NESTORIO e NESTORIANI

Enciclopedia Italiana (1934)

NESTORIO e NESTORIANI

Michelangelo Guidi

. N., patriarca di Costantinopoli dal 428 al 432, morto nel 451 nel suo esilio della Grande Oasi (oggi di Khārga) e le cui dottrine furono condannate dal concilio di Efeso nel 431, diede il nome all'eresia nestoriana o nestorianismo, che ancora oggi divide dalla Chiesa cattolica una parte dei cristiani di Oriente; il maggiore gruppo di tali dissidenti si trova ora nel ‛Irāq (v. sotto).

La dottrina fondamentale c condannata della Chiesa nestoriana comunemente si riassume nella confessione di due nature, la divina e la umana, e due persone in Cristo (per tutta la questione v. le voci cristologia; gusù cristo; monofisiti, ecc.); confessione cioè che è al polo opposto di quella monofisita, la quale sottolinea invece l'unità delle nature in varie definizioni. Inoltre al nestorianismo, come a N., si attribuisce a volte la negazione della divinità di Cristo. In realtà sia Teodoro di Mopsuestia (morto nel 428), che, come capo della scuola antiochena, è il vero autore delle dottrine nestoriane, sia, e anche più, N. e dopo di lui i maggiori teologi nestoriani, hanno insistito sino alla sazietà nell'affermare un punto per essi fondamentale: vale a dire che le due nature, la divina e la umana, sono indissolubilmente riunite in un solo πρόσωπον, o individuo.

Nella teologia nestoriana si afferma sempre più chiara la formula "due nature, due ipostasi, un πρόσωπον" (in essa ϕύσις e ὑπόστασις possono considerarsi sinonimi per "esistenza concreta", come anche lo erano per alcuni monofisiti). Egualmente, e in forza di questa unione, i nestoriani respingono l'eresia di Paolo di Samosata, che fa di Cristo un ψιλὸς ἄνϑρωπος o puro uomo; mentre molti avversarî hanno accusato antiocheni e nestoriani di tale errore. Il linguaggio tecnico per queste difficili questioni non era del resto ben fissato, era piuttosto in formazione, e ciò ha dato luogo a varî equivoci e rende più difficile il giudizio sulla crisi nestoriana (v. monofisiti).

La conoscenza sempre migliore delle genuine espressioni del pensiero di N., tanto promossa dalla pubblicazione della sua apologia o Libro di Eraclide (v. sotto), e della teologia nestoriana, ha fatto apparire sempre più chiaro il suo sforzo per far risaltare l'unione delle due nature; e ha mitigato il giudizio su N. anche presso molti scrittori cattolici, i quali rimproverano in lui non molto più che intemperanza di linguaggio, ostinazione in espressioni improprie, facilitate dalla sua poca perizia teologica (mentre Cirillo era sì acuto e accorto teologo) e dall'imprecisione del linguaggio tecnico; e inoltre lo scandalo che egli provocò. Ma che la sua dottrina sia simile a quella adottata dal concilio di Calcedonia, come pretendono i monofisiti, o al Tomo di Leone che N. sul declinare di sua vita conobbe, e ne gioì come di suo trionfo, è naturalmente negato da tutti i cattolici, soprattutto per la differenza fondamentale che separa la concezione nestoriana dell'unione delle due persone da quella cattolica.

Questa, ispirandosi se non alla terminologia, al concetto centrale, alla dottrina di fondo di Cirillo, ha per sua base l'unione ipostatica o essenziale, ontologica (per la definizione e la portata di questa dottrina v. gesù cristo, XVI, p. 868), che opponendosi a quella puramente morale illumina la realtà dell'Incarnazione e tutela i concetti di redenzione. L'unione delle due nature è invece per la scuola di Antiochia e per Nestorio bensì inseparabile e inconfusa, ma non essenziale e ontologica; è un'unione per congiunzione (συνάϕεια) personale, morale e volontaria, derivata per una compiacenza (ευδοκία) che il Verbo divino ha concepito ab aeterno per l'uomo al quale si è inseparabilmente unito. È cioè di natura tale da portare facilmente a mettere in luce la dualità piuttosto che l'unità di persona, nonostante tutti gli sforzi per mantenere quest'ultima. Tutta la teologia nestoriana ha appunto questa tendenza, alla quale non sfugge neanche N.; e ciò spiega come si sia accusato il nestorianismo di professare la dottrina delle due persone. La comunicazione degl'idiomi (v. gesù cristo) fu sempre più recisamente avversata dalla teologia nestoriana.

Il secondo punto che distingue la dottrina nestoriana è la condanna della denominazione Theotokos attribuita a Maria, alla quale i nestoriani del resto non negano reverenza. Tale condanna deriva naturalmente dalla rigorosa distinzione della natura umana e divina propria alla scuola di Antiochia e a N., il quale vi scorge una derivazione dei concetti eretici di apollinaristi o ariani; la creatura non può aver messo al mondo la divinità, ma solamente l'umanità alla quale questa si è congiunta. A N. e al nestorianismo, come del resto alla scuola antiochena, è anche propria una tendenza pelagiana (v. sotto).

Biografia. - N. nacque a Germanicia, nella Siria Eufratica, nell'ultimo quarto del sec. IV. Chiamato all'ascesi, si ritirò ben presto nel convento di Euprepios, presso Antiochia, e ricevé la sua formazione teologica dalla scuola antiochena, di cui era capo il grande "interprete" Teodoro di Mopsuestia. La scuola di Antiochia, in piena reazione all'apollinarismo, realistica e antiallegorica nella sua esegesi, era tutta attenta alla realtà umana della vita del Cristo, che la disposizione mistica della rivale scuola di Alessandria tendeva a sommergere nella natura divina. La cristologia antiochena (sopra adombrata), e che già discuteva il termine Theotokos, non aveva destato speciali reazioni, finché N., che per la sua eloquenza e pietà fu innalzato già nel 428 alla somma dignità di patriarca di Costantinopoli, non la diffuse dal seggio della capitale, e con lo stesso zelo e la stessa violenta passione con cui, appena insediato, si diede a perseguitare i resti delle eresie che Costantinopoli ancora albergava.

Secondo un senso di sviluppo che è tipico nella formazione delle dotttine religiose, fu proprio alla reazione ad errori passati e faticosamente vinti, che egli ispirò la sua azione e la sua costruzione teologica partendo dalle premesse antiochene, e cadendo in qualche caso in altrettanto eccesso. Ariani ed apollinaristi, erano per lui i grandi nemici da combattere; e nel termine Theotokos, che già il prete Anastasio aveva attaccato nei suoi sermoni, e che egli combatté vivamente, egli vedeva per varî riguardi arianesimo e apollinarismo. Il termine era già caro in larghe cerchie della devozione monastica e popolare, sebbene non fosse stato fatto ancora oggetto di alcuna definizione della Chiesa; e ciò procurò a Nestorio una prima aura d'impopolarità, come pure gli tolse molto favore di corte il suo rigore che non si arrestò innanzi alle auguste donne imperiali. Le idee che egli propagava nella sua predicazione erano quelle della teologia antiochena; ed Alessandria, tratta a tutte altre concezioni dalla sua tendenza allegorico-mistica, da tutta la sua tradizione, animata dalla rimlità contro Costantinopoli, la quale aveva già dato i suoi amari frutti (Cirillo, il patriarca che allora sedeva sulla cattedra egiziana, aveva assistito con suo zio Teofilo al "concilio della Quercia" contro il Crisostomo), era già pronta a combattere la sua battaglia per il trionfo dell'opposta concezione, più mistica, della fusione delle due nature in Cristo.

Numerosi informatori riferivano al "faraone egiziano" (Cirillo) le mosse del rivale. Anche Roma, che già del resto aveva condannato con papa Damaso l'eresia dei due figli (alla quale tuttavia la nestoriana non può essere in alcun modo assomigliata), guardava alle esuberanti manifestazioni di N.; lo osservava da vicino Mario Mercatore, ai cui scritti dobbiamo non poco della nostra conoscenza di N. e delle sue opere. E questi era sospetto a Roma non solo per quel senso di equilibrio proprio della Chiesa occidentale, che le faceva scorgere l'eccesso verso cui correva la pura concezione antiochena e il pregiudizio che ne poteva nascere per alcuni concetti centrali della redenzione cristiana, ma anche per l'atteggiamento tollerante di N. verso i pelagiani, dal quale traspariva quella innegabile tendenza pelagiana che è propria alle concezioni antiochene e che il nestorianesimo ha ereditato. Papa Celestino, già nel 430, condannava N. in un sipodo romano, con giubilo di Cirillo che già apprestava i suoi famosi dodici anatematismi. Roma e Alessandria erano in comunicazione, e a Cirillo il papa affidava la difesa degl'interessi comuni.

Nella contestatio o accusa affissa a Costantinopoli, Eusebio di Dorilea accusava frattanto N. chiamandolo, ingiustamente del resto, seguace di Paolo di Samosata e negatore della divinità di Cristo. Teodosio II, ancora favorevole a N., indiceva allora il concilio di Efeso che avrebbe dovuto condurre alla sua giustificazione; ma le cose andarono ben diversamente, egli fu invece condannato (v. efeso). Cirillo, per quanto il ritardo dei vescovi orientali (circa cinquanta, sicuramente favorevoli a N., e senza attendere i quali Cirillo aprì il concilio) possa non essere stato casuale, usò certamente una procedura violenta e usò anche largamente di varî mezzi, tra i quali l'invio di donativi, per volgere al suo partito varî personaggi, specialmente nelle complicate vicende che seguirono il concilio. L'imperatore, già favorevole a N., s'indusse a deporlo, e la lotta tra i vescovi, che durò ancora e preoccupò seriamente il governo, fu sedata con il celebre accordo conchiuso nel 433 tra Giovanni d'Antiochia e Cirillo, e per il quale operò anche papa Sisto III. Cirillo aderì a spiegare quei punti dei suoi anatematismi che erano più sospetti di apollinarismo, e accettò persino la dicitura "due nature"; mentre d'altra parte Giovanni d'Antiochia ammetteva il termine Theotokos e si piegava a condannare N. Ma l'accordo, salutato liricamente da Cirillo stesso con il Laetentur caeli di una sua epistola celebre, non doveva avere i desiderati effetti per la pace della Chiesa. Delle concessioni di Cirillo furono scontenti i veri monofisiti, che lo accusarono di aver tradito la verità; mentre Cirillo, per difendersi, tentava mostrare che la teologia dell'accordo non differiva in fondo da quella da lui sempre sostenuta. Il successore di Cirillo, Dioscuro, iniziava già una violenta azione monofisita (v. mtinofisiti), e provocò la crisi che staccò per sempre tante regioni della Chiesa orientale dalla comunione cattolica. D'altra parte, se gli antiocheni più moderati si tennero in un primo tempo alla formula di pace, e salutarono non senza fondamento il concilio di Calcedonia come loro vittoria, i più spinti di essi e tutta la teologia della Chiesa nestoriana (v. appresso) si allontanarono sempre più dall'accordo, condannando il termine Theotokos e non accettarono in alcun modo la terminologia calcedonese; si riavvicinarono cioè sempre più a Nestorio.

Questi, fin dal 435, fu bandito da Teodosio II, a cui premeva veder allontanata la causa precipua della discordia. Prima in Arabia, poi nella Grande Oasi, egli attese a difendere l'ortodossia della sua dottrina, e nell'esilio nacque quella sua apologia che porta il titolo di Libro di Eraclide, e che ci è conservata in versione siriaca.

Questa fonte di grande importanza, tradotta da F. Nau e in parte da altri, ha rinnovato gli studî su N. e ha contribuito a illuminare alcuni aspetti della sua sincera fede e pietà, che gli eccessi della polemica avversaria avevano troppo nascosto.

Ma la simpatia che possono destare alcune manifestazioni di pietà o di sincerità di un individuo non possono far dimenticare la realtà del pericolo che l'eccesso della sua dottrina nascondeva per la comunità intera; sarebbe certo falso chiamare inutile o iniqua una lotta contro una tendenza che, se non avversata e se divenuta generale, avrebbe soffocato alcune tra le manifestazioni più efficaci ed attive della pietà cristiana, che s'ispirano alla Redenzione e all'Incarnazione; come la tendenza opposta ne avrebbe impedite altre. E sarebbe antistorico chiamare logomachie le discussioni, che pur degenerando alle volte e cadendo in eccessi, hanno saputo salvare per la religiosità futura i valori essenziali delle tendenze opposte, conciliandole in una formula in cui appare tutto l'equilibrio romano. N. moriva in esilio nel 451, poco prima del concilio di Calcedonia, lieto di aver conosciuto il Tomo di Leone, che gli apparve come la sua rivincita.

Gli scritti di Nestorio. - Non ci sono giunti in alcun corpus completo; F. Loofs ha riunito tutte le citazioni per lo più di sermoni ed epistole che di essi si contengono nelle varie fonti e le ha raccolte in volume non grosso di Nestoriana (Halle 1905). Nel 1910 è stato pubblicato il Libro di Eraclide di Damasco (Nestorius, Le livre d'Héraclide de Damas, a cura di P. Bedjan, Parigi 1910); di altre due opere di N., il Theopaschites e la Tragedia, non ci sono giunte che poche citazioni.

Nestoriani. - Dopo la grande lotta suscitata da N., furon detti nestoriani, e specialmente dai loro avversarî, non solo i difensori o partigiani di N., ma anche in generale i seguaci della dottrina delle due nature, della quale il nome di N. era divenuto simbolo e segnacolo. I monofisiti, per esempio, chiamano spesso la dottrina di Calcedonia e i suoi fautori, nestoriani, vedendo il segno dell'eresia nella semplice professione delle due nature, nonostante le differenze che separano il Tomo di Leone dalla vera dottrina nestoriana, e nonostante l'anatema che il concilio lancia su N. Del resto per l'impero bizantino e per la Chiesa occidentale la questione nestoriana, dopo la condanna, perdé man mano ogni importanza. Bisanzio sostenne con la forza il concilio di Calcedonia, e in alcuni momenti la politica imperiale fu addirittura monofisita, come sotto Zenone e Anastasio. I grandi teologi della scuola antiochena, soprattutto Teodoreto di Ciro (morto circa 458; v.) e Hībhā (quest'ultimo, morto nel 457, di lingua siriaca, e celebrato traduttore di opere greche), malgrado le loro concessioni, mantennero certo vivo lo spirito della scuola; deposti al secondo concilio di Efeso del 449, che segnò una violenta reazione monofisita, e poi a Calcedonia, furono di nuovo condannati nel V° concilio ecumenico di Costantinopoli del 553, che conchiuse la famosa disputa dei Tre Capitoli.

Questa, è, si può dire, l'ultima manifestazione di vita della questione nestoriana in Occidente.

La Chiesa persiana diviene nestoriana. - In Oriente, mentre l'Egitto, la Palestina, la Siria e l'Armenia andavano verso la ribellione monofisita contro il concilio di Calcedonia, una Chiesa già fiorente nell'impero persiano, il cui nucleo centrale era nella Mesopotamia e la sede patriarcale a Seleucia, seguiva, nella sua direzione prevalente, la via opposta e si riattaccava alla tradizione antiochena, mantenuta viva, dopo N., dai dottori della scuola madre o da quelli di Edessa. La Chiesa persiana divenuta nestoriana mantenne, come mantiene fino ad oggi, pur nella sua decadenza, la dottrina delle due nature quale era professata dalla scuola di Antiochia. I seguaci di questa Chiesa e delle sue propaggini sono i nestoriani in senso proprio, termine usato però solo dagli avversarî di essi, forse già nel sec. VI, mentre i nestoriani stessi si attribuiscono generalmente il nome di cristiani orientali.

Non si deve esporre qui la storia della Chiesa persiana, composta prevalentemente di Aramei di lingua siriaca, che al sec. V era già fiorente con una sua ordinata gerarchia ed esercitava la sua autorità sulle chiese che dalla Persia stessa si erano già diffuse in alcune regioni dell'Asia. È opportuno però accennare che orientarono definitivamente la Persia cristiana verso la dottrina nestoriana sia l'influsso della scuola di Edessa, che diffondeva le dottrine antiochene, ed era, per ovvia ragione geografica, seminario del clero persiano; sia la spinta delle chiese orientali verso l'autonomia, già manifestatasi per la Persia con il sinodo di Dādhīshō‛, del 424, che affermava l'indipendenza della Chiesa cristiana dai Padri occidentali, dopo che il sinodo del 410 aveva accolto i concilî di Nicea, Costantinopoli e altri minori. Infine l'equilibrio politico del tempo, nel quale le diverse confessioni cristologiche ebbero molto peso, spinse i Sassanidi (le cui relazioni con i cristiani loro sudditi alternavano le più atroci persecuzioni con periodi di relazioni pacifiche e amichevoli) a non trascurare nella loro costante lotta contro l'impero bizantino il vantaggio che poteva derivare dal giuoco di quelle rivalità tra cristiani, e quindi a sostenere la confessione nestoriana.

Il passaggio della Chiesa persiana al nestorianesimo, che le circostanze qui sopra esposte rendevano inevitabile, si maturò attraverso lo zelo e la predicazione di Narsete (v.), già capo della scuola di Edessa, e l'azione violenta di Barṣaumā, metropolita di Nisibi, il quale perseguitò i monofisiti, valendosi della protezione che godeva presso il re Pērōz (457-484) A Nisibi stessa si costituì una grande scuola, erede di quella di Edessa, dopo che questa fu chiusa per ordine di Zenone (489), a capo della quale Barṣaumā mise Narsete. Essa, organizzata accuratamente negl'insegnamenti e nelle regole di vita quasi monastiche dei suoi allievi, divenne il vero baluardo del nestorianesimo, forza di prim'ordine della Chiesa persiana.

Il sinodo del 486 tenuto dal "cattolico" (Katholikós) Acacio già fissava due punti fondamentali per la Chiesa nestoriana, per i quali Barṣaumā aveva lottato, cioè l'adozione della dottrina antiochena delle due nature nella formula che si vuole chiamare nestorianesimo, e l'obbligatorietà del matrimonio dei preti prima dell'ordinazione. Le seconde nozze erano negate solo ai vescovi, mentre i monaci conservavano il celibato; l'uso invalso dopo di scegliere tra i monaci i "cattolici" fece sì che questi poi fossero celibi.

Poco tempo dopo, con il sinodo del "cattolico" Bābhai, nel 497, fu vigorosamente affermato il primato del "cattolico" contro le pretese di autonomia delle sedi provinciali; il fiero e violento Barṣaumā aveva a lungo lottato contro il "cattolico" Bābhowai (457-484; di cui avrebbe provocato l'atroce martirio inflittogli da Pērōz) e contro Acacio, con cui infine si riconciliò. Anche il matrimonio del clero era nuovamente regolato con il sinodo stesso ed espressamente prescritto non solo ai preti, ma anche ai vescovi e "cattolici". Non era estraneo alla diffusione del matrimonio ecclesiastico l'influenza dell'ambiente e l'intervento diretto dei Sassanidi che non amavano il celibato in parte sì notevole dei loro sudditi. La crisi mazdakita (v. mazdak) ebbe anche il suo peso.

Altri scismi, violenze e simonie desolarono ancora la Chiesa nestoriana finché la riforma del grande patriarca Mārabhā (540-552) riordinò le provincie, regolò l'elezione del "cattolico", emanò disposizioni per la moralità del clero, spesso assai corrotta. Si deve alla sua opera e al suo esempio (egli non fu martire, ma lungamente perseguitato sotto Chosroe I Anūsharwān) se la Chiesa nestoriana poté resistere alle nuove e grandi prove che l'attendevano. Esse possono riassumersi nell'azione sempre più decisa dei fautori deì concilio di Calcedonia, e dei monofisiti (questi ultimi avevano a Takrīt, nel monastero di Mār Mattai e altrove, importanti centri di diffusione) nel pericolo dell'eresia dei Messaliani e infine nelle tristi vicende del lungo regno di Chosroe II Parwēz. Esso, iniziatosi con il favore verso i cristiani egiziani per l'aiuto a lui dato dall'imperatore Maurizio, finì con una sanguinosa persecuzione, mentre i monofisiti, che erano potenti alla corte del re, lo indussero a lasciare la Chiesa nestoriana senza il suo capo per un periodo di venti anni. In questo periodo fu validissima l'opera di Bābhai il Grande, che combatté con successo i nemici della fede nestoriana e scrisse tra l'altro il famoso trattato De Unione che è fondamentale definizione del credo nestoriano (tradotto in latino nel Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium). Così si fissava sempre meglio la disciplina, la liturgia; Mārabhā aveva già introdotto la cosiddetta liturgia di Nestorio.

Il monachismo nestoriano. - Nella lotta in favore dell'ortodossia nestoriana l'azione dei monaci fu molto efficace. Bābhai stesso era capo del Grande Monastero, una delle maggiori istituzioni monastiche della Persia. La questione delle origini del monachismo persiano è assai discussa; la vita eremitica era certamente in onore già nella prima metà del sec. III, ma è oscuro quando penetrassero in Mesopotamia i metodi e le regole egiziane. È certo invece che Abramo di Kashkar, morto nel 586 all'età di 85 anni, organizzò e riformò la vita monastica tra i nestoriani. Molti discepoli di lui continuarono la sua opera, e sorsero, accanto a quelli numerosi dei monofisiti, importanti monasteri nestoriani, come per esempio quelli del monte Īzlā, a nord di Nisibi, di Bēt ‛Ābhē, di Margā, ecc. La riforma di Abramo sorgeva contemporaneamente a quella di Mārabhā e rispondeva anch'essa a un vivo bisogno, per la corruzione diffusa tra i monaci.

La conquista araba. - La morte di Chosroe rialzò le sorti dei cristiani che sotto Shērōe e la sua sorella Bōrān ebbero maggiore libertà. Ma era imminente la conquista araba che sconvolse tutta la vita d'Oriente. I nestoriani, che dai Sassanidi avevano più sofferto persecuzioni che goduto favori, assunsero di fronte all'invasore un atteggiamento avalogo a quello dei monofisiti d'Egitto (v. copti) e non cooperarono certo alla difesa del paese. Alcune popolazioni cristiane erano arabe (ciò che può aver facilitato la loro conversione all'Islām); la cristianità di Persia ha esercitato, insieme con la Siria, un'attiva opera missionaria nei paesi arabi con conseguenze di molta importanza per l'Islām, sebbene sia sicuramente esagerata l'affermazione recente che Maometto non ha conosciuto altro che cristiani nestoriani, e che nestoriane sono le fonti cristiane del Corano (v.); egualmente esagerata è l'affermazione che i mistici più antichi musulmani sorti in Mesopotamia, non hanno fatto che continuare le pratiche dei monaci nestoriani. In ogni modo, molte tribù arabe furono certo nestoriane, e l'influenza nestoriana entrò sicuramente nello Yemen con la conquista persiana del sec. VI; egualmente al-Ḥīrah era, nonostante gli sforzi dei monofisiti, un centro nestoriano assai importante. Cosma Indicopleuste ha trovato il nestorianesimo a Socotra e altrove; le coste orientali dell'Arabia erano allora nestoriane, ma apostatarono poco dopo la conquista araba.

L'Islām naturalmente garantì, secondo la sua norma, libertà religiosa e protezione ai sudditi cristiani (che restavano tuttavia in stato d'inferiorità morale e giuridica). Ma l'Islām per le violenze della conquista, per le vessazioni di governi o di capi e per le apostasie provocate da molte cause, ha sempre corroso lentamente nei paesi conquistati il cristianesimo. Il fanatismo degli sciiti, il deciso favore degli ultimi sovrani mongoli della Mesopotamia e della Persia per l'Islām, ha poi sempre più ridotto il numero dei nestoriani, fino a ridurli, come i copti, a una piccola minoranza.

Il "cattolicato", sotto gli Abbasidi, fu trasferito a Baghdād, e i califfi, pieni di zelo per il progresso delle scienze, tennero in grande pregio i dotti nestoriani che ebbero tanto merito, come anche del resto i Sirimonofisiti, per la storia della cultura, specialmente con le loro versioni dal greco in siriaco e in arabo (v. siria: Letteratura). Tra i più noti traduttori nestoriani furono Ḥunain ibn Isḥāq (v.) e la sua scuola; la famiglia siro-nestoriana dei Bakhtīshō‛ diede famosi medici alla corte del califfo, e nella scuola di Giundē Sāpūr, famosa accademia di medicina e di filosofia dei Sassanidi, l'opera dei nestoriani fu assai importante. Famoso "cattolico" di questo periodo fu Timoteo I (780-823), di cui è anche trasmessa una disputa religiosa con il califfo. Ma anche al tempo dell'Islām la Chiesa di Persia continuò a diffondersi nell'Asia centrale e orientale, e la sua penetrazione in Asia ebbe conseguenze di grandissima portata per le relazioni dell'Europa con l'Oriente, per lo sviluppo del commercio (è nota la tradizione che attribuisce l'introduzione del baco della seta in Occidente a monaci nestoriani), per la politica dei conquistatori mongoli, sui quali i nestoriani di tribù turche, mongole o turcomongole, ebbero grande influenza.

L'espansione nestoriana in Asia. - In India una comunità cristiana derivata dalla Chiesa di Persia fioriva, a quanto appare dai testi copti manichei, almeno dal 260 d. C. Il nestorianesimo penetrò in seguito nell'Asia centrale e orientale per mare e per terra attraverso le vie del commercio. Si è già detto che Cosma Indicopleuste trovò i nestoriani all'isola di Socotra e sulle coste di Arabia; lo stesso Cosma Indicopleuste dà notizie sulla cristianità di Ceylan e inoltre di Quilon e di Male che debbono porsi sulla costa del Malabar. Di questa chiesa indiana, di cui troviamo qualche notizia nella letteratura siriaca, l'India stessa dà scarsi documenti; importante il ritrovamento, avvenuto presso Madras, di una croce con iscrizione pehlevica del sec. VI. Queste comunità hanno ancora oggi per lingua liturgica il siriaco, ma l'unione con Roma le ha sottratte al nestorianesimo al quale erano passate con la Chiesa di Persia; vi è però tornato recentemente un piccolo gruppo con lo scisma di Elia Mellus, e ciò in connessione con il lungo conflitto tra la Santa Sede e il patriarca nestoriano Giuseppe VI Audo (1848-1878; v. caldea, chiesa; malabar).

Per le vie del mare e lasciando nelle tappe le sue tracce, il nestorianesimo giunse fino in Cina; della diffusione di esso sotto la dinastia dei T'ang abbiamo un documento prezioso nella stele trovata a Si-ngan-fu, eretta nel 781 in questo centro del cristianesimo cinese entro il recinto di un monastero quivi fondato per ordine dell'imperatore. L'iscrizione che è redatta in cinese e in siriaco, contiene tra l'altro un'esposizione della dottrina nestoriana, e delle vicende del cristianesimo in Cina, dal 631, epoca della sua introduzione, al 781 (v. olopan). Non è possibile stabilire la causa della sparizione di queste antiche comunità (che ebbero molti seguaci tra i Cinesi stessi) se essa cioè sia dovuta al famoso decreto dell'845 contro le religioni straniere o a naturale decadenza. Secondo il Moule, che ha più recentemente studiato con particolare competenza questi problemi, non è possibile stabilire neanche se il nestorianesimo, che entrò di nuovo in Cina con la conquista di Qūbilāi Khān, vi trovasse tracce della prima ondata.

Negli accampamenti dei Mongoli il nestorianesimo giunse per lungo cammino attraverso le vie della seta. Una serie di testimonianze, per lo più della letteratura siriaca, ci mostrano il successivo avanzare verso oriente dei cristiani di Persia, poi nestoriani. Al secolo VI già gli Unni bianchi o Eftaliti chiedono al patriarca Mārabhā un vescovo. Divengono successivamente cristiane tribù turche, mongole, o turco-mongole, come gli Uighuri (nel sec. VIII tra i mercenarî dell'armata cinese vi erano degli Uighuri cristiani), i Mongoli Önggüt, i Turchi Keraiti (cristiani in massa nel 1007; a un loro principe si riferisce la leggenda del prete Gianni). Monumenti letterarî ed epigrafici, come le iscrizioni del cimitero del Semiriecié, che vanno dal 1249 al 1345, ci informano abbastanza largamente su questa propagazione del cristianesimo in Oriente (v. anche mongoli; mongolia; turchi; uighuri). Il nestorianesimo si diffuse anche tra altri popoli del Turkestan, e documenti cristiani in lingua indoeuropea, come il sogdiano, sono stati ritrovati dalle spedizioni archeologiche del Turfan. Secondo fonti musulmane sciite, nel sec. VIII regna a Kashgar un principe cristiano; nel sec. XII gli Sciiti combattono nel bacino del Tarim contro popolazioni cristiane. Così la letteratura nestoriana ha monumenti non solamente in siriaco e in arabo, ma anche in sogdiano, in uighurico, in mongolo, ecc. Sappiamo però poco di queste cristianità. Il clero nestoriano di esse apparve ai missionarî occidentali in grande decadenza; ma il cristianesimo portò certamente un grande progresso tra quei popoli barbari.

Queste conversioni, già così importanti di per sé per la storia della cultura, assumono un valore singolare per le relazioni che quei popoli ebbero con i Mongoli, loro confinanti, o dei quali, come gli Önggüt, erano fratelli di razza; specialmente Onggüt e Keraiti diedero mogli, ministri, funzionarî cristiani ai grandi reggitori mongoli, ed ebbero molta influenza sulla loro politica.

Con il governo di Qūbilāi Khān (1257-1294) il cristianesimo nestoriano può penetrare di nuovo in Cina, ma ne è poi ricacciato dalla reazione dei Ming, che nel 1369 avevano già respinto i Mongoli dalla Cina; gli Īlkhān, i sovrani mongoli di Persia, cadono sempre più sotto l'influsso dei ministri persiani e dell'Islām; con Tamerlano ogni favore per il nestorianesimo cessa, e comincia anche nel centro la rapida decadenza della Chiesa nestoriana, la quale nel medio ed estremo Oriente perde ormai le sue posizioni.

Espressione dell'importanza di questo nestorianesimo medio ed estremo-orientale è l'elezione a "cattolico" nestoriano del patriarca mongolo Yahbhallāhā III, nato ed educato in Cina, consacrato nel 1281 a Seleucia, sotto il quale la Chiesa nestoriana ebbe il maggior fiore, con trenta provincie e numerosissimi vescovi. Tale elezione fu dovuta all'opportunità di elevare al "cattolicato" persona gradita, perché di razza e lingua mongola, agli Īlkhān di Persia, che dominavano allora nel centro della Chiesa nestoriana. Hulāgū accordò molto favore a Yahbhallāhā III, e la sede del "cattolicato" fu trasportata a Marāghah. Il patriaca mongolo fu, per la sua bontà e tolleranza, in buone relazioni con gli avversarî monofisiti e con Roma; diede facoltà al missionario Ricoldo di Montecroce di predicare a Baghdād, con molto sdegno dei nestoriani più spinti. Ṣaumā che era stato il maestro del "cattolico" in Cina, venne a Roma in ambasciata da parte del mongolo Arghūn, con scopi anche politici (v. mongoli). La fine del governo di Yahbhallahā coincide con la decadenza della Chiesa nestoriana, dovuta all'offensiva delle religioni nazionali di Cina e dell'Islām. Venaono in seguito le unioni con Roma di Cipro, del Malabar, della Mesopotamia stessa; già al sec. XVI la Chiesa nestoriana non governa che una piccola comunità nella Mesopotamia settentrionale,

Relazioni tra nestoriani, papato e Occidente nel Medioevo. - Le crociate avevano dato anche occasione d'incontro tra il clero latino e l'orientale, e precisate le notizie sulle chiese dissidenti. L'istituzione dei due grandi ordini, il francescano e il domenicano, facilitarono le tendenze di unione. Si susseguirono le missioni che ebbero spesso carattere politico, in relazione alle invasioni dei Mongoli, dei quali si conoscevano le relazioni con la Chiesa nestoriana. Per quanto concerne i nestoriani, il padre Guglielmo di Monferrato, inviato in missione con scopi puramente religiosi, fu verso il 1235 in relazione con il "cattolico" Sabhrīshō‛ V, il quale però non si convertì; si ebbe tuttavia l'unione di un metropolita di Damasco. Di carattere piuttosto politico furono le missioni che sotto Innocenzo IV (1254-1287) andarono presso i Mongoli, come quelle di Ciovanni di Pian del Carpine, di Ascelino da Cremona, di Andrea di Longjumeau, di Guglielmo di Rubruk. Queste missioni, importantissime per le informazioni che riportavano, non ebbero però risultati politicamente e religiosamente notevoli. Dai Mongoli stessi vennero ambascerie all'Occidente, come quella di Rabbanā inviato da Güyük (lo incontrò a Tabriz Andrea di Longjumeau), e quella di Arghūn, Ilkhān di Persia, che inviò a Roma il nestoriano Ṣaumā già maestro di Yahbhallahā (v. sopra). Vera missione religiosa fu quella di Giovanni da Montecorvino (v.), che fu vescovo di Khambaliq o Pekino, sotto Qūbilāi. L'istituzione di vescovati latini nei paesi nestoriani, al principio del sec. XIV non ebbe frutto. L'unione dei nestoriani a Roma, di cui si spargevano semi feraci, si maturò solamente più tardi.

Unione con Roma. - Dopo gl'infruttuosi avvicinamenti del Medioevo, si ebbe nel 1340, e più decisamente nel 1445, l'unione dei nestoriani di Cipro, concentrati specialmente a Nicosia; poi lo scisma che divise la Chiesa nestoriana nel 1551, e creò una doppia serie di patriarchi, fu l'occasione dell'unione con Roma di una parte importante dei nestoriani di Mesopotamia (v. sotto); nel Malabar, la venuta dei Portoghesi facilitò l'opera dei missionarî e si ebbero molte conversioni, finché il sinodo di Diamper consacrò l'unione. Gli eccessi di latinizzazione, che produssero malcontento, furono causa poi dello scisma di Parambil; come già si è detto, sotto il patriarca Giovanni VI Audo si ebbe nel Malabar un ritorno al nestorianesimo da parte dei seguaci di Mellus, detti mellusiani (v. caldea, chiesa). Della Chiesa nestoriana dopo la sua decadenza non sappiamo molto oltre le sue relazioni con Roma. La dignità di "cattolico" per decreto del "cattolico" Simone IV, era divenuta ereditaria generalmente per trasmissione da zio a nipote. Alla morte di Simone VII Barmamā (1551) una parte dei nestoriani, tra cui molti favorevoli all'unione con Roma, non riconobbero il suo successore Simone VIII Denḥā, ed elessero Sullāqā che ebbe il nome di Simone VIII Sullāqā (1551-1555), onde doppia serie di patriarchi. I seguaci di Sullāqā si unirono con Roma, e Sullāqā fu confermato nel concistoro del 1553. Ma il "cattolico" Simone XIII Denḥā, settimo successore di Sullāqā (a partire da Simone IX tutti i "cattolici" di questa serie prendono il nome di Mar Shim‛ūn, e sono distinti dal nome di battesimo e dal numero d'ordine), ritornò nel 1692 all'eresia e trasferì la residenza nel povero paese di Kotchannes, tra i laghi di Van e di Urmia, ove oggi ancora risiede il "cattolicato" nestoriano della stessa linea. Esso governa ancora i resti dell'antica Chiesa nestoriana, forse sessantacinquemila fedeli, o secondo altri solo trentamila, che erano concentrati prima della guerra mondiale per lo più nella regione di Mossul.

Invece i "cattolici" dell'altra serie, i successori cioè di Simone VIII Denḥā, si unirono con Roma, a cominciare da Giovannì VIII Hormizd, che trasferì la residenza da Raboan Hormizd a Mossul. Confermato da Roma nel 1830, inizia la serie dei patriarchi cattolici caldei, che con il titolo di patriarchi di Babilonia governano tutti i Caldei uniti, dalla loro residenza di Mossul. È ora patriarca Giuseppe Emanuele II Thomas.

Gli sforzi delle missioni cattoliche per riunire a Roma i resti dell'antica Chiesa nestoriana concentrati attorno a Mossul, sono stati resi difficili dalla concorrenza di altre missioni, come la russa prima della guerra mondiale, e l'anglicana (queste due con scopi politici speciali) e dei protestanti, che hanno costituiti alcuni nuclei di convertiti. La storia recentissima di questi nestoriani è una storia di miserie. L'ignoranza (mancano le scuole per il clero), la superstizione, la miseria li hanno afflitti più che altri orientali dissidenti. Il regime turco, la vicinanza delle fiere popolazioni curde, i conflitti con esse (nel 1843 e nel 1846 patirono due massacri da parte dei Curdi di Beder Khān) li hanno esposti ad altre gravi prove, e la guerra ha colmato la misura.

I nestoriani del paese di Mossul, ristretti in una sola regione, formano non più una Chiesa di natura universale, ma un popolo, si potrebbe dire una nazione, che è detta degli Assiri e della quale il "cattolico" è il capo civile riconosciuto; ciò ha reso ancora più difficile l'opera dei missionarî ed ha acuito i contrasti. All'inizio della guerra mondiale essi, sotto il "cattolico" Simone XIX favorevole alla Russia, emigrarono in massa verso la Persia, e alla ritirata russa in parte furono decimati dai Turchi, in parte ripararono in Mesopotamia, allora occupata dagl'Inglesi, poi distribuiti in varî centri del ‛Irāq; da essi gl'Inglesi levarono truppe che concorsero efficacemente alla difesa. Le speranze che la politica dei mandati ha destate in tutti i popoli e i servigi resi all'Inghilterra hanno mosso gli Assiri nestoriani a chiedere la costituzione di uno stato indipendente.

Le inevitabili delusioni e l'atteggiamento del governo del ‛Irāq, che specialmente dopo la fine del mandato si oppose alla formazione di questo nucleo, hanno provocato una ribellione dei nestoriani, ancora non sedata. Il progetto della costituzione di un home assiro nel Brasile è fallito. Il patriarca attuale, Simone XXI, educato in Inghilterra, è in stretta relazione con la Chiesa anglicana, che s'interessa, anche per scopi politici, dei nestoriani (anche quelli di Malabar) e ha tra loro missioni importanti.

Dottrine della Chiesa nestoriana. - La dottrina trinitaria nestoriana è ortodossa; quella cristologica è strettamente duofisita, e ripete le formule antiochene e quelle di N. con l'unanimità e la costanza che distingue la Chiesa nestoriana (che non fu mai divisa, come quella monofisita, da sette diverse).

La definizione tipica della cristologia è: due nature, la divina e la umana, due ipostasi, un solo πρόσωπον o individuo; Cristo è vero uomo e vero Dio. L'unione non è ipostatica (in questa i nestoriani vedono, considerata anche la loro terminologia, l'eresia monofisita) ma è per congiunzione (συνάϕεια), e personale e volontaria, non per volontà dell'uomo, ma per condiscendenza libera del Verbo.

La formula del grande teologo nestoriano del secolo VI Babhāi è la seguente (nella versione latina del suo trattato De Unione): "Deus Verbum humanitatem nostram ad personam suam unitive sumpsit et fecit illum hominem ex nobis secum unum filium Domini qui est Iesus Christus".

La dottrina nestoriana fin dalle sue origini, seguendo l'indirizzo antiocheno, non ammette che Maria Vergine, che del resto è venerata, sia chiamata Theotokos o Madre di Dio (v. sopra).

Tutta la teologia antiochena, e quindi la nestoriana, non è favorevole alla dottrina del peccato originale, e nega che il peccato dopo la caduta di Adamo sia insito nella natura umana, rilevando l'efficacia del concorso umano più che quella della grazia. È, cioè, di tendenze pelagiane.

I nestoriani hanno sempre affermato la parità di dignità dei grandi patriarcati eredi dell'opera degli Apostoli; e negano perciò il primato del vescovo di Roma.

I sacramenti della Chiesa nestoriana sono, nella enumerazione di Ebediesu (v.), sette: sacerdozio, battesimo, cresima, oblazione del corpo e del sangue, remissione dei peccati, fermentum, e segno della croce.

Secondo i nestoriani, la consacrazione cattolica non è efficace, perché manca il fermentum o malka, che, secondo leggende che si sono formate su di esso, continua ancora il pane della Cena. Esso è composto di pane fermentato con goccie di olio consacrato nel giovedì santo, e diviso tra i preti che con esso, prima della messa, preparano il pane per il sacrificio. L'estrema unzione manca; così anche il matrimonio, giacché Ebediesu dice che esso è considerato sacramento da coloro che non hanno il sacramento del malkā. Il matrimonio è celebrato con cerimonia religiosa: come presso gli altri orientali è scioglibile per adulterio e altre ragioni. La confessione auricolare è caduta sempre più in disuso. I digiuni sono molti e rigorosi. La consacrazione del pane dell'eucaristia avviene al momento della ἐπίκλησις o invocazione allo Spirito Santo.

Il rito ha origini in Edessa, e si è sviluppato in parte indipendentemente da quello antiocheno. Per la messa vi sono tre liturgie: una di Addai e Mari, una di Teodoro di Mopsuestia, una di N., usata solo poche volte nell'anno. La festa di N. è celebrata, con quella di Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia, in uno dei venerdì tra l'Epifania e la Quaresima; sulla morte di N. e i suoi miracoli si sono sviluppate molte leggende.

Il "cattolico" è sovrano e indipendente; la dignità, come quella dei metropolitani e vescovi, è ereditaria. I preti sono tutti ammogliati e possono contrarre nuovo matrimonio anche con una vedova. Il matrimonio dei vescovi, come quello del "cattolico", è caduto in disuso. Il monachismo è, si può dire, sparito. I preti sono ignoranti, spesso capaci solo di leggere, senza comprendervi molto, i libri santi, non di scrivere.

Per le fonti del diritto canonico v. oriente cristiano; siria: Letteratura.

Bibl.: Per quanto concerne N., la dottrina nesotriana e la lotta contro di essa, vedi (oltre alle pubblicazioni di carattere generale sulla storia ecclesiastica) l'esauriente articolo di E. Amann uscito nel 1930 nel Dictionnaire de théologie catholique, ove sono indicate le fonti originali, greche, latine e siriache (atti di concilî, specialmente quello di Efeso, raccolte come il Synodicon Casinense; Socrate, Evagrio, le opere di personaggi che han preso parte alla disputa sui Tre Capitoli, gli scritti di N. raccolti da F. Loofs, l'auto-apologia di N., la cosiddetta Lettera a Cosma, ecc.).

Tra gli altri lavori sull'argomento ricordiamo: F. Nau, Le livre d'Héraclide de Damas traduit en français, Parigi 1910, con importante introduzione; id., Nestorius d'après les sources orientales, Parigi 1911: id., Saint Cyrille et Nestorius, Parigi 1910-11 (in Revue de l'Orient Chrétien, 1910-11); J.F. Bethume Baker, Nestorius and his teaching; a fresh examination of the evidence, Cambridge 1908, libro che più che altri tende alla completa riabilitazione di N.

Per la Chiesa nestoriana e la sua storia vedi, oltre alla classica monografia De Syris Nestorianis, di G.S. Assemani, l'articolo di E. Tisserant nel citato Dictionnaire de théologie catholique (Nestorienne, Église; redatto per la parte teologica del predetto Amann), anch'esso fondamentale per la trattazione esauriente di ogni periodo della storia della Chiesa nestoriana e per l'indicazione delle fonti e della bibliografia.

Tra le fonti siriache e arabe (numerosissime e importanti), si notino specialmente il Synodicon Orientale ou Recueil de Synodes Nestoriens, ed. trad. e annotato da J.-B. Chabot, Parigi 1902, che dà gli atti dei sinodi nestoriani dal 420 al 470; la Storia nestoriana e Cronaca di Séert, edita da A. Scher e tradotta da P. Dib nella Patrologia Orientalis, IV, V, VIII, XIII, testo arabo del sec. XI di cui non ci resta la parte che va dal regno di Valeriano a qualche anno prima della morte di Eraclio. Esso è la fonte di due testi assai importanti del sec. XIV, editi e tradotti in latino da G. Gismondi con il titolo Maris Amri et Slibae de Patriachis nestorianis Commentaria, Roma 1896-1899. Trattazioni d'insieme sui nestoriani sono: A. Grant, The lost tribes; an account of their manners, customs and cerimonies, Londra 1841; G.P. Badger, The Nestorian and their Rituals, Londra 1852 (fondamentale anche per la storia fino alla metà del secolo scorso); A.J. Maclean e W.H. Browne, The Catholicos of the East and his people, Londra 1892 (importante come risultato delle esperienze di un missionario anglicano); per il periodo antico prima della conquista araba è fondamentale il lavoro di J. Labourt, Le Christianisme dans l'Empire Perse, Parigi 1904; per la diffusione della Chiesa nestoriana i Oriente: F. Nau, Les Arabes chrétiens de la Mesopotamie et de Syrie, Parigi 1933; P. Pelliot, Chrétiens d'Asie Centrale et d'Extrême Orient, in T'oung Pao, XV (1914), pp. 623-644; H. Cordier, Le Christianisme en Chine et en Asie Centrale, ibid., XVIII (1917), pp. 49-113; F. Nau, L'expansion nestorienne en Asie, in Annales du Musée Guimet (Bibliothèque de vulgarisation, L, Parigi 1913), pp. 193-388; per il cristianesimo in Cina, A.C. Moule, Christians in China before the Year 1550, Londra 1930 (cfr. anche olopan); per le relazioni con il papato e l'Occidente, P. Pelliot, Les Mongoles et la Papauté, in Revue de l'Orient Chrétien, XXIII (1922-23), pp. 1-30; XXIV, pp. 225-335; XXVIII, pp. 3-84; S. Giamil, Genuinae relationes inter sedem apostolicam et Assyriorum orientalium seu Chaldaeorum Ecclesia, Roma 1902; G. Beltrami, La Chiesa caldea nel secolo dell'Unione, Roma 1933; per i dati circa i Caldei uniti vedi Statistica con cenni storici della gerarchia e dei fedeli di rito orientale, Roma 1932; per le vicede moderne v. Oriente moderno, specialmente annate 1933 e 1934; W.A. Wigram, The Assyrians and their neighbours, Londra 1929 (superficiale).