NEVE

Enciclopedia Italiana (1934)

NEVE

Filippo Eredia

. Si chiama con tale nome la precipitazione, allo stato solido, del vapore d'acqua diffuso nell'atmosfera, il quale si condensa a un temperatura inferiore a quella di 0°. Condizione principale acciocché si formi la neve è che la condensazione avvenga lentamente e progressivamente, perché in tali condizioni vengono a formarsi dei cristalli più o meno regolari. La neve cade, sia sotto forma di cristalli agglomerati, più o meno deformati, sia sotto forma di aghi prismatici isolati, lunghi e sottili. La forma più frequente dei cristalli di neve è quella di una stella i cui raggi sono sviluppati in un piano. Lo studio microscopico e microfotografico dei diversi cristalli di neve, che cristallizza nel sistema esagonale, ha condotto alla seguente classificazione: cristalli di neve piatti, nei quali le facce sono sviluppate secondo il piano passante per gli assi orizzontali, con un asse verticale molto piccolo; cristalli di neve prismatici, che sono sviluppati in modo sensibilmente uguale secondo i quattro assi del sistema esagonale. Talvolta i cristalli di neve sono lageniformi e contengono nell'interno dell'acqua allo stato di surfusione e bollicine di aria.

Le misurazioni della grandezza effettiva dei cristalli hanno condotto a determinazioni diverse. Sono frequenti per le stelle a raggi dei diametri intorno a 2 mm.; mentre nei cristalli a nucleo e ad aghi ramificati il diametro si eleva a 4 e 5 mm. Lo spessore dei cristalli è minimo, ordinariamente poco diverso dai 2/10 di mm.; ma in casi eccezionali le anzidette cifre vengono notevolmente superate.

Se la neve durante la caduta traversa uno strato di aria a temperatura superiore a zero, essa si fonde in parte e può giungere al suolo come una mescolanza di acqua e di neve.

L'altezza della neve caduta si misura immergendo verticalmente un regolo metrico nella neve fino a toccare il suolo e leggendo la graduazione lambita dalla neve. La quantità di neve caduta si può misurare per mezzo del pluviografo. Se essa è in piccola quantità, si fonde quasi sempre dopo breve permanenza nell'imbuto ricevitore e l'acqua di fusione passa nel pluviografo.

Un altro dato che bisogna conoscere è l'altezza specifica della neve, ossia il rapporto fra l'altezza della neve e la corrispondente altezza dell'acqua che si otterrebbe qualora la neve si fondesse. Alcuni sogliono ricavare tale valore fondendo la quantità di neve che cade nel pluviometro; a tal uopo basterà versare dentro il pluviometro una quantità nota di acqua calda, e togliendo dalla misura dell'acqua totale che si ottiene la quantità di acqua versata, si ha il valore di acqua della neve caduta. Nei luoghi ove la temperatura dell'aria per alcuni mesi dell'anno è piuttosto rigida, si riscalda il ricevitore del pluviometro a mezzo di un filo metallico che avvolge l'imbuto del ricevitore per la parte interna. Detto filo costituisce un' opportuna resistenza inserita nel circuito elettrico alimentato dalla corrente stradale. Oppure si dispone sotto il collettore del pluviometro una serie di piccole lampade che producono una temperatura sufficiente per far fondere la neve di mano in mano che cade.

Determinazioni più precise si hanno impiegando il metodo di Hellmann, che consiste nell'affondare ben verticalmente in uno strato di neve un cilindro metallico cavo di cui si conosce esattamente la superficie, e munito esteriormente nella parte superiore di un manico di legno. Quando è giunto al livello del suolo, si liberano le sue pareti dalla neve che sta intorno e si passa allora sotto il cilindro una paletta sottile di una larghezza e di una lunghezza superiore al diametro del cilindro e in modo che tirando il cilindro non si verifichino perdite. Si solleva poi tutto l'insieme per isolare così un cilindro di neve di dimensioni conosciute e non si ha altro da fare che effettuarne la fusione.

Si suole anche adoperare il pesaneve, che consente di estrarre un cilindro di neve, di sezione nota e di stabilirne, mediante semplice pesatura, l'equivalente in acqua. Particolare interessante dell'apparecchio è la graduazione della stadera fatta direttamente in millimetri d'acqua.

Per misurare la quantità di neve caduta durante un periodo di tempo e nei luoghi ove non è possibile la continuata presenza dell'osservatore, s'impiegano i cosiddetti tubi di Vallot. Sono tubi di m. 0,20 di diametro di apertura che nella parte superiore portano attaccato un tubo di m. 0,80 di diametro d'apertura. Questo sistema di tubi pesca in un recipiente metallico orizzontale che serve a raccogliere la neve caduta. L'apparecchio è aperto solo nella parte superiore e chiuso nel rimanente. Il Mougin ha modificato tale sistema impiegando uno speciale sistema di chiusura.

Ordinariamente si ammette che la densità della neve, ossia il peso in rapporto all'unità di volume, sia uguale a o,1, cioè a dire che un decimetro cubo di neve fusa pesi 100 grammi; o ancora che un'altezza di un centimetro di neve corrisponda a un millimetro di pioggia.

Dalle numerose misure eseguite tale rapporto non si presenta molto costante per le varie influenze che esercitano gli elementi meteorologici.

Vi è differenza tra la densità della neve eaduta di fresco e quella della neve caduta da tempo. Questa densità varia molto col variare dello spessore, e da osservazioni compiute da parecchi studiosi risulta che le misure per un'altezza fra 70 e 80 cm. forniscono una densità media di 0, 1556, una massima di 0,320 e una densità minima di o,070. La densità della neve aumenta molto più lentamente che lo spessore. Fino a 40 mm. la densità oltrepassa di poco 0,1, verso 100 mm. di spessore si avvicina a 0,14. Per una caduta di circa 102 mm. la densità è di 0,2, per 500 mm. di spessore è vicina a 0,3. Questo accrescimento è dovuto alla pressione esercitata dagli strati superiori e alle modificazioni interne della copertura di neve.

Per lo studio della distribuzione della neve viene rappresentata la durata media del manto nevoso, ossia il numero dei giorni nei quali la neve copre più della metà del paese intorno al posto di osservazione, all'ora dell'osservazione del mattino; si possono allora tracciare le linee di uguale durata di neve, denominate da Hebner "isochione". La permanenza della neve varia naturalmente con l'altezza. Ad es. per la regione orientale alpina A. Tellini giunge alla seguente relazione fra l'altezza sul livello del mare e la durata media del livello nevoso:

Le durate per le alte quote furono dedotte in base alle osservazioni dirette eseguite nelle stazioni situate alle quote inferiori.

Le linee di uguale frequenza della neve si chiamano "isoplite"; il loro andamento è in stretta relazione con la distribuzione e la configurazione dei rilievi, ma non sempre ci è noto con qualche esattezza per deficienza di osservazioni su molte delle più importanti zone montuose del globo.

La regione mediterranea è, anche al livello del mare, ancora entro il limite equatoriale della caduta della neve, per quanto già nell'Italia centrale la neve sia rara (meno di 1 ⅓ giorni all'anno a Roma). Si verificano, ma come fenomeno eccezionale, cadute di neve ad Alessandria d'Egitto, a Tripoli, a Tunisi, ad Algeri; eccezionalmente fu osservata la neve nel Nefūd (Arabia); ma più a S., come pure a S. dell'Atlante, la neve in pianura è ignota. Sugli oceani aperti il limite è, nell'emisfero N., intorno a 35° lat., ma risale verso N. sul lato O. dei continenti e scende verso S. sul lato E., seguendo l'andamento delle isoterme invernali: così nell'Asia orientale si verificano cadute di neve fin sotto il tropico (a Canton, circa 23° N.). Analogamente avviene nell'emisfero S. dove la neve cade ancora a es. a Rio de Janeiro. In montagna la neve cade in qualunque regione della terra: i più alti rilievi del Sahara vedono la neve ogni anno. Nella zona equatoriale la superficie isoterma di 0° si calcola a circa 5200-5500 m. di altezza; sopra i 5600 m. le precipitazioni dovrebbero perciò cadere unicamente sotto forma di neve. (V. tavv. CIX e CX).

Per il limite delle nevi perpetue v. ghiacciaio.