CORSINI, Neri

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORSINI, Neri

Nidia Danelon Vasoli

Nacque a Roma il 23 nov. 1771 dal principe Bartolomeo e da Maria Felice Colonna Barberini. Destinato fin da giovane alla carriera diplomatica, ebbe la sua prima carica pubblica nel 1793, quando fu nominato segretario onorario del Consiglio di Stato del granducato di Toscana. Gli inizi del suo tirocinio coincisero con il periodo delle guerre rivoluzionarie francesi e con la grave crisi provocata dall'intervento delle armate repubblicane in Italia. Gli uomini più vicini al granduca Ferdinando III come il Manfredini, il Fossombroni e lo stesso C., mentre sostenevano una politica di equilibrio e di tolleranza áll'interno e il mantenimento della linea riformistica leopoldina, si schieravano allora per la neutralità della Toscana e per un atteggiamento di distensione nei confronti della Francia repubblicana. Le pesanti minacce che il governo inglese faceva pesare su Livorno costrinsero però il granduca ad uscire dalla neutralità e a sottoscrivere una convenzione con l'Inghilterra (28 ott. 193). Nondimeno, dopo le vittorie francesi alla metà del '94, i governanti toscani si affrettarono a ristabilire relazioni amichevoli con la Francia: e fu appunto il C. ad iniziare le relative trattative, accolte con favore da François Cacault, ministro francese residente a Firenze. I negoziati furono conclusi dal conte Francesco Carletti; e un gruppo di lettere, scambiate tra il 5 agosto e il 5 dicembre tra questo e il C., delinea il corso delle trattative che si conclusero con il riconoscimento della neutralità toscana da parte del Direttorio. Il Carletti, tuttavia, per il suo contegno poco cauto, aveva generato dei sospetti fra le autorità francesi e, pertanto, fu allontanato dalla Francia. Il governo toscano spedì allora il C. in tutta fretta a Parigi - dove arrivò il 5 genn. 1796 - per stornare ogni sospetto.

Il C. ebbe buone accoglienze, e rimase più di due anni a Parigi, finché, nel marzo '98, sarà richiamato in Toscana per prendere la direzione della segreteria di Stato, dopo la morte del consigliere Bartolomeo Martini.

La sede a cui il C. era stato destinato era in quel momento la più prestigiosa, ma anche la più difficile e impegnativa. Da Parigi egli teneva minutamente informato il governo toscano degli umori e delle intenzioni del Direttorio. La debolezza militare del granducato continuava ad essere il grave limite della neutralità toscana che, tuttavia, poteva ancora sussistere in una situazione di equilibrio politico e militare internazionale. Ma, già dopo le rapide vittorie napoleoniche in Italia, il C. comunicò che il Direttorio intendeva occupare Livorno col pretesto di cacciare gli emigrati francesi qui rifugiati, ma, in realtà, con l'intenzione di appropriarsi dei beni dei sudditi inglesi e dei loro alleati e, soprattutto, per colpire il commercio britannico nel Tirreno. Dopo il fallimento della missione degli inviati toscani Manfredini e Tommaso Corsini, fratello maggiore di Neri, presso Napoleone, i Francesi, il 27 giugno '96, occuparono Livorno e gli Inglesi, per rivalsa, si impadronirono di Portoferraio e quindi di Campiglia Marittima e di Castiglione della Pescaia. Era un periodo decisivo per le sorti della guerra franco-inglese e tutti i mezzi furono usati, da un'aspra guerra di corsa all'occupazione di territori neutrali. Gli effetti dell'occupazione francese furono disastrosi per l'economia livornese e toscana; e il governo granducale sollecitava il C. a intervenire presso il Direttorio perché vi ponesse termine. Il C., nel tentativo di risolvere la questione, elaborò un suo piano: proponeva che i Francesi abbandonassero Livorno e in compenso ottenessero Portoferraio, mentre gli Inglesi avrebbero mantenuto la Corsica, giungendo così a una situazione di equilibrio sul mare. Il progetto, piuttosto macchinoso e di non facile attuazione, non fu accettato né dal Direttorio né dal governo toscano né, tantomeno, dal Bonaparte. L'occupazione francese di Livorno durò dieci mesi e terminò solo nel maggio '97.

Sono note le vicende che, nel marzo '99, portarono all'occupazione francese di tutta la Toscana. Il C. si rifiutò di collaborare col regime repubblicano, instaurato dopo la fuga del granduca a Vienna, e si rifugiò in Sicilia. Fece però ritorno in Toscana, allorché, dopo l'insurrezione sanfedista aretina e l'intervento armato degli Austriaci, Ferdinando III, nel giugno del 1800, affidò il governo a una reggenza di senatori. Ma da questi egli fu tenuto in disparte a causa della sua amicizia col Manfredini e delle sue idee tolleranti.

Anche quando la Toscana venne assegnata, con il nome di Regno di Etruria, a Lodovico di Borbone-Parma, il C. non ebbe parte nel governo, La sua opera fu richiesta solo quando la regina reggente d'Etruria, Maria Luigia, nominò una commissione d'indagine sulla situazione finanziaria della Toscana e sui rimedi per far fronte al grave dissesto economico. Del resto, la commissione ebbe breve vita e fu sciolta dalla stessa sovrana.

Dopo l'annessione della Toscana alla Francia (24 maggio 1808), il C. fece parte della deputazione inviata a rendere omaggio a Napoleone e ad assicurare la fedeltà dei nuovi sudditi, e parlò quindi all'imperatore a favore dell'autonomia della Toscana, pregandolo d'inviarvi come sovrano un membro della sua famiglia. La Toscana divenne, invece, parte integrante dell'Impero francese. Il C. venne nominato consigliere di Stato per la sezione degli Interni (1809) e, in tale veste, dovette di nuovo recarsi a Parigi. Segno della stima che Napoleone ebbe per lui fu la sua nomina a conte dell'Impero, ufficiale della Legion d'onore e commendatore dell'Ordine della Riunione. Fra i funzionari e gli uomini politici toscani che erano allora a Parigi il C. fu particolarmente attivo e si adoperò, fra l'altro, per la riattivazione dell'Accademia della Crusca, di cui divenne socio corrispondente.

Dopo la restaurazione granducale, Ferdinando III, che rientrerà a Firenze solo il 18 sett. 1814, lo richiamò alla direzione della segreteria degli Interni e lo destinò come ministro plenipotenziario al congresso di Vienna.

Quando giunse nella capitale asburgica, Ferdinando III si trovava a Schönbrunn; e di questo il C. approfittò per chiedere schiarimenti e istruzioni sull'assetto futuro della Toscana, presentandogli, il 21 luglio 1814, un memorandum molto dettagliato che partiva dal presupposto di un ingrandimento territoriale del granducato di cui si era parlato in trattative segrete fra l'Austria e le potenze alleate. In particolare, il C. sottolineava i grandi vantaggi che sarebbero venuti alla Toscana dal possesso dell'Elba e i danni derivanti dall'attribuzione dell'isola a Napoleone; sosteneva la soppressione delle giurisdizioni feudali di Montauto e Monte Santa Maria; riteneva che la Toscana dovesse avere confini più vasti e sicuri, ma che fosse anche indipendente ed autonoma. Sempre nel mese di luglio, il C. continuò a sottoporre al granduca e al Fossombroni altri problemi di natura economica, come la liquidazione del Monte Napoleone e le spese per il mantenimento delle truppe austriache. Successivamente, in considerazione che la sola isola d'Elba non avrebbe compensato il granduca dei danni subiti e che i confini toscani dovevano avere un assetto migliore, fu deciso di chiedere anche Piombino, Lucca e l'intera Lunigiana. Quanto a Massa e Carrara, destinata dagli alleati a Maria Beatrice d'Este, il C. non poté insistere sulla loro attribuzione alla Toscana, comprendendo la particolare posizione del granduca nei confronti di una principessa asburgica. Era chiaro, comunque, che Ferdinando III doveva rimettersi alle decisioni del fratello imperatore e del Metternich; nei colloqui con quest'ultimo, il C. ottenne la promessa che sarebbe stato fatto ogni sforzo per allontanare Napoleone dall'Elba e che l'isola sarebbe divenuta toscana. Il C. ebbe pure l'assicurazione che il granduca avrebbe ottenuto lo Stato lucchese.

Il suo compito divenne però più difficile quando Gómez Labrador, ministro plenipotenziario di Spagna, reclamò la Toscana per l'ex regina d'Etruria. La situazione si complicò quindi ulteriormente per l'appoggio anche del Talleyrand ai Borbone-Parma e la posizione assunta dall'Inghilterra. Il C. dové spiegare tutta la sua abilità perché la questione toscana veniva così a legarsi con la sistemazione dell'ex regina d'Etruria e di Maria Luisa d'Asburgo Lorena moglie di Napoleone. Fu compito del C. difendere i diritti dei Lorena. Ma, in realtà, fu soprattutto l'appoggio determinante dell'Austria che indusse le potenze alleate ad abbandonare ogni riserva sulla sovranità dei Lorena sulla Toscana.

La fuga di Napoleone dall'Elba e il suo sbarco in Francia accelerarono i lavori del congresso; il C. fu pronto ad insistere col granduca -allora a Firenze - e con il Metternich affinché l'isola venisse subito occupata da truppe austriache e toscane. Così, il 13 marzo 1815, a Vienna, in una conferenza ristretta, fu stabilito di occupare l'Elba a nome degli alleati, invitare il maresciallo Bellegarde ad accordarsi con Ferdinando III Per eseguire tale ordine e trattare con Ferdinando di Borbone, già re di Napoli, la rinunzia all'alto dominio sull'isola. Il C. consigliò il granduca a istituire a Portoferraio un governo civile toscano, mentre insisteva perché venisse organizzata rapidamente una milizia nazionale. La successiva invasione della Toscana da parte delle truppe murattiane costrinse Ferdinando III a rifugiarsi a Pisa (4 apr. 1815). Il C. dovette, allora, farsi interpretepresso di lui del timore austriaco che il governo granducale trattasse con il Murat la neutralità della Toscana, della disapprovazione del Metternich verso tale politica, e della necessità di uniformarsi al sistema asburgico. Tuttavia il C. fece presente al Metternich che si trattava di notizie incerte e lo pregò di considerare che il governo di Firenze era rimasto abbandonato di fronte all'invasione murattiana. Dové, però, sollecitare da Ferdinando III una condotta attiva ed energica e pregarlo, su evidente richiesta austriaca, d'inviare "subito" lo stato dei diversi corpi militari e la descrizione delle misure adottate per aumentarli. La lettera del C. raggiunse il granduca solo quando questi era rientrato nella capitale, dopo la ritirata del Murat. Ma, nonostante l'esito favorevole di questa vicenda, il C. era inquieto per la mancata occupazione dell'Elba e il pericolo della penetrazione nel granducato di giornali e proclami bonapartisti. Poco dopo, in un dispaccio del 9 maggio '15, tornava a consigliare l'occupazione dell'isola, mentre proponeva, sulla linea del Metternich, la formazione di una federazione di Stati italiani che, "senza derogare dagli articoli del trattato di Parigi, [stabilisse] un'alleanza difensiva e un'altra di garanzia".

L'avvicinarsi dell'atto finale del congresso indusse il C. ad accentuare la sua attività e gli interventi presso il Metternich. Soprattutto chiedeva che fosse stabilita la reversibilità di Lucca e chiarito che, in caso di rinuncia da parte di Maria Luigia di Borbone-Parma, quello Stato fosse attribuito alla Toscana; per Piombino, proponeva che fosse annessa al granducato, previo indennizzo al principe Boncompagni Ludovisi, con un accordo extra-trattato. Il 9 giugno furono firmati i protocolli del trattato di Vienna: il granducato otteneva lo Stato dei Presidi, la parte dell'Elba già posta sotto la sovranità dei Borbone-Napoli, l'annessione del principato di Piombino e sue dipendenze, i feudi imperiali di Vernio, Montauto e Monte Santa Maria e la reversibilità del ducato di Lucca (accordo perfezionato, poi, il 10 giugno '17, con il trattato di Parigi e successivamente rettificato, per una migliore sistemazione dei territori di confine, con il trattato di Firenze del 28 nov. 1 44). L'ultimo atto del C. nella capitale austriaca fu la stipulazione di un trattato di alleanza e amicizia con l'Austria, per garantire la "tranquillità" e "sicurezza" dell'Italia (12 giugno 1815).

Il C. lasciò Vienna il 13 giugno 1815 per Firenze, dove il 24 giugno, riprendeva le sue funzioni di direttore della segreteria di Stato e di gran ciambellano, incarichi che conservò durante tutto il periodo del governo di V. Fossombroni, sino al 1844.

Durante questo trentennio, il C. condivise sempre le opinioni del Fossombroni che stimava moltissimo. Seguace anch'egli della tradizione liberistica leopoldina, pure in occasione della carestia del '15-'16, sostenne la piena libertà del commercio frumentario. Le sue convinzioni liberistiche non gl'impedirono, però, di proporre al granduca, assieme al Fossombroni e al Frullani, una legislazione per le miniere dell'isola d'Elba e le ferriere che si discostava da tali principi per proteggere i prodotti toscani dalla competitività straniera. Una delle prime e numerose disposizioni, attuata con un motuproprio granducale dell'11 maggio '16, abbatteva uno dei "pilastri delle riforme liberalizzatrici e antistatalistiche leopoldine", trasformando in "regalia" le miniere di ferro elbane. Il C. ebbe inoltre parte nei provvedimenti successivamente elaborati per regolare la produzione e lavorazione del ferro toscano, questione assai complessa i cui tentativi di soluzione rivelano l'incertezza dei governanti toscani e la loro incapacità di proporre una soluzione coerente e organica (cfr. G. Mori, L'industria del ferro in Toscana..., ad Indicem).

Un'altra questione di cui il C. dové occuparsi fu il ristabilimento della legislazione sugli Ordini religiosi: il 5 marzo '16 inviò una nota alle autorità religiose dello Stato ed alla S. Sede per informarle che la legislazione giurisdizionalistica vigente in Toscana fino al 1799 era ripristinata e confermata e che la dipendenza dei regolari dai loro superiori doveva limitarsi all'osservanza delle regole e discipline interne dei conventi, mentre la proprietà, l'amministrazione dei beni e le persone dei religiosi erano soggette alle leggi toscane. Tale atteggiamento, conforme alla tradizione leopoldina, fu mantenuto dal C. anche nel seguito della sua carriera ministeriale. In particolare, si oppose sempre alla riammissione nel granducato dei gesuiti, confermando pure in questo una linea antigesuitica che era stata tenuta anche dalle principali personalità ecclesiastiche della sua famiglia. Fu del pari avverso a qualsiasi progetto di concordato tra il granducato e la S. Sede; ed è fama che, nel 1841, prospettandosi la possibilità di profonde modificazioni alla legislazione ecclesiastica toscana, il C. si opponesse decisamente, dichiarandosi pronto a lasciare le sue cariche, piuttosto che accettare un atto lesivo dei diritti del potere civile.

Per quanto concerne la sua partecipazione alla politica estera, si deve ricordare che il C. fu l'inviato toscano al congresso di Lubiana (gennaio 1821), riunito dalle potenze della Santa Alleanza. Qui la sua posizione fu quella di convinto sostenitore dello status quo italiano, di oppositore ad ogni forma costituzionale, ma anche di deciso difensore della autonomia e piena indipendenza della Toscana. Partecipò anche al successivo congresso di Verona (settembre-dicembre '22) ove, tra le altre questioni, fu discusso il problema della futura successione al trono del Regno di Sardegna e della possibile esclusione di Carlo Alberto, ritenuto compromesso nei moti piemontesi del '21. Il C. vi sostenne, con decisione, le direttive di Ferdinando III, suocero di Carlo Alberto, appoggiando il diritto del Carignano alla successione. Assieme al cardinale Spina, inviato pontificio, respinse anche la proposta, avanzata dal duca di Modena, e sostenuta dall'Austria, di costituire un ufficio centrale di Polizia politica comune a tutti gli Stati italiani. E poiché, durante il congresso, furono elevate proteste contro il governo toscano, per il tollerante asilo concesso a molti emigrati politici, il C., che condivideva tale linea, la difese abilmente. Sostenne, infatti, che un simile atteggiamento costituiva un utile stratagemma per controllare meglio i liberali, concentrati tutti in un solo Stato e così meglio sorvegliati e resi impotenti (in relazione ai congressi di Lubiana e Verona, si veda anche Arch. di Stato di Firenze, Ministero Esteri, filza 2392).

Dopo la morte di Ferdinando III (1824), assieme al Fossombroni, indusse il nuovo granduca, Leopoldo II, a non richiedere il beneplacito dell'imperatore austriaco prima di assumete la sovranità, impedendo così che venisse risollevata l'antica pretesa di dipendenza dei sovrani toscani dal ramo principale di casa d'Austria. I due ministri fecero emanare subito un editto nel quale si annunciava contemporaneamente la morte di Ferdinando III e la proclamazione del suo successore, per ribadire l'autonomia e piena sovranità della casa lorenese. Anche il nuovo granduca confermò il C. nelle sue cariche; e, sotto il suo regno, la politica del governo toscano continuò ad essere tollerante e mite anche nei confronti dei cospiratori interni, e gelosa della propria autonomia. Ciò apparve evidente anche nel 1831, quando le insurrezioni di Modena, Parma e Piacenza e delle Romagne raggiunsero i confini del granducato. Di fronte alle proposte di chi auspicava l'intervento di truppe straniere in Toscana, il C. fu fermo nel rifiutarle, convinto, come i colleghi del ministero che ciò avrebbe causato un grave danno al paese. E consigli di mitezza dette anche in occasione dei processi contro gli aderenti alla Giovine Italia e alla Società dei Veri Italiani. Era tuttavia preoccupazione del governo evitare anche qualsiasi attrito o difficoltà con l'Austria e le altre grandi potenze conservatrici; fu per questo che il C., con la solidarietà dei suoi colleghi, il 26 marzo del '33,prese la grave decisione di sospendere la pubblicazione dell'Antologia, di cui pure aveva sostenuto a lungo l'opportunità e la notevole funzione culturale. Tale decisione - com'è noto - fu assunta in seguito alle proteste dei rappresentanti dell'Austria e della Russia contro alcuni articoli fortemente critici dei sistemi politici dei due paesi; e fu giustificata con il pretesto che la rivista aveva "deviato manifestamente dall'oggetto che aveva annunziato in principio", occupandosi, invece, di discussioni politiche con "allusioni riprovevoli" ad autorità e istituzioni.

Il C. collaborò poi alle molte iniziative che il governo toscano prese nel periodo fra il 1830 ed il 1845, volte a migliorare la situazione economica del paese, a riformare il sistema giudiziario, a incoraggiare i congressi scientifici, a bonificare le terre paludose della Maremma e della Val di Chiana, a riformare l'istruzione universitaria e, in genere, tutto l'ordinamento degli studi. A tale proposito si deve ricordare che il C., i cui interessi culturali sono testimoniati dalla sua qualità di accademico della Crusca e della Colombaria, fu per breve tempo consultore e sovrintendente agli Studi, carica che lasciò nel '40 a Gaetano Giorgini, senza peraltro aver apportato alcuna innovazione.

Durante gli ultimi tempi del governo Fossombroni il C. dovette spesso sostituire il collega nel disbrigo dei vari affari di governo e, dopo la sua morte (aprile '44), ricoprì anche le cariche di segretario di Stato, primo direttore delle Reali Segreterie e degli Affari Esteri, direttore del dipartimento della Guerra. Egli era, però, già vecchio e ammalato e venne quindi spesso supplito dal collega Francesco Cempini. Nel breve periodo del suo governo, lo Stato toscano fu impegnato in una vertenza diplomatica con la S. Sede, in seguito alla richiesta di estradizione dei rifugiati politici romagnoli e, in particolare, di Pietro Renzi. Il governo rifiutò l'estradizione e si limitò ad allontanarlo dalla Toscana; l'affare ebbe però altri sviluppi per il ritorno del Renzi nel granducato. La S. Sede rinnovò la richiesta di estradizione, nuovamente negata dal ministero toscano. Mentre era ancora in corso questa vertenza, il C. morì a Firenze il 25 ott. 1845. In suo onore vennero coniate due medaglie, una patrocinata da istituzioni private e l'altra dal governo.

Fonti e Bibl.: F. A. Gualterio, Gli ultimi rivolg. italiani. Memorie storiche con documenti inediti, Firenze 1852, II, pp. 14 s., 43 s.; Appendice, II, pp. 253 s., 260, 263; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXVII al MDCCCXLVII, III, Firenze 1851, pp. 131, 139, 163 s., 169, 178, 272, 362, 613, 651 s., 696, 698, 714; IV, ibid. 1852, pp. 42 s., 46 s., 53-58, 98, 148, 192, 245 s., 268, 276 ss., 296, 298, 311, 405, 407, 423, 443, 505, 527, 537 ss., 546 ss.; L. Passerini, Geneal. e storia della famiglia Corsini, Firenze 1858, pp. 194-204; A. Zobi, Mem. economico-politiche ossia de' danni arrecati dall'Austria alla Toscana dal 1737 al 1859, dimostrati condocum. officiali, Firenze 1860, I, pp. 126, 137, 154, 189, 194, 201 s., 207, 219, 225; II, pp. 314, 338-42, 350-62, 369, 372-421, 433-41, 445, 450 ss., 494-97; N. Bianchi, Storia docum. della diplomazia europea in Italia dall'anno 1814all'anno 1861, I, (1814-1820), Torino 1865, pp. 9, 12, 37 41, 44, 64, 133, 138-54, 160, 368-75; II, (1820-1830), ibid. 1865, pp. 34, 45, 47, 52 s., 59, 108, 114-20, 130, 136, 330-39; IV, (1830-1846), ibid. 1867, pp. 209, 218 s.; G. Baldasseroni, LeopoldoII granduca di Toscana e i suoi tempi, Firenze 1871, pp. 38, 43, 58 s., 96, 98, 159, 181 s., 184, 186 s.; G. Stiavelli, A. Guadagnoli e la Toscanadei suoi tempi, Torino-Roma 1907, ad Indicem; E. Piola Caselli, Un ministro toscano al congressodi Vienna, in Rassegna naz., XXXV (1913), pp. 487-509; XXXVI (1914), pp. 39-70 (si aggiunga, alle fonti citate per l'attività del C. a Vienna, anche Arch. di Stato di Firenze, Ministero Esteri, filze 2390 e 2391); L. Cappelletti, Austria e Toscana. Sette lustri di storia (1824-1859), Torino Milano-Roma 1918, pp. so, 64, 69, 71; F. Martini, Il Quarantotto in Toscana. Diario inedito delconte L. Passerini De' Rilli, Firenze 1918, ad Indicem; G. Sforza, Il granduca di Toscana LeopoldoII e i suoi vecchi ministri. Bozzetti inediti di F. Bonaini, in Rass. stor. del Risorg., VII (1920), pp. sgi-95; R. Nuti, Toscana e Francia nel 1794 in un carteggio Corsini-Carletti, ibid., XXIII (1936), pp. 285-300; C. Giachetti, Don N. C. ela fine dell'"Antologia", in Firenze, X (1941), pp. 75 s.; G. Baldasseroni, Memorie, 1833-1859, a cura di R. Mori, Firenze 1959, ad Indicem; A. Corsini, I Bonaparte a Firenze, Firenze 1961, ad Indicem; A. Archi, Gli ultimi Asburgo e gli ultim; Borboniin Italia (1814-1861), Rocca San Casciano 1964, pp. 123 ss., 129, 133; G. Mori, L'industria delferro in Toscana dalla Restaurazione alla finedel granducato (1815-1859), Torino 1966, adIndicem; R. Ciampini, Episodi della guerra corsara fra l'isola d'Elba e Livorno nel 1796, in Riv. ital. di studi napoleonici, VIII (1969), pp. 5-10;Id., La controversia franco-inglese per l'isolad'Elba nel 1796 (Documenti inediti), ibid., pp.11-86; Id., Un progetto di don N. C. Portoferraio incambio di Livorno, ibid., pp. 87-99; G. Turi, "Viva Maria". La reazione alle riforme leopoldine (1790-1799), Firenze 1969, ad Indicem; Diz. del Risorg. naz., II, sub voce.

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