MAZZA, Nicola

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MAZZA, Nicola

Lucia Ceci

– Nacque a Verona il 10 marzo 1790 primo dei nove figli di Luigi, intraprendente commerciante di seta, e di Rosa Pajola.

Nel 1797 il coinvolgimento della città scaligera nelle vicende rivoluzionarie indusse il padre a spostare la famiglia nella tenuta di Marcellise, a pochi chilometri da Verona. Qui probabilmente il M. compì i suoi primi studi sotto la guida della madre e di insegnanti privati.

Nell’ambiente cattolico veronese, che all’inizio dell’Ottocento si distingueva rispetto ad altre province ecclesiastiche per varietà e ricchezza di stimoli, il M. frequentò l’oratorio dei padri filippini dove strinse amicizia con A. Cesari, molto noto e apprezzato nella città come predicatore e letterato, la cui spiritualità, nutrita di vastissimi studi biblici, postulava la centralità, in chiave intransigente, dell’apologetica sociale. In Cesari il M. riconobbe il proprio maestro, benché mostrasse di preferire, alla letteratura e all’oratoria da questo predilette, le discipline scientifiche e in particolare la matematica, nella quale si distinse nel corso dei suoi studi. Entrato nel seminario vescovile di Verona il 21 giugno 1807, il M. fu ordinato sacerdote il 26 marzo 1814.

Nella sua formazione ebbe un rilevante significato anche l’incontro con G. Bertoni, già gesuita e fondatore, nel 1816, dell’Ordine degli stimmatini, attraverso il quale il M. venne in contatto con gli ambienti delle Amicizie cristiane e con i motivi ultramontani di autori francesi come L. de Bonald, J. de Maistre e il primo Lamennais.

A partire dall’anno scolastico 1815-16 il M. insegnò matematica nel seminario vescovile. Oltre che di tale disciplina, nella quale fu particolarmente apprezzato dai suoi allievi, fu docente di meccanica e di storia universale fino al 1850, anno in cui cessò l’attività di insegnamento in seminario. In questo periodo svolse i primi compiti del ministero sacerdotale nella parrocchia cittadina di S. Fermo; prestò servizio come cappellano a Marcellise e come assistente spirituale nell’Istituto delle sorelle minime della carità fondato pochi anni prima da Teodora Campostrini. La conclusione della docenza nel seminario vescovile è probabilmente da ricondurre alla sostituzione del rettore don G.B. Santi, di simpatie rosminiane, con don F. Bacilieri, che accettò incondizionatamente di sottomettersi alle condanne emesse dalla S. Sede il 6 giugno 1849 nei riguardi delle due opere di A. Rosmini: Delle cinque piaghe della Santa Chiesa e La costituzione secondo la giustizia sociale. Dopo l’intervento della congregazione dell’Indice il M. non nascose la propria stima nei riguardi di Rosmini al quale lo accomunava peraltro la guida spirituale di Cesari.

All’amico e collaboratore don F. Angeleri, tra i maggiori rosminiani veronesi, scriveva nel gennaio del 1850 che il «buono e bravo Rosmini» non aveva nulla di Giansenio, e si diceva pronto a prendere le sue difese, ove necessario, non solo «con la voce», come affermava di avere già fatto, ma «anche con lo scritto» (lettera del 9 genn. 1850: cit. in D. Gallio, Temi e figure della questione rosminiana a Verona in documenti dell’archivio Mazza, in Miscellanea di studi mazziani. Nel centenario…, p. 386).

Durante gli anni d’insegnamento in seminario il M. si interessò dei problemi più generali dell’istruzione, impegnandosi, in particolare, nel progetto di una scuola teorico-pratica di agricoltura, nell’ambito dell’Accademia di agricoltura, commercio e arti di Verona di cui era stato nominato socio attivo nel 1840. Pur collocandosi all’interno di una prospettiva intransigente, guardò con ammirazione «l’annunzio di un trionfo della scienza» (Pandian) e attribuì grande importanza alla formazione scientifica del clero e dei fanciulli.

L’impegno per l’accesso dei poveri all’istruzione è la dimensione che più caratterizza le opere del Mazza. Allo scopo di dare alle fanciulle orfane o indigenti un’istruzione, oltre che un ricovero, nel 1829 diede l’avvio a una casa privata d’educazione femminile. L’idea ispiratrice consisteva nell’organizzare le ragazze in piccole famiglie, ciascuna delle quali con una sua «mamma», garantendo loro un ambiente familiare e una formazione di base che arrivava alla seconda classe elementare, secondo il metodo prescritto dai regolamenti governativi.

In una relazione presentata alla I.R. Delegazione provinciale nel 1842, anno in cui la casa raccoglieva 236 ragazze, il M. illustrava in questi termini lo spirito e l’organizzazione dell’istituto: «Le giovanette, ch’io raccolgo sono le innocenti in pericolo, e che non hanno né possono aver altro asilo per conservare la loro innocenza, ed onestà; né hanno altro mezzo per aver una morale e civile educazione; e queste convivendo già tutte nel mio luogo mantengo di vitto e vestito e del necessario alla lor vita. Lo scopo della loro educazione è di formarle donne di famiglia. […] Per ottenere meglio tal fine, non si ritengono le giovanette tutte unite formanti un tutto solo, ma si dispongono a modo di famiglia; voglio dire si dividono in tanti piccoli drappelli, ed ogni drappello è presieduto e diretto da due, delle quali l’una Madre, l’altra sotto Madre si appella» (Butturini, p. 225).

Le ragazze dell’istituto non erano tenute a restare rinchiuse come in un monastero. Accompagnate dalle «madri», esse uscivano regolarmente di casa per adempiere i compiti domestici, gli impegni parrocchiali, ma anche per «quel moderato passeggio, che alla condizione loro, alla lor salute, e ad un onesto e opportuno sollievo credesi acconcio» (ibid.). Alla formazione di base si aggiunsero in un secondo momento laboratori di ricamo, di fiori artificiali e di produzione della seta (allevamento dei bachi, filatura e lavorazione).

Nel 1832 il M. avviò un istituto maschile con l’intento di dare ai ragazzi poveri «ma di grande ingegno» una compiuta istruzione. La specificità dell’istituto rispetto alle numerose congregazioni ecclesiastiche preposte alla formazione culturale dei giovani discendeva dalla scelta di accogliere unicamente ragazzi provenienti da famiglie indigenti, dando loro la possibilità di prepararsi, oltre che al sacerdozio, alle carriere civili. La mancanza di mezzi unita all’eccellenza dell’ingegno rimase il requisito fondamentale per essere ammessi nell’istituto, ribadito costantemente nei regolamenti e nelle indicazioni scritte fornite dal M., con una polemica, mai resa esplicita, nei riguardi di una società che riservava gli studi superiori e attribuiva i ruoli più qualificati solo ai ceti sociali più elevati, a prescindere dalle potenzialità intellettuali. Al fine di garantire agli alunni dell’istituto una scolarità superiore in grado di condurli sino agli studi universitari e una piena libertà nella scelta del proprio stato, il M. indirizzò i primi allievi verso le scuole del seminario che avevano un riconoscimento pubblico e, nel 1839, a sei anni dall’avvio dell’istituto maschile, aprì a Padova una casa per gli studenti che volevano accedere all’Università.

Sul piano della spiritualità prevalgono nel M. forme devozionali tipiche del primo Ottocento, ispirate a una religiosità vicina alle direttive di Alfonso Maria de Liguori, al cui studio il M. era stato avviato da Bertoni. Un ruolo centrale è rivestito, oltre che dalla devozione mariana, dal culto del Sacro Cuore che il M. accolse e diffuse nei suoi istituti, in reazione al rigorismo giansenista e al razionalismo.

Le iniziative educative del M. incontrarono il sostegno del governo del Lombardo-Veneto che assecondò la ripresa di vecchie istituzioni religiose legate all’istruzione e all’assistenza, e la nascita di nuove. Nel 1834 il governo dichiarò in un decreto di «non dissentire» che fosse «tollerata» la sussistenza delle due case e negli anni successivi sostenne, con generose offerte della corte imperiale, il M., che nel 1838 venne insignito della grande medaglia d’oro con collana «pro piis meritis» da Ferdinando I d’Asburgo.

I buoni rapporti instaurati con le autorità civili si colgono anche nella partecipazione del M. alla vita cittadina: dal 1848 al 1862 fu eletto dalla Delegazione provinciale nel Consiglio comunale di Verona, trovandosi a far parte, grazie all’attività dell’istituto femminile, dei cento maggiori contribuenti all’Erario della città.

Per la guida degli istituti il M. si avvalse della collaborazione di alcuni sacerdoti che riunì in un organismo chiamato istituto fondamentale. Il gruppo dei collaboratori conobbe una profonda crisi nel 1856, quando quattro dei più brillanti sacerdoti lasciarono l’istituto per costituire presso la chiesa di S. Giorgio il «nido rosminiano», in risposta a quanto deciso dal conte P. Albertini, padrone degli stabili che ospitavano le istituzioni, il quale per il rinnovo dell’usufrutto impose come condizione che il M. proibisse a tutti i suoi allievi, sacerdoti o secolari, di leggere le opere di Rosmini.

Tra la metà degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta il M. maturò l’idea di dare alla sua opera una prospettiva missionaria, anche in seguito all’incontro con il sacerdote genovese N. Olivieri, fondatore della Pia Opera del riscatto delle fanciulle more. La fisionomia del piano missionario del M. si configura in un promemoria del 1852 che presenta la missione come punto di congiunzione tra istituto maschile e femminile, «dando l’istituto maschile nei suoi preti […] il semenzaio dei missionari […] e l’istituto femminile dando l’educazione cattolica e civile a quelle piccole morette di là comperate e nel suo seno accolte» (L. Pretto, Aspetti della personalità e della spiritualità di don M. come appaiono nei suoi scritti, in Miscellanea, cit., pp. 139-142). Nelle intenzioni del fondatore l’Istituto delle missioni per l’Africa selvaggia venne creato quale completamento degli altri due per elevarne la tensione educativa e ideale. A tal fine egli introdusse nei suoi istituti l’insegnamento delle lingue straniere, compreso l’arabo, e di rudimenti di medicina e farmacia.

Nel progetto missionario si affidava un ruolo centrale ai «giovanetti e giovanette africane» riscattati e poi trasferiti negli istituti veronesi per essere educati. Una volta ritornati nel proprio continente, i giovani africani «imbevuti dei principj di religione e di cultura civile» avrebbero formato, nella visione del M., famiglie cristiane educando i propri figli alla fede cattolica e secondo i principî della civiltà europea. Netta, nella visione del M., è l’immagine dell’Africa come terra della «barbarie»: si tratta di una impostazione mentale vicina a opinioni largamente diffuse in Europa, che nel M. raggiunge in taluni passaggi toni molto forti, come quando si definiscono gli africani «bestie» da «umanizzarsi» (ibid.).

Compiuti i primi viaggi esplorativi alla fine degli anni Quaranta e tra il 1853 e il 1855, la prima spedizione effettiva dei mazziani, guidata da G. Beltrame, partì verso Kharṭū´m nel 1857. Tra i cinque missionari diretti in Sudan figurava D. Comboni, che sin dal 1843 era stato accolto nell’istituto maschile. Nel volgere di pochi mesi morirono due membri del gruppo più un laico aggregatosi nel frattempo, e lo stesso Comboni, ammalatosi gravemente, venne costretto a tornare a Verona. Con una lettera scritta ai primi di febbraio del 1865 il M. si dissociò dinanzi a Propaganda Fide dal «Piano per la rigenerazione dell’Africa», elaborato da Comboni nel 1864 dal quale sarebbe sorto, nel 1867, l’Istituto delle missioni per la nigrizia, che pure riprendeva molte prospettive del Mazza.

I riflessi della questione rosminiana, il fallimento della missione africana, le diverse posizioni che si vennero a creare tra i mazziani nel giudizio sull’unificazione italiana deteriorarono i rapporti tra il M. e i suoi collaboratori e anche tra questi ultimi e l’autorità diocesana.

Rappacificatosi con Comboni in un incontro del 20 giugno 1865, il M. morì a Verona il 2 ag. 1865.

L’istituto fondamentale dei collaboratori, composto da sacerdoti e laici consacrati, è stato riconosciuto dapprima, nel 1951, come istituto secolare con la denominazione Pia Società don Nicola Mazza; poi, nel 1985, come Società di vita apostolica. Il ramo femminile dell’istituto ha ottenuto un riconoscimento canonico nel 1957 per le Cooperatrici della carità – Maestre don Mazza, e nel 1958 l’approvazione ecclesiastica per le religiose dell’Istituto della carità del Sacro Cuore – Suore don Mazza, come congregazione religiosa di voti semplici.

Gli Scritti del M. sono stati editi a cura di I. Caliaro (Verona 2000); si veda inoltre: Due amici per l’Africa: il carteggio N. Mazza - Johannes Chrysostomus Mitterrutzner, 1856-64, a cura di D. Romani (ibid. 2003).

Fonti e Bibl.: Necr., A. Pandian, N. M., in L’Eco del Veneto, 5 ag. 1865. Documenti relativi al M. sono a Verona, Arch. dell’Istituto don Nicola Mazza; E. Crestani, La prima missione italiana nell’Africa centrale per opera di don N. M., Verona 1931; Omaggio a don N. M. nel 75° annuale della morte, 1865-1940, Verona 1940; B. Storme, Evangelisatiepogingen in de binnelanden van Afrika gedurende de XIXe eeuw (Tentativi di evangelizzazione nell’entroterra africano nel XIX secolo), Bruxelles 1951, pp. 234-256; P. Albrigi, Don N. M.: breve biografia, Verona 1965; Miscellanea di studi mazziani. Nel centenario della morte di don N. M. (1790-1865), Verona 1966; G. Barbieri, La produttività del denaro in una memoria inedita di don N. M., Verona 1969; Una città un fondatore. Miscellanea di studi mazziani II, Verona 1990; G. Battelli, Daniele Comboni e la sua «immagine» dell’Africa, in Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft - Nouvelle Revue de science missionaire, XLVII (1991), 1, pp. 31-48; E. Butturini, Rigore e libertà. La proposta educativa di don N. M. (1790-1865), Verona 1995; R. Cona, N. M.: un prete per la Chiesa e per la società, Verona 2006; Enc. cattolica, VIII, s.v. (A. Capovilla); Diz. degli istituti di perfezione, V, sub voce.

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