Biagioli, Niccolo Giosafatte

Enciclopedia Dantesca (1970)

Biagioli, Niccolò Giosafatte

Giuseppe Izzi

, Letterato e insegnante (Vezzano Ligure 1772-Parigi 1830). Sacerdote, prefetto della repubblica romana, dopo il 1799 andò in esilio a Parigi, dove insegnò privatamente contribuendo a diffondere la cultura italiana, e dove, nel 1818-1819, presso la casa editrice Dondey-Dupré, pubblicò il suo Commento alla Divina Commedia in 3 volumi. Al Commento egli lavorò dieci anni, dal 1808 al 1818, preparandosi con vasti e accurati studi: né furono solo studi linguistici, in cui era particolarmente versato, ma anche storici e critici, come risulta dal Commento stesso. In questo, infatti, egli riversò la sua conoscenza della cultura più viva del tempo, oltre che delle opere di un Monti e di un Foscolo, di quelle del Ginguené (ediz. Silvestri, Milano 1820-1821, 3 voll., I, p. XXI), del Torti, del Sismondi (ediz. cit., I, p. XXII). E davvero il suo commento è " il primo commento d'urto, che smuove acquisite e comode tradizioni e avvia alla problematica moderna " (Vallone), oltre che per generici pregi di cultura, come quelli cui si è fatto cenno, o per vivezza di umori e scatti personali di cui è ricco, per pregi più intrinseci alla storia della critica dantesca. Quali, ad esempio, lo spiegar D. con D., con lo studio cioè di tutte le altre sue opere, la rivalutazione del Purgatorio e del Paradiso, lo sforzo di definire la peculiarità del linguaggio dantesco attraverso le tre cantiche.

Beninteso, il B. non muove da una rivoluzionaria metodologia critica ed estetica, né arriva a nulla di simile: il suo Commento è piuttosto il prodotto di una personalità sensibile al rinnovamento della cultura dei suoi tempi e dotata di buoni studi. Si aggiunga a ciò una certa dose di spregiudicatezza mentale e si avrà un'indicazione abbastanza precisa degli orizzonti entro cui si muove il nostro critico.

Nemmeno nel concetto di naturale, di cui il B. si serve largamente (" Sempre ha in vista il Poeta singularmente la natura, e nulla delle ombre sue più sottili gli può sfuggire ", I 467), si può davvero ravvisare uno spunto di novità teorica, ché gli orizzonti estetici sono ancora quelli del verisimile graviniano. In ogni modo, filtrando attraverso questo concetto, la sua sensibilità porta il B. a interpretazioni non banali di taluni episodi della Commedia: come, ad esempio, nel caso della fine del racconto di Francesca da Rimini, o nel raffronto tra il diverso atteggiamento in cui D. rappresenta Farinata e Cavalcante Cavalcanti. In conclusione, il criterio con cui il B. esprime il suo apprezzamento per i risultati poetici di D. è nel poter dire: " È vero ritratto di natura " (II 486); " Fanno bel ritratto queste parole; né puossi altrimenti imitare, anzi ricopiar la natura " (II 139). Più libera è forse l'indagine del B. sullo stile della Commedia, indagine in cui non mancano tentativi di analisi stilistica, sempre compresi nell'orizzonte teorico del naturale e del convenevole, e in questa analisi egli sembra anche mosso dalla necessità di giustificare l'assenza di ‛ voli poetici ' nei punti di più tesa dissertazione teologica con la presenza " pur in questo sterilissimo campo ", del " creatore e maestro del bello stile che l'onora " (III 440) : come il B. si preoccupa di mostrare nei canti, ad esempio, in cui D. è esaminato sulla fede, speranza e carità.

Bibl. - T. Casini, N.G.B., in D. e la Lunigiana, Milano 1909, 335-363; A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze 1958, 134 ss.

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