TARTAGLIA, Niccolò

Enciclopedia Italiana (1937)

TARTAGLIA, Niccolò

Ettore Bortolotti

Matematico, uno dei più famosi del sec. XVI, nato a Brescia, probabilmente nel 1499, morto a Venezia il 13 dicembre 1557. Dal nome Fontana attribuito a un fratello di lui, nel testamento pubblicato dal principe Boncompagni nel 1881, taluni hanno arguito che tale fosse il casato del T., ma egli stesso ha lasciato scritto di non aver mai conosciuto il nome del padre, che aveva perduto nella prima infanzia e che solo ricordava di aver sentito chiamare "Micheletto Cavallaro". L' origine del soprannome Tartaglia, da lui accettato come cognome, è da lui stesso attribuito alla balbuzie procuratagli, intorno ai dodici anni, da una grave ferita infertagli da un soldato francese durante il sacco di Brescia (19 febbraio 1512). Egli narra ancora di essere andato nell'età di circa quattordici anni "a scola di scrivere" per circa quindici giorni e di avervi appreso le prime lettere dell'alfabeto; ma che poi, per l'estrema povertà della madre, non poté procurarsi più oltre un maestro.

Il nome dei T. è legato ad uno di quegli avvenimenti che segnano l'inizio di una nuova era nella storia della scienza, cioè la risoluzione algebrica dell'equazione cubica, problema fondamentale, che per quasi 20 secoli aveva fermato il passo ai progressi dell'analisi matematica. Nella prima pagina dell'Ars Magna (1545), G. Cardano racconta che nell'anno 1515 Scipione Dal Ferro bolognese trovò la risoluzione dell'equazione cubica ridotta. Quella scoperta, rimasta per molti anni nella stretta cerchia della scuola matematica bolognese, fu poi comunicata ad Antonio Maria Florido veneto, che, venuto a disputazione col T., diede occasione a questo di ritrovare quella medesima risoluzione (12 febbraio 1535). Vinto poi dalle preghiere del Cardano, e dalla promessa che egli sarebbe stato da questo introdotto in quegli ambienti universitarî ed umanistici, il T. confidò anche al Cardano (25 marzo 1539), "suppressa demonstratione", la fatta scoperta, a patto che non fosse palesata prima che egli medesimo non l'avesse pubblicata. Per la prima parte il Cardano tenne fede alla fatta promessa, ma, dopo aver per sei anni aspettato che il T. pubblicasse la scoperta, la pubblicò egli stesso, appunto nell'Ars Magna, in forza di circostanze, che ora ricorderemo.

Le formule trovate dal Dal Ferro e dal T. non erano immediatamente applicabili ad equazioni cubiche generali e complete, perché richiedevano un preventivo procedimento atto ad eliminare il termine quadratico, e d'altra parte non potevano esprimere nessuna delle radici reali delle equazioni cubiche, nel caso che fu detto "irreducibile" (v. algebra, n. 38). Il T. non riuscì a superare tali difficoltà, prima della pubblicazione della Ars Magna. Frattanto il Cardano, insieme con il suo scolaro Ludovico Ferrari, era riuscito non solo a superare la prima di quelle difficoltà e a dare una regola idonea a vincere in molti casi particolari anche la seconda, ma a costruire una completa sistemazione logica della teoria delle equazioni cubiche, a trovare una regola generale per la risoluzione delle equazioni biquadratiche, e a porre i fondamenti di una teoria generale delle equazioni algebriche. Tali risultamenti non potevano essere pubblicati, senza che si ricordasse la scoperta del T.; perciò, dopo essersi assicurato dell'esistenza in Bologna, presso il genero del Dal Ferro, di un opuscolo di mano di quest'ultimo, dove quella scoperta era dottamente esposta, il Cardano ebbe buon giuoco per dire che, se egli aveva promesso al T. di non pubblicare ciò che quegli gli aveva comunicato, non era tenuto a non pubblicare ciò che altri aveva prima di lui ritrovato.

Benché, nell'Ars Magna, si riconosca il merito del T. nella scoperts della risoluzione dell'equazione cubica ridotta, il T. si adontò fieramente di tale pubblicazione. Per mettere in rilievo il torto del Cardano e la sua propria prestanza in matematica, il T. volle perciò fare una pubblicazione, col titolo Quesiti et inventioni diverse, nella quale, sotto forma dialogica insieme con la sua questione col Cardano, espose e raccontò le molte dispute da lui sostenute in ogni ramo delle discipline matematiche. A quella pubblicazione replicò il Ferrari col mandare al T. (secondo l'uso dei tempi) un cartello di matematica disfida, cui alla sua volta rispose il T.; ed ebbe così origine la contesa fra il T. ed il Ferrari (o, se si vuole fra il T. e il Cardano, maestro del Ferrari), durata per circa due anni, e svoltasi per mezzo di sei cartelli di pubblica disfida e di sei controcartelli, tutti pubblicati per le stampe, che ebbero enorme diffusione e amplissima eco in tutto il mondo scientifico, e di una pubblica disputazione orale, il 10 agosto 1548, in Milano. Questi cartelli contribuirono potentemente alla diffusione delle nuove scoperte e al progresso delle teorie algebriche, e promossero per le scienze matematiche una fase di sviluppo, che per la sua fecondità è stata paragonata, da G. H. Zeuthen, al periodo aureo della matematica greca.

Oltre al libro dei Quesiti et inventioni diverse il T. ha pubblicato nel 1537 la Nova Scientia, che ebbe numerose edizioni italiane e fu anche tradotta in francese, nella quale pose i fondamenti di una teoria del moto dei proiettili, applicando per primo a tale studio la geometria. In particolare il T. ha in quell'opera ritrovato che la massima portata, nei tiri di artiglieria (nel vuoto), si ha tirando sotto un angolo di 45°.

La più voluminosa e la più nota delle opere del T. è il General trattato di numeri et misure, composto di sei parti (le due prime pubblicate nel 1556, le altre quattro, postume, su manoscritti del T. nel 1560), il quale costituisce un corso completo di matematica pura ed applicata, dove ogni argomento è compiutamente svolto e illustrato da centinaia di esemplificazioni e di problemi genialmente risoluti.

Dobbiamo al T. anche la prima traduzione italiana (1543) degli Elementi di Euclide, in una edizione, trascurata nella prosa italiana, ma ricca di scienza geometrica, e di giudiziose osservazioni, anche oggi interessanti. E non è piccol merito del T. l'aver dato in luce la traduzione latina dell'opera di Archimede De insidentibus aquae. Tale opera è stata rinvenuta, nel suo originale greco, solo in tempi recentissimi, ed è stata conosciuta e studiata solo per quella traduzione, e per la versione italiana, che lo stesso T. pubblicò nei Ragionamenti sopra la travagliata inventione (1551). Si è creduto che anche la traduzione latina fosse opera del T., od almeno che egli si vantasse di esserne autore; e, quando si è rinvenuta una più antica traduzione, della quale quella data in luce dal T. era un semplice rifacimento, non si è esitato ad accusare il T. di plagio. Ma bisogna osservare che il T. non poteva aver in animo di attribuirsi la traduzione latina dal greco di Archimede, mentre pubblicamente confessava (risposta al 2° cartello) di non aver mai conosciuto le lingue classiche. Del resto, a proposito di questo e di altri plagi attribuiti al T., è necessario ricordare le avversità, le lotte per il più necessario sostentamento, che contrastarono al T. l'ascesa ai più alti campi della scienza, e lasciarono nell'animo suo un senso di amarezza e un lievito di orgoglio per tutte le cognizioni di cui egli forse si persuadeva di non essere debitore che a sé stesso. E non bisogna dimenticare né abbassare i suoi grandi meriti, non solo per quello che di effettivamente nuovo egli ha dato alla scienza, non solo per avere costituito con le sue opere un'enciclopedia matematica che procurò a lui fama imperitura e all'Italia onorevole posto nella scienza, ma anche per avere effettivamente iniziato, promosso e divulgato la nuovissima scienza algebrica, e per quell'ardito, irrequieto spirito di investigazione, che egli ha saputo introdurre nella scienza applicata, con le sue opere e col suo insegnamento, e che ha avuto una notevolissima influenza sullo sviluppo della meccanica per tutto il sec. XVI.

Bibl.: I sei cartelli di matematica disfida di L. Ferrari ed i sei controcartelli di N. Tartaglia, a cura di E. Giordani, Milano 1876; G. H. Zeuthen, Notes sur l'histoire des Mathématiques. Tartalea contra Cardanum, in Bull. Acc. des Sc. de Danemark, 1893; G. Eneström, Hat Tartaglia seine Lösung der kubischen Gleichungen von Dal Ferro entbehrt?, in Bibliotheca Mathematica, 3a s., VII, 1906; E. Bortolotti, I contributi del T., del Cardano, del Ferrari e della scuola mat. bolognese alla teoria algebrica delle equazioni cubiche, in Studi e Mem. per la storia della Univ. di Bologna, IV, 1926; id., I cartelli di matematica disfida e la personalità psichica e morale di G. Cardano, ibid., XII, 1934.