholos di Hagía Triáda). Una vera piccola necropoli, con un centinaio di tombe a inumazione (a pozzo e a cameretta), è quella tardo-minoica rinvenuta da A. Evans a Zafer-Papura, poco a nord del palazzo di Cnosso. Del periodo cosiddetto geometrico (sec. IX-VIII) sono altre necropoli dell'isola, come quella ultima esplorata dalla Missione archeologica italiana ad Arkades, con oltre 160 tombe a rito vario (inumazione e cremazione).

Grecia. - Nella Grecia continentale, ciò che meglio si conosce per il periodo più antico dopo il neolitico, sono le tombe monumentali isolate del tipo a cupola, appartenenti al medio-minoico recente. Sono famose le tombe dette di Atreo (Tesoro di Atreo) e di Clitennestra, presso l'acropoli di Micene. Tutta l'area circostante appare largamente e irregolarmente costellata di tombe di vario tipo e di varia età, insieme costituenti una vasta necropoli. Unica norma apparente per la distribuzione di queste tombe, per lo più scavate nel masso, è la configurazione del suolo roccioso. L'area sepolcrale circolare, che è stata rinvenuta nell'interno dell'acropoli di Micene, con sei tombe a fossa e i resti di 17 deposizioni, non comprendeva, evidentemente, altro all'infuori del sepolcreto della famiglia regnante.

Anche in piena età storica, nel mondo greco, i depositi sepolcrali erano di frequente effettuati in prossimità delle abitazioni civili, e mescolati con queste: come a Sparta, a Eleusi, e, sembra anche, nell'Atene primitiva. Il quale costume antichissimo rende più incerto presso i Greci il concetto di necropoli. Anche quando alle dimore dei morti furono dovute destinare aree apposite al di fuori dell'abitato, questo rimase sempre in assai stretta vicinanza con quelle, situate appena fuori delle porte delle città. Esempio tipico del genere la necropoli arcaica di Atene, identificata ed esaurientemente esplorata, a partire dal 1891, all'angolo nord-ovest della città, presso il Dipylon: donde la denominazione di "necropoli del Dipylon".

Le tombe più arcaiche del Dipylon, celebri per i loro grandi vasi di stile geometrico, possono essere datate al sec. VIII a. C. Variano però grandemente nella detta necropoli le forme di seppellimento: a fossa nuda o rivestita di pietre, a cremazione o a inumazione; i varî seppellimenti, poi, sono accostati e addossati uno all'altro senza alcuna norma apparente. Le singole tombe erano esteriormente indicate da segnali di pietra (stele) o, come sembra, da quei grandi vasi dipinti di stile geometrico, detti appunto vasi del Dipylon.

L'esplorazione progressiva di quest'area, tra la Via Sacra di Eleusi e la via del Pireo, valse a mettere allo scoperto anche la più importante necropoli ateniese dell'età storica: la necropoli cioè ricordata da scrittori greci come riservata ai caduti per la patria, e alle salme di cittadini comunque benemeriti della repubblica. Un tale cimitero di stato, il primo esempio del genere, pare che fosse già in funzione sino dal tempo dei Pisistratidi. Quivi si veneravano le tombe del legislatore Clistene, dei tirannicidi Armodio e Aristogitone, e forse anche di Solone (per le tombe di altri uomini illustri cfr. Paus., I, 29, 3). Di età storica però nulla vi si è rinvenuto di più antico di numerosi monumenti sepolcrali del sec. V e IV a. C., consistenti prevalentemente in stele marmoree, con figure in altorilievo. Tra quelle, numerose, conservate nel museo di Atene, ricorderemo la stele di Hēgēsos (v. grecia, XVII, tav. CLXXIX), quella di Demetria e Panfila, la stele del cavaliere Dexileos (v. cavalleria, IX, tav. CLXIII), morto in un fatto d'armi sotto le mura di Corinto, ecc.

Il decreto di Demetrio Falereo, del 317-316 a. C., rivolto a limitare il lusso delle tombe e degli onori funebri, segna la fine del periodo aureo della necropoli del Dipylon. La disposizione delle sepolture doveva essere qui soltanto in parte regolata dalla libera scelta. Gli scavi esaurienti, condotti da Alfredo Brückner, hanno portato tra l'altro alla scoperta di una serie di recinti sepolcrali di famiglie, del sec. IV a. C., allineati con un certo ordine lungo la via principale della necropoli, e caratterizzati dalla presenza di monumenti sepolcrali varî.

Italia. - Finché l'uomo s'isola a vivere con la propria famiglia in abitazioni trogloditiche, anche i gruppi sepolcrali entro grotte rimangono ristretti. Le grotte neolitiche liguri, con resti di sepolture, valgono quindi come esempî di sepolcreti e non di necropoli. Un caso di necropoli neolitica all'aperto è la necropoli scoperta da Angelo Mosso al Pulo di Molfetta: con alcune diecine di fosse ovali, rivestite intorno di pietre, per scheletri ripiegati: in parte inframmezzate, e tutte prossime, a capanne di abitazione. Il primo esempio di una vera e propria necropoli in Italia risale al periodo successivo, eneolitico. Presso Remedello nel Bresciano, sulle sponde del Chiese, fu esplorata dal 1884 al 1886 una vasta area contenente numerose sepolture di quel periodo. Fu anzi riscontrata la presenza di tre aree sepolcrali, di forma rettangolare o quadrata, con numerose tombe a fossa, ciascuna per un cadavere rannicchiato. La disposizione delle fosse appariva regolata da una certa uniformità negli allineamenti e nelle distanze.

Le manifestazioni salienti della civiltà eneolitica, come di quella del bronzo, variano dal continente alle isole. Così nella Sicilia, dove la civiltà del bronzo ha avuto la più ricca fioritura, gli esempî più tipici e famosi di necropoli sono le necropoli montane, composte di centinaia, e a volte migliaia di tombe, in cavernette di varia grandezza, scavate lungo alte e ampie pareti di roccia, e adibite a deposizioni di inumati o di resti di cremazioni. Così a Pantalica, a Cassibile, a Monte Dessueri e nella Montagna di Caltagirone. La necropoli di Pantalica "con le sue circa 4000 stanzette, con seppellimenti isolati e anche frequenti tombe di famiglia, è la più vasta necropoli dell'isola" (P. Orsi).

Durante la stessa età del bronzo, caratterizzata nella valle padana da quelle tipìche stazioni che sono dette terremare, ben circoscritte nei loro limiti e nella loro superficie, le necropoli beneficiano quivi della medesima regolarità geometrica imposta agli abitati. Si tratta di aree rettangolari o quadrate, situate immediatamente al di là del fossato che circoscrive il villaggio, e contenenti a poca profondità i rustici vasi ossuarî di terracotta, strettamente ammucchiati gli uni sugli altri, quasi per angustia di spazio.

A una fase avanzata dell'età enea, che avvicina l'età del ferro appartiene la necropoli del Pianello di Genga, presso Sassoferrato (Marche). La necropoli, sopra una superficie quadrangolare di circa 600 mq., conteneva un migliaio di urne cinerarie fittili biconiche, coperte da ciotola e deposte semplicemente sul terreno, strettamente unite, con una certa tendenza però ad aggruppamenti particolari. L'insieme delle urne era protetto da lastre o scheggioni di pietra informi.

Intorno allo stesso periodo si sviluppa la necropoli affine di Timmari, in territorio di Matera (Lucania), composta di 248 tombe a cremazione, tutte distinte da semplici ossuarî di tipo in prevalenza biconico. Presso gli ossuarî si rinvennero lastre informi di pietra, di modeste dimensioni, utilizzate come segnali di tombe.

Due interessanti necropoli preistoriche furono esplorate a Bologna, fuori Porta San Vitale: la maggiore composta di ben 793 tombe, la minore di 318 tombe. Anche in queste due necropoli, della fine dell'età del bronzo e dei primi dell'età del ferro, si constatò il rito quasi esclusivo della cremazione. Gli ossuarî fittili, coperti da ciotole, erano deposti sotterra dentro una custodia di lastre, o in pozzi rivestiti di ciottoli, o comunque entro buche abbastanza profonde nel suolo. Vi erano poi anche qui segnali di tombe, rappresentati da pilastrini di arenaria o da grossi ciottoli di forma ovale.

Un solo segnale pare servisse a indicare non una sola deposizione, ma piuttosto un gruppo familiare.

Come di età più recente di quelle fuori Porta S. Vitale viene riconosciuta la necropoli esplorata da Giovanni Gozzadini nel 1855 a Villanova, a 8 km. da Bologna: necropoli composta di un gruppo di 193 tombe, quasi tutte a cremazione, distinte nelle suppellettili da caratteri arcaici di grande originalità, e presa a tipo distintivo di una civiltà detta appunto villanoviana, rappresentativa della prima età del ferro in Italia. Resti di altre necropoli di tipo villanoviano si rinvennero nel territorio stesso di Bologna, fuori Porta S. Isaia. Numerose sono poi le necropoli di questo medesimo tipo, o di tipo affine, rinvenute sinora sparse per tutta l'Italia centrale, da Bologna a Roma. Quivi nell'area stessa del Foro repubblicano, presso il tempio di Antonino e Faustina, G. Boni rinvenne un gruppo di 40 tombe di vario tipo, a inumazione e a cremazione, testimonianza della grande necropoli che un giorno si stendeva ai piedi dell'Esquilino in quella località.

Il fiorire della civiltà villanoviana pare a un certo punto coincidere con un avvenimento storico altrettanto importante nelle conseguenze, quanto incerto e indeterminabile nelle circostanze che l'accompagnarono: cioè la venuta degli Etruschi in Italia. Mediante lo studio delle necropoli, a Vetulonia, a Tarquinia, a Volterra, si è potuta constatare la pacifica coesistenza di popolazioni villanoviane con elementi paleoetruschi, di una civiltà molto più progredita. Al sommo di una collinetta detta Poggio alla Guardia, presso Vetulonia, fu nel 1884 esplorata una necropoli di tipo villanoviano, composta di 260 tombe a cremazione, in pozzetti, dentro un'area di 550 mq. La stretta vicinanza di questa necropoli alle tombe etrusche, e la delimitazione eccezionale di alcune aree per ossuarî dentro recinti di pietre suggerirono l'ipotesi, ben ragionevole, che i villanoviani di Poggio alla Guardia si fossero trovati sotto l'influsso della civiltà paleoetrusca. A partire dal sec. VII si fanno sempre più folte nell'Italia centrale le necropoli etrusche, rese celebri dalla forma monumentale delle tombe, come dalla lussuosità delle suppellettili.

Tali necropoli etrusche, vastissime, non sempre distinte da uno sviluppo regolare e preordinato, rientrano fra le maggiori scoperte dell'archeologia nel sec. XIX. In base all'architettura dei monumenti sepolcrali, nonché in base alle suppellettili varie rinvenute dentro le tombe, si può ritenere che, mentre le più antiche necropoli etrusche, come Vetulonia, risalgono al sec. VII almeno, le più recenti si protraggono oltre i tempi della conquista romana, e scendono fino al sec. II a. C.

La necropoli di Vetulonia si estende, col suo irregolare sviluppo, su un territorio vastissimo, forse non ancora completamente esplorato, dove, oltre a tombe a camera, come quella della Pietrera, si rinvennero "circoli" e gruppi di "circoli", cioè recinti più o meno ampî di pietre, racchiudenti ciascuno un gruppo di tombe a fossa, come tanti sepolcreti di famiglia. Nelle necropoli etrusche arcaiche più settentrionali, come Marsiliana d'Albegna e Populonia, si esplorarono dei veri e propr- tumuli circolari, con drómoi (corridoi) e camerette radiali. Le necropoli etrusche più interessanti dal punto di vista monumentale sono oggi quelle di Vulci, Tarquinî e Cere (Cerveteri) nell'Etruria meridionale. Pure importante, a giudicare dai risultati degli scavi, è la necropoli di Veio, a poche miglia da Roma.

La necropoli di Vulci, sulle due rive del fiume Fiora, presso il Ponte dell'Abbadia, in diecine d'anni di scavi e a intervalli, tra il 1820 e il 1885, ha fornito il maggior numero di tombe, valutabili in complesso in una cifra notevolmente superiore alle 10.000: tombe a fossa, tombe a tumulo, piuttosto rare, e grandi tombe a camera, scavate a regola d'arte in banchi di roccia. Queste ultime sono tuttora in parte visibili e visitabili. Celebre fra tutte, per le sue pitture, non più conservate sul luogo, la tomba François. La prossima località di Tarquinî va pure famosa per la sua grande necropoli etrusca, con le sue notissime tombe a tumulo (i "monterozzi"), con camere sepolcrali dipinte, in parte tuttora ben conservate. Meglio apprezzabile, oggi, delle due precedenti è la necropoli di Cere: con tombe a tumulo, perfettamente ricostruite nelle loro sagome caratteristiche, e tombe a fossa scavate regolarmente, in vicinanza dei tumuli, per una notevole estensione. Necropoli etrusche estensivamente meno importanti, o meno accuratamente e ampiamente studiate, sono quelle di Chiusi e di Orvieto: l'una e l'altra costituite di tombe e sepolcreti di vario tipo e di varia età, a partire dalla più arcaica. Tipiche dal punto di vista monumentale, le necropoli etrusche di Norchia, Bieda, San Giuliano e Castel d'Asso nel Viterbese, con prospetti architettonici scolpiti nella roccia (sec. VI-III a. C.). La più recente delle necropoli etrusche note può essere ritenuta quella detta del Palazzone presso Perugia, dove nel 1840, in prossimità del celebre ipogeo dei Volumnî, fu rinvenuta una quarantina di tombe a camera, di età piuttosto recente (secolo II-I a. C.), come è dato giudicare dalla suppellettile.

In grandissima parte dalla stessa civiltà etrusca dipende lo sviluppo (dal secolo VIII all'età romana) delle necropoli, pure a inumazione (a fossa o a camera), del territorio falisco, e di quello capenate. Né in minor misura rivela l'influsso etrusco la necropoli, supposta gallica, di Montefortino presso Arcevia (prov. di Ancona).

Al di fuori del territorio sicuramente abitato o controllato dagli Etruschi, lo studio delle necropoli ha rivelato l'esistenza di altre civiltà e di altri popoli contemporaneamente fioriti in Italia (v. ferro, civiltà del). Così sui colli Euganei è stata identificata una particolare civiltà, che da Este (prov. di Padova) prende il nome di civiltà atestina.

Le quattro necropoli esplorate dal 1875 al 1881 nei dintorni di Este, ai quattro punti cardinali della città, sopra un territorio di quattro chilometri di larghezza per cinque di lunghezza, hanno permesso di dividere cotesta civiltà atestina in tre periodi occupanti complessivamente il tempo fra il 1000 e il 400 circa a. C. Le varie necropoli, affratellate dall'identità del rito sepolcrale della cremazione, si distinguono per la varia ricchezza delle tombe e relative suppellettili: dalle tombe più arcaiche, scavate in semplice buca, con rozzo vasellame fittile, alle ricche tombe del 3° periodo, con situle di bronzo a custodia degli ossuarî, elegantemente cesellate e sbalzate.

Risale al 1874 la prima scientifica segnalazione di un'altra grande necropoli nell'estrema regione meridionale del Lago Maggiore. Con il numeroso, se non ricco, materiale ricuperato dalle tombe, tale grande necropoli si definisce come tipica di una civiltà che è stata denominata "di Golasecca". Essa si componeva, in origine, di migliaia di tombe, distribuite dentro la vasta area di un pentagono, i cui angoli sarebbero indicati dai paesi di Sesto Calende, Borgo Ticino, Coarezza, Somma e Vergiate. Tale necropoli a cremazione, con gruppi di tombe chiusi dentro recinti circolari, è pure del principio dell'età del ferro nell'Italia settentrionale, datandosi dal secolo VIII al 400 circa a. C. Di un genere affatto diverso dalle precedenti sono le necropoli del territorio piceno (Marche), a cominciare da quelle di Novilara, databili dal sec. IX al VI a. C.: con tombe a inumazione, a scheletri rannicchiati, provvisti delle loro armi e dei loro ornamenti personali. Ricorderemo ancora, per l'Italia centrale, la necropoli delle Acciaierie di Terni, potuta esplorare soltanto in parte, dal 1905 al 1913, in ragione degli ampliamenti delle officine.

Quivi si rinvennero mescolate tombe a cremazione e tombe a inumazione: queste in gran parte più antiche di quelle, e appartenenti a una popolazione previllanoviana.

Tra le necropoli dell'Italia meridionale occorre ricordare quella preellenica di Cuma (complessivamente anteriore al 740 a. C.), esplorata da E. Stevenson, con un insieme piuttosto limitato di tombe, illustrate molti anni dopo da E. Gabrici: tombe a inumazione con vasellame dipinto di stile geometrico. Una necropoli pure preellenica, e a inumazione, di oltre 300 tombe, ma originariamente di un migliaio almeno, fu esplorata da P. Orsi a Torre Galli, sull'altipiano di Vibo Valentia (Monteleone Calabro); e un'altra simile a Canale Ianchina, presso Locri Epizefirî, con tombe parte in fosse, parte in camerette regolari scavate nella roccia. Nel territorio pugliese (antiche Daunia, Peucezia e Messapia), sono state rinvenute, in numerose località e in tempi diversi, tombe di età varie, ricche di suppellettili, specialmente ceramiche. Non si sono però ancora avuti colà scavi sistematici, atti a riportare alla luce vere necropoli.

Assai vaga rimane la configurazione della stessa necropoli ellenica di Taranto, il cui materiale ricchissimo, e tuttora inedito, ha in pochi anni servito a costituire il grande museo di quella città.

Di una straordinaria ricchezza infine, se non di una grande regolarità, si rivelano le necropoli elleniche della Sicilia, con il loro materiale ceramico del più alto interesse. La sola grande necropoli di Gela, con aggruppamenti sepolcrali varî dei secoli VI e V, è stata esplorata per circa 800 sepolcri. Come un tipo di necropoli greca tarda, o ellenistica, può essere ricordata quella di Teano dei Sidicini (Campania).

Gli esempî classici di necropoli dal sec. IV all'età romana sono quelli in parte già ricordati del continente.

Scendendo ai tempi romani, il concetto di necropoli, il quale, come si è visto, ha sempre goduto di una grande larghezza d'interpretazione presso gli antichi, si perde quasi del tutto. In età imperiale i sepolcri si allineano lungo le vie suburbane, ai margini di queste: come si vede tuttora specialmente lungo la via Appia, per un'estensione di varî chilometri a partire da Roma. Tuttavia talvolta, specie quando si tratti di tombe di umile gente, l'area delle sepolture si estende dietro il margine della via, più o meno ampiamente, formando una vera necropoli, seppure non delimitata entro confini precisi: il caso più recentemente venuto alla luce è quello del sepolcreto dell'Isola Sacra, sul fianco della strada che congiungeva Ostia col Portus Traiani (Porto).

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Per l'Italia in genere: Notizie degli scavi (dal 1876); Bollettino italiano di paletnologia (dal 1875); Monumenti antichi dei Lincei (dal 1890 al 1931). - Per l'Italia preistorica: F. von Duhn, Italische Gräberkunde, parte 1ª, Heidelberg 1924; A. Della Seta, Italia antica, 2ª ed., Bergamo 1928, con ricca appendice bibliografica. Si vedano in particolare le relazioni dettagliate di: A. G. Colini, Sepolcreto di Remedello-Sotto, in Bull. paletn. ital., 1898 e anni seguenti, fino al 1902; L. Pigorini, Necropoli di Castellazzo di Fontanellato, ibid., 1891, p. 141 segg.; P. Orsi, Necropoli eneolitica di M. Racello, ibid., 1918, p. 191 segg., e le numerose altre relaz. dello stesso autore, ricordate in Italia antica, cit.; P. Ducati, Storia di Bologna, I, Bologna 1928; D. Randall-MacIver, Villanovans and early Etruscans, Oxford 1924; id., The Iron Age in Italy, Oxford 1927; W. R. Bryan, Italic Hut Urns and Hut Urns Cemeteries, Roma 1925; Q. Quagliati e D. Ridola, Necropoli antichissima di Timmari, in Monum. Lincei, 1906.

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