NEGRETTI, Jacopo, detto Palma il Vecchio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NEGRETTI, Jacopo, detto Palma il Vecchio

Barbara Maria Savy

NEGRETTI (Negreti, Nigreti), Jacopo, detto Palma il Vecchio. – Figlio di Antonio, nacque a Serina nella Val Brembana, come già riferivano le fonti seicentesche (Colleoni, 1618; Ridolfi, 1648), e come attestano vari documenti riguardanti la sua famiglia, in particolare relativi al fratello Bartolomeo (per questi documenti e altri successivi si rimanda in generale a Ludwig, 1903 e al regesto di Rylands, 1988), intorno al 1480.

Non sono noti né il nome della madre, né la data di nascita esatta che si può dedurre dalla testimonianza di Vasari (1550), il quale lo dice morto all’età di 48 anni, dal momento che la morte è registrata al 30 luglio 1528 negli archivi della Scuola Grande di S. Marco, di cui il pittore era membro.

Del tutto oscure sono le circostanze del suo arrivo a Venezia, da collocarsi probabilmente poco dopo l’anno 1500, e da inquadrare entro il fenomeno più generale di spostamento dalla terraferma di giovani artisti che intendevano compiere l’apprendistato nella città lagunare, attratti dal prestigio e dalle occasioni di lavoro offerte dalle sue grandi botteghe.

Qui al principio del secolo si consumavano gli ultimi splendidi bagliori della tradizione prospettica tardoquattrocentesca – percepiti peraltro in termini di aggiornamento da un artista proveniente dalla provincia – e si determinavano le premesse di una nuova cultura figurativa, negli sviluppi della pittura di Giorgione e dei suoi due creati, Tiziano e Sebastiano del Piombo. Non tutti furono in grado di partecipare allo stesso livello al nuovo corso: Palma, con un fondo, mai completamente scontato, di provincialismo atavico (Ballarin, 1965), riuscì se non protagonista, certamente comprimario.

Il primo documento a citarne il nome è un testamento del 1510 (8 marzo) in cui «Iacomo de Antonio Negreti depentor» risulta abitante a Venezia in S. Giovanni in Bragora. In un altro testamento del 1513 (8 gennaio 1512 more veneto) il pittore, che nel frattempo si era trasferito in S. Basso, vicino S. Marco, compare per la prima volta come «Palma», soprannome che assunse in maniera ufficiale, come risulta dai successivi atti, e con il quale è conosciuto e citato a partire dal Dialogo di Paolo Pino (1548, p. 128) e dalla prima edizione delle Vite vasariane (1550, p. 549). L’appellativo «Vecchio», utilizzato per la prima volta da Borghini (1584, p. 559), deriva dalla necessità di distinguerlo dal pronipote omonimo, attivo anch’egli a Venezia tra il XVI e il XVII secolo e detto appunto il Giovane. Fu questi con ogni probabilità a indicare a Ridolfi (1648) l’origine bergamasca della propria famiglia, correggendo l’errore introdotto da Vasari e perpetuato da Lomazzo (1564, p. 115) che Palma fosse «viniziano».

Veneziana, senza dubbio, e più specificamente tizianesca fu l’impronta data da Negretti al proprio linguaggio e alla propria parabola artistica nel momento in cui rese definitivo il trasferimento in laguna. Qui si trovavano alcune sue pale – non molte in totale ma tenute in grande fama e collocate su altari di chiese importanti – come quelle in S. Antonio di Castello e in S. Elena, citate da Vasari già nella prima edizione delle Vite, il polittico di S. Barbara in S. Maria Formosa e una Madonna in gloria con s. Giovanni in S. Moisé, oggi dispersa, menzionate nella seconda edizione (1568). A queste si affiancava l’apprezzamento per la grande Burrasca nella Scuola Grande di S. Marco, oggi alle Gallerie dell’Accademia, che lo stesso biografo attribuì a Giorgione nella giuntina e a Palma nella torrentiniana, ma furono soprattutto i «quadri e ritratti infiniti», le mezze figure femminili, i dipinti di gusto mitologico e le sacre conversazioni, che si vedevano «in Vinegia in casa di molti gentiluomini» (Vasari, 1550) a decretare la grande fortuna di Palma nell’ambito della committenza privata cittadina. Ciò nonostante lo stesso Ridolfi (1648), che pure poté aggiungere alla notizia sulle origini bergamasche la menzione di varie opere in terraferma, constatò che le poche e confuse informazioni di cui si poteva disporre non erano utili a una ricostruzione ordinata della vita e dell’attività dell’artista. I ritrovamenti d’archivio, avvenuti soprattutto tra fine Otto e primi Novecento, sebbene fondamentali, lasciano ancora vaste zone d’ombra.

Risale al 1513 l’iscrizione dell’artista, trasferitosi nella parrocchia di S. Moisé, alla Scuola Grande di S. Marco, e all’anno successivo la prima attestazione di un suo lavoro, l’Assunzione per la Scuola di S. Maria Maggiore, oggi alle Gallerie dell’Accademia. Alle spalle di quest’opera si trova dunque un lungo tratto iniziale di attività la cui ricostruzione è interamente affidata all’esercizio della critica e che presenta molte incertezze e motivi di disaccordo.

Rispetto a quelli che potrebbero essere considerati i dati oggettivi, dubbi si sono appuntati già in tempi precoci (Crowe-Cavalcaselle, 1871, II, p. 487) sulla firma – tuttavia antica – che compare in calce alla Madonna leggente della Gemäldegalerie di Berlino; certamente apocrifa è quella con l’anno 1500 sulla Sacra Conversazione oggi nel Musée Condé di Chantilly; inoltre, il primo dipinto datato, il Ritratto di ventitreenne del 1510 nella Galleria Borghese di Roma, sulla cui attribuzione (Longhi, 1926, pp. 282 s.) gli studiosi erano andati gradualmente convergendo, è stato proposto di recente sotto altro nome (Fossaluzza, in Giorgione, 2009).

Ciò nonostante è possibile tracciare un percorso che vede l’artista, giunto in laguna a vent’anni, orientarsi inizialmente verso gli esempi di Vittore Carpaccio e verso le esperienze belliniane di Andrea Previtali – altro bergamasco approdato a Venezia all’inizio del secolo e già introdotto nella bottega di Giovanni Bellini – rivelandosi anche attento alla pittura di Dürer, attraverso l’interpretazione offertane dal giovane Lorenzo Lotto, cui, secondo Vasari, lo legarono rapporti di amicizia.

Modelli carpacceschi si colgono dietro le opere più antiche, sebbene – come si è detto – discusse nel catalogo di Palma, quali la Madonna di Berlino (da confrontarsi con quelle di Carpaccio della National Gallery di Washington o dello Städel Institut di Francoforte) e la Madonna in trono nel paesaggio tra due committenti dell’Ermitage di San Pietroburgo (da confrontarsi con l’Adorazione di Carpaccio nel Museo Gulbenkian di Lisbona). Già nel quadro di Berlino, tuttavia, si avverte un riflesso della Sacra Conversazione n. 70 di Giorgione, oggi alle Gallerie dell’Accademia (c. 1500). La Madonna in trono tra le ss. Barbara e Cristina e due committenti della Galleria Borghese di Roma accenna le prime dilatazioni cromatiche tizianesche, nel genere del paliotto Pesaro, con un rimando a Dürer e a Lotto sia per la soluzione compositiva sia per l’inserto ritrattistico. Con le opere più düreriane di Lotto 1505-1508 si confrontano le Sacre Conversazioni di Chantilly e della Galleria Borghese, sebbene lo schema derivi dalla paletta belliniana in S. Francesco della Vigna (c. 1507). Al Ritratto del 1510, già citato e vicino a coevi esempi di Previtali, si possono collegare anche i due busti dello Szépmüvészeti Múzeum di Budapest, il cosiddetto Condottiero e la Donna coronata di foglie d’edera, sotto la quale i raggi X hanno individuato due ritratti maschili prossimi a quello Borghese: il disegno e l’ispirazione all’antica riprendono ancora una volta esempi di Bellini tardo, con un primo sentore di giorgionismo.

Negli anni successivi alla morte di Giorgione (1510) e nel clima di quel giorgionismo di stampo arcadico che aveva incontrato notevole successo da parte del collezionismo, si collocano alcuni dipinti di piccole dimensioni e di tema mitologico, allegorico o pastorale che si caratterizzano per l’ambientazione paesaggistica, l’atmosfera intima e poetica, le pose languide, e una concezione della forma, in particolare del nudo femminile, ancora timida, ma in cui l’artista si confronta di volta in volta con i prototipi del genere, la Tempestadi Giorgione, il Concerto campestre e le Tre età di Tiziano, o i rari esempi di Sebastiano del Piombo, come il cosiddetto Idillio in deposito al Fogg Museum di Cambridge (Massachusetts).

Tra le opere di questo filone attribuite all’artista, le Due ninfe in un paesaggio di Francoforte (Städelsches Kunstinstitut), il Cimone e Ifigenia della National Gallery di Londra, la cosiddetta Famiglia dell’alabardiere del Philadelphia Museum of Art e la Fanciulla con un pastore che suona il flauto di collezione privata configurano un insieme abbastanza omogeneo, sebbene smembrato nell’ultima monografia (Rylands, 1988) e parzialmente attribuito a un anonimo Maestro di Lansdowne, dal nome della collezione in cui si trovava un tempo il Concerto poi Crichton Stuart, rientrante nello stesso gruppo.

In linea con il paesaggio arcadico di questi dipinti e allo stesso tempo vicina nel trattamento delle figure all’Assunta del 1514, dunque importante anello di congiunzione tra gli uni e l’altra, è la Sacra Conversazione con s. Caterina d’Alessandria della Gemäldegalerie di Dresda, unanimemente attribuita a Palma e con la quale si inaugura la serie nutrita di Sacre Conversazioni a mezza figura o a figura intera nel paesaggio, genere nel quale l’artista si specializzò riprendendo modelli tizianeschi – in questo caso la Sacra Famiglia Ellesmere di Edimburgo, National Gallery of Scotland – e che costituì uno dei filoni di maggiore successo della sua produzione.

Il 5 febbraio 1514 (1513 more veneto) ricevette un pagamento dalla Scuola di S. Maria Maggiore «per depenzer la pala del altar in scola dabasso», altare che era stato commissionato allo scultore Tullio Lombardo e ormai prossimo alla consegna (giugno 1514; cfr. Rylands, 1977). L’opera, che rappresenta un punto fermo per la ricostruzione della storia dell’artista, ribadisce l’adesione a schemi e fisionomie belliniane (l’Immacolata e santi in S. Pietro Martire), ma costituisce anche il nucleo di aggregazione per opere non documentate, come la pala della chiesa di S. Elena a Zerman (Treviso) o quella con l’Adorazione dei pastori per la cappella di S. Giuseppe nella chiesa dell’Annunziata di Zogno (Bergamo), in cui Palma si confronta con la nuova misura monumentale e l’articolazione moderna dello spazio conseguite intorno al 1511 da Tiziano (pala per S. Spirito in Isola) e da Sebastiano del Piombo (pala per S. Giovanni Crisostomo).

Il cielo a nubi striate, l’appiattimento del colore sul primo piano e la caratterizzazione delle teste richiamano anche alcune Sacre Conversazioni a mezza figura scalabili nel primo lustro del decennio, come quelle circolate sul mercato antiquario (New York, Sotheby’s, 26 gennaio 2006, n. 38; Londra, Harari and Johns, 1991), la Sacra Famiglia di Cracovia (Muzeum Narodowe), la Madonna con s. Pietro e committente della Galleria Colonna a Roma o la Madonnacon Caterina d’Alessandria e Giovanni Battista della Gemäldegalerie di Dresda, che si possono confrontare con la Madonna di s. Ulfo di Tiziano al Prado (c. 1513); mentre sul tema a figura intera nel paesaggio nascono negli stessi anni la Sacra Conversazione di Monaco (Alte Pinakothek), quella Liechtenstein di Vaduz e la grande e più celebre tela del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, ancora elaborate su modelli tizianeschi (la Sacra Famiglia Ellesmere, c. 1513-14, e la Sacra Conversazione Magnani-Rocca, c. 1515). Attraverso questa produzione si misura un progressivo accostamento di Palma ai modi del Vecellio nell’articolazione compositiva ed emotiva del gruppo e nel trattamento sempre più ampio e sicuro dei panneggi e dei campi di colore, che si svolgono tuttavia seguendo una placida sequenza dei piani, cristallini rispetto all’azione della luce e privi di vibrazioni o passaggi drammatici propri del linguaggio tizianesco. Una maggiore apertura dello spazio e una nuova animazione chiaroscurale, da interpretare come riflesso del Tiziano dell’Assunta (1516-1518) o della Madonna e santi di Dresda, si incontrano nelle Sacre Conversazioni di Poznan (Muzeum Narodowe) o di Palazzo Bianco a Genova, entrambe a mezza figura, e soprattutto in quella a figure intere nel paesaggio di Vienna (Kunsthistorisches Museum): qui la disposizione più libera dei personaggi, l’espressività dei volti e il movimento della luce si confrontano anche con le opere bergamasche di Lotto. La monumentalità e il dialogo tra i santi, un dipingere più liquido e sensibile alla luce caratterizzano la pala per la chiesa di S. Pietro a Fontanelle presso Oderzo (Treviso), oggi alle Gallerie dell’Accademia a Venezia.

Accanto alla produzione di opere sacre, pale d’altare o dipinti di devozione privata, un altro filone nel quale Palma si specializzò, a partire dalla metà del secondo decennio, divenendone uno dei principali interpreti, fu quello dei ritratti e delle mezze figure femminili, assai apprezzate dal collezionismo, in quanto incarnazione di un ideale di bellezza classica, dagli accenti spiccatamente sensuali ed erotici, che ancora una volta discendeva dalle più alte soglie dell’immaginario tizianesco.

Dalla Bella di Tiziano a Vienna (c. 1513) sortiscono la Dama in blu e la Dama in verde, entrambe nello stesso museo (Kunsthistorisches Museum) e databili intorno al 1515; dalla Vanitas di Monaco (Alte Pinakothek, c. 1514) la Lucrezia della Galleria Borghese, o la Damadi Berlino (Gemäldegalerie) un tempo in collezione Vendramin; dalla celebre Donna allo specchio del Louvre (c. 1515) la Giovane già all’Art Institute di Chicago; dalla Flora degli Uffizi (c. 1518) quella della National Gallery di Londra o la Sibilladi Hampton Court. La Donna di spalle che si volta del Kunsthistorisches Museum di Vienna, come la santa in primo piano nella Sacra Conversazione nello stesso museo, riflette un tipo femminile diverso dai precedenti da confrontarsi con l’Adultera di Tiziano, pure a Vienna.

Un segno del successo conseguito da Palma tra secondo e terzo decennio in questo genere di produzione è la presenza di ben due ritratti di donne ‘all’antica’ nell’inventario della raccolta di Ippolito II d’Este nel 1535, che si è proposto di identificare con la Belladel Museo Thyssen Bornemisza e con la Schiava degli Uffizi (Occhipinti, 2010). Ma è soprattutto nell’ambito del collezionismo privato veneziano e profittando della gravitazione di Tiziano verso le corti dell’Italia settentrionale, che Palma riuscì a guadagnarsi spazi di mercato. Tra i suoi committenti, stando alla testimonianza di Sansovino (1581), un ruolo importante ebbe il nobile Francesco Priuli che lo ospitò nel suo palazzo di Sansevero. È forse lui il personaggio effigiato nella Sacra Conversazione Thyssen. Lo stesso Priuli potrebbe aver introdotto Palma presso altri nobili mecenati suoi parenti, come Francesco Querini e Angelo Trevisan. Altre notizie sulle opere di Palma nelle collezioni veneziane si ricavano da Michiel (1884). Questi vide nella raccolta di Francesco Zio, ricca di pitture e sculture e fortemente connotata in senso antiquario, ben tre opere di Palma, ovvero il Cristo e l’Adultera (San Pietroburgo, Ermitage), l’Adamo ed Eva dell’Herzog Anton Ulrich-Museum di Braunschweig e una Ninfa, successivamente ereditata da Andrea Odoni e descritta dallo stesso Michiel in quella collezione come una Cerere. Sempre secondo le note di Michiel, prima del 1525 Taddeo Contarini aveva acquistato due dipinti di Palma, uno dei quali identificato con le cosiddette Tre sorelle, oggi a Dresda (Gemäldegalerie), e Girolamo Marcello possedeva una Suonatrice di liuto, forse quella pervenuta nella raccolta del duca di Northumberland ad Alnwick Castle.

Al principio del terzo decennio il prestigio dell’artista a Venezia si era consolidato. Sono attestati da questo momento incarichi di pale d’altare per importanti chiese cittadine. Tra il marzo 1520 e il luglio 1521 si susseguono i pagamenti per uno Sposalizio della Vergine nella chiesa di S. Antonio di Castello, commissionato da Marino Querini, «avochato famoso» (M. Sanudo, Diarii, a cura di R. Fulin et al., XXXIV, Venezia 1892, col. 38). Dell’opera, citata anche da Vasari, è noto soltanto un frammento che si trovava un tempo nella collezione Giovannelli ed è oggi disperso. Nel settembre 1523 gli venne ordinata da Elena, vedova di Vincenzo Valier, una pala per la cappella di famiglia nella chiesa dei canonici lateranensi di S. Maria dell’Orto, che avrebbe dovuto raffigurare S. Vincenzo tra i ss. Domenico ed Elena, ma nel marzo del 1524, per quattro «bigonzi» di vino e tre ducati, fu chiesto al pittore di aggiungere anche le teste del beato Lorenzo Giustiniani e di papa Eugenio IV, figure tutelari della congregazione. Nel frattempo, già dal 1521 abitava a S. Stae e nel 1523, indice di un certo benessere, dichiarava di avere acquistato un terreno nella villa di S. Margherita a Montagnana (Padova).

Sebbene integrato nel contesto veneziano, era in rapporto con molti bergamaschi presenti in città, come si evince dai documenti, e manteneva vivi i contatti con Serina, cui lo legavano affetti e interessi familiari, tanto da dover immaginare più occasioni di viaggio di quante ne siano effettivamente documentate. Oltre alla pala di Zogno, in passato attribuita al Cariani, dipinse alcuni polittici per la sua città e per altri paesi delle valli bergamasche, quello con la Presentazione della Vergine per l’altare della confraternita del Rosario nella chiesa dell’Annunziata di Serina, e quello di S. Giacomo nella chiesa omonima di Peghera, opere non documentate, ma riferite generalmente al secondo decennio. Al principio degli anni Venti può essere invece circostanziata l’altra ancona di Palma per l’Annunziata di Serina, destinata all’altare del Corpo di Cristo: la doratura della cornice fu ordinata il 12 febbraio 1520 e saldata il 9 giugno 1522 (Fornoni, 1886, p. 20).

Dell’opera, smembrata e manomessa nel XVIII secolo, si conserva in chiesa il registro principale con la Resurrezione di Cristo tra i ss. Filippo e Giacomo. È stato più volte notato come la struttura del polittico utilizzata da Palma per le opere destinate alle valli risponda ai gusti di una committenza di provincia affezionata a formule più tradizionali, ma anche alla possibilità di spedire da Venezia i singoli pannelli.

Nel 1521 dovette recarsi nella città natale per assistere al matrimonio del fratello Bartolomeo con la seconda moglie, essendo il primo matrimonio documentato al 1508. Dopo soli tre anni però, nella primavera del 1524, il fratello morì lasciando la vedova incinta e Palma tornò a Serina per occuparsi della tutoria dei nipoti affidandola a due zii di secondo grado (30 maggio) e della divisione dell’eredità (13 giugno). Potrebbe risalire a questi anni l’esecuzione del polittico per l’altare maggiore della chiesa di S. Croce a Gerosa, il cui registro principale è a Milano nella Pinacoteca di Brera.

Meno consueta la scelta di un polittico a queste date per un altare di Venezia, quale quello dipinto per la Scuola dei Bombardieri nella chiesa S. Maria Formosa, la cui cronologia, non supportata da documenti, ha un punto di riferimento nel rapporto esistente tra la monumentale S. Barbara,che si erge al centro dell’ancona al pari di una statua dipinta, e la Maria Maddalenascolpita in marmo da Bartolomeo di Francesco da Bergamo per l’altare di Verde Della Scala nella chiesa dei servi di Maria, oggi ai Ss. Giovanni e Paolo, documentata tra agosto e dicembre del 1524 (Frizzoni, 1906).

La patrona degli artiglieri si appoggia ancora al classicismo di Tiziano tra l’Amor Sacro e profano (1514) e l’impianto largo e monumentale dell’Assunta, mentre il S. Sebastiano si può confrontare con quello del Polittico Averoldi (1520-1522).

Nei primi anni Venti si collocano anche la Venere di Dresda, Gemäldegalerie, e le Ninfe al bagno di Vienna, Kunsthistorisches Musem, in cui il tema del nudo nel paesaggio è trattato con ricchezza di citazioni antiquarie; e, sul versante delle opere sacre, l’Adorazione dei pastori del Louvre, generalmente datata intorno al 1520, e l’Incontro tra Giacobbe e Rachele di Dresda, Gemäldegalerie (con una provenienza antica da palazzo Malipiero), con citazioni dagli Andri di Tiziano (1523-1524).

Si fanno avanti in queste opere un disegno più libero delle forme e una ricerca di immersione atmosferica, che si attua attraverso un registro cromatico attenuato, come nella S. Barbara, e un nuovo protagonismo del paesaggio, condotto a ‘macchia’ e modulato nei passaggi di tonalità.

Caratteristiche analoghe presenta la grande Adorazione dei Magi, Milano, Pinacoteca di Brera, che fu commissionata a Palma il 3 luglio del 1525 da Orsa, vedova del nobile Simone Malipiero, per l’altare maggiore della chiesa di S. Elena in Isola, presente anche il priore del convento degli olivetani, da consegnarsi entro la Pasqua del 1526.

Se confrontata alla giovanile paletta di Zogno o all’Adorazione del Louvre, essa rivela un’ambizione monumentale che in parte si spiega con l’importanza della destinazione, in parte sembra riflettere un primo approccio alla Pala Pesaro di Tiziano (1526). A quest’ultima risponde in maniera più esplicita la Sacra Conversazione delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (c. 1527), dove si riaccende anche la sontuosità del colore.

Nel 1525 l’artista, membro della Scuola di S. Pietro Martire, fu tra i firmatari di una richiesta ai capi del Consiglio dei dieci per raccogliere fondi necessari a finanziare una nuova pala da collocarsi sull’altare della confraternita nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo. Dopo vari pronunciamenti, tra il 1526 e il 1527 si tenne un concorso cui parteciparono, secondo le fonti (Pino, 1548; Ridolfi, 1648; Scannelli, 1657), Palma, Pordenone e Tiziano, con la vittoria di quest’ultimo. Il modello scartato venne forse utilizzato da Palma per l’Uccisione di s. Pietro martire destinata alla omonima chiesa di Alzano Lombardo (Bergamo), oggi presso il Museo parrocchiale.

Prima dell’intervento di Longhi (1926) l’opera era attribuita a Lorenzo Lotto, al quale Palma sembra aver guardato nell’occasione di questa pala destinata a una chiesa domenicana vicino Bergamo, nel momento in cui lo stesso Lotto nel 1525 era rientrato a Venezia. L’Annunciazione «in mezze figure e di naturale grandezza», un tempo al di sopra della pala e poi venduta nel 1864, è stata identificata nella tela oggi a Newport (cfr. S. Facchinetti, in Da Bergognone a Tiepolo… [catal. Bergamo], Milano 2002, p. 27 n.13).

All’indomani del concorso, intorno al 1527-28, si possono datare opere come la Sacra conversazione di Napoli, Museo di Capodimonte (c. 1527-28), che nel più risentito plasticismo e nell’energia dei movimenti mostrano segni di un contatto con Pordenone; la Giudittadegli Uffizi o il S. Giovanni Evangelista di Vienna, Kunsthistorisches Musem, nel genere delle mezze figure; e alcuni ritratti come quello nelle collezioni del duca d’Alba identificabile, secondo Rylands (1988), con Girolamo Capra. Questi è il probabile committente della Madonna in trono tra i ss. Giorgio e Lucia nella chiesa di S. Stefano a Vicenza realizzata da Palma per la cappella Capra, il cui stemma è evocato dalla protome ai piedi del trono.

Girolamo, che in un testamento del 1520 chiedeva sepoltura nel sacello di famiglia, onorava nella figura di s. Giorgio il nome di suo padre. L’ipotesi di collegare la rappresentazione di s. Lucia al matrimonio tra Girolamo e Lucia Angaran avvenuto nel 1527 (Rylands, 1988, pp. 253 s.) è stata recentemente messa in discussione, proponendo per il dipinto una data più antica (Lucco, 2004, pp. 115-117). Questa difficoltà nella seriazione cronologica delle opere non documentate è la migliore spia di un cristallizzarsi del linguaggio dell’artista su traguardi maturati nel decennio precedente.

Nel novembre 1526, da bravo amministratore dei propri guadagni, Palma acquistò nuove terre a Montagnana e nel settembre 1527 un nuovo podere a Serina.

Il 28 luglio 1528, colto da improvvisa malattia, dettò testamento, chiedendo sepoltura presso la Scuola dello Spirito Santo in S. Gregorio, di cui era membro, lasciando una dote alla nipote Margherita e il resto agli altri tre figli del fratello, Antonio, Giovanni e Marietta. Morì a Venezia dopo due giorni.

Ai primi di agosto venne fatta una stima del suo patrimonio e nella primavera del 1529 venne steso l’inventario dei beni mobili comprensivo di un elenco di dipinti, 47 in tutto, tra finiti, quasi finiti e appena abbozzati che riflettono il repertorio più tipico della sua bottega: Sacre Conversazioni, ritratti, mezze figure, qualche piccola pala, come quella ordinata per la chiesa delle Grazie da Angelo Trevisan. Cinque tele presenti nel suo studio erano destinate al nobile Francesco Querini, dal quale gli esecutori testamentari recuperarono anche un credito nel 1532 per alcune «depenture» che si trovavano nella camera d’oro di palazzo Querini. Alla produzione estrema di Palma vengono pertanto riferiti i due ritratti incompiuti del Querini e della moglie Paola Priuli, conservati nella Pinacoteca Querini Stampalia di Venezia.

Del corpus grafico si possono ricordare almeno alcuni studi a matita nera e bianca, la Testa di donna del Louvre (inv. n. 482), ripresa nell’Adultera dell’Ermitage; la Testa d’uomo di Edimburgo (National Gallery of Scotland, inv. n. D5296), affine per l’aura tra Giorgione e Tiziano al cosiddetto Poeta della National Gallery di Londra (inv. n. 636; c. 1516); il Nudo di donna di Berlino (Kupferstichkabinett, inv. n. 603); e ancora, alcuni fogli realizzati a penna con grafia tizianesca sul tema della Sacra Conversazione, quello del British Museum di Londra (inv. n. 1895-9-15-810) e del Teyler Museum di Harlem (inv. n. B 21), e il Riposo del Fitzwilliam Museum di Cambridge (inv. n. 954).

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