PALIZZI, Nicola

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PALIZZI, Nicola

Mariantonietta Picone Petrusa

PALIZZI, Nicola. – Figlio di Antonio e di Doralice del Greco, fratello di Giuseppe, Filippo e Francesco Paolo, nacque a Vasto, in Abruzzo, il 20 febbraio 1820.

Nel 1842 si recò a Napoli, lasciando il suo lavoro di fabbro armiere a Vasto, per iscriversi al Real Istituto di belle arti, dove frequentò i corsi di Gabriele Smargiassi. Fin dal 1843 fu tra gli espositori della Biennale borbonica con una Veduta di Pietrafracida in Abruzzo; vi ritornò nel 1845 con una Veduta di Napoli da Mergellina e un Paesaggio con cascata d’acqua ed una contadina che accarezza un cane, così detta la pastorella della costiera d’Amalfi.

Nel 1848 vinse il pensionato a Roma, ma a causa degli avvenimenti politici di quell’anno non poté lasciare Napoli, dove partecipò alla Mostra nel Real Museo borbonico con Studio di piante e Studio di una quercia, oltre che con due opere di gusto posillipista, Grotta Bonea e Sarra nelle vicinanze di Cava (Napoli, Museo di Capodimonte), per cui ottenne una medaglia piccola d’oro e l’acquisto da parte del re per 250 ducati. Nel 1851 espose nella Biennale borbonica quattro dipinti che rientravano fra i saggi del pensionato diretto a Roma da Filippo Marsigli: Boscaglie con cacciatore, studio di una strada degli Abruzzi; Studio di un molino alla vetta di una rupe rivestita di varie erbe; Studio di sassi e boscaglie negli Abruzzi con diverse figure e Avanzo di un’antica città con tramonto di sole (probabilmente identificabile con Tramonto, 1850, Napoli, Palazzo reale).

Quest’ultimo dipinto, era un paesaggio di composizione, in quanto nei primi anni Cinquanta la produzione di Nicola Palizzi si orientava alternativamente verso un paesaggismo storico, genere riportato in auge da Massimo d’Azeglio e a Napoli praticato da Gabriele Smargiassi, e un paesaggismo dal vero di impianto posillipista (per esempio, Casa del Tasso a Sorrento e Paesaggio a Piano diSorrento, entrambi a Vasto, Pinacoteca civica).

A partire dal 1851 cominciò a realizzare anche dipinti di cronaca, come quello dedicato al Terremoto di Melfi  (Vasto, Pinacoteca civica; una replica a Caserta, Palazzo reale), che tanta influenza avrebbe avuto sul Terremoto a Torre del Greco di Michele Cammarano. Da Francis Napier veniamo a sapere che Nicola si era recato a Melfi per eseguire degli schizzi dal vero subito dopo il verificarsi di quei drammatici eventi il 14 agosto 1851 (Napier [1853], 1956, p. 95). Ben presto tale propensione alla documentazione di cronaca si estese anche a soggetti legati alla vita ufficiale del Regno borbonico, con risultati paragonabili a quelli di Giovanni Cobianchi e del più noto Salvatore Fergola (Manovre militari al poligono di Bagnoli dirette da Ferdinando II, 1854, Caserta, Palazzo reale).

Nel 1854 si recò ad Avellino dove realizzò vari dipinti dal vero, come Ponte ad Avellino (Napoli, Galleria dell’Accademia) e Veduta di Avellino al chiaro di luna, che espose alla Biennale borbonica del 1855, ottenendo la medaglia piccola d’oro. In quella mostra, cui partecipò mentre frequentava ancora l’ultimo anno di pensionato a Roma, presentò altre tre opere: Arco di Traiano a Benevento, Isola di Capri presa da Massa, che può identificarsi con un dipinto del 1853 (Napoli, collezione privata) il cui bozzetto è nella Pinacoteca civica di Vasto, e un Paesaggio di composizione (ubicazione ignota), che raffigurava una veduta degli Appennini con vallate e burroni sotto un cielo in tempesta.

Quest’ultima opera fu acquistata da Pietro V, re del Portogallo per il Palazzo reale di Lisbona ed è stata descritta accuratamente nelle recensioni di Francesco Paolo Bozzelli e di Stanislao D’Aloe, con lodi, ma anche con qualche riserva a proposito del «molto colore ammassato sulle rocce di tufo» (D’Aloe, 1855, p. 73). In questa osservazione, sia pure critica, era contenuta la vera specificità della ricerca pittorica di Nicola, differente soprattutto da quella del fratello Filippo, in quanto mirata a una visione sintetica della realtà interpretata attraverso un sistema di macchie di colore a corpo, tecnica, questa, che sarebbe stata tenuta in debito conto dalle nuove leve del realismo meridionale, rappresentato da Cammarano e da Marco De Gregorio.

La concezione pittorica di Nicola, che puntava a una resa sommaria in quanto risultato di una estrema sintesi, si rafforzò in seguito al suo viaggio a Parigi nel 1856, dopo rapide tappe a Roma e a Firenze. Al breve soggiorno francese, dove presumibilmente conobbe la produzione di Jean-Baptiste Camille Corot, dei pittori di Barbizon e forse di Gustave Courbet, si riferisce certamente il dipinto Foresta di Fontainebleau (Napoli, Galleria dell’Accademia di belle arti). Una certa influenza del fratello Giuseppe sulla sua produzione si avverte in particolare nei dipinti Paesaggio con cervi (Napoli, Galleria dell’Accademia di belle arti) e L’approssimarsi del temporale (Napoli, collezione privata). A Parigi lasciò un dipinto che fu esposto nel Salon del 1857 (Nicholls,1998); in tale anno, al suo ritorno dalla capitale francese, dipinse due bozzetti ora al Museo di Capodimonte di Napoli, Corse ad Agnano e Rivista militare al campo di Marte, cui seguirono I mietitori del 1858 e altri due Paesaggi, entrati nelle collezioni del Banco di Napoli – dopo essere stati nella raccolta del pittore Giuseppe Casciaro – che attestano gli sviluppi della sua visione sintetica verso una più moderna strutturazione della composizione sulla base di una pennellata direzionata. Da una lettera del 9 febbraio 1857 si apprende tuttavia che questa sua nuova maniera più sintetica a Napoli non aveva trovato buona accoglienza, se era vero che molti erano rimasti sorpresi e dicevano che si era «guastato» (Ricciardi, 1989, p. 25).

Il 1857, soprattutto nella parte finale, fu un anno segnato da eventi tragici per la famiglia Palizzi: il 6 dicembre era morto a Vasto il padre Antonio e il fratello Camillo si era salvato miracolosamente durante il terremoto di Tricarico, in Lucania, dove lavorava.

Nel 1859 partecipò all’ultima delle Biennali borboniche con un Paesaggio con mandria di capre e Campagna con due cani che puntano una quaglia, particolarmente apprezzato dalla critica (Aponte, 1859, pp. 21 s.; Santoro, 1859, pp. 76 s.) e in particolare da Carlo Tito Dalbono (1859) che, in virtù di questo quadro, giudicò l’«animalista» superiore al «paesista» . Il 17 dicembre 1859 fu nominato professore onorario del Real Istituto di belle arti di Napoli insieme con Gabriele e Gonsalvo Carelli (Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, 728.II.3) e tale ancora risultava nel 1865 (Lorenzetti, 1952, p. 432). Realizzò per i Borbone ancora un dipinto di grandi dimensioni nel 1860, Caccia al cinghiale (Caserta, Palazzo reale).

Con l’Unità si iscrisse fin dal primo anno alla Società promotrice di belle arti di Napoli, prendendo parte ad alcune sue mostre: nel 1862 espose due opere, Effetto di sole, paesaggio e Paesaggio, un pantano: effetto di sole cadente; nel 1863 presentò altri due paesaggi, Ponte di Sorrento e Capri; nel 1866 Paesaggio a Licola e Sbarcatoio a Casamicciola; nel 1867 Paesaggio con capre, che ricevette critiche negative (Dalbono, 1868, p. 34; Imbriani [1868], 1937, p. 152). Nel 1867 fece pervenire un dipinto all’Esposizione universale di Parigi, Zingari in riposo, in cui riprendeva alcuni zingari all’ombra di grandi alberi.

Negli anni Sessanta la sintonia con Cammarano e con la cosiddetta scuola di Resina si consolidò, come dimostrano alcuni dipinti della Pinacoteca civica di Vasto nel genere della Veduta di Napoli da Mergellina, che certamente dovette influenzare il giovane Eduardo Dalbono, o Rocce o ancora Studio di rocce con pantano (1867, Napoli, Galleria dell’Accademia di belle arti).

Anche certe ricerche spaziali basate su un impianto prospettico, come quelle di Piazza Orsini a Benevento (Vasto, Pinacoteca civica), si richiamano da un lato alle esperienze di posillipisti come Théodore Duclère, dall’altro a quadri di Cammarano come Il Campidoglio (Napoli, collezione privata). Cammarano tra l’altro ricordava la figura di Nicola Palizzi nelle sue Memorie, sottolineandone la diversità rispetto ai fratelli per «il modo largo come concepiva le sue tele» (Biancale, 1936, p. 14).

Morì a Napoli il 26 settembre 1870.

Fonti e Bibl.: Per la famiglia Palizzi nel suo insieme, v. voce Palizzi, Filippo in questo Dizionario. Per Nicola: C.T. Dalbono, Paese di composizione dipinto da N. P. pensionato, in Poliorama pittoresco, XIV (1852-53), 10, pp. 77-79; Id., Dei paesisti antichi e di un paese di composizione di N. P., in Albo artistico napoletano, a cura di M. Lombardi, Napoli 1853, pp. 77-81; F. Napier, Notes of modern painting at Naples, London 1853 (trad. it. a cura di S. D’Ambrosio - O. Morisani, Napoli 1956, pp. 90-95); S. D’Aloe, Descrizione di alcune opere esposte nella pubblica Mostra di belle arti nel dì 30 di maggio 1855, inAnnali civili del Regno delle Due Sicilie, 1855, vol. 54, pp. 73 s.; F.P. Bozzelli, Sulla pubblica Mostra degli oggetti di belle arti nella primavera del 1855, Napoli 1856, pp. 54 s.; L. Aponte, Sopra alcuni dipinti nella pubblica mostra di Belle Arti 1858, Lettere…, Napoli 1859, pp. 21 s.; C.T. Dalbono, Ultima Mostra di belle arti in Napoli, Napoli 1859, pp. 52 s.; G.F. Santoro, Giudizi estetici sopra le dipinture e le sculture della Esposizione di Belle Arti in Napoli nel 1859, Napoli 1859, pp. 76 s.; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine du Royaume de Naples, II, Genève 1859, p. 236; L’esposizione della Promotrice, in Giornale di Napoli, 10 luglio 1866; C.T. Dalbono, Sguardo artistico intorno alla Quinta Mostra della Promotrice napolitana, Napoli 1868, p. 34; V. Imbriani, La Quinta Promotrice 1867-1868 (1868), ora in Critica d’arte e prose narrative, a cura di G. Doria, Bari 1937, p. 152; L. Anelli, Ricordi di storia vastese, Vasto 1906, pp. 209 s.; S. Di Giacomo, Catalogo biografico della Mostra della pittura napoletana dell’Ottocento, Napoli 1922, p. 69; Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento (catal., Napoli), Torino 1936, pp. 34 s., 58; M. Biancale, Michele Cammarano, Napoli 1936, pp. 13 s., 26 e passim; C. Lorenzetti, L’Accademia di belle arti di Napoli (1752-1952), Firenze 1952, pp. 250, 432; A. Schettini, La pittura napoletana dell’Ottocento, I, Napoli 1967, pp. 181-191 e passim; R. Mormone, I Palizzi e Morelli eMichele Cammarano e il tramonto dell’Ottocento, in A. Caputi - R. Causa - R. Mormone, La Galleria dell’Accademia di belle arti di Napoli, Napoli 1972, pp. 45, 59 s., 120; L. Luciani - F. Luciani, Dizionario dei pittori italiani dell’Ottocento, Firenze 1974, pp. 317 s.; A. Tecce, in Il patrimonio artistico del Banco di Napoli, a cura di N. Spinosa, Napoli 1984, pp. 164-169; A. Ricciardi, I fratelli Palizzi (catal., Vasto), Firenze 1989; M. Picone Petrusa, P. N., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di C. Pirovano, II, Milano 1991, pp. 947 s.; Id., P. N., in La pittura napoletana dell’Ottocento, a cura di F.C. Greco, Napoli 1993, p. 150; G. Matteucci, «Intender non la può chi non la prova…», in Aria di Parigi nella pittura italiana del secondo Ottocento (catal., Livorno), a cura di G. Matteucci, Torino 1998, p. 16; P. Nicholls, Appendice, ibid., p. 98; G. Berardi, Lo “Studio nuovo” di N. P. (1820-1870): dalla Scuola di Posillipo alle esperienze di Resina, in Filippo, Giuseppe, N., Francesco Paolo Palizzi del Vasto (catal., Vasto), a cura di G. Di Matteo - C. Savastano, Teramo 1999, pp. 12-21.

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