MASSA, Niccolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MASSA, Niccolò

Lisa Roscioni

– Nacque a Venezia il 14 marzo 1489 da Apollonio e da Franceschina Dainese (o Danese).

Il M. apparteneva a una famiglia di ricchi e nobili mercanti di origine genovese. Intorno al 1400 Tommaso Masson si era trasferito dapprima a Udine e poi ad Aquileia; il nipote Tommaso si stabilì a Venezia nella contrada di S. Pietro e aveva possedimenti anche a Marano Lagunare, dove fece costruire alcune imbarcazioni da commercio per i suoi figli, tra i quali Apollonio, che cambiò il cognome in Massa.

Rimasto orfano del padre, morto di peste il 28 ag. 1505, il M. si diede prima alla navigazione e poi allo studio delle lettere e delle arti. Studiò filosofia a Padova con Sebastiano Foscarini e greco antico a Venezia con Giovan Bernardo Regazzola, detto Feliciano. Nel 1515 si addottorò in chirurgia a Venezia, dove nel 1521 conseguì anche la laurea in medicina. Nel 1524 ebbe la cura medica della Scuola di S. Giorgio e delle monache del Sepolcro. Membro influente del Collegio dei medici veneziani, noto per la sua perizia nelle operazioni chirurgiche, in particolare nella sutura delle ferite al capo e al ventre, rifiutò incarichi prestigiosi presso pontefici e sovrani e attirò pazienti da ogni parte d’Europa, accumulando così una notevole ricchezza che investì in proprietà immobiliari a Venezia e nella Terraferma. Non si sposò, ma da Cecilia Raspante ebbe due figli: Nicolò, nato nel 1529 e morto in tenera età, e Maria, nata nel 1525 e riconosciuta come figlia quando la diede in sposa a Giovanni Grifalconi.

Considerato un esperto nella diagnosi e nella cura della sifilide, nel 1527 (sul frontespizio è erroneamente riportata la data del 1507) pubblicò a Venezia, presso F. Bindoni e M. Pasini, il Liber de morbo Gallico, tradotto in italiano nel 1566 con in appendice un dettagliato antidotario. Il trattato, uno dei più noti e citati del Cinquecento, affrontava un argomento del quale, come ricordava il M., «niuno avanti de mi haveva scritto» (Il libro del mal francese… con uno utilissimo Antidotario, Venezia, G. Ziletti, 1566, p. 1).

Il M., pur ricorrendo alle consuete citazioni tratte da Aristotele, Galeno, Avicenna e Pietro d’Abano, si rivelò originale in molte osservazioni basate sulla propria esperienza medica e su numerosi esami post mortem. Sottolineando come il contagio potesse avvenire non soltanto attraverso rapporti sessuali, ma anche mediante contatti ordinari con persone infette, il M. suggeriva rimedi classici come il salasso, la dieta appropriata, il sonno e l’esercizio fisico, accanto ai quali proponeva nuove cure quali il «legno indico» o guaiaco da associarsi a bagni sulfurei per curare le ulcere, unguenti di mercurio e fumigazioni.

L’anatomia, e in particolare l’anatomia patologica, fu uno degli argomenti che più interessò il Massa. Nel 1536 pubblicò a Venezia, per i tipi di F. Bindoni e M. Pasini, il Liber introductorius anatomiae, con lo scopo non soltanto di fornire uno strumento pratico agli studenti e ai medici, ma anche di contribuire alla conoscenza del corpo umano con osservazioni e scoperte scaturite dalla pratica dissettoria, in polemica con quei medici che pretendevano di scrivere su cose che «neque oculis viderint, neque manibus tetigerint» (Liber introductorius anatomiae, cc. 3v-4r).

L’opera, dedicata al pontefice Paolo III e poi ristampata dai medesimi editori nel 1559, non è priva di osservazioni originali, ricavate da numerose autopsie eseguite nel convento dei Ss. Giovanni e Paolo e nell’ospedale dei Ss. Pietro e Paolo – alcuni attribuiscono al M. la scoperta della muscolosità della lingua, altri quella dei muscoli piramidali, della prostata, dei canali inguinali e addominali, mentre il panniculus carnosus, della cui scoperta il M. si vantava, era stato già individuato da Avicenna (Lind, p. 171) –, tuttavia il M. non si pose mai in opposizione alla tradizione galenica, all’epoca più che mai in auge presso le università e le scuole di medicina. Pur riconoscendo come Galeno avesse commesso molti errori, facendo eccessivamente assegnamento sulle dissezioni di animali (il De anatomicis administrationibus era stato pubblicato nel 1529), egli non ne mise in discussione il paradigma dissettorio. Non solo, nel tentare un riordino lessicale della materia scelse di ricorrere al greco e alla terminologia utilizzata da Galeno, più che al latino classico di Cicerone o di Celso, preferito invece da Andrea Vesalio nel De humani corporis fabrica, Basileae 1543.

Noto per la sua abilità nel diagnosticare la peste non solo «in chi è morto di peste sebbene non ne ha segno alcuno», ma anche in coloro che «non si lamentano di accidente alcuno né manco mostrano in alcuna parte del suo corpo cosa alcuna» (Capponi), nel 1535 fu incaricato dalle autorità sanitarie della Serenissima di indagare sulla natura di un’epidemia diffusasi in città. Sulla scorta anche di questa esperienza, nel 1540 pubblicò a Venezia, per F. Bindoni e M. Pasini, il Liber de febre pestilentiali, dedicato a Elisabetta duchessa d’Assia e principessa di Sassonia, protettrice del nipote e medico Apollonio Massa, che aveva studiato a Lipsia con Heinrich Auerbach. Distinguendo la peste – termine ancora generico ai primi del Cinquecento – dal tifo petecchiale e da altre malattie letali, forniva indicazioni per prevenire le epidemie attraverso l’alimentazione, l’attività fisica e il rigoroso isolamento delle città infette. Nel 1556 tornò sull’argomento pubblicando il Ragionamento… sopra le infermità, che vengono dall’aere pestilentiale del presente anno 1555 (Venezia, G. Griffio - G. Ziletti), dedicato al doge Francesco Venier, nel quale descrive la peste o «giandussa» (così era stata già chiamata la pestilenza del 1348 e nel 1360) che aveva afflitto Venezia l’anno prima.

Nel 1544 andò alle stampe, nell’edizione giuntina del Canone, la sua traduzione latina della vita di Avicenna di Sorsanus, anche se secondo alcuni il M. non avrebbe tradotto direttamente dall’arabo ma da una versione italiana (Lind, p. 173). Al 1549 risale la pubblicazione, a Venezia, del trattatello Loica, dedicato al senatore veneziano Tommaso Contarini, fratello del cardinale Gasparo, nel quale, come si evince dal frontespizio, si proponeva d’insegnare «ogni sorte de argomentare, così probabile, come demostrativo». Di qualche rilievo sono le Epistolae medicinales, et philosophicae, pubblicate anch’esse a Venezia nel 1550 (F. Bindoni - M. Pasini) e in una successiva e più completa versione in due volumi nel 1558 (G. Griffio - G. Ziletti).

Essi raccolgono sessantaquattro lettere, per lo più consilia e pareri pratici, ma anche dissertazioni su argomenti di medicina teorica o filosofia, come quelle dedicate alla creazione del mondo, all’immortalità dell’anima o alla generazione (Epistolae medicinales, et philosophicae, I, pp. 33 s.; II, p. 29). Nelle epistole riprendeva le teorie espresse nel libro di Vesalio, che il M. apprezzava soprattutto per i meriti nel campo della divulgazione del sapere anatomico, anche se riteneva che in esse non vi fosse contenuto nulla di ciò che egli stesso e molti altri già non insegnassero, giudicando esagerate le critiche mosse a Galeno (ibid., I, nn. 5 e 6).

I suoi ultimi anni di vita furono afflitti dalla cecità, che tuttavia non gli impedì di continuare a lavorare: iniziò a comporre il De partu hominis rimasto incompiuto e, nel 1568, pubblicò il breve trattato Examen de venae sectione et sanguinis missione (Venezia, G. Ziletti), nel quale con la consueta perizia esponeva quaranta modi per procedere alla venesezione.

Il M. morì a Venezia il 27 ag. 1569.

Il suo busto, opera di Alessandro Vittoria, è conservato presso l’Ateneo veneto di scienze, lettere ed arti, mentre la lapide sepolcrale si trova nelle raccolte del seminario patriarcale di Venezia. Una medaglia raffigurante il M. è al Civico Museo Correr di Venezia. Nel testamento redatto il 28 luglio 1569 espresse la volontà di essere tumulato nella chiesa di S. Domenico nella contrada di S. Pietro, dove erano le tombe di alcuni suoi avi e, poiché temeva di essere sepolto vivo, dispose che i suoi familiari aspettassero due giorni prima di portarlo in chiesa «acciò non si facesse qualche error» (Arch. di Stato di Venezia, Notai di Venezia, 196, n. 870, notaio Marcantonio Cavagnis). Tra i suoi eredi nominò il nipote Lorenzo, figlio della sorella Paola e di Antonio Caresini.

Lorenzo, nato nel 1538 o nel 1539 e rimasto subito orfano di padre, fu adottato dal M., di cui prese il cognome. Dopo aver studiato a Padova a spese del M., ricoprì vari incarichi pubblici: nel 1558 divenne ordinario della Cancelleria e nel 1560 si recò a Roma con l’ambasciatore Marcantonio Da Mula presso Pio IV; nel 1563 fu nominato segretario del Senato e nel 1576 fu deputato al «carico delle spedizioni de’ Benefici ecclesiastici» (Cicogna, V, p. 19). Ricordato da molti come dottissimo nelle lettere latine e greche nonché fine conoscitore della lingua ebraica (David de Pomis lo ricorda nel suo Dittionario novo hebraico), era anche versato nella giurisprudenza, nella teologia e nelle scienze mediche e per ciò celebrato da Girolamo Capodivacca, da Giovanni Argenterio e da Ercole Sassonia. Fu autore di alcuni carmi in stile tibulliano e catulliano, uno dei quali, intitolato Ad viatorem elegia, diede luogo a una disputa poetica riportata nella Piazza universale di Tommaso Garzoni, che lo ricorda come «peritissimo» nelle leggi e collezionista di antichità. La contesa vide coinvolti Antonio Riccoboni, amico di Lorenzo e titolare della prima cattedra di umanità nello studio patavino, lo scrittore Fabio Paolini e il filologo francese Giuseppe Giusto Scaligero. A Lorenzo furono dedicate molte opere di scrittori ed eruditi veneziani tra cui Le Troiane di Ludovico Dolce (1566), l’Angeleida di Erasmo da Valvasone (1590) e alcune opere di Riccoboni. Fu chiamato nel 1583 per collaborare alla riforma dello Studio patavino: diresse la costruzione del teatro anatomico, riformò gli statuti e fece rivivere l’uso delle dispute. Sposò Anastasia Fondra da cui ebbe tre figli; non è nota la data della morte, secondo Cicogna da collocarsi tra il 1599, anno in cui il medico veneziano Vettore Trincavello gli dedicò l’edizione completa della sue opere, e il 1605.

Opere: Ad Ioannem Michaelium D. Marci procuratorem amplissimum Laurentii Massae hendecasyllabum, Venezia, D. e G.B. Guerra, 1589; Ad viatorem elegia in T. Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, V. Somasco, 1595, pp. 938 s.; Riccoboni cita un’orazione in morte del doge Alvise Mocenigo pronunciata l’anno 1577 (De consolatione) secondo Cicogna inedita (V, p. 21).

Fonti e Bibl.: M. Guazzo, Cronica, Venezia 1553, p. 429; F. Capponi, Libro intitolato Facile est inventis addere nel quale si trattano molte cose utili a gli huomini nelle lor operationi et moti, Venezia 1556, p. 216; L. Luisini, Dialogo intitolato la cecità, Venetia 1569; B. Corte, Notizie istoriche intorno a’ medici scrittori milanesi, e a’ principali ritrovamenti fatti in medicina dagl’italiani, Milano 1718, p. 51; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno alla vita e le opere degli scrittori viniziani, II, Venezia 1754 p. 435; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1824, pp. 113-115; II, ibid. 1827, pp. 428 s.; IV, ibid. 1834, pp. 160, 206, 210, 653, 671; VI, ibid. 1853, p. 805; S. De Renzi, Storia della medicina italiana, III, Napoli 1845, p. 562; M.-T. d’Alverny, Avicenne et les médecins de Venise, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, I, pp. 189-191; C. O’Malley, N. M., in Physis, XI (1969), pp. 458-468; L. Belloni, I busti di N. M. e di Santorio Santorio all’Ateneo veneto, ibid., XII (1970), pp. 411-414; L.R. Lind, Studies in pre-Vesalian anatomy…, Philadelphia 1975, pp. 167-202, 325-327; R. Palmer, N. M., his family and his fortune, in Medical History, XXV (1981), pp. 385-410; G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia: dalla peste europea alla guerra mondiale (1348-1918), Roma-Bari 1987, p. 102; R. Palmer, M., N., in Diz. biografico della storia della medicina e delle scienze naturali (Liber amicorum), a cura di R. Porter, Milano 1988, p. 100; A. Carlino, La fabbrica del corpo. Libri e dissezione nel Rinascimento, Torino 1994, pp. 237-240; D. Casagrande, Errore o falso in piena regola? Il Liber de morbo Gallico di N. M., in Charta, III (2005), pp. 24-29; G. Weber, Sensata veritas. L’affiorare dell’anatomia patologica, ancora innominata, in scritti di anatomisti del ’500. In appendice il «Liber introductorius anatomiae» (1536) di N. M., Firenze 2006.

Per Lorenzo: A. Riccoboni, De consolatione edita sub nomine Ciceronis, Venetiis 1584, pp. 7 s.; D. de Pomis, Dittionario novo hebraico, molto copioso, dechiarato in tre lingue, Venezia 1586, nella dedica; Erasmo di Valvasone, Angeleida, Venezia 1590, nella dedica; T. Garzoni, La piazza universale…, cit., pp. 936-941; A. Riccoboni, De Gymnasio Patavino, Patavii 1598, p. 53; V. Trincavello, Opera, Venezia 1599, nella dedica; N.C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, Venetiis 1726, II, p. 214; E.A. Cicogna, cit., V, Venezia 1842, pp. 18-21.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Giuseppe giusto scaligero

Medioevo e rinascimento

Alessandro vittoria

Giovanni argenterio

Erasmo di valvasone