MARINI, Niccolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARINI, Niccolò (Niccolò «di Eremo», padre Arsenio eremita)

Stefano Villani

– Le prime notizie certe su Arsenio dell’Ordine eremitano di S. Agostino – che in seguito avrebbe dichiarato di chiamarsi Niccolò Marini – risalgono al gennaio 1588 e fanno riferimento alla conclusione di un suo breve soggiorno nell’isola di Creta.

Il 12 gennaio il rettore di Retimo Benedetto Bembo certificò infatti come il M. (indicato con il nome di p. Arsenio) avesse vissuto «per alcuni mesi» in quella città conducendo una «honestissima et esemplar vita» nel corso della sua predicazione (Hessels, p. 844). In un altro documento nella stessa data anche il canonico della cattedrale di Retimo e vicario vescovile Girolamo Bellocci da Brescia confermava il giudizio evidenziando, come già Bembo, l’alta origine nobiliare del Marini. Le due lettere commendatizie erano state preparate perché egli aveva deciso di lasciare l’isola per votarsi alla vita contemplativa e avevano lo scopo di raccomandarlo a chi lo avesse accolto nelle sue peregrinazioni.

Nel giugno 1588 il M. giunse nell’isola dalmata di Curzola dove si trattenne per circa due mesi. Anche lì si mostrò «buon religioso» (ibid., p. 879) e predicatore efficace come attesta, in un’altra lettera di raccomandazione del 12 ag. 1588, l’arcidiacono e vicario vescovile Marco Costa. Riprese le sue peregrinazioni e si stabilì nel Friuli, a Tolmezzo, dove si fece apprezzare per la vita austera e per quattro sermoni. Fu proprio a causa della predicazione del M. che il giovane nobile Marzio Bianconi decise di entrare nell’Ordine agostiniano con il nome di Basilio: Marzio può essere certamente identificato con il figlio di Girolamo Biancone di Tolmezzo (noto per la sua attività di poeta in lingua friulana), appartenente a una delle famiglie più in vista della piccola città carnica. Il 31 luglio 1589 il M. e il giovane Biancone chiesero al piovano di Tolmezzo, Placido Quintiliano, una lettera commendatizia, avendo deciso di lasciare il Friuli. Non è noto quando i due abbiano lasciato Tolmezzo e quale città abbiano visitato. È noto però che di lì a pochi mesi il M. lasciò l’abito riprendendo quello che sosteneva essere il suo nome di battesimo, ovvero Niccolò, e si convertì al protestantesimo.

Il 20 febbr. 1590, infatti, Martino Ponchieri, il ministro protestante di Vicosoprano nei riformati Grigioni, raccomandò il M. (indicato col nome di «Nicolò di Eremo») al signor Pontisella e al dottor Reinella di Coira facendo sapere loro come questi fosse giunto a Vicosoprano dopo aver dato buona prova di sé come ministro a Casaccia e come fosse ora sua intenzione recarsi a Zurigo. Il M. era giunto a Vicosoprano insieme con un compagno che, gravemente ammalato, era poi morto, forse da identificare con Biancone di Tolmezzo (anche se nei successivi viaggi il M. risulterebbe essere accompagnato da un socio o confratello eremitano).

Lasciata Vicosoprano, il M. si recò a Berna, a Basilea e per l’appunto a Zurigo, dove si trovava sicuramente nell’agosto 1590. Di nuovo a Basilea in novembre, partì alla volta dell’Inghilterra, dove il 7 gennaio (secondo il calendario giuliano in vigore in Inghilterra) ovvero il 17 genn. 1591 (secondo il calendario gregoriano) si presentò al concistoro della Chiesa italiana protestante di Londra chiedendo di essere ammesso alla santa cena e di essere riconosciuto per ministro della parola di Dio. Portava con sé le citate attestazioni dei sacerdoti cattolici di Creta, Curzola e Tolmezzo e del ministro protestante di Vicosoporano, cui si erano aggiunte le lettere commendatizie del pastore di Berna Wolfang Müsli (Musculus) del 6 ag. 1590, dei pastori della Chiesa francese di Basilea Jacques Couët e Léonard Constant, rispettivamente del 16 agosto e del 12 nov. 1590, e quella del teologo zurighese Johann Wilhelm Stücki del 20 ag. 1590. Stücki congedava lui e il compagno con un viatico del Senato attestando come il M. fosse idoneo a sostenere uffici ecclesiastici e come la nascita, il matrimonio, le traversie e i viaggi in Oriente (tutti elementi fino ad allora taciuti dalle fonti oggi disponibili) fossero per la loro eccezionalità meritevoli di essere conosciuti.

Sulla base della documentazione presentata il Concistoro della Chiesa italiana accolse il M. alla santa cena a condizione che si sottomettesse alla disciplina ecclesiastica. Gli rifiutò invece l’investitura pastorale perché le lettere che aveva prodotto dimostravano che egli era stato fatto ministro nel 1589 ma che non era stato esaminato da un sinodo per essere approvato come ministro legittimo. Il M. promise piena obbedienza, ma di lì a pochi giorni, il 16/26 genn. 1591, accusò Giovan Battista Aureli, ministro della Chiesa italiana dal 1570, di essere lui la causa del diniego ricevuto. Citato a comparire di fronte al Concistoro, il M. fece ricorso al Ceto (l’assemblea di tutti i ministri, anziani e diaconi delle chiese straniere di Londra) protestando contro una decisione che, a suo giudizio, faceva torto a coloro che lo avevano fatto ministro. Il 9/19 febbraio la questione fu effettivamente discussa di fronte al Ceto che interrogò sia lui – che, in questa circostanza dichiarò che il suo cognome era Marini – sia Aureli, accusato dallo stesso M. di aver utilizzato a suo danno una lettera di Scipione Lentulo, ministro di Chiavenna. Il Ceto scrisse nei Grigioni per avere ulteriori informazioni. Non è noto l’esito di quelle indagini. Fu peraltro lo stesso M. a presentarsi nuovamente di fronte al Ceto il 13/23 apr. 1591, con un nuovo memoriale in cui chiedeva di trovargli «un patron timorato di Iddio» (ibid., p. 921) presso cui potersi guadagnare da vivere lavorando. Evidentemente deluso, il M. fece sapere di volersi recare in Sassonia e chiese un aiuto economico per intraprendere il viaggio. Il Ceto accolse questa richiesta negandogli però la lettera di presentazione. Di fronte a rinnovate accuse del M. che mettevano in dubbio l’ortodossia e la moralità dell’Aureli, il Ceto avviò ampie indagini che comportarono una serie di interrogatori di testimoni. Il 3/13 maggio il M. scrisse un nuovo memoriale in cui si diceva pronto a rispondere di fronte al Ceto solo come teste e non come parte, esprimendo ora l’augurio di poter vivere in Inghilterra «con quiete e paze». Nella sottoscrizione si confermava «ministro» e «Duca di Terra Nova» (ibid., p. 923). La questione fu nuovamente affrontata dal Ceto che, sulla base di ulteriori indagini, il 9/19 maggio 1591 riconobbe come calunniose le accuse all’Aureli e scomunicò il M. a meno che non avesse ammesso le sue colpe. Egli rifiutò e dichiarò di voler lasciare la Chiesa italiana perché contraria alla dottrina anglicana.

Questa dichiarazione è l’ultima notizia certa sul M.: si ignora se rimase in Inghilterra, entrando a far parte della Chiesa anglicana, o se abbia lasciato il Paese. Non è noto dove e quando morì.

Rimane anche assai dubbia la sua reale identità. Luigi Firpo ne parla come di un «ingenuo venato di megalomania» (p. 92) e ironizza sui suoi titoli nobiliari. Alcune sue affermazioni di fronte al Ceto delle chiese protestanti di Londra, non utilizzate da Firpo, fanno in effetti pensare a una vicenda più complessa di quanto non appaia a prima vista. In uno degli interrogatori il M. disse infatti di essere genovese e figlio di Tommaso Marin, duca di Terranova «mari de la fille du duc de Sets» (Boersma - Jelsma, p. 92). Stando a queste affermazioni si potrebbe identificare il M. nel figlio di Tommaso Marino o De Marini (1475-1572). Quest’ultimo, presumibilmente originario di Genova, era giunto a Milano alla fine del 1546 insieme con la moglie Bettina Doria e con il figlio Niccolò, nato probabilmente tra il 1541 e il 1549, il quale era stato protagonista di una tragica e popolare vicenda. Tra la fine del 1564 e l’inizio del 1565 Niccolò Marino aveva ucciso per gelosia la moglie spagnola Luisa de Lugo de Herrera. Per sfuggire alla condanna a morte Niccolò era riparato a Genova, forse ospite di parenti. Le notizie successive sono confuse e contraddittorie. Diseredato dal padre Tommaso, l’11 apr. 1565, secondo alcuni sarebbe stato ucciso a Genova, secondo altri si sarebbe recato a Roma, dove avrebbe ottenuto il perdono del papa e avrebbe deciso di abbracciare la vita religiosa tra gli agostiniani in S. Marco a Milano. È ovviamente possibile che «padre Arsenio», qualunque sia il suo nome effettivo, venuto a conoscenza della vicenda di Niccolò Marino ne abbia preso l’identità. Allo stato delle conoscenze non si può però escludere che dietro l’irrequieto M. che tanti problemi dette alla Chiesa italiana di Londra si nascondesse in effetti proprio il figlio uxoricida di Tommaso Marino.

Fonti e Bibl.: J.H. Hessels, Ecclesiae Londino-Batavae archivum, II, Epistulae et tractatus cum Reformationis tum Ecclesiae Londino-Batavae historiam illustrantes 1523-1874, Cantabrigiae 1897, nn. 912, 1063, 1096, 1121, 1150, 1176, 1190-1192, 1212, 1216; O. Boersma - A.J. Jelsma, Unity in multiformity. The minutes of the Coetus of London, 1575 and the Consistory minutes of the Italian Church of London, 1570-1591, London-Amsterdam 1997, pp. 16, 89-93, 95 s., 98 s., 101-105, 202 s., 238; R. Pellegrini, Versi di Girolamo Biancone, Udine 2000, ad ind.; T. Marino Sandonnini, Tommaso Marino mercante genovese, in Arch. stor. lombardo, X (1883), pp. 54-84; C. Casati, Nuove notizie intorno a Tomaso De Marini, ibid., XIII (1886), pp. 584-640; L. Firpo, La Chiesa italiana di Londra del Cinquecento e i suoi rapporti con Ginevra, in Id., Scritti sulla Riforma in Italia, Napoli 1996, pp. 189-191.