NICCOLÒ II papa

Enciclopedia Italiana (1934)

NICCOLÒ II papa

Raffaello Morghen

Di nome Gerardo, nato a Chevron-enBourgogne (Isère) verso il principio del sec. XI, creato poi vescovo di Firenze e legato da particolari vincoli di amicizia con Desiderio di Montecassino, col cardinale Umberto, con Ildebrando di Soana, con Pier Damiani, fu uno dei maggiori rappresentanti del partito della riforma ecclesiastica.

Egli salì al trono pontificio nel dicembre 1058, quando, alla morte di Stefano IX, la nobiltà romana creò l'antipapa Benedetto X e i cardinali vescovi, il clero e i rappresentanti del popolo di Roma, fuggiti dalla città e rifugiatisi in Toscana, decisero, sotto l'influenza di Ildebrando, e dopo lunghe trattative con Goffredo il Barbuto, duca di Lorena, di contrapporre alla illegale elezione di Roma un'elezione pontificia che fosse fedele espressione del desiderio vivissimo di riforma che era ormai proprio di tutti i più elevati circoli ecclesiastici. Il brevissimo pontificato di N. ha perciò un'importanza capitale per lo svolgimento di quel programma di liberazione della Chiesa da ogni ingerenza laica che porterà poi alla lotta delle investiture.

Appena eletto, il nuovo pontefice, con l'aiuto delle forze imperiali, venne a Roma, mettendo in fuga l'antipapa che si rifugiò nella forte Galeria. A Roma N. fu consacrato il 24 gennaio 1059 e convocò subito un concilio che si tenne nel Laterano il 13 aprile 1059 col concorso di 113 vescovi. In esso, oltre a canoni che riguardavano specialmente questioni dogmatiche e la riforma dei costumi (condanna dell'eretico Berengario, proibizione di assistere agli uffici celebrati da sacerdoti concubinarî, proibizione ai laici di conferire benefici ecclesiastici, divieto del cumulo dei benefici), il pontefice emanò quel famoso decreto relativo all'elezione pontificia e alla sua procedura che rimase la base fondamentale della posteriore legislazione a questo riguardo.

Secondo tale decreto, il diritto di elezione spettava soprattutto ai cardinali vescovi che ne dovevano trattare dapprima tra di loro. Raggiunto l'accordo, essi dovevano aggregarsi gli altri cardinali e procedere alla designazione dell'eletto, che veniva approvata dal rimanente clero di Roma e dal popolo. La scelta doveva inoltre cadere preferibilmente su un membro della Chiesa di Roma, ma in mancanza di un candidato adatto, anche su un non romano. Così era stabilito che l'elezione dovesse avvenire a Roma, ma in caso che ciò non fosse possibile, era previsto che potesse avvenire anche in altro luogo, purché, insieme con i cardinali vescovi e preti, vi fosse una rappresentanza del clero e del popolo di Roma. All'imperatore si riconosceva infine un generico diritto di considerazione e di riguardo, con l'impegno di fare una designazione che non fosse contraria al suo onore e al doveroso rispetto verso di lui (Salvo debito honore et reverentia dilecti filii nostri Henrici).

Con tale decreto l'elezione del pontefice era decisamente strappata dalle mani della nobiltà laica e dell'imperatore e affidata esclusivamente al collegio dei cardinali: al clero minore e al popolo romano era riservato soltanto il diritto di approvare con l'acclamatio, la scelta già fatta.

A questa redazione pontificale del decreto, che rispecchiava presso a poco le condizioni nelle quali era avvenuta l'elevazione al papato di N., il partito imperiale oppose poi, pare nel 1080, al tempo dell'elezione dell'antipapa Guiberto, una redazione falsificata più favorevole agl'interessi dell'imperatore, nella quale il re dei Romani doveva partecipare con i cardinali vescovi alla prima designazione del candidato da eleggersi.

Fino dal tempo di N., il decreto in parola eccitò, come era da prevedersi, le decise ostilità del partito germanico, capitanato dall'arcivescovo di Colonia, Annone.

E appunto a cagione di questo urto fra Roma e l'impero, che preluderà ai maggiori conflitti che scoppieranno poi, N., in cerca di nuove alleanze, muterà profondamente l'indirizzo della politica dei suoi predecessori, avvicinandosi ai Normanni e alla casa di Francia. Nel 1059 egli avviò infatti trattative con Roberto il Guiscardo, e, con truppe da lui fornitegli, riuscì a prendere Galeria e a impadronirsi dell'antipapa, che fu deposto nel concilio del Laterano della Pasqua del 1060 e ridotto alla sola comunione laica. Contemporaneamente rinnovò, in un concilio tenuto ad Amalfi, la promulgazione del decreto sull'elezione pontificia, e ricevette l'omaggio feudale di Roberto il Guiscardo e di Riccardo d'Aversa. In Francia si fece poi rappresentare da due legati alla cerimonia per la coronazione di Filippo, figlio di Enrico I, e progettava persino un viaggio che poi non poté effettuare.

Ma nel 1060 fu ripreso in pieno dall'opera febbrile della riforma della Chiesa. Nel concilio del Laterano tenuto nella Pasqua emanò i famosi canoni contro la simonia e la validità delle elezioni simoniache, e si apprestava a sostenere con tutte le forze la formidabile battaglia che coscientemente aveva ingaggiata, quando venne a morte, in Firenze, il 27 luglio 1061, lasciando ai suoi immediati successori, Alessandro II e Gregorio VII, l'immane compito di effettuare quanto egli aveva pensato e voluto.

Bibl.: Ph. Jaffé, Regesta Rom. Pontif., Lipsia 1885; Liber Pontificalis, a cura di Duchesne, Parigi 1892, Mon. Germ. Hist., Leg., IV, i; J. Laugern, Geschichte der römischen Kirche von N. I. bis Gregor VII., Bonn 1892; A. Fliche, La Réforme grégorienne, Lovanio-Parigi 1924; J. Gay, Les papes du XIe siècle, Parigi 1926; É. Amann, in Dictionn. de theolog. cathol., XI, i, Parigi 1930. Per la questione delle due redazioni del decreto sull'elezione pontificia v. specialmente P. Scheffer-Boichorst, Die Neuordnung der Papstwahl durch N. II., Strasburgo 1879.

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