Neuropsicologia del linguaggio

Frontiere della Vita (1999)

Neuropsicologia del linguaggio

Gianfranco Denes
(Divisione di Neurologia, Ospedale Civile di Venezia SS. Giovanni e Paolo, Venezia, Italia)

Lo scopo di questo saggio è di illustrare il contributo fornito dalla neuropsicologia alla descrizione delle strutture anatomiche che sono alla base delle capacità linguistiche, allo studio della struttura e dell'organizzazione del linguaggio e dei suoi rapporti con le altre attività cognitive, fino alla definizione di un'architettura funzionale del linguaggio. L'organizzazione anatomo-funzionale del linguaggio viene delineata sia presentando i dati ottenuti in parlanti normali con tecniche di attivazione sia, con maggior dettaglio, analizzando i disturbi linguistici, talora altamente selettivi, conseguenti a danno cerebrale acquisito. Particolare rilievo viene dato al contributo della neuropsicologia alla costruzione e alla validazione di un modello dell'organizzazione mentale del lessico e dei processi di lettura.

Introduzione

Secondo N. Chomsky (1986) il linguaggio, sistema grammaticale formale distinto da altre forme di comunicazione comuni con altre specie biologiche, è una facoltà innata, specie-specifica, per cui ogni essere umano nasce provvisto della capacità di apprendere e usare il linguaggio materno. Tale capacità, che sembra essere presente nell'uomo da circa 100.000 anni, è sostenuta dall'attività di aree cerebrali specializzate nell' elaborazione delle differenti funzioni linguistiche.

Il modo in cui le strutture neuroanatomiche alla base delle capacità linguistiche si sono sviluppate durante la filo genesi e si modificano nel corso dello sviluppo individuale (ontogenesi), i processi attraverso i quali il sistema nervoso centrale rappresenta e utilizza il linguaggio e infine i rapporti del linguaggio con le altre attività cognitive sono l'oggetto di studio della neurolinguistica. Questa, a sua volta, fa parte della neuropsicologia, disciplina che, attraverso il metodo sperimentale, studia i rapporti fra mente e cervello, in termini sia anatomici che funzionali. Osservazioni di alterazioni del linguaggio conseguenti a lesione cerebrale sono state descritte fin dall'antichità, talora in maniera sorprendentemente accurata. Nel 1744, il filosofo Giambattista Vico espose il caso di "un uomo onesto che tocco da gravissima apoplessia, il quale mentova i nomi e si affatto dimenticato dei verbi". Tuttavia, solo intorno all'inizio del secolo scorso si verificarono le condizioni ambientali perché le facoltà cognitive fossero considerate alla pari di altri sistemi biologici e quindi si sviluppasse un reale interesse alla ricerca di una correlazione anatomica specifica (Young, 1971).

Fino a pochi anni fa, l'unico metodo di indagine possibile per definire sperimentalmente le basi neurologiche dellinguaggio era quello della correlazione anatomo-clinica: i disturbi del linguaggio presenti in un paziente al momento dell' osservazione clinica venivano correlati alla sede della lesione cerebrale riscontrata all'autopsia; si deduceva quindi che, in condizioni normali, quella zona cerebrale rappresentasse la base neurologica della componente o delle componenti linguistiche danneggiate.

Lo sviluppo di tecniche neuroradiologiche, quali la tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN), ha consentito di riscontrare in vivo, e con accuratezza sempre maggiore, la sede e l'estensione della lesione cerebrale e il suo evolversi nel tempo, correlandola con le variazioni del quadro clinico. Negli ultimi anni, infine, si sono sviluppate metodiche di indagine di tipo funzionale, quali la tomo grafia a emissione di posi troni (PET, Positron Emission Tomography), la visualizzazione a risonanza magnetica funzionale (tMRl, functional Magnetic Resonance Imaging) e la registrazione dei potenziali evocati, che consentono di indagare in una persona non affetta da danno cerebrale le variazioni, rispetto allo stato di riposo, dell'attività metabolica o elettrica del cervello durante il processo di elaborazione di compiti linguistici. Nonostante il continuo e rapido sviluppo di tali tecniche, l'approccio neuropsicologico centrato sull'esame del paziente è ancora oggi il più fruttifero. Indipendentemente dagli interessi di tipo clinico e anatomico, l'analisi dei deficit linguistici conseguenti a lesione cerebrale consente di inferire la struttura e l'organizzazione mentale delle attività linguistiche, così da poter proporre un'architettura funzionaie del linguaggio. Tale possibilità si basa sull'assunzione del principio di modularità e del principio di trasparenza (Caramazza, 1992). Secondo il primo assunto, ogni funzione cognitiva, ivi compreso il linguaggio, è costituita da una serie di sottocomponenti piccoli, quasi indipendenti, specializzati, che possono venire danneggiati in modo selettivo dalla lesione cerebrale. A sua volta, il principio di trasparenza assume che una lesione cerebrale non porti a un abbassamento globale e disordinato dell'efficienza della funzione cognitiva corrispondente, più o meno proporzionale alla entità della lesione anatomica sotto stante, ma, al contrario, il deficit cognitivo risultante rappresenti l'espressione di un sistema fondamentalmente intatto, in cui solo alcuni specifici componenti sono parzialmente o totalmente distrutti o inaccessibili. Il paziente che, in seguito a una lesione cerebrale, abbia un disturbo dell'uso del linguaggio, divenendo afasico, rappresenta quindi un 'esperimento della natura', che fornisce una serie insostituibile di informazioni sulla struttura esulI' organizzazione del linguaggio. Tale approccio, definito di tipo cognitivista, è tanto più utile quanto più dettagliato è il modello di elaborazione dellinguaggio la cui attendibilità si vuole verificare.

I modelli neurologici del linguaggio

"una pietra [ ... ] venne a battere nella fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra della profondità metafisica" Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. 12

Nella seconda metà dell'Ottocento trovarono ampia diffusione le concezioni frenologiche di F.J. Gall, il cui grande merito fu quello di postulare una base neurologica per le attività cognitive. In seguito al diffondersi di tali concezioni, la comunità scientifica non assunse un atteggiamento unanime: da un lato si schierarono gli antilocalizzazionisti, per i quali la superiorità intellettiva della specie umana sulle altre specie animali era dovuta al maggiore sviluppo del cervello, le cui regioni contribuivano in maniera sostanzialmente omogenea, dall'altro i localizzazionisti. Per questi ultimi la supremazia cognitiva della specie umana era conseguente al maggiore sviluppo dei lobi frontali. Un contributo fondamentale a favore dell'ipotesi localizzazionista fu quello portato nel 1861 dal neurologo francese P.-P. Broca il quale, in una seduta della Societé d'anthropologie di Parigi, riportò lo studio anatomo-clinico di un paziente che, in seguito a una vasta lesione di tipo vascolare dell'emisfero sinistro centrata sul lobo frontale, aveva perduto l'uso della parola. L'osservazione di Broca era rivoluzionaria per diversi motivi: il primo, di ordine anatomico, perché essa dimostrava inequivocabilmente che i processi cognitivi avevano una base biologica; il secondo, di ordine teorico, riguardava la natura del deficit: per Broca, infatti, il deficit afemico (solo successivamente venne introdotto il termine afasia) non era dovuto a un calo generale dell'intelligenza (come dimostrato dal comportamento del paziente), né a un disturbo paretico, ma, piuttosto, alla perdita "di un particolare tipo di memoria, che non è la memoria delle parole, ma quella dei movimenti per articolare le parole". Nel paziente, infatti, la comprensione delle parole era conservata, così come la capacità di eseguire i movimenti degli organi fonoarticolatori in compiti non linguistici, mentre egli non riusciva a pianificare i movimenti necessari per la corretta articolazione. Solo successivamente, e come corollario, Broca aggiunse che l'afemia si verificava solo in seguito a una lesione dell'emisfero sinistro, introducendo la nozione di specializzazione emisferica: "Noi parliamo con l'emisfero sinistro".

Linguaggio e specializzazione emisferica

In oltre il 90% degli appartenenti al genere umano l'emisfero sinistro rappresenta la base neurologica sia della preferenza manuale che del linguaggio. Il numero dei casi di afasia crociata (afasia che insorge in soggetti destrimani e senza familiarità di mancinismo, in seguito a lesione dell'emisfero destro) non supera qualche decina e anche negli individui mancini (8÷10% della popolazione) l'afasia si manifesta soprattutto in seguito a una lesione dell'emisfero sinistro.

l risultati ottenuti nei soggetti normali attraverso l'uso di tecniche sperimentali, quali l'ascolto dicotico (presentazione simultanea di due stimoli acustici diversi, verbali o non verbali, alle due orecchie), la presentazione tachistoscopica di stimoli visivi o, infine, l'inattivazione farmaco logica temporanea di un emisfero hanno confermato nei soggetti normali i dati ottenuti nei pazienti. La specializzazione sinistra per il linguaggio è presente fin dalla nascita, anche se non si può escludere una graduale successiva segregazione delle funzioni linguistiche all'emisfero sinistro: a parità di altre condizioni l'afasia in età evolutiva ha infatti un recupero migliore di quella nell'adulto.

Il riscontro della specializzazione emisferica ha portato a una serie di ricerche miranti, da un lato, a chiarire se tale caratteristica fosse specie-specifica, dall'altro a indagare, sul piano anatomico e funzionaIe, le peculiarità dell'emisfero sinistro.

A partire dalla fine degli anni Settanta sono state prodotte alcune prove a sostegno di una specializzazione emisferica anche in specie molto lontane da quella umana. Nel canarino adulto la capacità di cantare viene abolita solo se viene sezionato il nervo ipoglosso di sinistra, controllato dall'emisfero omolaterale. Nelle scimmie l'emisfero sinistro è specializzato nel valutare il grado di inclinazione di linee, mentre l'emisfero destro è più abile nel discriminare facce. Allo stato attuale, tuttavia, sembra che il processo di lateralizzazione cerebrale nelle specie non umane sia legato a sistemi neuropsicologici di base, filogeneticamente antichi, piuttosto che rappresentare un prerequi sito fisico per lo sviluppo del linguaggio (Marzi, 1996). Per D. Kimura (1977) la dominanza dell'emisfero sinistro per il linguaggio è conseguente al ruolo che questo emisfero ha per la preferenza manuale: questa, a sua volta, consiste nella specializzazione per l'attivazione sequenziale, indipendente e temporizzata, di alcuni distretti muscolari distali, quali la muscolatura degli arti o quella orale. Ne consegue che atti motori complessi che richiedono il fine controllo motorio in termini di precisione, di sequenzialità e di durata, quali la fonazione o la scrittura, devono necessariamente essere sotto il controllo dell'emisfero sinistro.

Per altri autori la specializzazione dell'emisfero sinistro dipende dal formato o dal codice in cui viene presentata l'informazione da elaborare o dal modo in cui viene elaborata: tutti gli stimoli che richiedono o ammettono un'analisi linguistico-proposizionale sono elaborati nell' emisfero sinistro, mentre gli stimoli che richiedono un'elaborazione analogica sono elaborati dall'emisfero destro (Berlucchi, 1982).

Il riscontro che la dislessia dell'età evolutiva e la balbuzie colpiscono prevalentemente il sesso maschile ha portato a indagare sulle eventuali differenze dell'organizzazione cerebrale legate al sesso. Gli studi sui soggetti normali, mediante presentazione lateralizzata di stimoli o, più recentemente, con la metodica PET (Pugh et al., 1996), hanno suggerito che, nei maschi, la lateralizzazione sinistra del linguaggio sia più marcata che nelle femmine. Per quanto riguarda invece la patologia, non si è trovata alcuna differenza legata al genere maschile o femminile per l'incidenza e gravità dell' afasia.

Nell'80% dei soggetti normali, infine, il planum temporale, un'area della corteccia posta nella parte supero-posteriore del lobo temporale, comprendente le aree uditive primarie e in stretta vicinanza con le altre aree uditive, è significativamente più sviluppato a sinistra, suggerendo uno stretto rapporto fra asimmetria funzionale e anatomica.

Evoluzione dei modelli neurologici

fig. 1

Negli anni successivi all'osservazione di Broca, l'ipotesi della specializzazione emisferica fu confermata da nuovi importanti contributi sperimentali. Per quanto riguarda il linguaggio, il contributo maggiore fu quello di K. Wemicke (1874) che pubblicò una monografia, dal titolo estremamente significativo Il complesso sintomatologico delle afasie. Uno studio psicologico su base anatomica, nella quale proponeva un modello di architettura cognitiva e neurale del linguaggio basato sui principi di organizzazione anatomofunzionale della corteccia cerebrale proposti dal suo maestro Th.H. Meynert: nella corteccia cerebrale sono rappresentate sia le funzioni motorie (nella parte anteriore, posta davanti alla scissura centrale o di Rolando) che sensoriali (elaborazione degli stimoli visivi, acustici, somatosensoriali da parte delle aree retrorolandiche). Un'ulteriore suddivisione è quella fra aree primarie o di proiezione, sia motorie che sensoriali, e aree secondarie o di associazione. Nelle aree primarie, specifiche per ogni modalità sensoriale, vengono percepite le informazioni provenienti dagli organi di senso. Il prodotto di questa prima analisi viene trasmesso all'area di associazione specifica, dove viene immagazzinato; si viene così a creare un deposito di informazioni necessario per il processo di riconoscimento, che avviene mediante il confronto fra l'immagine elaborata nelle aree primarie e quelle depositate nelle aree di associazione specifiche. Analogamente, per le funzioni motorie, i piani specifici per i vari atti motori saranno depositati nell'area di associazione, da dove verranno trasmessi, a seconda delle necessità, alle aree motorie primarie. Le aree secondarie possono essere quindi considerate come il deposito delle informazioni apprese culturalmente e, nella specie umana, raggiungono lo sviluppo maggiore (fig. 1). Le aree di associazione sono a loro volta connesse tra di loro, per cui uno stimolo riconosciuto da una modalità sensoriale (per esempio, visiva) può attivare la corrispondente immagine depositata in un'altra modalità sensoriale.

fig. 2

Partendo da tale base, Wemicke propose il suo modello di organizzazione del linguaggio (fig. 2): nell'area di Broca, posta davanti all'area motoria primaria corrispondente alla rappresentazione dei muscoli fono-articolatori (e corrispondente alla zona opercolare frontale posteriore o area 44 nella classificazione di Brodmann), sono immagazzinati i programmi motori necessari per l'articolazione del linguaggio; nell'area di associazione acustica (area 22 di Brodmann), situata nella parte posteriore del lobo temporale dell'emisfero sinistro, in stretta connessione con l'area acustica primaria, avviene il processo di decodificazione dellinguaggio, per cui gli stimoli uditivi vengono trasformati in unità linguistiche, i fonemi. Quest'area, denominata area di Wernicke, comprende quella parte di lobo temporale situata inferocaudalmente alla corteccia uditiva primaria e secondaria, nel giro temporale trasverso.

Wernicke, quindi, confutava l'ipotesi di un centro unico del linguaggio, proponendo che il linguaggio fosse sotteso all'attività di centri distinti anatomicamente e funzionalmente, deputati alla sua produzione (centro verbo-motorio) e alla sua comprensione (centro verbo-acustico). La comunicazione fra i due centri è assicurata da un fascio di fibre (fascicolo arcuato interno). Tale modello veniva confermato dalla patologia: la distruzione del centro verbo-motorio, posto alla base della terza circonvoluzione frontale, dava luogo all'afasia descritta da Broca, mentre alla lesione del centro verbo-acustico conseguiva, come descritto da Wernicke stesso, una afasia sensoriale, caratterizzata da un disturbo di comprensione. Wernicke infine predisse l'esistenza di una terza forma di afasia (afasia di conduzione), dovuta all'interruzione della via di comunicazione fra i due centri, che L. Lichteim (1885) descrisse come caratterizzata da un deficit specifico di ripetizione.

fig. 3
tab. I

Nel modello di Lichteim (fig. 3), il risultato dell'analisi acustico-fonemica dell'input uditivo da parte dell'area di Wernicke (centro uditivo-verbale) viene trasmesso al centro dei concetti, dove alle parole viene attribuito il significato. A sua volta, il centro dei concetti è collegato con l'area di Broca (centro verbo-motorio), così da poter esprimere in forma articolata le idee. La produzione e la comprensione del linguaggio scritto prevedono un passaggio intermedio fra i centri visuo-grafico (per la lettura) e grafo-motorio (per la scrittura) e i centri uditivo-verbale e verbo-motorio, per cui la produzione e la comprensione dei segni grafici deve necessariamente passare per una trasformazione nei fonemi corrispondenti (ipotesi della mediazione fonologica, v. oltre). Su tale base Lichteim propose un sistema di classificazione delle afasie, che ancor oggi è il più usato in ambiente clinico. Le forme cliniche previste sono elencate in tabella (tab. I).

Negli anni seguenti fu mossa una serie di obiezioni al modello di Lichteim e alla sua classificazione delle afasie. Alcune rilevavano l'incompletezza del modello, pur senza metterne in discussione la validità; altre, invece, ne contestavano a fondo la concezione di base. Una prima critica consisteva nel non aver considerato il processo di denominazione, sia da un punto di vista anatomico che funzionale, una seconda nel non aver fornito una base anatomica al centro dei concetti.

Alla prima critica rispose il più illustre rappresentante dei neoassociazionisti moderni, N. Geschwind (1965), secondo il quale il processo di denominazione dipende dalla possibilità di formare una serie di associazioni stabili corticocorticali fra modalità diverse (visive, uditive, somestesiche). In particolare nell'uomo si è sviluppata, all'incrocio dei lobi parietale, temporale e occipitale, una circonvoluzione, il giro angolare, dove convergono le fibre provenienti dalle varie aree di associazione. Negli altri animali, invece, le associazioni intermodali si formano indirettamente, attraverso il sistema limbico ove convergono le informazioni provenienti dalle aree sensoriali. Per Geschwind, quindi, il giro angolare rappresenta una specie di superare a di associazione e una sua lesione darà origine a una forma particolare di afasia fluente (afasia amnestica o anomica), caratterizzata da un deficit specifico della denominazione orale e scritta.

fig. 4

Per H. Damasio e collaboratori (1996), i concetti non sono rappresentati in un unico centro, bensì in maniera frammentaria, in zone ben distinte della corteccia perisilviana sensoriale e motoria. Nel processo di acquisizione del significato, le parole, specie quelle ad alto valore semantico, vengono presentate contemporaneamente agli stimoli corrispondenti (visivi, olfattivi, tattili, ecc.), con il risultato di attivare aggregati neuronali localizzati in aree sensoriali specifiche. Ne deriva che la rappresentazione finale di una parola è composta fisicamente di aggregati neuronali diversi, corrispondenti alle diverse modalità di presentazione degli stimoli associati a quella parola. L'unione dei singoli elementi dell'insieme, necessaria per acquisire il significato completo della parola (il concetto), avviene attraverso un processo di attivazione di zone di convergenza, organizzate gerarchicamente. Tali zone, corrispondenti a campi specifici di conoscenza, sono, secondo Damasio, anatomicamente distinte e, per quanto riguarda i nomi concreti, localizzate nelle aree perisilviane temporali di sinistra: la punta del lobo temporale per i nomi propri (non tutti i casi di deficit specifici per i nomi propri, tuttavia, presentano una lesione centrata su tale zona), la regione temporale inferiore per i nomi di animali e, infine, la regione temporale infero-posteriore per i nomi di oggetti inanimati (fig. 4).

Il punto finale del processo è rappresentato dall'area di Wernicke, elaboratore acustico-fonologico attraverso il quale i suoni vengono trasformati in parole per essere usate successivamente per evocare un significato. L'area di Wernicke perderebbe così il suo ruolo unico nella comprensione del linguaggio, potendo essere considerata un passaggio obbligato, un 'collo di bottiglia' (Mesulam, 1990) per accedere a un sistema distribuito di connessioni cerebrali, dove sono contenute le informazioni riguardanti le relazioni suono-significato. Analogamente, M.M. Mesulam (1990) propone per il linguaggio un'organizzazione funzionale di tipo connessionista, con elaborazione parallela e distribuita dell'informazione. Tale modello, basato sulla clinica dell'afasia, ipotizza l'esistenza, all'interno di una complessa rete neuronale, di due poli, uno semantico-lessicale, localizzato nell'area di Wernicke, e l'altro sintattico-articolatorio, nell'area di Broca, attivi sia in compiti di produzione che di comprensione. A livello di input, le sequenze uditive corrispondenti alle parole vengono trasformate, nell'area di Wernicke, in rappresentazioni neurali specifiche. Queste, a loro volta, sono in grado di attivare, in aree diverse della corteccia cerebrale, i legami associativi che denotano significati e concetti. Il lessico sembra così essere rappresentato da una matrice informatica multi dimensionale, piuttosto che da un insieme di aggregati neuronali specifici per le singole parole. In fase di produzione, l'area di Wernicke può essere considerata come l'interfaccia fra i concetti e le forme fonologiche corrispondenti, come dimostrato, nei soggetti normali, dal fenomeno della 'punta della lingua', per cui non si ricorda il nome di una persona o di una cosa, pur avendone presenti alcune componenti, quali la lunghezza del nome o il fonema iniziale, o dalla conduite d'approche (approssimazione per tentativi successivi) fonemica di alcuni pazienti afasici (v. oltre). In tali fenomeni, infatti, si osserva come il processo di passaggio tra l'idea e la corrispondente parola avvenga attraverso approssimazioni parallele simultanee basate sulla lunghezza della parola o sul fonema iniziale, fino ad arrivare alla forma fonologica che meglio si adatta al significato che si vuole esprimere.

L'area di Broca rappresenta, invece, il polo articolatoriosintattico, dove le rappresentazioni neurali corrispondenti alle parole e provenienti dall'area di Wernicke sono trasformate in sequenze articolatorie. Secondo Mesulam, nell'area di Broca vengono programmate temporalmente le sequenze di suoni linguistici, sia a livello sublessicale (fonemi, morfemi, inflessioni) che di parole, così da assumere il controllo della sintassi. Da un punto di vista sperimentale, la registrazione dell'attività elettrica cerebrale durante i compiti linguistici (Ojemann, 1991) ha dimostrato un'attivazione simultanea delle aree di Broca e di Wernicke durante l'elaborazione del linguaggio: è probabile che il processo di selezione lessicale avvenga in contemporanea con la programmazione articolatoria e sintattica, senza che si verifichi un meccanismo di tipo gerarchico, come del resto è dimostrato dall'influenza della struttura grammaticale sulla scelta lessicale o dal peso del lessico sulla sintassi.

La seconda serie di critiche ai modelli classici metteva in discussione la nozione stessa della funzione linguistica adottata dalla scuola associazionistica, per la quale il linguaggio era visto essenzialmente come uno strumento per esprimere il pensiero e di conseguenza l'afasia altro non era che l'effetto di una disconnessione neurale fra linguaggio e pensiero. Per la scuola noetica, invece, l'afasia è solo l'aspetto più evidente della perdita della funzione simbolica, di quella funzione cioè che permette di associare il significato al significante, sia nella sfera verbale (comprensione di parole) che nella sfera non verbale (comprensione di gesti, esecuzione di pantomime). Analogamente, per P. Marie (1926) il nucleo centrale dell'afasia è "una perdita dell'insieme delle nozioni apprese per via didattica", mentre per K. Goldstein (1948) consiste in una perdita della capacità di astrarre, con regressione al pensiero concreto: il sintomo chiave sarebbe rappresentato dall' anomia, espressione di una impossibilità a usare le parole per designare i concetti. In tempi più recenti, i lavori del gruppo di neuropsicologia di Milano (De Renzi et al., 1966; Vignolo, 1996) hanno considerato un rapporto di contiguità anatomica, piuttosto che funzionale, fra aree cerebrali deputate all'elaborazione del linguaggio e aree critiche per le attività concettuali non verbali, con ampie zone di sovrapposizione.

La questione dei rapporti fra il linguaggio e le altre funzioni cognitive è incentrata attualmente sull'unicità o, al contrario, sulla molteplicità dei sistemi semantici, a partire dallo studio dei deficit di elaborazione lessicali e visivi nei pazienti afasici (v. oltre).

Le basi neurologiche del linguaggio gestuale

Nelle persone colpite da sordità profonda in età prelinguistica l'apprendimento del linguaggio non può ovviamente avvenire attraverso la consueta modalità uditiva, mentre esse possono, se adeguatamente istruite, sviluppare il linguaggio dei segni. Questo non deve essere confuso con i gesti che accompagnano il linguaggio parlato, né con la pantomima, ma può essere definito come un sistema di comunicazione formalizzato, provvisto di una fonologia, di un lessico e di una sintassi e in cui il segnale linguistico è organizzato spazialmente. Analogamente al linguaggio parlato, il linguaggio dei segni presenta differenze geografiche, a livello sia lessicale che sintattico (American Sign Language, British Sign Language, Linguaggio Italiano dei Segni, ecc.). Come nel linguaggio parlato, in cui le parole sono formate da unità minori, i fonemi, nel linguaggio dei segni esiste un livello sublessicale per cui i segni, analoghi alle parole, sono formati scegliendone gli elementi costituenti, di per se stessi privi di significato, da un repertorio limitato. A livello morfologico, il linguaggio dei segni ha sviluppato indicatori grammaticali che hanno la funzione di morfemi derivazionali e flessivi, mentre a livello sintattico le relazioni fra i segni lessicali vengono realizzate attraverso la manipolazione dei segni nello spazio, per cui differenti relazioni spaziali veicolano differenze sistematiche di significato. Data la sua peculiarità di esprimere complesse relazioni linguistiche mediante elaborate relazioni spaziali, il linguaggio dei segni possiede caratteristiche che sembrano richiedere la mediazione sia dell' emisfero sinistro che di quello destro, specializzato per il trattamento delle informazioni visuo-spaziali. Di qui l'interesse per lo studio dell'organizzazione cerebrale per il linguaggio e i rapporti con le altre funzioni cognitive in persone che usano il linguaggio dei segni. Lo studio di pazienti che utilizzano questo linguaggio affetti da lesione emisferica unilaterale (Hickok et al., 1996) ha dimostrato che, come negli udenti, illinguaggio è organizzato nell'emisfero sinistro, la cui lesione può portare a un deficit afasico per il linguaggio dei segni, analogo a quello dei soggetti udenti. Sebbene, ovviamente, i dati raccolti siano scarsi, appare evidente che la dominanza sinistra per il linguaggio non è dipendente dalle caratteristiche fisiche del segnale linguistico o dal modo di produzione, ma deriva invece dalle proprietà intrinseche del sistema (Hickok et al., 1996).

La rappresentazione del linguaggio nei poliglotti

L'apprendimento di una lingua diversa da quella materna, appresa in un periodo successivo, è lungo e faticoso e, nella maggior parte dei casi, incompleto, sia dal punto di vista fonetico-fonologico che da quello lessicale e semantico. Tale fatto ha stimolato una serie di studi miranti a indagare la presenza di eventuali differenze fra le strutture neuronali implicate nell'apprendimento e nell'uso di lingue diverse da quella materna. L'afasia nei poliglotti può manifestarsi con le stesse caratteristiche o, al contrario, colpire selettivamente una sola lingua. Anche il recupero può presentare caratteristiche differenti, potendo essere: di tipo parallelo, con uniformità di compromissione e miglioramento; di tipo differenziale, con miglioramento selettivo di una sola lingua; di tipo successivo; di tipo antagonistico, quando una lingua peggiora nel momento del miglioramento dell' altra, e di tipo misto. Una limitazione di tali osservazioni deriva inoltre dalla presenza di fattori ambientali e affettivi, che possono influire sia sul quadro afasico iniziale che sul miglioramento.

Un contributo importante è stato recentemente ottenuto attraverso la registrazione, mediante PET, dell'attività metabolica cerebrale in soggetti normali durante l'ascolto di lingue diverse. D. Perani e collaboratori (1996) hanno confrontato le variazioni dell'attività metabolica cerebrale in un compito di comprensione di una storia presentata nella lingua materna (italiano), in una lingua appresa (inglese), durante l'ascolto di una lingua sconosciuta (giapponese) e, infine, durante l'ascolto di stimoli uditivi non linguistici. Come previsto, l'ascolto della lingua materna provoca una vasta attivazione delle aree perisilviane dell'emisfero sinistro, del lobo temporale destro, del cingolo posteriore e dell'emisfero cerebellare destro; l'ascolto sia dell'inglese che del giapponese si accompagna a una minore attivazione, ristretta alle circonvoluzioni medie e superiori dei lobi temporali di ambedue i lati e, solo per l'inglese, del giro ippocampale, come per un'attivazione dei circuiti neuronali implicati nella memoria semantica. In tutte le condizioni linguistiche si è osservata un'attivazione della circonvoluzione temporale media di sinistra, suggerendo che essa abbia una funzione specifica nell'analisi delle caratteristiche fonologiche e prosodiche del linguaggio. Nessuna area cerebrale è stata selettivamente attivata durante l'ascolto di lingue diverse dall'italiano. La minore attivazione cerebrale durante l'ascolto di lingue diverse da quella natale sembra essere l'effetto di una minore plasticità neuronale con conseguente minore capacità di apprendimento perfetto. Infine, l'ascolto del materiale non linguistico ha provocato, rispetto alle condizioni di silenzio, un'attivazione bilaterale, maggiore a destra, della circonvoluzione temporale superiore.

Linguaggio ed emisfero destro

Il fatto, ben noto fin dalle prime osservazioni di Broca (1861) e J.H. Jackson (1879), che una lesione, anche molto estesa, dell'emisfero sinistro solo eccezionalmente provoca una perdita totale e cronica del linguaggio, ha stimolato una serie di studi intesi a indagare le capacità linguistiche dell'emisfero destro.

fig. 5

l risultati, ottenuti sia in campo clinico che sperimentale, possono essere divisi in due categorie. Nella prima sono inclusi quelli che provano che l'emisfero destro possiede un potenziale linguistico: tali dati provengono dallo studio di soggetti normali sottoposti a presentazione lateralizzata di stimoli visivi o acustici, ma soprattutto da un piccolo gruppo di pazienti sottoposti, in età infantile, a emisferectomia sinistra o a sezione del corpo calloso (la grande commissura che permette lo scambio di informazioni fra i due emisferi cerebrali) per il controllo di una epilessia resistente alla terapia medica (fig. 5). Le osservazioni raccolte in questi pazienti (Zaidel, 1990) sono concordanti: la produzione orale dell'emisfero destro è assente, mentre è dimostrato che esso può sviluppare una discreta capacità di scrittura e soprattutto di comprensione di parole scritte, specialmente ad alto contenuto immaginativo. Di contro, non è in grado di elaborare parole astratte, di operare una distinzione tra parole semanticamente simili o di compiere operazioni di transcodificazione grafema-fonema.

La seconda serie di dati sembra invece evidenziare un ruolo specifico dell' emisfero destro nel linguaggio e deriva dallo studio dei deficit linguistici nei cerebrolesi destri (Bryan, 1994), che dimostrano una caduta, rispetto ai controlli normali, delle funzioni semantico-lessicali. In particolare viene selettivamente compromesso l'accesso al significato metaforico o 'emotivo' delle parole: per esempio, il paziente non sa associare la parola "ragazza" al termine "freschezza", pur comprendendo il significato canonico del termine ('persona giovane di genere femminile'). Un deficit di elaborazione degli aspetti sovrasegmentali, pro sodici del linguaggio, che veicolano informazioni affettive attraverso l'intonazione, la melodia e la cadenza, è stato riscontrato, sia in produzione che in comprensione, da E.D. Ross (1997). l cerebrolesi destri, per esempio, sembrano manifestare un'indifferenza emotiva nel descrivere eventi dolorosi sia a livello familiare che personale, diversamente dai pazienti afasici, nei quali la prosodia è conservata, nonostante una produzione spontanea che può essere ridotta ad alcuni monosillabi. Non è tuttavia chiaro se l'aprosodia sia un disturbo specifico del sistema linguistico o non rappresenti invece l'espressione di un deficit più generale del sistema di elaborazione delle emozioni, legato a una specializzazione dell'emisfero destro.

Recentemente, infine, alcuni dati riguardanti il decorso dell'afasia hanno suggerito un ruolo specifico dell'emisfero destro nel processo di recupero: si è osservata, per esempio, una significativa maggior attivazione in compiti lessi cali, rispetto ai controlli, dell'emisfero destro in pazienti afasici per lesione dell' area di Wemicke, così da ipotizzare che il recupero del linguaggio avvenga attraverso un processo di riorganizzazione funzionale del sistema.

Neuroanatomia cognitiva del linguaggio: metodi funzionali di indagine

L'entusiasmo iniziale conseguente all'introduzione nella ricerca neurolinguistica dei nuovi strumenti di indagine neuroradiologica si è stemperato negli anni successivi per una serie di ragioni, sia cliniche che teoriche: da un lato la correlazione anatomo-clinica fra sede di lesione e tipo di afasia non sempre è risultata costante, dall'altro è emersa l'impossibilità di classificare, sulla base dei sintomi presentati, un numero considerevole di pazienti afasici nei complessi sintomatologici classici. Da un punto di vista teorico, le sindromi afasiche, pur conservando la loro utilità clinica, sono state considerate come un aggregato di sintomi dovuti alla lesione di substrati anatomici funzionalmente diversi, ma in contiguità anatomica, piuttosto che come espressione della messa fuori uso di un unico meccanismo funzionale. Per tali ragioni l'interesse dei ricercatori si è spostato sull'analisi di deficit più ristretti, riguardanti singole componenti linguistiche, che possono essere più facilmente riferite ai vari modelli teorici di elaborazione del linguaggio. Tale approccio, mutuato dalla psicologia cognitivista, non era all'inizio particolarmente interessato agli aspetti anatomici, considerando il sintomo afasico come uno strumento per costruire e validare un'architettura funzionale dellinguaggio, indipendentemente dalla sede di lesione sottostante. Recentemente, tuttavia, con l'introduzione delle nuove tecniche di neurovisualizzazione, quali la PET e la tMRl, la possibilità di collegare le operazioni delle varie componenti del sistema linguistico a strutture specifiche cerebrali si è notevolmente accresciuta, spostando di nuovo l'interesse dei ricercatori verso la ricerca della basi fisiche dellinguaggio, nella speranza di costruire un modello anatomico il più aderente possibile ai modelli teorici. La PET ha consentito per la prima volta di evidenziare, in soggetti normali, i sistemi anatomici dedicati, attivati da specifiche attività cognitive; più recentemente, con l'introduzione della tMRl, è stato possibile evidenziare, con sorprendente accuratezza anatomica, le modificazioni del flusso sanguigno associate all'attivazione cerebrale durante l'esecuzione di compiti cognitivi.

Sia gli studi PET che quelli fRMl si basano sul metodo della sottrazione, che adotta la logica seguente: l'attività metabolica di una zona anatomica di potenziale interesse viene misurata durante l'esecuzione di un compito cognitivo che coinvolge, fra gli altri, un procedimento specifico, che chiameremo X. Ai dati ottenuti vengono sottratti quelli rilevati durante l'esecuzione di un compito di controllo, programmato in modo tale da condividere con il compito sperimentale tutte le operazioni cognitive, meno quella che si suppone essere svolta dal procedimento X. Sarà così possibile, seppure con qualche limitazione, isolare le regioni anatomiche specificamente attivate dalla manipolazione sperimentale. Tale approccio si basa sull'assunzione del trattamento seriale dell'informazione, per cui l'aggiunta o la sottrazione di una componente cognitiva in occasione di un nuovo compito non interferisce sul funzionamento delle altre operazioni. Da qui la necessità di impiegare una serie di compiti che investigano le differenti componenti di un processo cognitivo (per esempio, comprensione uditiva o scritta), ma che condividono le stesse operazioni di base e prevedono le stesse modalità di presentazione degli stimoli e una maniera di risposta simile.

Nel lavoro che ancor oggi rappresenta il punto di riferimento nel campo, S.E. Petersen e collaboratori (1988) indagarono, mediante PET, quali parti della corteccia cerebrale si attivassero durante i diversi stadi di elaborazione di parole presentate visivamente e per via uditiva. L'esperimento prevedeva una serie di passi, organizzati in via gerarchica, ognuno dei quali veniva confrontato con quello precedente, sottraendo le mappe funzionali ottenute a ogni stadio. La condizione di base, comune per le due modalità di presentazione degli stimoli, consisteva nel fissare un punto su uno schermo televisivo; a questo seguiva una fase di presentazione di parole (nomi) su uno schermo televisivo o attraverso cuffie stereofoniche (fase di elaborazione sensoriale). La fase successiva prevedeva la lettura ad alta voce o la ripetizione di parole, così da indagare la codificazione e la programmazione articolatoria. L'ultima fase, di elaborazione semantica, consisteva nel produrre un verbo semanticamente appropriato al nome che il soggetto vedeva o sentiva. l risultati ottenuti nelle due prime condizioni, sottraendo dal pattem metabolico osservato nella condizione di presentazione passiva quello di controllo, furono abbastanza prevedibili e in accordo con i dati ottenuti dalla clinica: un'attivazione emisferica bilaterale, più marcata a sinistra, della corteccia temporale posteriore e dell' area del cingolo per la modalità uditiva e delle aree occipitali mediali per la presentazione visiva. Un'attivazione bilaterale delle aree frontali opercolari (giro precentrale, area supplementare motoria, area di Broca) e dell' insula è stata ottenuta nei compiti di produzione (ripetizione e lettura). l risultati dell'ultima sottrazione, che richiedeva una elaborazione semantica, comune alle due modalità, furono invece abbastanza inaspettati e di scordanti dall'esperienza clinica: venne riscontrata infatti un'attivazione della zona frontale inferiore sinistra, anteriore all'area di Broca, e di una piccola area del giro del cingolo anteriore. Tale riscontro, tuttavia, è stato successivamente interpretato come dovuto alla 'intenzionalità' del compito, piuttosto che al compito di elaborazione semantica.

fig. 6

Numerosi lavori sono stati dedicati negli anni successivi allo studio di particolari aspetti del processo di elaborazione del linguaggio, prendendo in considerazione sia la modalità di presentazione degli stimoli che la classe semantica degli stessi (fig. 6).

J.R. Binder e collaboratori (1996) hanno riscontrato un'attivazione del planum temporale sinistro in compiti di ascolto passivo sia di parole che di toni puri, mentre un'attivazione delle aree perisilviane nei compiti di analisi fonologica degli stimoli uditivi è stata riportata in diversi studi di vari autori. In particolare, è stata osservata un'attivazione dell' area di Broca, facendo ipotizzare che il processo di decodificazione fonemica avvenga attivando la corrispondente rappresentazione articolatoria. Un'attivazione prefrontale destra è stata invece osservata in compiti di discriminazione tonale.

A livello lessicale, H. Damasio e collaboratori (1996) hanno riscontrato un'attivazione delle aree marginali temporali, non facenti parte delle aree classiche del linguaggio, in un compito di denominazione di volti famosi e di figure corrispondenti a esseri viventi o manufatti.

In particolare, è stata riscontrata un'attivazione bilaterale del polo temporale nei compiti di denominazione di persone, mentre un'attivazione della regione temporale inferiore sinistra è stata riscontrata in compiti di ricerca lessicale per nomi di animale e di una zona contigua, posteriore, per i manufatti. Una neuroanatomia cognitiva sotto stante i processi di lettura è stata disegnata sulla base dei modelli di lettura che prevedono un trattamento sequenziale dell'informazione. Lo studio più recente, realizzato mediante tRMl, è quello di Pugh e collaboratori (1996), in cui si è riscontrata un'attivazione delle aree prestriate (occipitali laterali e inferiori) nei compiti di elaborazione ortografica, quali l'identificazione di lettere. La ricodifica fonologica degli stimoli ha portato a un'attivazione delle zone perisilviane dell'emisfero sinistro. Infine, l'attribuzione del significato alle parole scritte si è accompagnata a un'attivazione delle circonvoluzioni temporali medie e superiori.

In conclusione, seppure con i limiti imposti dall'accumularsi di nuovi dati, per cui un'adeguata riflessione metodologica non è sempre possibile, l'apporto delle nuove tecniche di visualizzazione rappresenta un importante passo nella conoscenza dei rapporti fra cervello e linguaggio. Da un lato queste tecniche hanno confermato, su soggetti normali e con sorprendente precisione, le ipotesi sull'organizzazione anatomo- funzionale derivate dallo studio di pazienti cerebrolesi, dall'altro hanno dimostrato il ruolo specifico di parti diverse della corteccia cerebrale nella elaborazione di aspetti diversi del linguaggio, permettendo di costruire un modello dell'organizzazione neurologica del linguaggio che prevede 'nodi' ben definiti a livello neurale dove l'informazione, elaborata a vari livelli e in luoghi diversi del mantello corticale, viene sintetizzata.

L'afasia: aspetti clinici

L'afasia, o disfasia, è un disturbo della formulazione e comprensione del linguaggio, conseguente a una lesione cerebrale, più spesso focalizzata all'emisfero sinistro, ma talora diffusa, di natura vascolare, traumatica, neoplastica o degenerativa e che si manifesta, in maniera acuta o lentamente progressiva, in persone che prima dell'evento morboso possedevano una normale comunicazione verbale. Tale deficit può colpire tutte le componenti linguistiche, dando luogo a una afasia globale, o essere ristretto a una sola componente funzionale del sistema di produzione o di comprensione del linguaggio (v. tabella l).

Applicando tale definizione non vengono definiti afasici i deficit congeniti di sviluppo di linguaggio, sia isolati che facenti parte di un quadro più generale di ritardo mentale. Né, d'altra parte, vengono considerate di natura afasica le alterazioni del linguaggio che talora si osservano in alcuni casi di psicosi ('l'insalata di parole' del linguaggio schizofrenico) e che rappresentano l'espressione verbale della turba del pensiero. L'afasia, intesa come disturbo specifico dell'uso dellinguaggio, interessa solo gli aspetti centrali della comunicazione linguistica e quindi non possono essere considerati di natma afasica i disturbi di comunicazione da lesione dei meccanismi periferici (articolatori, fonatori e percettivi): non sono quindi di natura afasica i disturbi disartrici che si riscontrano, per esempio, nella malattia di Parkinson, né i disturbi fonatori, né infine i disturbi di comprensione uditiva da sordità periferica.

È utile, infine, sottolineare ancora una volta la specificità dell'afasia come deficit linguistico e non come turba della comunicazione: a parte rarissimi casi, non vi è corrispondenza fra la gravità dei deficit linguistico e comunicativo. Infatti, non solo molto spesso la comunicazione gestuale (mimica, indicazione di oggetti e figure, pantomima) è conservata, ma il paziente, attraverso la conoscenza del contesto, è in grado di produrre e comprendere più di quanto il deficit linguistico faccia prevedere: per esempio, è talora più facile per il paziente comprendere una conversazione, vuoi per il suo contenuto ridondante che per la prevedibilità, che parole isolate presentate in situazione d'esame e la cui comprensione si basa solo sulla decodificazione dei parametri linguistici.

La diagnosi di afasia si basa unicamente sull'esame del linguaggio, la cui accuratezza è fondamentale per definire la natura del deficit linguistico, sia a scopi diagnostici e terapeutici (la logoterapia deve essere centrata sulla natura del deficit afasico) che di ricerca. Gli esami strumentali (TAC, RMN), infatti, servono solo a definire la sede e l'estensione del deficit anatomico sotto stante, ma non aggiungono niente alla conoscenza della natura del deficit linguistico.

Ogni esame dell'afasia, sia alletto del malato che attraverso l'uso di batterie di test standardizzati, si basa sull'esame della produzione e della comprensione uditivo-orale e scritta, allo scopo di valutare dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo la presenza di alterazioni in ognuna delle componenti del linguaggio: la componente fonologica e fonetica, che tratta gli aspetti linguistici dei suoni che vengono usati per comunicare i significati e il loro aspetto fisico, acustico-articolatorio; la componente lessicale, alla base dei processi di comprensione e produzione delle parole; la componente sintattica, attraverso la quale le parole, una volta selezionate, sono ordinate e organizzate secondo le regole specifiche della lingua del parlante.

Si possono così valutare, oltre alla gravità dell'afasia, i deficit delle singole componenti: a tale scopo, si dimostra essenziale l'analisi degli errori, sia di produzione che di comprensione, e delle eventuali dissociazioni nella capacità di elaborazione di stimoli verbali presentati o prodotti in modalità diverse (effetto di modalità) o dipendenti dalla classe grammaticale o semantica dello stimolo (effetto di categoria). Gli errori, infatti, molto raramente sono casuali, ma hanno piuttosto una relazione (fonologica, lessicale, ortografica) con il bersaglio e rappresentano perciò un indizio indispensabile per comprendere in quale punto il complesso sistema per l'elaborazione del linguaggio si sia inceppato.

L'esame della produzione

I disturbi di produzione orale che si osservano in corso di afasia riguardano sia gli aspetti qualitativi che quelli quantitativi e sono influenzati sia dal compito (produzione spontane a, ripetizione, lettura) che dal tipo di enunciato da produrre.

Il fenomeno afasico più frequente, che dimostra in maniera chiarissima quanto il disturbo di produzione non dipenda da un deficit di tipo periferico, è la dissociazione automatico-volontaria (Jackson, 1879): la stessa parola che il paziente non riesce a produrre spontaneamente, o su richiesta dell'esaminatore, viene correttamente pronunciata, magari nel contesto inappropriato. Per esempio può succedere che il paziente non riesca a produrre il nome "Maria", corrispondente a quello della moglie, né a richiesta, né su ripetizione, mentre lo pronuncia chiaramente alla vista della stessa o talora cercando di chiamare un familiare che ha un nome diverso. Analogo è il fenomeno della conservazione del linguaggio seriale: pazienti, la cui produzione è ridotta a uno stereotipo, sono in grado di proseguire la recita di una preghiera, o di una poesia o di una enumerazione iniziata dall' esaminatore.

Un'ulteriore dissociazione è quella fra produzione spontanea e ripetizione: nell'afasia di conduzione la ripetizione è più compromessa della parola spontanea, mentre nelle afasie transcorticali la ripetizione è nettamente migliore sia della produzione spontanea (afasia transcorticale motoria) che della comprensione uditiva (il paziente ripete ma non comprende: afasia transcorticale sensoriale). Bisogna ricordare inoltre che la sintomatologia afasica è variabile: la stessa parola che il paziente ha pronunciato correttamente, può essere inaccessibile pochi secondi dopo.

Si potranno infine osservare dissociazioni fra la ripetizione e la lettura di parole versus non parole o nella produzione di parole a classe aperta e parole a classe chiusa. Ricordo qui che le parole a classe aperta comprendono i nomi, gli aggettivi, i verbi e alcuni avverbi e sono quindi parole ad alto valore semantico (parole contenuto); esse sono così chiamate perché costituiscono un vocabolario in continua modificazione ed espansione (basti pensare ad alcune parole di uso comune solo pochi anni fa e ora scomparse, e ad altre di recente introduzione). Le parole a classe chiusa includono, invece, morfemi grammaticali liberi, quali articoli e preposizioni, verbi ausiliari e morfemi grammaticali legati alle radici, e appartengono a un vocabolario fisso; esse sono anche chiamate parole funzione, in quanto specificano le relazioni fra le parole contenute all'interno della frase o il ruolo che svolgono per determinarne la struttma grammaticale.

Da un punto di vista quantitativo la produzione afasica può essere ridotta (afasie non fluenti), o con fluenza normale o addirittura aumentata (afasie fluenti). Specialmente in fase acuta, alcuni pazienti non riescono a pronunciare alcun suono, mentre per altri la produzione è costituita solo da uno stereotipo ricorrente, per esempio "tan-tan" (Broca, 1861). In genere i pazienti a fluenza ridotta presentano anche disturbi nell'articolazione e nell'uso della sintassi, come tipicamente si osserva nella cosiddetta afasia di Broca o nell'afasia globale, mentre un'afasia fluente si associa a errori lessi cali e a un quadro di paragrammatismo.

Da un punto di vista qualitativo, si distinguono deficit fonetici, morfofonologici, lessicali e sintattici. Gli errori a livello fonetico-articolatorio sono caratterizzati dalla emissione di suoni distorti (parafasie fonetiche), talora non appartenenti alla lingua del parlante, fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla incapacità assoluta di produrre suoni articolati, denominata sindrome di disintegrazione fonetica (Alajouanine et al., 1939).

tab. 2

A livello fonologico gli errori (parafasie fonologiche o fonemiche) sono costituiti da omissioni, sostituzioni, trasposizioni, aggiunte o ripetizioni di una o più sillabe all'interno della parola che il parlante intende produrre (parola bersaglio). Talora, se la sostituzione coinvolge un solo fonema, è possibile risalire alla parola voluta, in altri casi, invece, quando si sommano più errori, si arriva a un neologismo. Una produzione fluente composta solo da neologismi viene definita gergo fonemico o neologistico. In alcuni casi, specialmente in corso di afasia di conduzione, il paziente, conscio dei suoi errori e nel tentativo di correggersi, adotta una conduite d'approche fonemica, producendo una serie di successive approssimazioni al suono voluto (tab. 2).

Associati agli errori fonologici, o talora isolati, possono evidenziarsi errori morfologici, caratterizzati da sostituzioni od omissioni della parte flessa delle parole (per esempio, "libro"/"libri") ed errori sintattici, che possono essere di tipo agrammatico o paragrammatico.

L'agrammatismo è un disturbo di produzione dellinguaggio che compare più frequentemente nel corso di una afasia non fluente e che è caratterizzato da una difficoltà selettiva a produrre preposizioni, verbi ausiliari e congiunzioni. Nella sua produzione il paziente agrammatico tende a omettere gli articoli e spesso si nota una difficoltà selettiva a produrre i verbi, rispetto ai nomi. l verbi, inoltre, sono spesso pronunciati all'infinito, tanto che il linguaggio agrammatico è stato paragonato al linguaggio telegrafico. Di contro, il paragrammatismo si osserva solo nelle afasie fluenti ed è caratterizzato dalla presenza di costruzioni sintattiche che non sono coerenti con il resto dell' enunciato e in cui spesso si riscontrano scambi di posizione fra nome e verbo.

A livello lessicale, si potranno osservare anomie (il paziente non riesce a recuperare dal lessico mentale la parola), circonlocuzioni (il paziente descrive la funzione dell'oggetto che non riesce a denominare, per esempio, "bere" per "bicchiere"), sostituzioni di una parola con un'altra (parafasie verbali), spesso semanticamente legata alla parola bersaglio (parafasia semantica). Una produzione composta prevalentemente da parafasie verbali viene definita gergo semantico.

I disturbi di comprensione

Disturbi di comprensione del linguaggio parlato si possono osservare a livello fonologico, lessicale e sintattico nella maggioranza dei pazienti afasici.

Nonostante la grande frequenza con cui nell'afasia viene colpito il processo di identificazione dei fonemi, sono molto rari i casi in cui il deficit di comprensione possa essere riconducibile a un disturbo uditivo centrale. Nella maggior parte dei casi il deficit di comprensione è dovuto a una incapacità ad attivare la rappresentazione semantico-lessicale corrispondente alla parola percepita. Tale ipotesi viene confermata dagli errori del paziente, che solo in una minoranza dei casi sono di tipo acustico (per esempio, richiesto di indicare la figura di un cane in condizioni di scelta multipla, il paziente indica un pane), mentre più spesso sono di natura semantica (nel caso di cui sopra indicherà un gatto).

All'interno dei deficit di comprensione, di particolare interesse appaiono i deficit o i risparmi selettivi per una categoria semantica, che sono stati interpretati come prova di una organizzazione categoriale del lessico.

A livello di frase, il peso nel processo di comprensione della componente sintattica sarà tanto maggiore quanto minore è, nella frase, il contributo fornito dal contesto o dalla conoscenza enciclopedica. Così, per esempio, saranno più difficili da comprendere, a parità di altre condizioni (lunghezza della frase, frequenza lessicale), le frasi semanticamente reversibili, in cui la relazione di reversibilità semantica è segnata dall'ordine delle parole. Per frasi semanticamente reversibili si intendono le frasi per la cui comprensione i ruoli grammaticali siano preminenti sui ruoli semantici: così, la frase "la casa è dietro l'albero" è semanticamente reversibile, in quanto è altrettanto probabile dal punto di vista semantico che l'albero sia davanti o dietro la casa. Al contrario, una frase come "il cane corre dietro alla lepre" è semanticamente irreversibile, in quanto è altamente improbabile che una lepre rnsegua un cane.

L'organizzazione del lessico: dati neuropsicologici

La componente linguistica che si sviluppa più precocemente e di maggior uso è quella lessicale. Il lessico è formato dall'insieme delle conoscenze intorno alle parole che gli utenti di una certa lingua possiedono e di cui si servono durante l'uso del linguaggio (lessico mentale). Attraverso una serie di meccanismi di elaborazione dell'informazione è possibile produrre in forma scritta o parlata la sequenza di segni o suoni corrispondente a un oggetto correttamente percepito o a un concetto che si voglia esprimere. D'altra parte, il lessico mette in relazione un segnale linguistico esterno (acustico o grafico) con la corrispondente rappresentazione fonologica od ortografica astratta per accedere successivamente al significato.

La maggior parte dei modelli psicolinguistici postula che il sistema semantico-lessicale sia organizzato in maniera multicomponenziale, con almeno due livelli di elaborazione: uno semantico, nel quale si recupera il significato, e uno mediante il quale si arriva a trasformare in suoni e segni grafici intenzioni e concetti (Butterwoth, 1989). La componente semantica immagazzina l'informazione relativa alla conoscenza delle singole parole, "del loro significato e dei referenti, delle relazioni reciproche' delle regole, formule e algoritmi per la manipolazione di quei simboli, concetti e relazioni" (Tulving, 1972). La semantica verbale fa parte, a sua volta, di un sistema più vasto che comprende la conoscenza enciclopedica (per esempio, sapere come comportarsi al ristorante) o più in generale fa parte della semiotica o scienza dei segni (indici, simboli, icone).

fig. 7

A sua volta anche il lessico viene considerato come un sistema multicomponenziale di tipo distribuito. Esso consiste di sistemi indipendenti di entrata (input) e uscita (output), con una ulteriore specificazione in sotto componenti fonologiche e ortografiche (fig. 7). Il lessico fonologico fa parte dei sistemi di memoria a lungo termine, dove vengono depositate le forme fonologiche delle parole conosciute per averle udite o articolate. Analogamente, il lessico ortografico può essere concepito come un magazzino visivo a lungo termine dove è contenuta la rappresentazione ortografica delle parole lette o scritte in precedenza (v. oltre). l lessici di uscita sono infine connessi con sistemi di memoria a lungo termine, i buffer fonologici e ortografici, che mantengono le rappresentazioni astratte per tutto il tempo necessario alla produzione orale o scritta.

fig. 8

W.J.M. Levelt (1989) ha proposto l'esistenza di un livello intermedio fra rappresentazione concettuale e forma fonologica od ortografica, rappresentato dal lemma (fig. 8): esso può essere definito come una rappresentazione lessicale astratta, non legata a una forma specifica (fonologica od ortografica) del significato e della classe sintattica della parola voluta. Si genera così una struttura superficiale che, attraverso la codifica fonologica, acquisisce una forma lessicale che specifica la composizione interna delle parole (lessema), sul piano sia morfologico che fonologico. A livello morfologico le parole, specialmente quelle a classe aperta, sono composte dai morfemi, quali la radice, i prefissi o i suffissi. Per esempio, la parola "casa" è scomponibile in un morfema lessicale "cas", che significa abitazione, e nel morfema grammaticale "a", che corrisponde al genere femminile singolare. Analogamente la parola "barista" è formata dalla radice lessicale "bar" (luogo di ristoro), dall' affisso legato "ist" che denota la persona addetta alla conduzione e infine da "a", per significare che si tratta di una persona sola. A livello fonologico, invece, le parole sono costituite da sillabe, che a loro volte possono essere segmentate in fonemi. l fonemi possono essere definiti come le unità minime sonore in grado di cambiare il significato delle parole. In italiano, per esempio, c e p sono prodotti e percepiti come differenti fonemi in quanto determinano la differenza fra parole come "cane" e "pane", "conte" e "ponte", "costa" e "posta". l fonemi, a loro volta, sono scomponibili in tratti o caratteristiche distintive che dipendono dai modi e dai luoghi di articolazione e dalla presenza o assenza di vibrazione delle corde vocali.

Se un parlante vuole esprimere in parole il concetto di uno che corre, recupererà, allo stadio di lemma, l'informazione lessicale "corre", cui corrisponde il concetto di spostarsi velocemente da un punto all'altro; esprimendo un'azione, la forma sintattica corretta sarà necessariamente un verbo. A livello di lessema, invece, vengono specificate sia la rappresentazione fonologica per ogni parola che si vuole pronunciare (struttura sillabica, contenuto delle sillabe in consonanti e vocali, posizione dell' accento) sia i morfemi costituenti, quali radici, suffissi, affissi. Sarà possibile così specificare che chi corre è una sola persona, di genere maschile o femminile. A livello fonetico, infine, verrà impostato il piano articolatorio che regola i movimenti degli organi necessari alla emissione della sequenza dei suoni del linguaggio da parte dell' apparato pneumo-oro- faringo-laringeo.

La neuropsicologia non solo ha permesso di validare in vivo la sostanziale esattezza dei modelli esposti, ma ha fornito dati essenziali per la conoscenza della struttura delle singole componenti alla base del processo di produzione delle parole e, infine, per postulare una base anatomica del sistema lessicale. Ciò è stato possibile grazie allo studio dei deficit, talora altamente selettivi, che si osservano in seguito a danno cerebrale.

Nonostante la sua apparente semplicità, il processo di denominazione frequentemente si inceppa sia nei parlanti normali con anomie (per esempio "passami il...coso") e lapsus, sia più frequentemente in corso di afasia in cui i disturbi lessicali, sia negativi (anomie) che positivi (parafasie, neologismi), sono in assoluto i più frequenti, indipendentemente dal tipo di afasia. L' anomia può presentarsi come il sintomo iniziale di un'afasia o, al contrario, essere il disturbo residuo nel corso del processo di recupero spontaneo o guidato dalla terapia.

L'analisi delle parafasie e dei sintomi associati permette non solo di determinarne il luogo d'origine, se a livello di rappresentazione centrale o di lessico fonologico di uscita, ma anche di trarre utili inferenze sull'organizzazione interna delle varie componenti del sistema. Raramente infatti le parafasie sono casuali, ma riflettono piuttosto le relazioni di significato o di suono con la parola voluta.

Validità del modello

Il riscontro sperimentale dell'esistenza di componenti distinte nel processo di elaborazione lessicale deriva dall' osservazione di pazienti (casi singoli e studi di gruppo) che dimostrano prestazioni dissociate in prove mirate a indagare separatamente il funzionamento delle varie componenti.

G. Gainotti e collaboratori (1986) sottoposero un gruppo di pazienti afasici a una prova di comprensione e denominazione di figure. La prova di comprensione consisteva nell'indicare, fra quattro figure alternative, quella corrispondente alla parola pronunciata dall'esaminatore. Le rimanenti tre figure corrispondevano a una parola simile per significato o per suono alla parola test.

Alcuni pazienti dimostrarono una netta dissociazione fra comprensione (intatta) e denominazione (compromessa), mentre in altri gli errori di comprensione si correlavano, da un punto di vista sia qualitativo che quantitativo, con i risultati del test di denominazione, dimostrando in entrambe le prove un deficit semantico. Per esempio, associavano la parola "cane" con la figura del "gatto"; analogamente, in denominazione la figura del "cane" evocava la parola "gatto" o "volpe". Al contrario, nei pazienti con buona comprensione, gli errori di produzione riflettevano piuttosto una incapacità a evocare la forma fonologica corretta, difficoltà che veniva superata se l'esaminatore suggeriva il fonema iniziale.

L'indipendenza dei lessici fonologici e ortografici è stata dimostrata, come si vedrà in seguito, dalla prestazione dissociata di alcuni pazienti in compiti di comprensione e produzione scritta e orale.

Il passo successivo alla dimostrazione dell'architettura multifunzionale del lessico consiste nel descriverne l'organizzazione interna delle singole componenti. L'evidenza empirica fornita dalla neuropsicologia si basa essenzialmente sullo studio delle variabili che influenzano, nei pazienti afasici, la prestazione di ciascuna componente. In particolare si è affrontato il problema del modo in cui le parole sono rappresentate singolarmente e raggruppate all'interno del lessico.

L'analisi della struttura interna delle parole (la morfologia) permette di classificare le parole in semplici e complesse: come già detto sopra, le parole a classe chiusa hanno una struttura semplice, non scomponibile, mentre le parole a classe aperta possono essere scomposte in più parti (morfemi). Secondo una prima teoria, basata sul principio di economia, i morfemi lessi cali sono elaborati separatamente da quelli grammaticali, mentre secondo la teoria unitaria ogni parola è analizzata e immagazzinata nel lessico mentale come un tutt'uno, indipendentemente dall'esistenza di forme analoghe (Butterwoth, 1989). L'esame degli errori compiuti da pazienti afasici in compiti di produzione sia libera che obbligata (lettura, scrittura, ripetizione) depone a favore di una indipendenza fra processi di elaborazione delle radici lessicali e degli affissi. Per esempio, "libro" e "giocavamo" diventano "libri" e "giochiamo". Al contrario, sono stati descritti pazienti che producevano neologismi, composti da radici lessicali neologistiche e derivazioni vere.

Frequenza d'uso

L'ipotesi che il lessico sia organizzato secondo i principi della frequenza lessicale, con accesso facilitato per le parole di uso più frequente, deriva da una serie di studi che hanno dimostrato come negli afasici, analogamente ai parlanti normali, la frequenza lessicale influenzi positivamente sia la denominazione che la comprensione di parole. A parità di frequenza d'uso, inoltre, le parole apprese durante lo sviluppo hanno una rappresentazione più robusta all'interno dei lessici fonologici e ortografici e sono meno vulnerabili in caso di danno cerebrale.

Modalità sensoriale

Un deficit di denominazione legato a una specifica modalità di presentazione dello stimolo o di produzione della risposta è stato descritto in un numero molto ridotto di pazienti: la grande maggioranza degli afasici, infatti, presenta un disturbo di denominazione indipendente dalla modalità di presentazione. Così, per esempio, il paziente J.F. (Beauvois, 1982), la cui percezione visiva era normale, non riusciva a denominare, pur riconoscendoli, oggetti presentati attraverso la modalità visiva, figure, colori e visi di persone note (afasia ottica). Di contro, denominava perfettamente oggetti di cui gli veniva fornita la descrizione o che esplorava attraverso il tatto. Accanto all'afasia ottica, sono stati descritti casi di afasia tattile, o di deficit di denominazione per suoni significativi non verbali.

Complementare al deficit anomico legato alla modalità di presentazione è la difficoltà selettiva per la modalità di risposta. Per esempio, A. Caramazza e A.E. Hillis (1991) hanno descritto pazienti che presentavano una dissociazione significativa fra la capacità di denominazione orale e scritta. L'interpretazione classica, di tipo neuroanatomico, considera le afasie specifiche per modalità come esempi di dissociazione intraemisferica o interemisferica (Geschwind, 1965), dovute a una interruzione delle connessioni anatomiche fra le aree specifiche deputate all'analisi e al riconoscimento dello stimolo (aree visive, tattili) e quelle specifiche per la conoscenza verbale.

Secondo una prospettiva modulare, indipendente da ogni implementazione anatomica, le afasie specifiche per modalità possono essere interpretate come la conseguenza di una impossibilità ad accedere al sistema semantico da parte di informazioni provenienti da uno specifico sistema di riconoscimento o, per i deficit dissociati di risposta, di una incapacità selettiva di attivazione del lessico fonologico od ortografico (v. figura 7).

fig. 9

Un'interpretazione alternativa e con importanti valenze teoriche è quella di considerare tali afasie come evidenza sperimentale dell' esistenza di sistemi semantici multipli (fig. 9), alcuni per l'attribuzione del significato a stimoli visivi non verbali, presentati sotto modalità diverse (visive, tattili, acustiche), uno specifico per la semantica verbale, che si attiva in compiti di denominazione. Il modello postula infine una connessione fra i due sistemi, per cui l'anomia ottica può essere intepretata come un esempio di disconnessione fra semantica visiva e semantica verbale (Shallice, 1988). L'ipotesi dei sistemi semantici multipli è stata confutata da più autori, anche perché contraria al principio di economia, favorevole all'esistenza di un magazzino semantico unico accanto a sistemi di riconoscimento percettivo, specifici per modalità e presemantici.

L'organizzazione categoriale del lessico

tab. 3

L'ipotesi che il sistema lessicale sia organizzato in maniera categoriale deriva sia da una serie di osservazioni cliniche di deficit o risparmi selettivi ristrette ad alcune categorie, grammaticali o semantiche (tab. 3), sia da recenti studi su soggetti normali, che hanno dimostrato, mediante PET, attivazioni metaboliche di luoghi cerebrali diversi durante il processamento di stimoli appartenenti a categorie semantiche diverse.

Si deve a E.K. Warrington (1975) la prima analisi dettagliata di un disturbo di elaborazione del linguaggio limitato a una sola categoria semantica, quella definita dalle parole concrete. Per esempio, il paziente A.B. aveva dimenticato il significato di parole come "mais" o "alligatore", mentre non aveva alcuna difficoltà per parole come "supplica" o "provvedere" .

Negli anni successivi le descrizioni di deficit specifici ristretti a particolari categorie semantiche (dai colori ai nomi propri) si sono moltiplicate. La più conosciuta è quella per le categorie biologiche naturali (animali, vegetali, cibi), per quanto riguarda sia il processo di denominazione che quello di comprensione: lo stesso paziente che conosceva il significato di parole come "torcia" o "elicottero", aveva dimenticato cosa significassero "cammello" o "cigno". La dissociazione opposta è stata ugualmente descritta (McCarthy e Warrington, 1990), sebbene con minor frequenza, escludendo quindi che alla base delle dissociazioni ci sia una difficoltà più generale di elaborazione degli stimoli. Non tutti gli autori considerano tali dati come prova di un'organizzazione categoriale della conoscenza e del lessico. Per esempio, le categorie biologiche non sarebbero rappresentate distintamente dagli esseri inanimati nel sistema semantico, ma la dissociazione sarebbe dovuta piuttosto al diverso modo attraverso il quale è avvenuta la codificazione: in termini di attributi sensoriali per gli esseri viventi, di attributi funzionali per gli arte fatti. Così, la caratteristica distintiva della zebra fra i quadrupedi è la pelle a strisce, mentre il tratto distintivo del cacciavite è la sua funzione, indipendentemente da caratteristiche percettive, quali il colore o la forma del manico.

Un ulteriore esempio di organizzazione categoriale del lessico è quello riguardante il rapporto fra nomi e verbi: mentre alcuni pazienti, generalmente affetti da afasia di tipo Broca, dimostrano un relativo risparmio per i nomi rispetto ai verbi, in altri il lessico dei verbi è significativamente migliore di quello dei nomi.

L'ipotesi che l'organizzazione categoriale del lessico sia sostenuta da differenti luoghi anatomici, per cui la rappresentazione concettuale e la forma fonologica di parole appartenenti a categorie semantiche o grammaticali (verbi-nomi) diverse hanno differenti rappresentazioni anatomiche, è stata, come detto sopra, recentemente sostenuta da Damasio e collaboratori (1996). Per esempio, la rappresentazione concettuale di un fiore comprende attributi visivi (forma, colore), olfattivi (profumo) o legati a specifiche circostanze (luogo e tempo dove si è colto il fiore), ecc. È probabile che gli attributi sensoriali siano depositati nelle cortecce sensoriali specifiche (visiva, olfattiva, ecc.), poste nella parte posteriore degli emisferi, da dove vengono richiamate e assemblate nelle zone di convergenza. Al contrario, i concetti denotati dai verbi, che rappresentano azioni o spostamenti nel tempo o nello spazio, hanno la loro rappresentazione fisica in un circuito neuronale che comprende le regioni premotorie e prefrontali dove sono rappresentati gli aspetti sensorio-motori del moto.

Secondo questo schema, quindi, non appare strano che una lesione delle parti anteriori della corteccia sinistra, per esempio in corso di afasia di Broca, provochi un deficit lessicale specifico per i verbi, mentre un deficit lessicale specifico per i nomi sia conseguente in genere a una lesione retrorolandica.

Neuropsicologia di lettura e scrittura

l dati ricavati dallo studio dei pazienti affetti da disturbi acquisiti di lettura (dislessia) o scrittura (disgrafia), oltre a fornire un contributo unico alla conoscenza delle basi neurali di tali funzioni, hanno contribuito, come in nessun'altra branca della psicologia, a costruire e validare la loro architettura funzionale.

Fin dalle prime osservazioni di J. Déjerine (1892) è stato possibile trarre alcune conclusioni: l) i meccanismi di elaborazione del linguaggio scritto sono diversi, sia dal punto di vista anatomico che funzionale, da quelli che sottendono il linguaggio parlato: sono stati infatti descritti numerosi pazienti alessici e agrafici nei quali la produzione e la comprensione del linguaggio erano nella norma; 2) le basi neurologiche della lettura sono diverse da quelle della scrittura: è stato infatti più volte descritto sia un quadro di alessia pura (il paziente scrive correttamente, senza essere successivamente in grado di leggere) sia uno di agrafia pura (il paziente non riesce a recuperare l'ortografia corretta di parole che ripete e legge correttamente); 3) i processi sotto stanti alla lettura ad alta voce sono in parte indipendenti da quelli necessari per comprendere una parola scritta.

fig. 10

Il primo modello neurologico di lettura e scrittura, non sostenuto tuttavia da una solida evidenza sperimentale, fu quello proposto da J.-M. Charcot (1883): in analogia al centro della memoria delle parole articolate (area di Broca), Charcot postulò l'esistenza, alla base della seconda circonvoluzione frontale di sinistra, di un'area specifica per la rappresentazione grafica (fig. 10), la cui lesione avrebbe causato una "afasia motoria della mano", consistente nella perdita dei movimenti specifici necessari per la realizzazione dei grafemi.

fig. 11

Pochi anni dopo Déjerine (1892) sviluppò, sulla base dell'evidenza anatomo-clinica, un modello neurologico di elaborazione del linguaggio scritto di grande rilevanza clinica e la cui validità venne confermata negli anni successivi (fig. 11). Déjerine ipotizzò che il riconoscimento sia di singole lettere che di parole avvenisse attraverso le connessioni tra i centri visivi e il centro della memoria visiva, a livello della circonvoluzione angolare. La comprensione della lettura è possibile mediante un processo di conversione dell'immagine visiva della parola nella corrispondente immagine uditiva; la lettura ad alta voce, invece, si verifica attraverso una connessione diretta tra il centro delle immagini visive e il centro motorio dell'articolazione della parola. Il processo di scrittura segue la via opposta, anche se meno diretta: l'immagine uditiva attiva la corrispondente rappresentazione articolatoria, che a sua volta, attraverso la mediazione con il centro visivo, attiva il centro motorio, così da produrre il pattem grafico corrispondente. Il processo di base per l'elaborazione del linguaggio scritto consiste quindi nella mediazione fonologica: le parole scritte devono necessariamente essere decomposte nei costituenti (grafemi), che a loro volta sono trasformati in fonemi; una volta compiuta tale operazione, i singoli fonemi vengono assemblati per ottenere la forma fonologica astratta corrispondente alla parola, che sarà poi tradotta nel piano articolatorio per essere realizzata. Il processo inverso avverrà ovviamente per la scrittura.

Tale modello tuttavia fu in seguito sottoposto a diverse critiche perché non teneva conto da un lato del fatto che alcuni sistemi ortografici non si basano sulla transcodificazione grafema-fonema, dall'altro che gli errori compiuti da alcuni pazienti dislessici o disgrafici non potevano essere interpretati sulla base di un deficit di mediazione fonologica. Diverse sono le possibilità di rappresentare graficamente i suoni del linguaggio. Nel sistema ideo grafico, usato in Cina e in parte in Giappone (kanji), il suono e il significato delle parole sono rappresentati da simboli; in realtà, anche in cinese, la lettura si basa su costituenti ortografici ben definiti, costituiti da pattem ricorrenti. Nel sistema sillabico, come nel kana giapponese, a ogni sillaba corrisponde una rappresentazione grafica; nel sistema alfabetico, infine, a ogni grafema corrisponde un fonema. Tale corrispondenza è costante in alcune lingue, come il serbocroato, per cui è possibile, applicando semplici regole di conversione scritto-suono con corrispondenza costante fra suono e lettera sia per le vocali che per le consonanti, ricavare la corretta fonologia od ortografia per qualunque stringa di grafemi o fonemi. Si parla in questo caso di ortografia trasparente. Per altre lingue invece, come il francese o l'inglese, non solo esistono diverse maniere di rappresentare lo stesso suono (per esempio, in francese, au, aux, eau, eaux corrIspondono all'unico fonema o), ma, accanto a parole regolari (in cui la corretta pronuncia si ricava applicando le regole di conversione), esiste un notevole numero di parole per le quali la pronuncia viene ricavata lessicalmente (parole irregolari): così il grafema (int) viene pronunciato in inglese int nelle parole mint, hint, flint, ma aint nella parola pint; in questo caso, quindi, solo la precedente conoscenza visiva della parola permette di ottenere la fonologia o l'ortografia corretta. Ortografie di questo tipo sono dette opache.

Tradizionalmente l'ortografia italiana è considerata trasparente, in quanto la maggioranza delle parole d'uso corrente possono essere lette e scritte correttamente, attraverso l'uso delle regole di conversione. A un'analisi più accurata, tuttavia, si nota come l'italiano, a somiglianza delle altre lingue europee, usa una via lessicale: l'assegnazione corretta durante la lettura dell'accento tonico in molte parole trisillabiche è possibile solo lessicalmente. Per esempio la parola "merito" viene letta "mèrito" e non "merito", mentre "marito" viene letta "marito" e non "màrito".

Analogamente per la scrittura sono frequenti le parole che vengono scritte correttamente usando la via lessicale: a parte i prestiti da lingue straniere (blue jeans, computer, ecc.) basti pensare a parole come "cuoco" o "quota", dove la sillaba [kwɔ] assume grafie diverse, o le sillabe [tʃɛ] o [dʒɛ], che in alcuni casi vengono trascritte (cie) o (gie) (cielo, igiene invece di celo o igene).

fig. 12

Alla fine degli anni Sessanta l'accurato esame degli errori compiuto da alcuni pazienti dislessici e la contemporanea dimostrazione che la residua capacità di lettura poteva essere influenzata da fattori quali la classe grammaticale o semantica delle parole non solo permisero una nuova classificazione delle dislessie, ma consentirono la costruzione di un nuovo modello per la lettura. J.C. Marshall e F. Newcombe (1966) descrissero infatti un paziente che presentava una dissociazione fra una capacità abbastanza conservata di lettura di parole concrete (quali per esempio, sale, penna, giacca), mentre non era in grado di leggere parole astratte o appartenenti a categorie diverse quali preposizioni, congiunzioni e soprattutto stringhe di lettere prive di significato (non parole, quali, per esempio, "rillo" o "strazievi"). Altrettanto sorprendente era il tipo di errori, che non riflettevano una difettosa applicazione delle regole di conversione scritto-suono, ma erano di tipo semantico: per esempio, la parola speak (parlare) veniva letta talk, il cui significato è in gran parte coincidente. Questo tipo di errore venne chiamato paralessia semantica mentre dislessia profonda fu detto il complesso sintomatologico caratterizzato da paralessie semantiche e incapacità a leggere non parole. Nello stesso lavoro vennero descritti altri due pazienti dislessici, il cui deficit era caratterizzato da una incapacità di leggere correttamente parole irregolari, come, rifacendosi all'esempio sopracitato pint, che veniva letto pint (dislessia di superficie). Sulla base di questi dati, Marshall e Newcombe, e successivamente altri autori, proposero che la lettura ad alta voce avvenisse mediante l'attivazione di due procedure funzionalmente distinte (fig. 12). La prima, di tipo lessicale, per cui parole familiari e ad alto contenuto semantico sono in grado di attivare la rappresentazione corrispondente precedentemente immagazzinata (la forma della parola) che, a sua volta, attiva il significato e il suono corrispondente. La seconda procedura, di tipo non lessicale ma fonologico, consente di accedere alla fonologia mediante una conoscenza generale relativa a regole in grado di specificare le corrispondenze fra segmenti ortografici e segmenti fonologici. La via semantica, la più usata dai lettori esperti, permette la lettura corretta di parole conosciute e per le quali la corretta pronuncia non si può ricavare attraverso le regole di transcodificazione. In italiano, come detto sopra, non esistono parole irregolari, ma ugualmente la via semantica è usata per leggere parole in cui l'accento è determinato lessicalmente.

Le rappresentazioni ortografiche, semantiche e fonologiche relative alle parole scritte sono funzionalmente separate e immagazzinate rispettivamente in un lessico di entrata visivo, in un sistema semantico e in un lessico fonologico di uscita.

Nel lessico di entrata visivo sono depositate le unità di riconoscimento per le parole divenute familiari al lettore, per cui è possibile riconoscere se una stringa di lettere corrisponda a una parola conosciuta. Tali unità vengono attivate dalle informazioni provenienti da un sistema di identificazione astratta di lettere, che ne permette l'identificazione, indipendentemente dalle diverse caratteristiche visive (maiuscolo, minuscolo, stampatello, corsivo). Nel sistema semantico è immagazzinata la rappresentazione del significato, mentre infine nel lessico di uscita fonologico sono rappresentate le rappresentazioni fonologiche astratte. L'osservazione di pazienti che riuscivano a leggere correttamente parole irregolari di cui avevano perso il significato ha fatto ipotizzare l' esistenza di una via diretta di accesso dal lessico di entrata visivo al lessico fonologico di uscita, senza il passaggio attraverso uno stadio di accesso al significato. Infine, l'ultima componente del modello consiste in un magazzino temporaneo (buffer fonologico) che mantiene le informazioni provenienti dalla via lessicale o fono logica per il tempo necessario per programmare il piano articolatorio.

La realtà psicologica del modello è confermata dai dati raccolti in pazienti affetti da dislessia acquisita. Sono stati infatti descritti deficit selettivi per la lettura di non parole come dovuti a una lesione della via non lessicale (dislessia fonologica), errori di regolarizzazione in pazienti anglofoni o errori di accento in pazienti italiani ("Padova" veniva letto "Padòva") come causati da lesione della via lessicale (dislessia di superficie); infine, la dislessia profonda è stata interpretata associandola a un deficit della via fonologica sublessicale con conseguente incapacità a leggere le non parole, congiunto a un deficit parziale della via semantica, che porta a una difficoltà a recuperare la rappresentazione semantica o fonologica esatta della parola letta. Esiste inoltre una forma di dislessia caratterizzata da una grande lentezza di lettura: le lettere componenti le parole sono correttamente identificate e denominate l'una dopo l'altra, ma il paziente ha una enorme difficoltà a costruire, dagli elementi costituenti una stringa di lettere, una unità coerente, la 'forma della parola'. Il più delle volte tale forma di dislessia si presenta in forma pura, non accompagnata cioè da disturbi di scrittura o del linguaggio parlato (alessia pura).

fig. 13

Anche per la scrittura, sulla base di osservazioni cliniche, si è ipotizzato un modello a doppio accesso, che permette di ricavare l'ortografia attraverso l'applicazione delle procedure lessicale o fonologica (fig. 13).

fig. 14

La prima permette di scrivere parole conosciute che hanno una rappresentazione nel lessico grafemico d'uscita e per le quali non è possibile ricavare la corretta ortografia attraverso le regole di transcodificazione (si pensi, per esempio, ai prestiti da lingue straniere tipo blue jeans o toilette), mentre parole sconosciute e non parole vengono scritte applicando le regole di conversione fonema-grafema. Lo stadio finale è rappresentato da un magazzino d'uscita (buffer grafemico) che trattiene le rappresentazioni ortografiche astratte degli stimoli che devono essere scritti, prima che venga specificato l'esatto programma motorio per la loro attuazione. Nel buffer grafemico vengono immagazzinate temporaneamente le informazioni riguardanti le lettere che compongono la parola, il loro ordine seriale, lo status consonante-vocale, l'eventuale raddoppiamento di una lettera costituente. Disturbi a livello di buffer grafemico possono portare a omissioni e trasposizioni di lettere, a omissione selettiva delle vocali o a una perseverazione nella scrittura di geminate ("corteccia", scritta "cortecciia"). Il programma motorio, infine, non solo specifica i singoli tratti necessari, ma anche il carattere usato (minuscolo o maiuscolo). Disturbi a questo livello porteranno, per esempio, a errori di sostituzione minuscolo-maiuscolo (fig. 14).

La dislessia evolutiva

Vi è una sostanziale uniformità di opinioni fra gli psicologi nel considerare il processo di apprendimento della lettura come costituito da una sequenza di acquisizione di nuove procedure, con lo scopo finale di rendere il processo sempre più rapido ed efficace.

Nella prima fase, logografica, il bambino impara a riconoscere alcune parole scritte e ad associarle al suono e al significato corrispondenti. Tale processo, di tipo associativo, non implica la conoscenza del sistema alfabetico e non sarebbe basato sul suono. Lo stadio successivo, alfabetico, è caratterizzato dall'apprendimento delle regole di conversione grafema-fonema, mentre la fase seguente, ortografica, permette l'acquisizione di una procedura lessicale diretta, fondata sul riconoscimento analitico di unità ortografiche astratte, di dimensioni varianti dai morfemi a singole parole, che non devono essere ricodificate fonologicamente.

Disturbi di apprendimento della lettura possono essere conseguenti sia a deficit periferici (per esempio, dell'acuità visiva) che a un ritardo mentale globale, o presentarsi isolatamente. In quest'ultimo caso si parla di dislessia evolutiva, intesa come un disturbo dell'apprendimento della lettura, in assenza di deficit intellettivi, neurologici e sensoriali e in presenza di istruzione e condizioni socio-culturali adeguate. Il quadro, la cui gravità può variare, sembra essere più frequente nel sesso maschile e nei paesi a ortografia opaca, rispetto ai paesi a ortografia trasparente. Il disturbo può permanere per tutto l'arco della vita, non impedendo in alcuni casi di raggiungere un'educazione a livello universitario. Nella maggior parte dei casi la dislessia evolutiva è familiare. Per alcuni autori la dislessia evolutiva è sostenuta da un disturbo della codifica fonemica, mentre altri, adottando un approccio di tipo cognitivista, hanno descritto diversi tipi di dislessia evolutiva, in analogia ai disturbi acquisiti della lettura previsti dal modello a due vie.

A livello neuroanatomico sono state infine descritte alcune variazioni strutturali (perdita della normale asimmetria destra-sinistra del planum temporale, microdisgenesie, con ectopie e displasie in regione perisilviana) che suggeriscono la presenza nei dislessici di una organizzazione cerebrale atipica, con conseguente difficoltà a stabilire un'efficace rete di connessioni neuronali necessaria per l'acquisizione della lettura.

Ringraziamenti

Ringrazio Anna Basso per i suoi validi suggerimenti. Sono inoltre affettuosamente grato a Jee Yun Cappelletti e a Matteo Signorini per il paziente lavoro di revisione.

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